Per arrivare a San Marino, dalla Romagna, si passa per Dogana. È il primo avamposto della città-Stato al confine con l’Italia. “Benvenuti nell’Antica terra della libertà”. Proprio dove – un piccolo Stato che conta poco più di 33mila, una storia millenaria (fu fondata nel 301 d.C.), e oggi qualche cruccio finanziario – il Parlamento si appresta forse ad approvare una legge storica, che introduce l’aborto come diritto. Perché qui interrompere la gravidanza – a prescindere da come sia avvenuto il concepimento e da quali siano le condizioni in cui si trovino donna o feto – è ancora un reato penale punito col carcere da 3 a 6 anni (prevista solo l’attenuante dell’onore, se la donna non è sposata).
Tutto è iniziato nel 2005, tra proposte di legge e istanze d’arengo. Quattordici anni di battaglie, finora sempre perse. “È la terza volta – dice Vanessa Muratori – che tentiamo di far approvare la depenalizzazione dell’aborto”. Muratori, ex parlamentare del partito Ssd-Sinistra socialista democratica, è, a San Marino, tra le promotrici del “Comitato per la procreazione cosciente e responsabile e per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza”, che ha presentato una proposta di legge – raccogliendo quasi 500 firme – per consegnare al passato della piccola Repubblica una delle norme sull’aborto più restrittive del mondo.
Anno 2019: Medioevo
Ufficialmente qui l’aborto non esiste. È inghiottito dal buco nero del silenzio, dall’assenza di rilevazioni e dati sul “turismo” sanitario che obbliga le donne a rivolgersi, per abortire, alle strutture italiane. Tutti sanno, e fanno finta di non sapere. Ed è proprio sull’aborto che si sta giocando la partita politica che spacca il Paese. In discussione ci sono infatti due proposte di legge – quella del comitato che lotta per la depenalizzazione e quella dei cattolici antiabortisti – su cui il Consiglio Grande e Generale (il Parlamento sammarinese) dovrà esprimersi.
I cattolici, oltre a sussidi economici per sostenere la maternità, chiedono di prevedere la possibilità di abortire se la vita della madre è in grave pericolo di salute (da accertare, con parere unanime, di un comitato medico di tre specialisti), fatta sempre salva la libertà della donna di sacrificarsi per salvare il feto. Ovvero, concedendole, come unica libertà, quella di scegliere di morire. In prima linea a raccogliere le firme per questo progetto di legge c’era Manuel Ciavatta, insegnante ed ex funzionario della Dc, assieme a 12 parrocchie, e sacerdoti. Tra questi, agguerritissimo è don Gabriele Mangiarotti, responsabile dell’Ufficio di pastorale scolastica e della cultura della diocesi, che ha scomodato un magistrato italiano, Giacomo Rocchi, consigliere della Corte di Cassazione, per smontare pezzo dopo pezzo, su Cultura Cattolica, la proposta di legge che vuole archiviare il carcere per chi abortisce. “Una proposta di carattere palesemente ideologico, che scimmiotta il testo della 194 italiana”, ha scritto Rocchi. “Una legge che è una evidente manifestazione di una concezione totalitaria dello Stato”, ha poi proseguito.
Il Comitato, a sua volta, vuole invece la legalizzazione dell’aborto entro la 12° settimana, nel contesto di un intervento complessivo che preveda anche l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole e il divieto dell’obiezione di coscienza.
Scontro politico
Il primo atto dello scontro si è avuto nei giorni scorsi con l’esame da parte del Parlamento delle due proposte. In prima lettura, quindi senza votazione (ora tutto passerà al vaglio delle commissioni Affari istituzionali e sanità). Un confronto pacato, ma solo in apparenza. Perché la maggioranza di governo – costituita da Ssd, Civico 10 (movimento riformista) e Repubblica Futura (area del centrodestra) – è logorata dalla crisi economica e finanziaria e sembra orientata a cercare un compromesso, un colpo alla botte e uno al cerchio, con una legge che fonda insieme le due proposte. Mentre la Democrazia cristiana – che è all’opposizione e qui, sì, ancora sopravvive – si fa portavoce di tutta l’ostilità della potente Diocesi di San Marino-Montefeltro, che esercita ancora molta influenza.
“E il nostro timore adesso – spiega Muratori del comitato per la legalizzazione dell’ivg – è che il governo cada e che si debba ricominciare tutto da capo”.
“Basta oscurantismi”
Anche fuori dai palazzi della politica, è muro contro muro. Tra gli antiabortisti, c’è chi si è spinto a paventare correlazioni tra aborto e tumori. Il comitato “Accoglienza alla vita” ha profetizzato anche la fine di San Marino, richiamando il problema della denatalità, e conferendo legittimità alla famiglia solo se genera figli.
“Un’offesa per tutte le donne che fanno altre scelte – dice Marika Montemaggi, parlamentare di Civico 10, area centrosinistra – e per tutte le famiglie non tradizionali. San Marino deve decidersi ad affrontare il problema. E a me non basta uno Stato che si limita a depenalizzare. Serve anche un progetto complessivo che aiuti le donne. È ora di uscire dall’oscurantismo”.