Ieri, con la fiducia all’orribile decreto Sicurezza-bis, i 5Stelle hanno pagato l’ultima cambiale a Salvini. Se sia l’ultima in ordine di tempo o in assoluto, lo scopriremo presto. Le conseguenze del bis sono meno preoccupanti di quelle del primo che, accanto a (poche) norme di buonsenso, ne conteneva due micidiali: la fine dei permessi umanitari, che ha moltiplicato i clandestini; e lo smantellamento degli Sprar, i centri comunali d’integrazione, che ha moltiplicato i migranti a zonzo per le strade a bighellonare, o mendicare, o infastidire i passanti, o cadere preda della criminalità comune e organizzata. Gli “stranieri”, non avendo dove andare e cosa fare, appaiono molti più di quelli che sono: tutta benzina sul fuoco della rabbia più o meno razzista nei quartieri popolari e tutta benzina nel motore della Lega. Che, fatto il danno, riesce pure a lucrarci dei voti. In compenso nulla, nei due dl Sicurezza, è previsto per i rimpatri degli irregolari: promessa che ha gonfiato le vele del salvinismo e paradossalmente continua a gonfiarle perché la propaganda di sinistra seguita a dipingere il Cazzaro Verde come nemico dei clandestini: così la gente pensa che li stia rimpatriando davvero o, se non lo fa, non è perché non è capace, ma perchè i cattivoni buonisti glielo impediscono.
Anche stavolta, da sinistra, s’è levata la solita litania: che aspetta il M5S a far cadere il governo a trazione Salvini? Noi l’abbiamo scritto fin da prima che nascesse il Salvimaio: “Se si alleano con la Lega, i grillini verranno inseguiti con i forconi da molti elettori”. Ripetuto l’estate scorsa: “I 5 Stelle valutino il momento più propizio per staccare la spina”. E ribadito dopo la débacle grillina alle Europee: “Ai 5 Stelle conviene tornare all’opposizione”. Il che non ci ha impedito di notare che finora, mentre Salvini stravinceva nella gara di chiacchiere e di rutti, i 5Stelle stravincevano in quella delle leggi approvate: ai due Dl Sicurezza e alla (il)legittima difesa, dall’esito nullo o negativo, e ai cedimenti su Tap e altre opere inutili (su cui però il M5S si ritrova solo in Parlamento, come pure sul Tav), i 5Stelle possono opporre una dozzina di riforme buone e giuste (anche se non han saputo comunicarle). Che, anche se la legislatura finisse oggi, darebbero comunque al governo Conte un bilancio più positivo che negativo. Il guaio è che l’interesse del M5S non coincide con quello dell’Italia: ricattati come sono un giorno sì e l’altro pure da Salvini, i 5Stelle avrebbero tutto da guadagnare da un bagno purificatore all’opposizione. Per far tesoro della cura dimagrante forzata al 17%. Per rimediare agli errori commessi.
Per ritrovare l’identità smarrita, riorganizzarsi al vertice e alla base e mostrare a chi se l’è già dimenticato di cosa sono capaci i vecchi partiti. Ma gli italiani, almeno chi non vuole un monocolore Salvini senza contrappesi, inevitabile in caso di elezioni presto, hanno l’interesse opposto: che si voti non prima dell’estate 2020, nella speranza che il pallone gonfiato dimostri alla prova dei fatti la sua palese incapacità anche a chi oggi non la nota e si sgonfi. Cioè che finisca o si ridimensioni l’innamoramento-incantamento della solita Italia sotto il balcone del ducetto di turno. Ma, per votare fra un anno, stante l’indisponibilità del Pd a governare col M5S, ci vogliono altri 12 mesi di governo Conte. Dopo le Europee, Di Maio ha avuto una sola preoccupazione: non fornire a Salvini pretesti per rompere su dei “no” impopolari (su Flat Tax, Tav e migranti). Infatti ha opposto resistenza sugli unici temi che la gente avverte poco e Salvini ancor meno: autonomie regionali e riforma della giustizia. Ma ora la finestra elettorale di luglio si è chiusa e Salvini è stato azzoppato – anche se non lo dà a vedere e i sondaggi ancora non lo registrano – da tre gravi scandali (caso Rubli, caso Arata-Siri, Tangentopoli lombarda) di cui nessuno, neppure lui, conosce gli sviluppi e le conseguenze in una campagna elettorale.
Ma, se Di Maio&C. vogliono tenere in piedi il governo, sperare di logorare l’ “alleato” e recuperare un po’ dei 4milioni e mezzo di astenuti, anziché farsi fagocitare definitivamente, non possono continuare a comportarsi come se fossero gli unici a temere il voto. Anche perchè sanno che, con le spade di Damocle giudiziarie sul capo, lo teme un bel po’ anche Salvini: altrimenti avrebbe approfittato della famosa “finestra”. Di Maio, per quanto ancora rintronato dalla batosta, resta il leader più capace del M5S. Ma deve guarire dalla sindrome da accerchiamento che ultimamente lo porta a sospettare di Di Battista, di Fico e tanti altri, al punto da mettere in fuga un veterano e fedelissimo della prima ora come Max Bugani, molto vicino a Casaleggio e Grillo. Nel forum di un mese fa col Fatto, Di Maio parlò di una sorta di direttorio con tutti i big per gestire collegialmente il Movimento nella fase più drammatica della sua storia: che aspetta a formarlo? E a chiedere a Grillo, dopo tanti passi indietro, di fare un bel passo in avanti? Così ricompatterebbe i tanti parlamentari ed elettori disorientati. Le cose da fare al governo, mentre “quell’altro” fa il tour dei Papeete, non mancano, e tutte previste dal Contratto: salario minimo, legge sui rider, riforma Bonafede, manette agli evasori, conflitto d’interessi, taglio delle tasse sul lavoro e così via. Con una campagna estate-autunno sui contenuti, la gente potrebbe addirittura capire perché il governo resta in piedi e chi, al suo interno, pensa a lavorare. A quel punto sarà Salvini, se si opporrà, quello del Partito del No che viola il Contratto e si assume l’onere di rompere. I ricatti non sono mai belli, ma con un “alleato” ricattatore sono l’unica speranza di sopravvivenza. Come diceva Sandro Pertini, “a brigante, brigante e mezzo”.