Grazia Francescato allarga le braccia: “è la domanda che mi hanno fatto più volte”. Eppure nessuno ha ancora capito la risposta, o comunque tutti se la dimenticano ogni volta che ci sono le elezioni, si contano i voti e la mente torna lì: “Ma perché i Verdi in Europa volano e in Italia non si schiodano dal 2 per cento?”. La questione fotografa dati di fatto: gli ambientalisti italiani sono fuori dal Parlamento da 11 anni e non prendono seggi a Bruxelles dal 2009, tre legislature.
Lo scorso 26 maggio la lista si è fermata al 2,3 per cento, mentre in Germania i Verdi finivano sopra il 20 e in Francia vicini al 13. L’anno prima, alle politiche, molto peggio: 0,6 per cento all’interno della coalizione del centrosinistra. Quella domanda, allora. A furia di sentirsela fare, Grazia Francescato – che dei Verdi è stata presidente tra il 1999 e il 2001, poi deputata e portavoce – una risposta se l’è data: “Non si può far finta che in Italia ci sia lo stesso contesto culturale e politico che c’è in Germania. Oltretutto non è vero che solo l’Italia è un’anomalia, perché i Verdi sono molto forti nel centro e Nord Europa ma sono deboli a Sud e a Est, non solo da noi”. Colpa anche di ragioni storiche, come ricorda Alfonso Pecoraro Scanio, che dei Verdi è stato fondatore ma che dal 2013 ha scelto di sostenere il Movimento 5 Stelle: “In Germania non esisteva il Partito Comunista e i Verdi hanno occupato gran parte di quell’area politica. Qua avevamo il Pci, il Psi e tutte le sigle minori. Per struttura e contesto il partito dei Verdi tedeschi andrebbe paragonato al Pci più che ai Verdi italiani, che nascono come una federazione di esperienze sui territori”.
Anche Angelo Bonelli, oggi coordinatore nazionale, la vede così: “L’autocritica ci deve essere, ma non dimentichiamoci che l’Italia è il Paese che ha legalizzato l’illegalità. Se vai da un parlamentare tedesco a spiegargli cos’è un condono edilizio ti prende per pazzo. C’è un enorme deficit di etica pubblica: in Italia il tema della legalità spesso diventa elemento ostativo per crescere nei consensi”.
Eppure proprio negli anni in cui i Verdi uscivano dal Parlamento nasceva un movimento che sulla legalità e sui temi ambientali avrebbe poi costruito un largo consenso. E pensare che prima dei 5 Stelle, Beppe Grillo aveva condiviso molte lotte dei Verdi: “Nel 2003 chiamo Beppe – ricorda Pecoraro Scanio – e gli chiedo se vuol fare una conferenza con me sull’elettrosmog in Parlamento. “Belin Pecoraro, vuoi che mi metto a far politica?’. Così è stato. Ci ha dato una mano con quel referendum”.
E allora sembra legittimo pensare che la creatura di Grillo e Casaleggio si sia preso uno spazio che i Verdi non erano stati in grado di occupare: “Sì, avremmo potuto fare quello che ha fatto il Movimento 5 Stelle – ammette Bonelli – ma con una impostazione diversa, più di governo fin dall’inizio e con una struttura di partito che sapesse creare una classe dirigente. Nei primi anni 2000 questa possibilità c’era, ma forse è mancata la credibilità del gruppo dirigente, troppo attento a farsi rieleggere più che a costruire una visione per il futuro”.
Opinione opposta a quella di Pecoraro Scanio: “I 5 Stelle hanno inglobato buona parte del voto ambientalista, ma il consenso vero lo hanno ottenuto sull’anti-politica, soprattutto all’inizio. E noi da quel punto di vista eravamo compromessi da anni di Parlamento, coalizioni e governo”. “Eravamo visti come la sinistra – è la versione della Francescato –, mentre loro nascevano sulla lotta alla casta”. D’altra parte a incidere nella storia dei Verdi italiani sono anche le alleanze e le contingenze dei sistemi elettorali. Perché è vero che da 11 anni la Federazione è fuori dal Parlamento, ma alle ultime europee – quando si è gridato all’ennesima disfatta – i Verdi hanno preso percentuali in linea rispetto a quando andarono al governo: nel 1996 (2,5 per cento, Edoardo Ronchi all’Ambiente e dal 2000 Pecoraro Scanio all’Agricoltura) e nel 2006 (2 per cento, Pecoraro all’ambiente). Questa volta però l’occasione era d’oro, con l’effetto Greta che ha riempito le piazze del mondo attorno al tema ecologista. A logorare una campagna elettorale che poteva essere in discesa ci si sono messi i guai con Federico Pizzarotti, prima alleato della lista e poi passato con +Europa, e con Pippo Civati, uno dei volti più popolari della coalizione che ha ritirato la candidatura un paio di settimane prima delle elezioni perché in polemica per la presenza di personaggi di destra.
Occasione mancata? Può darsi, per gli stessi dubbi che rimangono adesso sul futuro dei Verdi: meglio mantenere la propria “purezza” nella struttura e nei contenuti o magari cedere a qualche compromesso con la politica di oggi, che significa anche “personalizzarsi”, affidarsi a un nuovo leader mediatico e carismatico in grado di allargare i consensi? Grazia Francescato non ha dubbi: “Quella di un leader giovane che risolve i problemi è una illusione. Per carità. Dobbiamo costuire un partito sui temi. Tra gli italiani all’estero abbiamo preso il 10 per cento, segno che con il lavoro è possibile arrivare a tante persone”. “Il problema dei media però esiste – sostiene Bonelli – perché non è possibile che da anni nessuno ci inviti in televisione. Diventa difficile farsi conoscere, considerando che abbiamo dovuto far campagna elettorale con 30mila euro”. Se cambio al vertice sarà, comunque, è difficile immaginare un ritorno all’antico: “Io tornare nei Verdi? No, – esclude Pecoraro. Questione di quieto vivere: Adesso qualcuno per strada mi ferma e mi chiede ‘Dottò, ma perché non tornate?’. Lo so già: se poi torno è la volta che mi inizieranno a chiedere perché non me ne vado”.