“Verità su Steve”. Arresti al corteo anti-violenze della polizia

Tensioni ed arresti a Nantes, a margine della manifestazione contro le violenze poliziesche che si è svolta in occasione dell’omaggio alla memoria del 24enne Steve Maia Caniço, misteriosamente scomparso nella notte tra il 21 e il 22 giugno e il cui corpo è stato ritrovato lunedì nella Loira. Al corteo contro le violenze hanno preso parte secondo la polizia francese circa 1700 persone e non sono mancati momenti di tensione con ricorso ad idranti e lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine quando il corteo ha raggiunto la prefettura. Da questa mattina circa trenta persone sono state arrestate, secondo quanto riportato da Bfmtv. Diversi gli slogan scanditi contro la polizia e contro il ministro dell’Interno Christophe Castaner.

Steve Maia Canico aveva preso parte il 21 giugno scorso agli eventi in programma nel quadro della festa della musica e in particolare ad un party organizzato in riva al fiume a Nantes. In nottata erano scoppiate tensioni tra i partecipanti e la polizia era intervenuta a chiedere di mettere fine alla musica. Gli agenti avevano usato i lacrimogeni e diverse persone avevano riferito di essere rimaste accecate ed erano poi state ripescate nel fiume. Di Steve nessuna traccia fino al ritrovamento del corpo oltre cinque settimane dopo ad un chilometro di distanza.

Il giorno successivo il premier Edouard Philippe aveva comunicato le conclusioni del rapporto dell’Igpn (Inspection générale de la police nationale) sull’accaduto che scagionava le forze dell’ordine ed escludeva un legame tra il loro intervento e la scomparsa del ragazzo. Il rapporto però aveva provocato numerose polemiche.

Olga, Greta, Bonnie e le altre: le ragazze contro il “sistema”

Mentre i germi della “democrazia illiberale”, di cui il presidente russo Vladimir Putin è il portabandiera, continuano a proliferare anche in Occidente, alcune ragazze sembrano le uniche davvero coscienti delle conseguenze a breve e a lungo termine di questa epidemia. Assieme a tante altre adolescenti che usano i social network in modo intelligente ed evitano la propaganda televisiva, Olga, Greta, Emma, Ahed e Bonnie non temono di schierarsi contro i poteri forti, le lobby transnazionali e gli autocrati. Se di Greta Thunberg, attivista contro le emissioni di gas serra, si è detto tutto e il contrario di tutto – soprattutto per screditarla – vale la pena segnalare che la giovanissima ragazza svedese non è sola. A partire da Olga Misik, arrestata ieri per aver letto alcuni articoli della Costituzione russa davanti a un plotone di Omon (gli agenti anti-sommossa) durante le manifestazioni del sabato contro l’esclusione dei candidati dell’opposizione alle imminenti elezioni municipali di Mosca. “Ho letto l’articolo 31 della Costituzione, che prevede la libertà di assemblea, il 29 sulla libertà di parola, e l’articolo 3, che descrive il popolo come la principale fonte del potere: volevo spiegare agli agenti che la gente si era radunata pacificamente e quindi legalmente”, ha spiegato Olga, 17 anni, alle telecamere internazionali. Studentessa all’ultimo anno di liceo, Olga vive in una città a 100 chilometri dalla capitale russa e proviene da una famiglia che finora ha sostenuto Putin, come lei stessa ha fatto notare. Secondo Olga “la Costituzione non deve sembrare una raccolta di barzellette e il programma del governo non deve essere basato sui romanzi di George Orwell”. Ignorata dalla stampa locale per non contrariare lo Zar Vlad, Olga ha raccontato ai media internazionali di far parte del movimento “Bessrochka’ che non ha leader né una struttura centrale. Siamo piuttosto diffusi sul territorio, comunichiamo su Telegram, partecipiamo a manifestazioni, distribuiamo giornali, volantini e adesivi”.

Prima di Olga e Greta, l’anno scorso si era contraddistinta per carisma e determinazione Emma Gonzales, 17 anni, sopravvissuta il 14 febbraio del 2018 all’attacco con armi d’assalto al liceo Douglas di Parkland, in Florida, che questa adolescente con la testa rasata, già attivista per i diritti di gay e lesbiche, frequentava. A distanza di un mese dal massacro, grazie alla sua iniziativa, più di un milione di persone si sono riversate nelle strade di tutti gli Usa e di molte città europee per la March For Our Lives (“Marcia per le nostre vite”) indetta per chiedere regole più severe sul possesso di armi. Le sue parole incrinate dal pianto e, soprattutto, il silenzio durato 6 minuti e 20 secondi – il tempo impiegato da Nikolas Cruz per uccidere i 17 compagni di scuola – chiesto da Emma alla folla mentre si trovava sul grande palco allestito a Washington hanno aperto gli occhi a molti suoi coetanei che hanno aderito al movimento Never Again (“Mai Più”) fondato da questa ragazza figlia di esuli cubani. Anche la giovanissima nipote di Martin Luther King è salita sul palco al fianco di Emma per condannare la Nra, la potentissima lobby delle armi americane e il presidente Trump che continua a difenderla per non alienarsi il voto degli industriali della guerra. “Se l’assassino avesse avuto un coltello anziché un mitragliatore semi automatico, sarebbero morti meno compagni. Qualora il presidente venisse a dirmi in faccia che è stata una tragedia terribile, gli chiederò quanti soldi ha ricevuto dalla National Rifle Association. Ma non importa perché lo so già. Trenta milioni di dollari”, ha denunciato la giovane attivista, riferendosi alle donazioni ottenute da Trump per la campagna presidenziale.

Contro il governo israeliano promotore dell’apartheid di Bibi Netanyahu, amico personale del genero di Trump che sostiene e finanzia apertamente le colonie illegali nei Territori Occupati, si batte un’altra giovane, la palestinese Ahed Tamimi. Diventata nota l’anno scorso quando venne incarcerata ancora minorenne solo per aver dato uno schiaffo a un soldato israeliano che l’aveva minacciata in seguito al rifiuto di farlo entrare in casa propria, Ahed ha promesso che continuerà a battersi contro l’occupazione israeliana.

Dall’altra parte del mondo, a Hong Kong , c’è un’altra ragazza che sfida addirittura la super potenza di questo Millennio: la Cina. Si tratta di Bonnie Leung, la portavoce degli studenti che da un anno manifestano nell’ex colonia britannica contro le interferenze e violazioni dei diritti civili da parte del regime “comunista” guidato dal presidente a vita Xi Jinping. Bonnie ha detto che “nessuno dovrebbe osare biasimare i manifestanti senza avere prima condannato la tirannia”.

Groenlandia il ghiacciaio si scioglie

L’ondata di caldo eccezionale che ha investito il Nord Europa non ha risparmiato nemmeno la Groenlandia, accelerando lo scioglimento del ghiaccio nella più grande isola del mondo, in piena zona artica: ben dieci miliardi di tonnellate si sono disperse nell’oceano solamente in un giorno. L’allarme è stato lanciato dall’Istituto Meteorologico della Danimarca (di cui la Groenlandia è territorio semi-autonomo). Il picco dello scioglimento dei ghiacciai si è verificato mercoledì, e in tutto luglio si parla di 197 miliardi di tonnellate: un miliardo di tonnellate, per avere un termine di paragone, corrisponde al contenuto d’acqua di 400mila piscine olimpioniche.

“E il fenomeno putroppo è destinato a proseguire” affermano gli scienziati l’Istituto Meteorologico della Danimarca.

Chicago, allerta al festival: “Qui nessuno è al sicuro”

È la città del vento. Ma è anche la città degli “intoccabili”, Al Capone e la sua ghenga. E d’una delle scuole di economia più liberiste. E dei laboratori sociali che hanno formato e fatto emergere, negli Anni Novanta, la personalità di Barack Obama. Chicago, che è stata, in passato, la città più violenta dell’Unione, torna capitale della cronaca e delle apprensioni di tutta l’America: il festival musicale Lollapalooza si svolge dopo l’uccisione di due attiviste contro la violenza da armi da fuoco, Chantell Grant, 26 anni, e Andrea Stoudemire, 35 anni, colpite da spari di cui pare non fossero l’obiettivo, esplosi da un’auto in corsa, un Suv blu. Il clima del festival, già caldissimo per un’estate rovente, con la presenza di oltre 100 mila spettatori al giorno – due anni fa, ci andarono pure le figlie degli Obama, Sasha e Majla -, s’è surriscaldato. E le misure di sicurezza, già eccezionali, sono state ulteriormente rafforzate dopo quanto avvenuto lo scorso week-end in California, al Garlic Festival, dove una sparatoria ha fatto tre vittime. Lo sforzo dell’Amministrazione è di evitare quanto avvenuto nel 2018: allora, nel primo fine settimana di agosto, 12 persone furono uccise da colpi di arma da fuoco e 52 ferite. In tutto lo scorso anno, ci sono stati 565 omicidi, quasi tutti commessi con pistole o altre armi da fuoco. Nell’ultima settimana, otto persone sono state ammazzate in tal modo, oltre 40 ferite.

La terza metropoli degli Usa resta tra le più violente del Paese, assieme a Detroit e Baltimora. E il suo passato continua ad accompagnarla: il corpo di John Dillinger, uno dei gangster più famosi dell’America degli Anni 30, sarà riesumato a metà settembre, oltre 85 anni dopo la sua uccisione da parte dell’Fbi: c’è il sospetto che gli agenti federali abbiano ucciso l’uomo sbagliato. La riesumazione non sarà facile: il padre del bandito fece ricoprire la bara con quattro lastre di cemento e rottami di ferro, nel timore che il corpo fosse profanato o trafugato. Dillinger era in cima alla lista dei ricercati: un “nemico pubblico N. 1”, accusato di avere ucciso, con la sua banda, una decina di persone durante le rapine in banca. Erano gli anni della Grande Depressione e le sue azioni lo resero una figura popolare perché bruciava i registri contabili con debiti e ipoteche. Riuscì anche ad evadere di prigione, a farsi una plastica e a cancellarsi le impronte digitali con l’acido.

Gli assassini della Chicago di oggi però non hanno nulla di romantico: sono membri di gang, non banditi con l’aura di Robin Hood. Chantell Grant e Andrea Stoudemire, quando sono staste ammazzate, erano a un angolo che la loro associazione “Mothers Against Senseless Killings” presidia dal 2015, nell’intento di porre un termine alle continue sparatorie: crivellate di proiettili a un angolo di strada dove spesso distribuivano cibo e portavano i bimbi a giocare per rendere più vivibile e sicura la città, sfidando la guerra delle gang. Il loro gruppo è nato cinque anni fa dopo l’uccisione di un’altra giovane madre nello stesso luogo.

“La realtà è che qui nessuno è al sicuro. Nessuno è intoccabile”, dice Michael Pfleger, prete e attivista nella Chicago più violenta. “Fino a qualche tempo fa chiese, sinagoghe e moschee venivano risparmiate, così come le case e le famiglie, le madri e i bambini”: ora, non è più così. La sindaca Lori Lightfoot, recentemente eletta – è la prima donna afro-americana e apertamente lesbica a ricoprire l’incarico -, ha definito l’omicidio delle due attiviste “terrificante” e promette d’avviare “un piano anti-violenza robusto”. Il suo predecessore, l’obamiano Rehm Emanuel, un ex capo dello staff alla Casa Bianca, non è riuscito, nei suoi due mandati, a imprimere una svolta anti-violenza. Mentre altre metropoli Usa segnate da violenze, specie nei quartieri a maggioranza nera, come New York e Washington, sono riuscite negli ultimi anni a migliorare la loro reputazione.

Alex Kotlowitz, giornalista specializzato, dice che la causa è in gran parte l’esclusione sociale: “Queste città hanno in comune di essere profondamente segregate”. Ma c’è anche di mezzo una certa inefficienza delle forze dell’ordine: il tasso di omicidi risolti dalla polizia è del 15,4% nella prima metà del 2018.

Nel caso della Grant e della Stoudemire, la polizia ritiene che il bersaglio degli spari fosse un uomo di 58 anni affiliato ad una banda di strada e uscito recentemente di galera: colpito ad un braccio, sta collaborando alle indagini per ora inconcludenti. “Siamo in strada sette giorni su sette e continueremo a tentare di creare un luogo sicuro dove le persone possano imparare a diventare buoni vicini e non a uccidersi tra di loro”, ha promesso Tamar Manasseh, fondatrice del gruppo.

Strage al supermarket: 20 morti

Un’ora di terrore, un killer che entra nel centro commerciale con in braccio un fucile, un supermercato preso in ostaggio, almeno 20 morti e svariati feriti: è il bilancio dell’ennesima strage negli Stati Uniti, ieri, in Texas, con la conta destinata purtroppo ad aumentare. A soli pochi giorni dalla sparatoria in California, durante il Gilroy Garlic Festival, dove erano morte tre persone: due bambini, uno di sei anni e una di 13 anni, e un ragazzo ventenne.

Il teatro della tragedia questa volta è un affollato centro commerciale della catena Walmart di El Paso. Il killer ha agito da solo, come ha confermato la polizia dopo oltre un’ora in cui si sono susseguite le notizie più disperate e anche il sindaco aveva parlato di tre arresti: una foto circolata sui media Usa lo ritrae mentre imbraccia un fucile all’ingresso del centro commerciale Cielo Vista. Alla tarda serata italiana era ancora sconosciuto il movente dell’attacco, così come l’identità del sospetto fermato. L’unica cosa certa è che quell’ora per tutti i malcapitati clienti che si trovavano nei negozi è durata un’eternità. Era sabato pomeriggio, il centro commerciale era particolarmente affollato. Dopo i primi colpi, è stato il panico: le prime immagini scattate dai presenti mostrano urla, gente in fuga, disperazione. L’area però era così grande che nessuno sapeva esattamente in che direzione scappare. Alcuni locali hanno fatto scattare immediatamente il lockdown, isolandosi dal resto dello shopping center, la polizia è arrivata in forze, insieme all’Fbi e alle ambulanze, ed è scattata la caccia all’uomo: prima della cattura è passato diverso tempo, ancora di più per riportare la calma e contare le vittime.

La strage rischia di diventare anche una questione politica: El Paso è la città d’origine del candidato democratico alla presidenza Beto O’Rourke, tra i più convinti sostenitori della campagna contro le armi da fuoco. “Davvero straziante. Stai al sicuro El Paso”, il suo tweet sui social. Nel frattempo Donald Trump veniva aggiornato e telefonava al ministro della giustizia William Barr e allo stesso Abbot. Le polemiche non mancheranno, intanto l’America conta i morti. Un’altra volta.

Brugiatelli adesso rischia l’accusa di favoreggiamento

È ancora al vaglio degli inquirenti la posizione di Sergio Brugiatelli, al quale nella notte tra il 25 e il 26 luglio scorso i due diciannovenni americani Christian Gabriel Natale Hjort e Finnegan Lee Elder, accusati dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, rubarono lo zaino. L’uomo, che aveva fatto da tramite con alcuni pusher, potrebbe rischiare l’accusa di favoreggiamento per l’indicazione, poi ritrattata, che a derubarlo erano stati dei magrebini. Successivamente anche tramite il suo legale ha spiegato di non ricordare di avere parlato di magrebini. Intanto dalle indagini della Procura di Roma che sta ricostruendo nel dettaglio cosa accaduto quella notte emerge che Finnegan Lee Elder nascose il coltello nella tasca della felpa. E da lì lo estrasse per colpire per 11 volte il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega la notte del 26 luglio. Per il suo amico Christian Gabriel Natale Hjorth, pure lui in carcere, l’udienza davanti al tribunale del Riesame potrebbe slittare a settembre: il diciannovenne per ottenere la fissazione dell’udienza nel mese di agosto dovrebbe rinunciare alla sospensione dei termini feriali.

Bibbiano, resta ai domiciliari il sindaco del Pd

Il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, tra i 29 indagati nell’inchiesta “Angeli e demoni” sui presunti affidi abusivi di dieci minori in provincia di Reggio Emilia, resta ai domiciliari. Lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari, Luca Ramponi, confermando la misura disposta il 27 giugno per lui e per altre cinque persone. Il primo cittadino era stato sospeso dall’incarico pubblico dal Prefetto e si era autosospeso dal Partito democratico. Sperava in una revoca dei domiciliari per riprendere a fare il sindaco.

L’ordinanza racconta di minori sottratti alle famiglie, attraverso testimonianze false e a volte collocati in famiglie affidatarie “amiche”. I reati contestati a Carletti, in qualità di sindaco e delegato alle Politiche sociali dell’Unione Comuni Val d’Enza, sono abuso d’ufficio tentato e consumato e falso ideologico in concorso, a vario titolo, con la dirigente del servizio sociale Federica Anghinolfi, l’assistente sociale Francesco Monopoli, gli psicoterapeuti della onlus torinese Hansel e Gretel Nadia Bolognini e Sarah Testa e il direttore scientifico Claudio Foti, che lavoravano nella struttura pubblica “La Cura” di Bibbiano, e il direttore generale dell’Asl di Reggio Emilia, Fausto Nicolini. Secondo l’accusa avrebbe affidato il servizio di psicoterapia al centro studi Hansel e Gretel senza la gara prevista per gli impegni di spesa superiori ai 40 mila euro.

Andrea Carletti, secondo i pm e il giudice, “disponeva lo stabile insediamento dei tre terapeuti privati della onlus di Torino nei locali della struttura pubblica, della cui istituzione si era personalmente occupato e assunto la paternità in diverse occasioni pubbliche”. Per giunta, le sedute degli psicoterapeuti della onlus sarebbero state pagate 135 euro l’ora, a fronte dei 60/70 euro previsti, nonostante la Asl potesse farsene carico. “Al fine di garantire il passaggio dei minori dall’Azienda sanitaria alla psicoterapia privata della Hansel e Gretel”, il pagamento della psicoterapia sarebbe avvenuto attraverso “l’interposizione dei genitori affidatari”, così da far risultare all’esterno “che il rapporto contrattuale intercorresse tra soggetti privati”. Contestualmente i servizi sociali avrebbero restituito i soldi agli affidatari, inserendoli nel capitolo di spesa “trasferimenti per contributi affidi”.

I giudici contestano a Carletti anche la partecipazione all’incontro del 10 dicembre scorso, da cui sarebbero derivati due documenti. Nel primo si stabiliva un preventivo di spesa per la psicoterapia di 8 minori: per il 2019 venivano fissati 57.200 euro e per l’anno successivo 23.070 euro. Nel secondo, con la finalità di spacchettare gli importi per evitare una procedura a evidenza pubblica, gli importi venivano ascritti a un periodo di 6 mesi per un valore di 28.600 euro.

Tramite il suo legale, Giovanni Tarquini, Carletti fa sapere che farà immediato ricorso al Tribunale del Riesame. “Sono stati del tutto ignorati gli elementi oggettivi illustrati e documentati nella memoria difensiva”, scrive in una nota dopo la conferma delle misure cautelari, spiegando di essersi attenuto alle leggi regionali.

Intanto il caso Bibbiano continua a tener banco nel confronto politico in vista delle Regionali dell’Emilia-Romagna. La polemica è montata anche per la scelta di far presiedere la commissione d’inchiesta da Giuseppe Boschini del Pd insieme alla grillina Raffaella Sensoli e a Igor Taruffi di Sinistra italiana. Resta fuori il centrodestra.

“La Abbagnato fa gestacci e ci insulta”. Ballerini in rivolta

La sua è una storia di successo, frutto di talento, disciplina, determinazione, energia: Eleonora Abbagnato, prima ballerina italiana nominata étoile dell’Opéra di Parigi, direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Il suo nome evoca arte, leggerezza, eleganza. Acclamata sulle scene di tutto il mondo, dal Giappone al Canada, dalla Russia agli Stati Uniti; interprete delle coreografie dei più grandi maestri: Roland Petit, Pina Bausch, William Forsythe, John Neumeier, Jiri Kylian, Jerome Robbins, Maurice Béjart, Yuri Grigorovitch, José Montalvo, solo alcuni dei nomi che compaiono nel suo curriculum.

Ecco, ora chi potrebbe mai immaginarla sul palcoscenico delle Terme di Caracalla, sede estiva del Teatro Costanzi, mentre si esibisce nel gesto dell’ombrello rivolto ai suoi ballerini? Un rapporto complicato, secondo le voci che si rincorrono dietro le quinte, quello tra la direttrice e il suo corpo di ballo, con scontri non inusuali, l’ultimo messo agli atti in una lettera siglata dai sindacati dell’Opera, indirizzata all’etoile, al sovrintendente della Fondazione Teatro dell’Opera, Carlo Fuortes, e al direttore del personale, Alessandra Bazoli. La scena è datata 25 luglio, prove del Romeo e Giulietta, stasera alla sua ultima rappresentazione. Ad accendere la scintilla di quello che, secondo fonti sindacali, sarebbe solo un episodio tra i tanti, la richiesta di un tersicoreo di provare ancora una volta la sua parte, richiesta che sarebbe stata serenamente accolta dal coreografo Giuliano Peparini, ma che avrebbe scatenato le ire della direttrice. L’Abbagnato “si è rivolta alla compagnia con epiteti ingiuriosi, gravemente lesivi della dignità personale e professionale dei ballerini e in palese violazione dell’art. 6 del vigente Codice Etico”, si legge nella lettera-denuncia firmata dalle rsu del teatro (Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil, Fials). “Epiteti” cui sarebbero seguite “minacce circa la stessa attività lavorativa di alcuni componenti del corpo di ballo: “Col c… che vi rinnovo il contratto!” (il 60 per cento dei contratti sono a tempo determinato). Precedentemente – continua la lettera – “la signora si era rivolta all’intera compagnia con un esplicito ‘andate tutti a fare in c…’, mimando l’offensivo cosiddetto gesto dell’ombrello”. Tutto messo nero su bianco nella lettera della Rsu. L’ira dell’Abbagnato non avrebbe risparmiato nemmeno la Fondazione (“pubblicamente definita dalla sig.ra Abbagnato, in quella stessa occasione ‘teatro di merda’”, recita ancora la missiva). “Speriamo che la direzione del teatro prenda provvedimenti, applichi le procedure previste dal regolamento disciplinare, che prevede la sospensione dal lavoro, tanto più in ragione delle diverse e pretestuose contestazioni disciplinari ai lavoratori messe in atto dall’attuale gestione – dice Fulvio Martis dello Slc Cgil –. Di questa situazione pare, intanto, siano stati informati anche il Mibac e il Campidoglio, i principali azionisti della Fondazione Teatro dell’Opera”.

Nell’assemblea convocata su richiesta degli artisti, alla presenza anche della Bazoli e della responsabile dell’ufficio produzione, Silvia Cassini, la direttrice si sarebbe inizialmente scusata, adducendo lo stress come giustificazione, “salvo poi tornare ad addossare la responsabilità dell’accaduto a presunte mancanze del corpo di ballo”. Eleonora Abbagnato, che ci risponde al telefono mentre sta lavorando alla sua prossima prova artistica (“Sono impegnata nelle prove con il maestro Baryshnikov”), preferisce non commentare l’accaduto. Mentre la Fondazione – che, con l’accordo del sindaco di Roma, Virginia Raggi, le ha da poco rinnovato l’incarico confermandola alla direzione del corpo di ballo fino al 2021 – si èlimita a una dichiarazione secca: “É in corso un’indagine per verificare il contenuto di quella lettera”. Sipario.

Pene fino a 10 anni per il panico in piazza la sera di Juve-Real

3 Giugno 2017 piazza San Carlo a Torino 1.672 feriti e, in seguito, morirono due donne a causa delle lesioni travolte dalla calca. Anche in quella occasione era stato spruzzato spray urticante tra la folla presente per la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid proiettata sul maxischermo.

Per quella vicenda ci sono state quattro condanne a poco più di dieci anni di carcere per omicidio preterintenzionale, lesioni, furto e rapina sono state inflitte ai giovani accusati di avere scatenato il panico. Nei confronti dei quattro imputati della banda dello spray i pubblici ministeri avevano chiesto pene di poco superiori ai quattordici anni. Da Torino a Corinaldo e più recentemente anche a Pavia dove, sempre in una discoteca, è stata diffusa una sostanza irritante che ha provocato il panico tra i ragazzi che si sono precipitati fuori dalla struttura. Due della banda di Corinaldo avevano in precedenza avevano colpito anche a Verona e Padova. La tecnica è sempre la stessa. Bombolette nate come oggetto per difendersi da eventuali aggressioni ma diventate un’arma nelle mani di delinquenti – molto spesso giovani – che nel caos derubano indisturbati chiunque si trovi nei paraggi.

Strage in discoteca, 7 arresti. “Sei morti per un giochino”

“Se non ci fossero stati di mezzo quei morti avrei alleggerito la collana pure a Sfera Ebbasta”. In un’intercettazione registrata dagli inquirenti, uno dei sette arrestati nella notte tra venerdì e sabato a Modena racconta un episodio simbolo legato alla strage nella discoteca “Lanterna Azzurra” di Corinaldo (Ancona), avvenuta tra il 7 e l’8 dicembre scorsi in cui hanno perso la vita una donna di 39 anni e cinque adolescenti.

Quella notte, il gruppo dei sette giovani stava rientrando in Emilia quando, in una stazione di servizio, ha casualmente incontrato il noto trapper, atteso nella discoteca dell’Anconetano quella sera di dicembre per un concerto. Evento cancellato quando Sfera Ebbasta, uscito poco prima dalla nota discoteca riminese “L’Altromondo Studios”, era stato avvisato del caos scoppiato dentro e fuori la Lanterna Azzurra.

Una tragedia che, da quanto emerge dall’inchiesta, non fermò l’azione della banda. La morte della mamma 39enne Eleonora Girolimini e dei giovanissimi Asia Nasoni, Emma Fabini, Daniele Pongetti, Benedetta Vitali e Mattia Orlandi, tutti tra i 14 e i 16 anni, generò un livello più alto di attenz one, ma uno di loro solo tre mesi dopo “non ha avuto alcuno scrupolo – scrive il gip Carlo Cimini – a procurarsi nuovamente lo spray al peperoncino e usarlo per agevolare le condotte criminose”. Ignaro di essere ascoltato tranquillizza un membro del gruppo: “Ormai va di nuovo di moda il gas… Già l’hanno dimenticato”. “Eh… era quel periodo lì ,. queste le usavamo sempre. Era il periodo che… Gaaasss… (…) andavamo avanti a sgasare. Io le facevo… per riuscire anche a non pagare fra’ (…) Mamma mia fra’ ci aveva preso la mano!”, diceva un altro.

Ma quella notte è una macchia indelebile: “Sono morti in sei per questo giochino e noi lo sappiamo bene” si legge nelle intercettazioni. Un gruppo, uno dei tanti attivi nel centro-nord, specializzato nelle rapine con strappo e furti di monili e oggetti di valore all’interno delle discoteche e dei locali di mezza Italia e non solo: blitz e colpi in nove regioni e trasferte addirittura in Repubblica ceca e al parco giochi Disneyland di Parigi, dove sono stati fermati e rilasciati poche settimane fa. Queste ed altre intercettazioni compaiono nelle 176 pagine dell’ordinanza che ha portato in carcere sette soggetti, tutti tra i 19 e i 22 anni ad eccezione del 65enne Andrea Balugani, titolare di un compro-oro di Castelfranco Emilia e individuato come il presunto ricettatore. I sette sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti con strappo e rapine mentre i sei più giovani – Raffaele Mormone di 19 anni, Andrea Cavallari di 20, Badr Amouiyah di 19, Ugo Di Puorto anch’egli di 19 anni e figlio di Sigismondo arrestato perché vicino al clan dei Casalesi, Akari Moez di 22 anni originario di Tunisi, Haddada Souahib 21enne nato in Marocco – devono rispondere anche di omicidio preterintenzionale e lesioni personali.

L’indagine, coordinata dalla Procura di Ancona, è stata condotta dal Nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Ancona. Resta intanto in piedi il filone dell’inchiesta legata alle condizioni di sicurezza del locale: la stessa procuratrice di Ancona, Stefania Garulli, ha ammesso che quella notte nel locale c’erano almeno 1200 persone, ben oltre la soglia consentita di 871 unità, e che diverse irregolarità del locale sono già state accertate tra biglietti staccati, capienza consentita, regolarità delle uscite di sicurezza e degli impianti e così via. In questo filone d’indagine la Procura ha indagato 18 persone: i tre gestori del locale, i quattro proprietari dell’immobile, un addetto alla sicurezza, un dj, il sindaco di Corinaldo, i cinque membri della commissione di vigilanza provinciale e due tecnici che hanno assistito i gestori.

La sera della strage, i sette presunti membri della banda sono arrivati alla discoteca “Lanterna Azzurra” di Corinaldo poco prima della mezzanotte su due auto. Un locale noto: il 31 ottobre scorso, quaranta giorni prima della strage, alcuni di loro avevano effettuato un sopralluogo, mentre due settimane prima avevano messo a segno una serie di colpi in un club di Fabriano, sempre in provincia di Ancona. Alle 0,45 dell’8 dicembre la banda è entrata in azione, ognuno con il suo ruolo prestabilito. Uno di loro ha utilizzato lo spray al peperoncino verso uno dei bocchettoni da cui usciva il fumo per l’effetto nebbia. In pochi secondi si è generato il panico: “La gente tossiva, inciampava, cadeva a terra, ne ho saltati tre alla volta” ricorda di quella notte uno dei giovani durante un’intercettazione ambientale.

Ma dalle carte emerge anche un altro episodio macabro: uno degli indagati quella notte ha strappato via il bracciale dal polso di uno dei ragazzi che stava soccorrendo altri coetanei caduti nella calca del fuggi fuggi verso l’uscita posteriore del locale. In dieci minuti la banda ha messo a segno cinque colpi, poi, pochi minuti dopo l’1 di notte, tutti i membri del sodalizio si sono ritrovati all’esterno e hanno lasciato la discoteca.

Nessun rimorso secondo gli inquirenti, solo più attenzione. Il gruppo dei preziosi strappati alle vittime ha continuato a scorrazzare nelle discoteche, senza usare gli spray al peperoncino, ma solo per qualche tempo. In conferenza stampa gli investigatori hanno spiegato che la banda riusciva a racimolare circa 15mila euro al mese, soldi che venivano investiti in abiti firmati, apparati tecnologici e anche in sostanze stupefacenti, cocaina in particolare.

 

 

L’intervista Giuseppe Orlandi

“Mio figlio non tornerà più. Quel locale non era sicuro”

 

Giuseppe Orlandi è il padre di Mattia, 15 anni di Frontone (Pesaro-Urbino), una delle sei vittime della strage della discoteca di Corinaldo Lanterna Azzurra nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018

Ha saputo dell’inchiesta e dei sette arresti?

Certo. Il nostro stato d’animo non cambia. Colgo l’occasione per ringraziare gli inquirenti, per la professionalità dimostrata e per esserci sempre stati vicini. Ci aspettiamo una giustizia esemplare, ma la storia non finisce qui.

Cosa intende dire?

La strage poteva e doveva essere evitata se i criteri di sicurezza fossero stati rispettati, se al posto di quelle scale ci fosse stato uno scivolo e tanti altri aspetti. Le sembra normale che prima di diventare discoteca fosse un deposito agricolo?

Quindi la discoteca doveva essere chiusa?

Non spetta a me dirlo, mi baso soltanto sui fatti. Spero che l’inchiesta vada avanti e che si arrivi a risultati completi. Sia chiaro, l’inchiesta è importante ma non basta. A me e a mia moglie è stata tolta la luce della vita, perdere un figlio è terribile e in quel modo è allucinante. La ferita non si rimarginerà tanto facilmente. Il sacrificio di Mattia e degli altri angeli, oltre alla giovane mamma morta quella notte, devono servire affinché tragedie di questo genere non capitino più. Non cerchiamo vendette.

Lei parlava di “giustizia esemplare”, cosa intende precisamente?

Una giustizia che faccia il suo corso fino in fondo. Vede, l’accertamento della verità ha un’importanza che va oltre la chiusura di un’inchiesta, perché serve a dimostrare che il Paese ha ancora una tenuta sociale forte, un argine contro la deriva generale.

Cosa ha pensato quando ha saputo che i presunti responsabili di quella tragedia sono giovani poco più grandi di suo figlio?

Profonda amarezza per loro e per le famiglie, per quello che hanno fatto e tutto il resto. Bisogna impegnarsi tutti per dare ai giovani una direzione diversa, imporre modelli alternativi, valori umani che altrimenti rischiano di essere persi. I giovani non possono pensare di ottenere facili guadagni in quel modo, lo devono fare con il lavoro e i sacrifici.