L’Arma dei carabinieri vuole fugare ogni sospetto sollevato intorno al caso dell’omicidio di Mario Cerciello Rega, il vicebrigadiere ucciso a Roma la notte del 25 luglio dall’americano Finnegan Lee Elder. E prova a chiarire tutto durante una conferenza stampa indetta ieri alla presenza di oltre duecento giornalisti, di cui una ventina statunitensi. La faccia dell’Arma è Francesco Gargaro, comandante provinciale dei carabinieri di Roma. Il generale, esprimendo “disappunto e dispiacere per ombre e misteri sollevati sulla vicenda”, ha ricostruito quanto accaduto, rivelando nuovi dettagli. Ma alcune domande restano.
“Neanche il collega poteva intervenire”
Si scopre per esempio solo adesso che Cerciello la sera del 25 luglio non aveva con sé la pistola. L’arma di servizio è stata infatti trovata nel suo armadietto. “Nessuno sa il perché non l’ha portata con sé – ha detto ieri Gargaro –. Aveva solo le manette. Tuttavia non avrebbe comunque avuto la possibilità di reagire”. Infatti nessuno si aspettava che Finnegan Elder gli avrebbe sferrato undici colpi, con un coltello acquistato negli Usa. Tanto meno il collega Andrea Varriale, presente con lui durante l’operazione finita in tragedia, è riuscito ad intervenire: “Non c’è stato tempo di reagire”. Varriale che invece la pistola di ordinanza l’aveva, “non poteva comunque sparare ad un soggetto in fuga altrimenti sarebbe stato indagato per un reato grave”, aggiunge Gargaro.
La morte di Cerciello è il terribile epilogo di una notte che inizia con il vicebrigadiere che prima di prendere servizio va in caserma e porta il gelato ai colleghi. Quella sera lui e Varriale, in borghese, intorno all’una raggiungono quattro colleghi, liberi dal servizio, che stavano assistendo alle fasi in cui alcuni ragazzi cercavano di acquistare la droga. Viene così avvicinata una persona mentre raccoglieva da terra qualcosa, a suo dire Bentelan, che poi sfugge. Si è scoperto dopo che si trattava proprio di Gabriel Christian Natale, uno dei due americani arrestato, che ha anche alcuni parenti a Fiumicino.
È in questa circostanza che viene identificato Sergio Brugiatelli, l’uomo che ha riferito di esser stato derubato del proprio borsello con dentro il cellulare e i documenti. I militari gli consigliano di sporgere denuncia e vanno via. Passa un’ora e – come invece ricostruito dal gip nell’ordinanza di arresto degli americani – alle 2.10 Cerciello viene contatto sul proprio cellulare dalla Centrale Operativa del Comando Gruppo Roma, che gli comunica come Brugiatelli dopo il furto avesse subito anche un tentativo di estorsione. A sua detta gli americani gli avevano proposto una scambio: il borsello in cambio di cento euro e una dose di cocaina. L’uomo così fissa un appuntamento con i due 19enni in via Cesi (dove non ci sono telecamere), al quale però si presentano Varriale e Cerciello. E da lì la colluttazione e poco dopo la terribile morte del vicebrigadiere.
Hotel troppo vicino per bloccarli subito
L’intervento di Cerciello e Varriale, per il generale Gargaro, è stato corretto, “analogo e ricorrente nella città di Roma”. A seguire l’operazione quella sera c’erano pure quattro pattuglie, ognuna con due militari a bordo. E qui un altro dubbio: le auto erano posizionate vicino a via Cesi, in modo tale da evitare di esser viste dagli americani. Ma dopo l’aggressione, i due giovani sono riusciti a scappare, raggiungendo l’hotel che si trovava a pochissima distanza, meno di un minuto a piedi. Un tempo troppo breve per l’intervento delle pattuglie.
La falsa pista dei maghrebini
Ieri è stato chiarito anche il retroscena della fake news in cui venivano additati due nordafricani come i responsabili dell’aggressione. “L’indicazione sui due maghrebini è stata data da Brugiatelli. Lo ha detto perché aveva il timore di dire che conosceva gli autori dell’omicidio. Non voleva essere associato al fatto”, ha spiegato Gargaro.
Il telefono di Brugiatelli sequestrato quella sera
Intanto continuano le indagini della Procura di Roma. “Ci sono ancora diversi aspetti su cui dobbiamo lavorare e fare degli approfondimenti. Ma dire a distanza di tre giorni che non ci siano ancora aspetti oscuri sarebbe quantomeno precipitoso”, ha detto il procuratore reggente Michele Prestipino.
Intanto i pm attendono i risultati dell’autopsia e l’analisi dei tabulati dei cellulari dei due americani e di Brugiatelli. Dalle chat e dei contatti di quest’ultimo si potrà chiarire il suo ruolo. Ma dall’Arma assicurano: mai stato un loro informatore.