Raid di Haftar contro 7 obiettivi governativi: “Teniamo d’occhio voi e le bande di mercenari”

Ancora scontri in Libia tra l’esercito nazionale (Anl) del generale Haftar e le forze fedeli al Governo libico di unità nazionale (Gna) con sede a Tripoli. Il primo ha annunciato su Facebook di aver “distrutto più di dieci obiettivi accuratamente selezionati”. Tra questi, una base di Sirte, centri operativi, difese aeree e depositi di armi, più la scuola militare di Misurata a 200 km dalla capitale, dove ci sono i 300 uomini dell’ospedale della missione italiana. Si tratta di un “messaggio importante”, ha fatto sapere l’Anl, segno che “i movimenti delle bande”, come l’Anl chiama le forze pro-governative, sono sotto “stretta sorveglianza”. Il riferimento è alla raid del Gna contro una base aerea nel centro del paese controllata da Haftar che dal 4 aprile conduce un’offensiva per conquistare la capitale. “L’aeronautica ha colpito un gruppo di mercenari alla base di al-Joufra, distruggendo un capannone di droni appartenenti a un paese ostile”, hanno fatto sapere le forze pro-Gna, senza specificare a quale “paese ostile” si riferissero. I due campi rivali in Libia si accusano a vicenda di usare mercenari e di trarre vantaggio dal supporto militare di potenze straniere. Le forze del Gna, riconosciute dalla comunità internazionale, hanno anche affermato di aver distrutto un deposito di munizioni e di aver colpito un Illiushin 76, un aereo cargo “utilizzato per trasportare munizioni e mercenari in Libia”. Al-Joufra è base delle operazioni e le forniture per le forze pro-Haftar. Nella tarda mattinata di ieri violenti scontri tra le forze del governo e l’autoproclamato Esercito nazionale sono scoppiati all’aeroporto di Tripoli, mentre secondo il Libya Observer stanno arrivando 1000 militari del Sudan Rapid Support Forces per proteggere le installazioni petrolifere e consentire alle forze di Haftar di concentrarsi su Tripoli.

Mosca, dissidenti dalle urne alle celle. In ottocento finiscono in carcere

“Uscite per strada. Abbandonate quel vostro comodo divano perché quel divano è la vostra tomba”. L’oppositore russo Dimitry Gudkov sapeva che sarebbe stato arrestato prima degli altri dopo aver pronunciato queste parole. È finito in manette come Ilya Yasin e gli alleati del blogger anti-corruzione Novalny, Ivan Zhdanov e Ljubov Sobol, che ha chiesto al corteo di dirigersi verso la Commissione elettorale arrampicandosi su un edificio. “Se non saremo nella corsa elettorale, saremo per strada”. Lo aveva giurato prima che la giornata di ieri cominciasse ancora Gudkov. Hanno fatto eco al dissidente migliaia di giovani e anziani, tutti comuni cittadini: “Questa non è una vicenda locale moscovita, è una riflessione su tutta la scena politica russa”. Mosca adesso è chiusa nelle sue prigioni: 779 manifestanti riempiono le celle grige e fredde della Capitale.

Ogni numero che si scriverà nelle prossime ore sarà approssimativo ed errato, il bilancio dei russi arrestati dalla polizia continua a salire mentre l’organizzazione che si occupa di monitorare la vicenda, l’Ovd, continua a rinnovare la cifra al rialzo di ora in ora: duecento, poi trecentodiciassette, fino a sfiorare le settecento persone. Nessuno dirà buonanotte all’arrivo delle ore di buio: si continuerà a contare e immaginare i motivi degli arresti perché di alcuni non sono state rese nemmeno note le cause.

A Mosca ieri c’era una Piazza Rossa e una bianca. Pallida come i cartelli e gli striscioni sventolati con su scritto “elezioni libere”. Su altri non c’era solo il nome della città, che aprirà le urne elettorali tra due mesi, ma del Paese intero: “La Russia sarà libera”. Una piazza spontanea che cambiava forma tra le finestre serrate e negozi chiusi della scintillante strada Tverskaya fino alla metro Pushkin e urlava due parole proibite, che sembravano salire però dalle sue viscere stanche. I russi hanno sfidato percosse, arresto e carcere per dire: “Putin net”. I caschi sono calati subito sui volti delle forze dell’ordine tra i cordoni delle squadre anti sommossa e della guardia nazionale che presidiava il municipio per frenare la folla radunatasi senza il permesso delle guglie severe del Cremlino. Gli arresti sono iniziati prima che la prateria di manifestanti arrivasse in massa alla manifestazione non autorizzata organizzata da quei candidati a cui è stato vietato di partecipare alle elezioni municipali il prossimo otto settembre. L’alibi del Cremlino per vietare ai suoi oppositori di correre alle elezioni è stato trovato in un’altra cifra: quella delle firme. Non sono sufficienti quelle presentate dai candidati che non piacciono alla Duma del sindaco Sergey Sabaynin, a capo di una megalopoli di oltre 12 milioni di persone ufficialmente registrate, milioni di fantasmi senza residenza, una Duma comunale di 45 seggi dove rimane da decenni al potere Russia Unita, il partito di Putin, a gestire un un budget miliardario.

“Le proteste continueranno fino a che ai candidati non sarà concesso di partecipare alle elezioni”. È la promessa che Novalny, in manette da mercoledì scorso, fa filtrare dalle solite sbarre delle celle che visita ormai mensilmente. Fermata dopo un raid delle divise nel suo quartiere generale la trasmissione streaming della protesta, ma non il coro del corteo che ripeteva le parole di Gudkov: “Se perdiamo adesso, le elezioni smetteranno di esistere come strumento politico”.

Russiagate, pena di morte e muro: Trump è Re Mida

Donald Trump è sempre più Re Mida: quel che tocca diventa oro, cioè voti, l’oro dei politici; e quel che fa l’azzecca, anche se è eticamente sbagliato e giuridicamente discutibile. La Corte Suprema ha così autorizzato l’utilizzo di fondi del Pentagono per costruire il muro al confine con il Messico: 2,5 miliardi di dollari per oltre 160 chilometri della recinzione promessa in campagna elettorale e finora non realizzata perché il Congresso non ha stanziato le somme necessarie. Il magnate presidente ha esultato a modo suo dopo la sentenza, pronunciata con il minimo scarto (5 voti a favore e 4 contro): “Wow! Una grande vittoria sul muro – ha twittato – e per la sicurezza”. La Corte ha rovesciato un’ingiunzione precedente di un giudice federale, dando in pratica via libera all’attuazione, almeno parziale, della progettata barriera. Secondo i giudici supremi, non ci sono motivi per bloccare il trasferimento di fondi.

Il verdetto di venerdì non chiude definitivamente la questione, perché altri ricorsi sono annunciati, della Camera e di altre organizzazioni per i diritti umani, forse meglio formulati di quelli ora respinti del Sierra Club e di una coalizione di comunità sul confine. Ma la sentenza consente all’Amministrazione di procedere. E Trump resta molto attivo sul fronte migranti, una miniera di consensi: dopo pesanti pressioni, Usa e Guatemala hanno trovato un’intesa sulla gestione delle richieste di asilo di cittadini guatemaltechi, che, con honduregni e salvadoregni, premono alla frontiera dell’Unione. La settimana d’oro del presidente, segnata dal flop dell’audizione in Congresso di Robert Mueller, l’ex procuratore speciale del Russiagate, è coronata da un sondaggio di Politico, secondo cui quasi un americano su due, il 46%, è contrario a una procedura d’impeachment e solo il 37 è a favore. Trump sente il vento del successo e organizza la campagna elettorale Usa 2020.

Porto Rico contro “Rosselló 2”. “Wanda, non stare lì a vestirti”

WandaRenuncia o #Wandanontivestire (ché all’investitura non ci vai) sono i nuovi hashtag della protesta portoricana. Wanda è Wanda Vázquez Garced, il ministro della Giustizia che il 2 agosto dovrebbe prendere il posto del governatore di Porto Rico, Riccardo Rosselló, fattosi da parte il 24 luglio, sotto le pressioni della folla, che da settimane gli chiedeva di andarsene. L’idea di un passaggio di consegne temporaneo prima delle elezioni, tra Rosselló e la Vázquez Garced non piace alla gente, che rilancia la protesta: il “diavolo”, come la chiamano, “è parte del problema, non è una soluzione”. La Vázquez Garced è un personaggio impopolare, accusata di mala gestione di azioni legali nei confronti di componenti del partito suo (e di Rosselló), il New Progressive Party, anche se lei ama raccontarsi con toni da difensore del popolo: ancora bambina, dice in un’intervista, decise d’essere dalla parte della giustizia e di diventare avvocato vedendo con il padre la serie televisiva Hawaii Five-O.

Sposata con un giudice di Caguas, Jorge Diaz Reverón, una figlia, la Vázquez Garced respinge come “false e diffamatorie” le accuse rivoltele. Ma la gente nelle strade di San Juan, la capitale dell’arcipelago, grande come la Corsica e con quasi quattro milioni di abitanti, non le dà credito e continua a protestare. L’isola principale è la più piccola delle Grandi Antille. Il suo statuto è incerto: è un territorio non incorporato degli Stati Uniti, ma i portoricani dal 1917 sono cittadini statunitensi, pur senza diritto di voto alle politiche e alle presidenziali. Con un referendum consultivo, nel 2012, oltre tre su cinque si sono detti favorevoli a divenire uno Stato dell’Unione, avviando un processo che potrebbe farne il 51° Stato federale. Ma ancora non ci siamo: Porto Rico è in un limbo, diventare una stella della bandiera degli Stati Uniti ha pro e contro. A destabilizzare la situazione è stato il passaggio, nell’ottobre del 2017, dell’uragano Maria e, soprattutto, la pessima e corrotta gestione dell’emergenza e della ricostruzione. C’è voluto un anno per stabilire che le persone decedute a causa di Maria furono 2.975, quasi 50 volte di più della stima iniziale – fra le vittime, il nonno della deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez, figura emergente del Partito democratico –.

Venti a oltre 240 kmh e piogge torrenziali avevano provocato 90 miliardi di danni. L’Amministrazione federale intervenne con aiuti straordinari per 92 miliardi di dollari, in gran parte andati “sperperati o sprecati” – parola del presidente Donald Trump – . Il governatore in pectore è ministro della Giustizia dal 2017, dopo avere lavorato negli Anni 80 al Dipartimento dell’Edilizia e poi per vent’anni al Dipartimento della Giustizia, specializzandosi in casi di abusi domestici e sessuali. Nel 2010, assunse la guida dell’Ufficio per i diritti delle donne. Ma ciò non basta a darle un’immagine di paladina delle donne: al New York Times Saadi Rosado, del Feminist Collective, un’organizzazione militante, dice che “le femministe sono critiche con lei, perché non affrontò i temi della violenza di genere e si comportò da burocrate al potere”. Se il 2 agosto diventerà governatore, sarà la seconda portoricana ad assumere tale incarico, dopo Sila María Calderón.

Ma non è detto che ci arrivi. “Wanda è come Rosselló”, ricordano per strada: unico ministro della Giustizia dell’isola a essere stato accusato – e poi scagionato – per reati penali. Wanda ha anche potenti nemici politici: i suoi rapporti con il Parlamento sono pesanti e i suoi contrasti con il presidente del Senato Thomas Riversa Schatz palesi. Per Porto Rico, alle prese con una crisi di bilancio pesante, il nuovo governatore è figura cruciale: dovrà rinegoziare il debito con gli investitori privati. La Costituzione è dalla sua parte: dimissionario il segretario di Stato Luis Gerardo Rivera Marin, il ministro della Giustizia lo segue in linea di successione.

Mail Box

 

Tav, Tap e Ilva: caro Feltri, non sono battaglie locali

Si può condividere, come scrive Stefano Feltri, che la crisi di governo non è auspicabile perchè spalancherebbe le porte a un governo Salvini-Meloni, ma è sconcertante definire “battaglie locali” il Tav, il Tap e l’Ilva, come insiste a definirle Feltri nella risposta di ieri alla lettrice Maria Michela Massi.

Vitaliano Bianchini

 

Caro Vitaliano, è indubbio che siano battaglie locali: il Tav passa dalla Val di Susa, il Tap arriva in Puglia, è sul territorio che c’è il grosso della mobilitazione. Ed è per questo, a mio parere, che su quei fronti il M5S di governo ha perso, perché il “costo” era troppo concentrato. Mentre su altri fronti, come il reddito di cittadinanza, i benefici della misura erano diffusi su tutto il territorio nazionale.

Ste. Fel.

 

Bio-on: qual è il ruolo dell’imprenditore Grego?

In questi giorni ho seguito i vostri articoli riguardanti Bio-on. A tal proposito ho trovato molto interessanti le ricerche sui manager della società Bio-on ma sarei anche interessato a conoscere meglio il signor Gabriele Grego che ne sta causando il tracollo. Questo imprenditore finanziario ha dichiarato esplicitamente di aver speculato al ribasso sul titolo e mi piacerebbe sapere quanto ha guadagnato da questa sua speculazione e se l’ha chiusa, da quanto esercita la sua attività finanziaria e, oltre a smascherare la sconosciuta società greca Folli Follie, cosa ha fatto nella vita. Potete aiutarmi?

Marco Gnerucci

 

Caro Marco, in Borsa si fanno soldi scommettendo che un titolo andrà su, ma anche sul fatto che crollerà. Il fondo di Grego, Quintessential, identifica società che hanno conti sospetti, indaga e, se trova qualcosa che non va, rivela tutto al mercato dopo aver preso una posizione ribassista. Fa soldi, certo, ma contribuisce a far emergere vicende opache o truffaldine. Onestamente, non lo trovo certo il peggiore dei modelli di business. Tutto quello che abbiamo scritto in questi giorni su Bio-On, comunque, lo abbiamo verificato in modo autonomo, senza limitarci a citare i documenti divulgati da Grego,

Ste. Fel.

 

Sicurezza bis: una “schiforma” che tutti devono contrastare

Il M5s si proponeva come baluardo di valori sociali e civili. Quei valori sono stati traditi con il voto favorevole al primo dl Sicurezza e vengono definitivamente tumulati con l’appoggio vergognoso al dl Sicurezza bis (io lo chiamo in-sicurezza bis). Sparare sul mucchio sa di caccia alle streghe, in un clima di odio razziale attivato dai facili slogan salviniani, che hanno avuto e hanno il chiaro intento di avvicinare alla politica di destra gli italiani meno informati, più istintivi e creduloni. Se non vi sarà una opposizione coraggiosa da parte dei parlamentari 5S a questa demenziale linea di Di Maio-Toninelli-Fraccaro, se non voteranno contro tale “schiforma” dimostrando la stessa statura morale di De Falco, il M5s verrà ridotto al lumicino.

Chiunque appoggi questa politica migratoria di Salvini è responsabile di indicibili sofferenze.

Barbara Cinel

 

Noi consumatori e le truffe (non solo nella telefonia)

Ho letto l’articolo “Disservizi – Pagare per la rete mai richiesta: benvenuti in Tim” di Massimo Novelli, pubblicato sul Fatto del 26 luglio. Anche io ho tanti problemi con la Tim che non riesco a risolvere. Pur avendo richiesto chiarimenti in merito ad alcuni addebiti incomprensibili nelle bollette, ho avuto risposta dopo alcuni mesi che tutto è regolare. La lettera di risposta è costituita da un modello con tutte le pappardelle come riportate nell’articolo citato, con qualche cenno riferito al quesito posto. Non credo tuttavia che tutti siamo adoratori di chi è al potere, anzi siamo incazzati e non poco per la miriade delle truffe a cui siamo soggetti e non solo nel settore della telefonia. Sono stato contattato telefonicamente da un altro gestore telefonico al quale ho chiesto in inviarmi un preventivo scritto. Fra tante cose incomprensibili veniva riportato che la durata del contratto è di 24 mesi e l’abbonamento a un prodotto che non conosco di 48 mesi.

Giuseppe Monoriti

 

L’unica alternativa possibile: il dialogo 5Stelle-Dem

A 53 anni mi fa sorridere il quotidiano scambio di insulti tra Cinque stelle e Pd che, oggi, valgono insieme meno del 40 per cento dei voti. Mi sembra di essere tornato bambino, quando comunisti e socialisti litigavano e i democristiani governavano! Se non vogliamo Salvini e i fascisti al governo per un vero ventennio, le due forze democratiche e anti fasciste devono sforzarsi di trovare pochissimi punti di convergenza… Quando avremo la Santanchè alla Pubblica istruzione e La Russa alla Sanità, anche gli pseudo compagni del Pd rimpiangeranno Toninelli!

Muttley

 

I NOSTRI ERRORI

Nella storia pubblicata ieri, a firma di Selvaggia Luccarelli, dal titolo “Quelle bugie per cui Agnese si tolse la vita: il ‘metodo Foti’”, nel sommario si fa riferimento agli “stessi psicologi visti a Bibbiano (e non solo)”. Per dovere di precisione, le due psicologhe in questione, Cleopatra D’Ambrosio ed Elisabetta Illario, sono nel direttivo dell’associazione di Claudio Foti, l’una, mentre l’altra si è formata nel centro Hansel & Gretel sotto la guida dello stesso Foti: non sono direttamente collegate ai fatti di Bibbiano.

FQ

Tav e il resto: effettivamente Luigi Di Maio non è Pasquale

Come fu per l’io poetante degli Ossi di seppia, anche riguardo a Luigi Di Maio si fa fatica ad affermare qualcosa che non sia una negazione: il nostro, ci viene subito da dire, non è un tattico, non è uno stratega e, come vedremo, non è nemmeno Pasquale. Però, e questo va riconosciuto, è un uomo pieno di fiducia. Quella che nutre nei suoi post sui social network, per dire, è commovente. All’esito di una discreta serie di schiaffoni che vanno dal gasdotto Tap all’Ilva, dal Terzo Valico alla conversione europea che dal referendum contro l’euro li vedrà a breve entrare nel gruppo a Strasburgo che sarebbe stato di Emma Bonino, è arrivata l’apocalisse del Tav. E qui, dicevamo, la sua commovente fiducia nei social. Il governo che vicepresiede e si basa sulla forza parlamentare del M5S aveva da poche ore detto formalmente sì alla linea Torino-Lione quando Di Maio ha scritto su Facebook il seguente post No-Tav (“opera inutile e dannosa”): “NOI NON CI ARRENDIAMO! NOI PENSIAMO AL PAESE, non facciamo regali a Macron”. Visto che il tunnel l’hanno approvato ed escludendo che ci stia prendendo in giro, dobbiamo darci un’altra spiegazione. Secondo noi è questa. C’è una vecchia barzelletta di Totò in cui un tizio che, per uno scambio di persona, viene insultato e picchiato al posto di tale Pasquale, spiega così il suo rifiuto di difendersi dall’aggressione: “E io mica sono Pasquale”. Evidentemente, se ci passate la metafora, anche Di Maio non è Pasquale.

Droga, la “guerra totale” è finita subito. In un tweet

 

Carabiniere ucciso nella Roma della droga. “Il bastardo pagherà fino in fondo la sua violenza: lavori forzati in carcere finchè campa”.

Matteo Salvini

 

Condividiamo la collera del vicepremier nonché ministro dell’Interno per l’uccisione del carabiniere Mario Cercello Rega, ad opera di due giovani americani di pura razza bianca, alla ricerca di polvere anch’essa pura e bianca. Ma, con analoga determinazione, gli chiediamo che cosa ha fatto di concreto da quando siede al Viminale per quella “guerra totale” agli spacciatori di morte, solennemente promessa dopo la morte della povera Desirée Mariottini. Sedici anni, il cui corpo fu ritrovato nell’ottobre 2018 all’interno di uno stabile abbandonato, supermarket della droga, nel quartiere di San Lorenzo a Roma. Non sembra il ministro aver fatto nulla di particolare a leggere oggi sui giornali le mappe dello spaccio nella Capitale, dove il fiorentissimo mercato della coca non ha soste, h24. Tor Bella Monaca e San Basilio. Ostia, Primavalle, Cinecittà, Borgata Finocchio, Trastevere, Eur, Pigneto, Talenti: venghino signori venghino. E, naturalmente, San Lorenzo dove, presto dimenticata Desirée, il traffico si svolge tranquillamente come prima e più di prima. Al sempre connesso on. Ministro, che invoca lavori forzati inesistenti (forse introdotti in decreto sicurezza tris) non sarà certo sfuggito che da Milano, a Napoli, a Palermo, da Rogoredo a Scampia allo Zen, il sistema distributivo delle droghe, oltre alla più ampia varietà di scelta, copre efficacemente l’intero territorio nazionale. Ormai non esiste borgo che accanto alla scuola e alla farmacia non abbia il pusher di riferimento, che agisce in genere indisturbato. Non a caso, l’uso e l’abuso di sostanze di ogni colore e sapore è la causa accertata delle tante stragi stradali che stanno funestando l’estate 2019. Il criminale che a Vittoria ha travolto e ucciso i due cuginetti aveva sniffato parecchio.

E si chiama cocaina la tragedia dei due fratelli di 13 e 9 anni morti nell’incidente provocato dal padre, sotto l’effetto degli stupefacenti. Forse il ministro non lo sa, occupato com’è a bloccare i porti e a perseguitare i pochi disgraziati che sopravvivono al cimitero Mediterraneo, ma l’uso della coca è così diffuso da modificare perfino i comportamenti abituali di chi non sniffa: per esempio, meglio evitare questioni di traffico con chi ti taglia la strada con gesti minacciosi, non si sa mai. Probabilmente stremato dalla audace campagna contro i negozi che spacciano the e cioccolata alla cannabis, Capitan Fracassa sembra un po’ più tollerante con i mercanti della morte bianca. Una striscia non si nega a nessuno. O no?

Chiedete e vi sarà dato: così Gesù ci insegna a pregare il Padre nostro

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: ‘Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione’”. Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: ‘Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli’, e se quello dall’interno gli risponde: ‘Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani’, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Luca 11,1-13).

Con la domanda dei discepoli Signore, insegnaci a pregare, la liturgia odierna ci propone il terzo pilastro della vita cristiana. La parabola del buon samaritano, infatti, ci ha rivelato il senso della prossimità: va’ e fa’ anche tu così; nell’episodio di Marta e Maria, Gesù ci ha fatto conoscere il fondamento dell’ascolto della parola di Dio.

Oggi, scopriamo che il Dio rivelatosi nella Sacra Scrittura è disposto ad ascoltare le nostre domande, a comprendere il nostro modo di supplicarlo, insegnandoci persino che cosa domandare, facendosi Lui prossimo a chi gli si rivolge con fede. Invocarlo significa riconoscere la nostra dipendenza da Lui e ciò, quindi, esige umiltà. Dall’audacia di Abramo: ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere, all’insistenza dell’amico che incontriamo nel brano evangelico: non ho nulla da offrirgli!

Gesù consegna ai discepoli la preghiera del Padre nostro indicando come dev’essere il nostro modo di stare davanti a Dio. La parabola dell’amico importuno ci vuol far conoscere plasticamente come Dio si relaziona con noi. Un amico giunge inaspettato nel cuore della notte e colui che lo ospita, mancando di pane, ricorre a un amico vicino per chiedergli questo ristoro. Ma si sente rispondere: non m’importunare (…) non posso alzarmi per darti i pani.

La risposta di Gesù è chiara e sicura: Vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Dunque, l’amico invadente se non otterrà per amicizia ciò che gli occorre, l’otterrà per il suo domandare insistente (anaidèia = senza faccia, senza vergognarsi).

Confidenza e perseveranza spingono a pregare in questa maniera soltanto nei riguardi di chi sappiamo essere più che nostro amico, Padre! Il richiedente, allora, torna a casa sicuramente con più di quanto aveva domandato: insieme al pane ha sperimentato una sicura relazione sulla quale può contare senza paura e sempre. Quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!

Secondo l’apostolo Paolo, allora, possiamo rivolgerci a Dio gridando: Abbà, Padre! Chiedete e vi sarà dato sia nel nostro rapporto con Dio che con gli altri. La preghiera è anche intercessione: possiamo chiedere a Dio di darci solo se, a nostra volta, siamo disposti a donare abbondantemente a chi chiede a noi, soprattutto ai tanti che mancano del necessario.

Arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche

Scandalo giustizia, dieci anni dopo l’Ultracasta trionfa

“Se il Csm è il buco nero della giustizia all’italiana, la sua sezione disciplinare lo è dell’intero Palazzo dei Marescialli. Quella dove le correnti del sindacato in toga ordiscono le trame più inconfessabili”. Se vi sembrano parole ispirate dallo scandalo di questi giorni, vi state sbagliando. Le ha scritte dieci anni fa Stefano Livadiotti – coraggioso giornalista dell’Espresso che ci ha lasciato troppo presto l’anno scorso – in un libro intitolato Magistrati. L’ultracasta. Il nocciolo del discorso era quello che ancora oggi lorsignori vogliono rimuovere: nella giustizia c’è il vero cancro italiano, tutto il resto è metastasi. La classe dirigente continua a girarsi dall’altra parte perché tutti hanno paura dei magistrati: o hanno la coscienza sporca, o sono già in debito per un’archiviazione allegra o un’indagine dolosamente sciatta, oppure sono onesti ma la paura dei magistrati l’hanno interiorizzata a prescindere. Il libro di Livadiotti fu liquidato dagli interessati con commenti pigramente diffamatori: la tecnologia della merda nel ventilatore è stata brevettata ben prima dei social network dai comparti più sussiegosi della classe dirigente. Un magistrato del Nord che andava per la maggiore lo definì “livido e rancoroso”; dall’altro capo della penisola una valorosa toga antimafia lo trovò “pieno di errori che inducono alla disinformazione”.

A dieci anni di distanza c’è una pagina dell’Ultracasta che fa stringere il cuore. Livadiotti riferisce che, secondo le rilevazioni 2008 di Eurobarometro, solo il 31 per cento degli italiani ha fiducia nel sistema giudiziario, mentre la media europea è al 46 per cento. Secondo un altro sondaggio un italiano su tre ammette di aver perso ulteriormente fiducia nella magistratura. L’autore aggiunge che anche il primo presidente della Corte di Cassazione, inaugurando l’anno giudiziario, ha dovuto ammetterlo: “La magistratura non può ignorare il forte calo di fiducia non solo internazionale, ma ora anche interno nei suoi confronti”. Commento di Livadiotti: “L’auspicio di tutti è, appunto che non lo ignori. Che consideri suonata la campanella dell’ultimo giro e si dia una mossa, riformandosi dall’interno. Prima che lo faccia qualcun altro, magari con intenti poco nobili. Il paese ha bisogno di tutto meno che di una magistratura delegittimata e per ciò stesso, alla fine, asservita”.

Ai normali sudditi queste parole profetiche fanno stringere il cuore, ai magistrati dovrebbero farli arrossire di vergogna per dieci anni di silenzio e furbizie. Quel presidente di Cassazione che doveva prendere coscienza era Vincenzo Carbone: nel 2010, appena andato in pensione, è stato indagato per la sua collaborazione alle trame della cosiddetta P3, associazione segreta capitanata da Flavio Carboni che si occupava, guarda un po’, anche di pilotare sentenze e carriere dei magistrati. Nel 2013 Carbone è stato rinviato a giudizio. I suoi colleghi hanno impiegato più di quattro anni per condannarlo in primo grado – il 16 marzo 2018, quarantesimo anniversario della strage di via Fani – a due anni per abuso d’ufficio. Per lui la strada della prescrizione è spianata.

Ma in questi dieci anni i suoi colleghi dov’erano? Erano pieni di lavoro. Dovevano vendersi le assoluzioni o gli insabbiamenti, indagare il collega per fotterlo (loro parlano così), difendersi dagli agguati “disciplinari”, strappare poltrone per i propri compagni di corrente. I più hanno taciuto, per giustificata paura dei colleghi delinquenti o per vigliaccheria semplice, e se gli fai notare come si sono ridotti si offendono. Adesso che è saltato il coperchio c’è chi, per malinteso senso dello Stato, cerca di mettere la sordina allo scandalo. Credendo che le istituzioni si difendano con l’omertà.

Notizie da un mondo pericoloso e triste

La prima notizia della settimana è che torna negli Usa la pena di morte. Ha sventolato la bandiera nera il presidente americano Donald Trump, con l’aria di qualcuno che finalmente ce l’ha fatta. Ha precisato che si torna alla tradizionale procedura delle due iniezioni, una pratica che l’ordine dei medici americani ha dichiarato crudele e inumana. Una prima iniezione paralizza il condannato, lasciando intatta la coscienza e sofferenza per ciò che accade. L’altra, dopo una buona mezz’ora e se tutto riesce bene, uccide.

Qualche lettore ricorderà che la decisione della moratoria (cioè sospensione delle esecuzioni) in molti Stati americani era stata richiesta da parlamenti locali, consigli comunali e opinione pubblica dopo frequenti notizie di esecuzioni lunghe, dolorose e non riuscite. Era stato un pretesto per avere il tempo di “trovare un altro modo” di esecuzione capitale. Non si è trovato, e sono già in calendario, ci dicono le agenzie, le prime cinque esecuzioni (immagino che ci saranno anche celebrazioni) di detenuti in attesa. Come si vede, prima o poi, la macchina della burocrazia funziona.

La seconda notizia della settimana è che un certo numero di cadaveri (almeno 150, molti bambini), galleggiano sul Mediterraneo, lungo la rotta più corta tra la Libia e l’Italia, e così testimonia il comandante di un peschereccio che ha deliberatamente violato le due leggi italiane (“Sicurezza” e “Sicurezza bis”) e ha preso a bordo i sopravvissuti per sbarcarli, secondo il suo dovere di marinaio, in un porto sicuro. Solo dopo è venuta a prelevare i naufraghi una unità della Guardia costiera italiana per portarli in luoghi che un paese più o meno democratico ma con le frontiere ben difese non dichiarerebbe mai. E infatti non sappiamo dove.

La terza notizia è che il prefetto di Roma ha reso noto un elenco di prossimi sgomberi (entro l’estate, non si sa per quale ragione, ma è evidente che il dio dello sgombero è di nuovo affamato di vittime). Il grande e bell’edificio occupato da dirigenti, amici e parenti di CasaPound non rientra nella lista di sgombero, benchè la sindaca Raggi lo abbia chiesto sul luogo e in persona. Le suggeriamo di insistere recandosi nell’ufficio del prefetto e restandoci fino a decisione avvenuta. Uscirà per forza col decreto i mano. Lei, di questo affare, ha competenza e autorità.

La quarta notizia è che tutti i conventi delle suore di clausura italiane (strane italiane che non usano il loro isolamento come una scusa per non sapere) hanno pubblicato una lettera firmata da tutte per pregare gli italiani di smetterla di essere razzisti fingendo di essere cristiani e sventolando rosari. Chi è cristiano accoglie, hanno scritto, oppure non crede. La lettera è dura, perchè ripete il linguaggio del Papa: non è cristiano chi organizza l’affogamento collettivo, sottraendo ogni mezzo di soccorso nel Mediterraneo. E chiedono di ripristinare subito i soccorsi. Quinta notizia: quando a Foggia è iniziata la pratica di prendere a sassate i migranti neri che all’alba vanno al lavoro in bicicletta (4 aggressioni con nove feriti, in pochi giorni) l’arcivescovo di quella città, mons. Pelvi, ha scritto: “Mi pare che si stia realizzando una strategia ostile contro i lavoratori stranieri che non si vogliono accogliere né integrare. Ormai questi nostri amici danno fastidio anche se camminano per la strada. Nel nostro territorio c’è tanta malavita organizzata, ma mi pare che molti vogliano distrarsi con l’immigrazione per non pensare ai fatti nostri, ben più tremendi”.

La sesta notizia è esplosa di prima mattina, venerdì 26 luglio: due “africani” (probabilmente, testo del Viminale, visto che è stato diffuso con le stesse parole da tutte le agenzie e le radio) si erano impossessati, in una strada di Roma, del borsello e del telefonino di un uomo italiano, nella confusione festaiola di una sera d’estate. E poi avevano ricattato la vittima, o erano stati contattati sul telefonino rubato (le modalità sono rimaste oscure per tutto il giorno) richiedendo una somma in cambio della restituzione. Prontamente avvertiti, due carabinieri, non in divisa, erano presenti. Niente ci viene detto della improvvisa, estrema violenza che porta all’uccisione con sette coltellate, di uno dei carabinieri, da parte di uno dei due fuorilegge. Ma ci vuole un giorno intero per sapere che “gli africani” non sono africani e li ritrovano in un vicino albergo di lusso. Prima di uccidere, si aspettavano avevano chiesto, risulta) l’incongrua cifra di 100 euro per concludere il caso. Evidentemente male informato, il nostro ministro dell’Interno ha diramato di prima mattina questo comunicato di governo: “Lavori forzati a vita ai bastardi”. In serata risultavano fermati, nell’albergo di lusso, due cittadini americani. Devo al quotidiano dei vescovi L’Avvenire alcune delle notizie e i legami fra le notizie, che avete letto in questa pagina. Nessun personaggio politico ha mostrato finora interesse per gli eventi annotati.