L’abuso della forza scredita sul piano morale il mandato di Emmanuel Macron. La libertà di movimento concessa alle forze dell’ordine ha già fatto due morti e centinaia di feriti in pochi mesi. Fin dove il governo intende spingersi? Tutto il sistema andrebbe ripensato, a partire dai procuratori asserviti al potere e fino alla “polizia delle polizie”, l’Igpn (Ispezione generale della polizia nazionale) che, quasi sistematicamente, assolvele forze dell’ordine.
In due anni di presidenza, Emmanuel Macron può vantarsi almenodi una cosa: aver registrato il numero di morti e feriti, in operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico, più elevato dal 1968, incoraggiando la repressione brutale dei movimenti sociali e facendo un uso smodato della forza, al punto da apparire agli occhi di tutti come un debole monarca repubblicano praticamente in mano alla polizia e alla gendarmeria.
Anche il primo ministro Édouard Philippe, il ministro degli Interni Christophe Castaner e il segretario di Stato Laurent Nuñez sono responsabili di questo sinistro bilancio. Dopo la morte a Marsiglia di Zineb Redouane, ferita gravemente al viso da un lacrimogeno mentre chiudeva la finestra, il primo dicembre scorso, quella di Steve Maia Caniço, il cui corpo è stato di recente ripescato nella Loira a Nantes, porta a due in appena qualche mese il numero di vittime in pericolose ed estreme operazioni di polizia. Tutto ciò accadeva mentre la polizia francese si vantava di riuscire a mantenere l’ordine senza utilizzare armi letali né causare decessi mentre continua a dispensarformazioni in molti paesi.
Un bilancio impressionante
Il numero di persone mutilate, gravemente ferite o che hanno perso un occhio durante la crisi dei Gilet gialli mostra che l’epoca della serietà e della moderazione (se è mai davvero esistita) è ormai passata. 315 persone sono rimaste ferite alla testa, 24 hanno perso un occhio e 5 una mano: questo è il bilancio delle violenze poliziesche registrate per Mediapart dal giornalista David Dufresne in sei mesi di proteste sociali dei Gilet gialli.
Il governo attuale, autoritario e cinico, non esita neanche a mentire, facendo credere contro ogni evidenza che la polizia non ha alcuna responsabilità nella morte di Steve Maia Caniço a Nantes (il giovane di 24 anni è caduto nel fiume la sera del 21 giugno scorso, giorno della Festa della musica, durante degli scontri con la polizia. Il suo corpo è stato ritrovato il 29 luglio, ndt) o che Geneviève Legay, quando è rimasta gravemente ferita alla testa a Nizza, non aveva avuto alcun contatto con la polizia (la donna di 73 anni è caduta a margine di una manifestazione non autorizzata dei Gilet gialli lo scorso marzo, ndt.), o ancora che dei manifestanti avevano voluto saccheggiare l’ospedale della Pitié-Salpêtrière a Parigi (ancora, durante un corteo dei Gilet gialli, a maggio, un gruppo di manifestanti ha fatto irruzione nell’ospedale parigino. Il ministro dell’Interno ha parlato di un “attacco di casseurs”. Si trattava in realtà di persone che tentavano di ripararsi dai gas lacrimogeni, ndt.).
Tutte fake news. Il governo non mostra mai compassione, né usa mai parole rispettose nei confronti delle vittime di violenze della polizia che, anzi, incoraggia. Riserva i suoi bei discorsi solo alle forze dell’ordine, ai deputati che tremano per conservare il loro posto e a personaggi del mondo della finanza. Peggio ancora, attribuisce onorificenze anche ai poliziotti responsabili di maltrattamenti.
Durante la repressione sistematica delle proteste sociali, rivendicata dal governo macroniano, tanti francesi senza storia hanno potuto testare sulla propria pelle ciò che altri hanno vissuto per anni nelle periferie più povere: la brutalità e l’impunità delle forze dell’ordine.
In un’indifferenza quasi generale, diverse generazioni di giovani figli di immigrati hanno subito discriminazioni, controlli di identità a ripetizione, provocazioni, insulti razzisti, multe abusive e violenze da parte dei poliziotti. Alcuni sono morti mentre venivano arrestati, come Adama Traoré nel 2016 o Ali Zirien nel 2009, senza che nessun agente venisse mai sanzionato.
Un favore ai più violenti
Questi fatti non possono più essere nascosti o tollerati. Anche se non tutti i poliziotti si spingono oltre i limiti e se le condizioni del loro lavoro sono estremamente difficili, il fatto che i vertici non siano abbastanza fermi e che il governo li “copra” sistematicamente ha come conseguenza di favorire ancora di più gli elementi più violenti. Poliziotti e gendarmi sono inoltre, nel complesso, più vicini all’estrema destra rispetto al resto della popolazione.
La strategia di tensione che viene applicata da diversi mesi non è appannaggio esclusivo del governo di Édouard Philippe. Prima di lui, Manuel Valls e Bernard Cazeneuve l’avevano messa in atto durante le manifestazioni contro la riforma del lavoro e persino nel corteo del primo maggio. La strategia è questa: piuttosto che tentare di risolvere la crisi sociale, economica o politica, si tende piuttosto a denigrare le contestazioni, si denunciano i casseurs e si annunciano nuove leggi repressive, il tutto con la benedizione dei grandi media compiacenti e delle tv all news avide di immagini spettacolari.
Nel frattempo altri paesi, come la Germania, riescono a gestire i movimenti di protesta con tatto, evitando gli scontri tra manifestanti e poliziotti e aggirando le tensioni, senza dover ricorrere in modo massiccio a lacrimogeni, granate assordanti e fucilia proiettili di gomma Lbd. Questa caduta vertiginosa verso il basso è stata avviata, a livelli diversi, dai predecessori di Emmanuel Macron.
François Hollande ha lasciato che Valls e Cazeneuve gettassero lacrimogeni sui manifestanti che protestavano contro la riforma del lavoro. La morte di Rémi Fraisse a Sivens rimarrà una macchia indelebile nel suo presunto governo disinistra (lo studente e militante ecologista di Tolosa, 21 anni, è stato colpito da una granata offensiva mentre protestava contro la costruzione di una diga nel 2014, ndt.).
Nicolas Sarkozy ha smantellato la polizia locale e tagliato posti nella polizia e nella gendarmeria, favorendo una “politica del risultato” disastrosa. Jacques Chirac resterà a sua volta il presidente della morte assurda dei giovani Zyed e Bouna a Clichy-sous-Bois, nel 2005, e dei disordini che ne erano scaturiti nelle banlieue disagiate.
Sotto François Mitterrand, nel 1986, durante il periodo del governo di coabitazione, si ricorda la morte di Malik Oussekine, picchiato a morte dai voltigeurs (delle pattuglie della polizia in moto, ndt.), che Macron ha appena rimesso in servizio contro i Gilet gialli. Valéry Giscard d’Estaing deve a sua volta rispondere della morte di Vital Michalon, ucciso da una granata offensiva, nel 1977, a Creys-Malville.
Come ai tempi di De Gaulle
Il picco delle violenze era stato raggiunto durante le rivolte del maggio e giugno 1968, sotto Charles de Gaulle, quando erano morte sette persone. La cosa più rivoltante nel caso delle recenti bavure poliziesche è l’impunità che protegge gli agenti. Bisogna raccogliere un fascicolo di ferro (con video, foto, testimoni, perizie mediche, un buon avvocato e così via) se si vuole sperare di portare un poliziotto violento in tribunale.
I casi di Rémi Fraisse, Zineb Redouane e Steve Maia Caniço mostrano chiaramente la necessità di creare un corpo di inquirenti completamente indipendente dalla polizia e dalla gendarmeria. Oggi invece sono i gendarmi che indagano sui gendarmi e i poliziotti che indagano sui poliziotti.
Come prevedibile, i rapporti della gendarmeria nazionale-Iggn e dell’ispezione generale della polizia Igpn assolvono quasi sistematicamente gli individui violenti presenti nelle forze dell’ordine, dando al governo l’illusione di tutelare le istituzioni, mentre il divario tra la popolazione e la polizia che dovrebbe proteggerla cresce pericolosamente.
D’altro canto, i procuratori nominati dall’esecutivo prendono raramente il rischio di perseguire in giustizia le forze dell’ordine, con le quali collaborano quotidianamente. Per fare carriera nella procura, del resto, è meglio non creare troppi problemi al governo o all’onnipotente presidente. Neanche un solido rapporto dell’Igpn comporterà necessariamente un’azione penale contro un poliziotto, tanto meno una condanna.
Le politiche pubbliche restano focalizzate sulla repressione, con un arsenale di leggi diventate sempre più dure negli ultimi tre decenni. Sul piano della giustizia, la maggior parte delle risorse dello Stato è destinata alle prigioni, che sono sempre più affollate, mentre vi è una grave carenza di magistrati, assistenti giudiziari, consulenti tributari e per la reintegrazione sociale. La prevenzione e il reinserimento sociale sono il fanalino di coda della macchina giustiziaria.
I Gilet gialli hanno potuto sperimentare questo meccanismo implacabile della sanzione: fermi, custodie cautelari, giudizi immediati. Le condanne sono state spesso misurate ma, rispetto alla totale assenza di procedure e sanzioni nei confronti degli agenti di polizia violenti, il contrasto è forte.
Alla fin fine, il governo attuale, che si voleva moderno, è nei fatti uno dei più autoritari della Quinta Repubblica. Anche il difensore delle libertà Jacques Toubon ha difficoltà a farsi ascoltare: per dire quanto la situazione sia diventata preoccupante.
(traduzione Luana De Micco)