Contro-crociata a San Marino: “L’aborto non sia più un reato”

Per arrivare a San Marino, dalla Romagna, si passa per Dogana. È il primo avamposto della città-Stato al confine con l’Italia. “Benvenuti nell’Antica terra della libertà”. Proprio dove – un piccolo Stato che conta poco più di 33mila, una storia millenaria (fu fondata nel 301 d.C.), e oggi qualche cruccio finanziario – il Parlamento si appresta forse ad approvare una legge storica, che introduce l’aborto come diritto. Perché qui interrompere la gravidanza – a prescindere da come sia avvenuto il concepimento e da quali siano le condizioni in cui si trovino donna o feto – è ancora un reato penale punito col carcere da 3 a 6 anni (prevista solo l’attenuante dell’onore, se la donna non è sposata).

Tutto è iniziato nel 2005, tra proposte di legge e istanze d’arengo. Quattordici anni di battaglie, finora sempre perse. “È la terza volta – dice Vanessa Muratori – che tentiamo di far approvare la depenalizzazione dell’aborto”. Muratori, ex parlamentare del partito Ssd-Sinistra socialista democratica, è, a San Marino, tra le promotrici del “Comitato per la procreazione cosciente e responsabile e per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza”, che ha presentato una proposta di legge – raccogliendo quasi 500 firme – per consegnare al passato della piccola Repubblica una delle norme sull’aborto più restrittive del mondo.

 

Anno 2019: Medioevo

Ufficialmente qui l’aborto non esiste. È inghiottito dal buco nero del silenzio, dall’assenza di rilevazioni e dati sul “turismo” sanitario che obbliga le donne a rivolgersi, per abortire, alle strutture italiane. Tutti sanno, e fanno finta di non sapere. Ed è proprio sull’aborto che si sta giocando la partita politica che spacca il Paese. In discussione ci sono infatti due proposte di legge – quella del comitato che lotta per la depenalizzazione e quella dei cattolici antiabortisti – su cui il Consiglio Grande e Generale (il Parlamento sammarinese) dovrà esprimersi.

I cattolici, oltre a sussidi economici per sostenere la maternità, chiedono di prevedere la possibilità di abortire se la vita della madre è in grave pericolo di salute (da accertare, con parere unanime, di un comitato medico di tre specialisti), fatta sempre salva la libertà della donna di sacrificarsi per salvare il feto. Ovvero, concedendole, come unica libertà, quella di scegliere di morire. In prima linea a raccogliere le firme per questo progetto di legge c’era Manuel Ciavatta, insegnante ed ex funzionario della Dc, assieme a 12 parrocchie, e sacerdoti. Tra questi, agguerritissimo è don Gabriele Mangiarotti, responsabile dell’Ufficio di pastorale scolastica e della cultura della diocesi, che ha scomodato un magistrato italiano, Giacomo Rocchi, consigliere della Corte di Cassazione, per smontare pezzo dopo pezzo, su Cultura Cattolica, la proposta di legge che vuole archiviare il carcere per chi abortisce. “Una proposta di carattere palesemente ideologico, che scimmiotta il testo della 194 italiana”, ha scritto Rocchi. “Una legge che è una evidente manifestazione di una concezione totalitaria dello Stato”, ha poi proseguito.

Il Comitato, a sua volta, vuole invece la legalizzazione dell’aborto entro la 12° settimana, nel contesto di un intervento complessivo che preveda anche l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole e il divieto dell’obiezione di coscienza.

 

Scontro politico

Il primo atto dello scontro si è avuto nei giorni scorsi con l’esame da parte del Parlamento delle due proposte. In prima lettura, quindi senza votazione (ora tutto passerà al vaglio delle commissioni Affari istituzionali e sanità). Un confronto pacato, ma solo in apparenza. Perché la maggioranza di governo – costituita da Ssd, Civico 10 (movimento riformista) e Repubblica Futura (area del centrodestra) – è logorata dalla crisi economica e finanziaria e sembra orientata a cercare un compromesso, un colpo alla botte e uno al cerchio, con una legge che fonda insieme le due proposte. Mentre la Democrazia cristiana – che è all’opposizione e qui, sì, ancora sopravvive – si fa portavoce di tutta l’ostilità della potente Diocesi di San Marino-Montefeltro, che esercita ancora molta influenza.

“E il nostro timore adesso – spiega Muratori del comitato per la legalizzazione dell’ivg – è che il governo cada e che si debba ricominciare tutto da capo”.

 

“Basta oscurantismi”

Anche fuori dai palazzi della politica, è muro contro muro. Tra gli antiabortisti, c’è chi si è spinto a paventare correlazioni tra aborto e tumori. Il comitato “Accoglienza alla vita” ha profetizzato anche la fine di San Marino, richiamando il problema della denatalità, e conferendo legittimità alla famiglia solo se genera figli.

“Un’offesa per tutte le donne che fanno altre scelte – dice Marika Montemaggi, parlamentare di Civico 10, area centrosinistra – e per tutte le famiglie non tradizionali. San Marino deve decidersi ad affrontare il problema. E a me non basta uno Stato che si limita a depenalizzare. Serve anche un progetto complessivo che aiuti le donne. È ora di uscire dall’oscurantismo”.

La nave Gregoretti è ancora davanti al porto di Catania

La nave della Guardia Costiera con a bordo i 135 migranti recuperati in due distinte operazioni di salvataggio nella serata del 25 luglio resta ferma ancora davanti a al porto Catania. In attesa che il Viminale indichi il luogo di sbarco, cosa che dovrebbe avvenire in giornata. Matteo Salvini aspetta che dalla Commissione europea arrivino garanzie certe sulla presa in carico di tutti i 135 migranti anche se come scritto dal Fatto ieri, l’ordine di sbarco è imminente. Graziano Delrio capogruppo del Pd lo accusa di fare “propaganda come sempre sulla pelle delle persone”. La vicenda della nave Gregoretti si configura così come un nuovo caso Diciotti quando il ministro dell’Interno finì indagato con l’accusa di sequestro di persona aggravato da parte della procura di Agrigento ma fu poi salvato dalla Giunta per le immunità del Senato. Stavolta, però, sarà un altro procuratore – Carmelo Zuccaro – a decidere come muoversi, nel caso avvenga lì lo sbarco. Il Governo italiano ha inviato una lettera a Bruxelles chiedendo alla Commissione di coordinare le operazioni di ricollocazione dei migranti.

Italiani sempre più vecchi: le badanti (straniere) ci curano

Il dibattito politico è circoscritto ai porti chiusi o no, alle onlus “trasparenti” o no, o magari al muro da erigere, “all’ugherese” verso est. Nulla o quasi dice dei veri problemi di fondo che ci porteremo dietro per decenni. Chi pensa al calo ormai sena freni delle nascite (confermato dall’ultimo Rapporto Istat) e che richiederebbe subito un pacchetto di misure per le giovani coppie? Chi pensa davvero all’invecchiamento della popolazione italiana, a partire dalla ricca Lombardia e quindi alla crescente, esponenziale necessità di colf e di badanti, ovviamente in gran parte straniere? O ci si illude che ci penseranno i robot?

I dati reali Ufficialmente i lavoratori domestici regolari sono 864.526 mila ma il rapporto Domina ne stima circa 2 milioni. Nel 2016 le badanti erano calcolate in 909.000, delle quali soltanto il 41,7 % regolari cioè poco più di 379.000 (dato Inps). Il 58,3 % irregolari cioè poco meno di 530.000.

Secondo Il Sole 24 Ore con le badanti a carico dei privati lo Stato risparmia circa 6,7 miliardi l’anno. Più 671 milioni di contributi e tfr per quelle a contratto. Lo stesso autorevole giornale fa notare che in Italia soltanto una piccola quota degli anziani viene ricoverato stabilmente in strutture residenziali. Asl e Comuni coi loro servizi domiciliari possono assistere rispettivamente 650.000 e 130.000 anziani. Ma per periodi molto brevi e intermittenti. Decisamente pochi, considerando che gli anziani non autosufficienti stabili sono calcolati in 800.000. Quindi stabilmente ci devono pensare le famiglie sacrificandosi e spendendo.

In Europa invece almeno il 5% può lasciare la propria casa per essere assistito altrove. Ai privati italiani è così toccato nel 2016 un carico salario+contributi+tfr pari a 7,3 miliardi di euro. Più la spesa “in nero” che assomma a un altro pacco di miliardi non calcolabili.

Nel 2050, persistendo la denatalità (che i dati 2018 mostrano in aggravamento), gli ultra 75enni saliranno da 7 a 12 milioni (+74%). Esse rappresenteranno il 21% della popolazione contro l’11% di oggi.

Il boom atteso Il grosso delle badanti è concentrato ovviamente nelle regioni più ricche e dove comunque è più forte l’occupazione femminile e cioè Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. Seguite da Veneto, Piemonte, Lazio e Sardegna.

Per il 2030, cioè per domani, gli studi più seri fanno prevedere che proprio in quelle regioni ci vorranno altre 500.000 badanti. A cominciare proprio dalla Lombardia di Salvini con un più 73.000, seguita da Emilia-Romagna, più 52.000, Toscana, Lazio Veneto e Sardegna, più 40.000 ognuna.

Se andiamo ad analizzare il complesso delle lavoratrici e dei lavoratori domestici, vediamo che essi superano i 2 milioni di cui quasi il 60 % non in regola (stime Istat). Di questi 2 milioni, gli stranieri formano il 73%.

Che ne vogliamo fare? Li buttiamo a mare o a fiume? Fino a qualche anno fa con le sanatorie si provvedeva a periodiche regolarizzazioni. Ora ci vorrebbe qualcosa di più preciso, di più chiaro e duraturo. In genere le sanatorie comportano un effetto positivo nell’immediato che poi non dura. Ma per fare di meglio, bisogna vedere gli immigrati con occhio realistico e insieme civile (se non fraterno).

Intanto prendiamo atto che il 73 % delle lavoratrici e dei lavoratori domestici ha spesso radici profonde. Le rimesse di questi lavoratori ai rispettivi Paesi viene calcolato in 1,4 miliardi di euro da parte di 632.000 lavoratori domestici regolari in Italia provenienti da: Est Europa (43%), Asia (26,9), Africa (5,8), Americhe (8,4), Ovest Europa (0,4). L’Italia fornisce ormai soltanto il 26,9 % dei lavoratori domestici regolari. Quali saranno i potenziali beneficiari di questa assistenza domestica fornita in grande prevalenza da straniere e stranieri?

Futuro nero Nel 2050 la popolazione con almeno 80 anni sarà d 7,9 milioni di persone (13,6 % del totale) cioè un aumento di 3,7 milioni sul 2017. Sempre nel 2050 la popolazione da 0 a 14 anni sarà di 6,9 milioni di persone (12,0 % del totale) con una riduzione di 1,1 milioni sul 2017

Questi sono i veri, stringenti problemi per l’assistenza agli anziani nel Paese ormai più “vecchio” del mondo insieme a Giappone e Germania. Invece di pianificare il nostro futuro prossimo e venturo il vero leader del governo Matteo Salvini si preoccupa se una quarantina di nuovi disperati si affaccia ai nostri porti.

Poi ci sono i problemi per l’occupazione industriale, agricola, commerciale, turistica, per i lavori usuranti che i giovani italiani rifiutano. Ma quello è un altro (gigantesco) discorso. Parliamo pure di Onlus colluse, di porti chiusi, di Europa matrigna. Andremo sicuramente lontano. O a fondo.

I dati sono tratti da ricerche dell’Istat, dell’Istituto Domina, della Fondazione Leone Moressa, da Info/lavoce.

M. Teresa Baldini (FdI) dà la colpa a Renzi. Il Pd: “Si dimetta”

“Una parlamentare della destra mi ha accusato di essere responsabile politico e morale dell’omicidio di Mario Cerciello Rega. L’Italia si deve stringere intorno all’Arma e alla sua famiglia. Le persone perbene devono chiedere le dimissioni degli sciacalli”. Lo scrive su Twitter il senatore del Pd Matteo Renzi, pubblicando il link alla petizione lanciata sul sito dei Comitati civici, per chiedere le dimissioni della deputata di Fdi Maria Teresa Baldini. “Chiediamo che la deputata di FdI, Maria Teresa Baldini, si dimetta – per rispetto del nostro Paese e di tutti i cittadini italiani”. È il testo di una petizione lanciata dalla Dem Elena Bonetti, sul sito dei Comitati civici. “Nelle prime ore dall’accaduto, una deputata di Fratelli d’Italia ha l’indecenza di strumentalizzare il drammatico assassinio individuando senza prove i colpevoli in due migranti e attribuendo la responsabilità “morale e politica” dell’accaduto a Matteo Renzi, chiedendo che “i responsabili politici – di cui uno abita sui colli Fiorentini – siano processati non solo dalla storia ma anche dalla giustizia. Un carabiniere viene ucciso. Anziché stringersi nel cordoglio e schierarsi contro la violenza, questa deputata dà prova di sciacallaggio meschino e indecoroso“.

Il dipartimento Usa darà assistenza ai due studenti

Gli stati Uniti offriranno a Gabriel Christian Natale Hijorth e Finnegan Lee Elder l’assistenza consolare appropriata, come sempre avviene nei casi di cittadini Usa arrestati all’estero. Il Dipartimento di Stato, tramite un portavoce, si è detto al corrente del caso ma non si è sbilanciato in nessun altro commento. Intanto la vicenda dei due 19enni di San Francisco fermati a Roma per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega rimbalzano sui media americani che, nel raccontare l’incidente, ricordano il caso giudiziario di Amanda Knox, condannata e poi assolta per l’omicidio di Meredith Kercher. “La narrativa è per ora dettata dalla polizia”, afferma la corrispondente della Cnn a Roma, constatando come sulla vicenda ci sono ancora molti punti da chiarire. “Aspettiamo di sentire anche la versione dei ragazzi. Il legale di uno di loro per ora ha rivendicato il diritto a non rispondere”, aggiunge la Cnn. Le autorità americane per ora mantengono il riserbo, limitandosi solo a ricordare i servizi che il Dipartimento di Stato offre in casi analoghi, dall’aiuto a contattare avvocati che parlano inglese all’assicurare che sia fornita l’appropriata assistenza medica, all’offerta di indicazioni generali sui sistemi giudiziari.

“Lo Stato assente”: Di Maio punge Salvini

“Lo Stato deve farsi un esame di coscienza, Mario si è ritrovato a combattere da solo e non ce l’ha fatta. Si poteva evitare tutto questo? Io dico di sì”. Il giorno dopo l’omicidio, la morte del carabiniere Cerciello Rega diventa (anche) caso politico: le parole del vicepremier Luigi Di Maio riaprono il dibattito sul tema della sicurezza nella Capitale, già in passato oggetto di scontro fra Lega e M5S.

“Chi conosce la città, sa bene che a Roma ci sono condizioni precarie di sicurezza, che questi giri di droga, spaccio, violenza, purtroppo sono all’ordine del giorno in certi quartieri e anche in centro. Non so di chi sia la colpa, non sono io a doverlo stabilire”. A Roma, si sa, governa proprio il M5S con Virginia Raggi, ma le dichiarazioni sembrano indirizzate più al collega di governo Matteo Salvini, titolare del Viminale, con cui già aveva polemizzato la sindaca.

Questione di slogan , e di numeri. La sicurezza è uno dei cavalli di battaglia della Lega, e uno dei temi più caldi in città. Il leader del Carroccio più volte se ne lamenta (il sospetto degli alleati/rivali è che sia anche per tirare la volata alle prossime Comunali), ma le forze dell’ordine nella Capitale sono effettivamente sottodimensionate. Al momento, i Carabinieri presenti in città oggi sono circa 4 mila, che salgono a 6 mila a livello provinciale. La Questura di Roma può contare su 6.749 unità in servizio, suddivisa in 49 commissariati e i vari reparti che controllano un territorio di 1.285 km quadrati, uno dei più estesi d’Europa. Il confronto non regge se si paragona ai 181 km quadrati di Milano, dove ci sono circa 4.000 agenti, oppure a Napoli che su una superficie di 117,3 km quadrati può contare su quasi 5.000 unità. Se facciamo un passo indietro di 30 anni, nel 1989, i poliziotti attivi su Roma erano 9.500, ovvero 3.000 in più di quelli in servizio oggi. Discorso simile per la polizia locale, che secondo la pianta organica della Regione avrebbe bisogno di 8.500 unità, e invece ne conta 6 mila: di questi, appena 3.600-3.800 (il 60%) sono operativi sulle strade.

Anche per questo dal Viminale lo scorso ottobre avevano promesso “154 poliziotti in più” per Roma e provincia, oltre a 100 unità carabinieri entro novembre. La sindaca Raggi (dopo la morte di Desirèe al quartiere San Lorenzo) aveva accusato Salvini di propaganda: “Roma ha bisogno di più poliziotti, non è possibile aspettare”. “A Roma nel 2018 sono arrivati 55 poliziotti in più, entro febbraio ne arriveranno altri 75, entro fine anno altri 75 e siamo a 200, con i soldi in manovra almeno altri 50. In totale sono 250 in più, prima di me tagliavano”, aveva assicurato Salvini. Dopo l’ultima tragedia, la sindaca ha però nuovamente ricordato le carenze di personale (stavolta senza citare direttamente il Viminale). Evidentemente la situazione non è stata risolta.

Caccia al colpevole: nel dubbio diciamo che sono magrebini

“Devo esternà! Devo esternà!”. Così urlava, all’alba degli Anni 90 del secolo scorso, uno strepitoso Corrado Guzzanti nei panni dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, schiavo della sua necessità di “esternare” su ogni cosa. Colpiva, allora, l’inusuale e spesso inopportuna verbosità del capo dello Stato. Oggi quell’imitazione farebbe molto meno ridere: il dichiarativismo compulsivo, si sa, è da tempo la cifra della politica social e – ovviamente – non poteva fare eccezione la tragedia del vicebrigadiere Marco Cerciello Rega.

La prima agenzia che da notizia dell’omicidio è delle 8:58 e già in quelle poche righe (ed è uno dei punti ancora da chiarire di questa vicenda) si parla di un colpevole “probabilmente nord africano”. La parola “nordafricano” causa al ministro dell’Interno il riflesso condizionato del dottor Stranamore, ma invece che stendere il braccio lui mette mano alla tastiera vergando il tweet della “caccia al bastardo” a cui augura “lavori forzati in carcere a vita”, perché – come avrà modo di specificare in una strepitosa “intervista” a Unomattina Estate poco dopo – “è troppo facile uccidere e poi stare sdraiati sul lettino”.

Unomattina, appunto. Le notizie sono ancora del tutto frammentarie, eppure durante la trasmissione Rai condotta da Roberto Poletti, già biografo di Matteo Salvini, un giornalista in collegamento informa (non sono ancora le 10 di mattina) che si sta dando la caccia a due “magrebini senza fissa dimora”, che presumibilmente “vivono nelle baraccopoli lungo il Tevere”, fuggiaschi membri di “bande dedite a scorribande criminali per il centro di Roma in cui detengono il monopolio del malaffare” che avranno probabilmente “trovato rifugio in qualche giaciglio di fortuna presso connazionali magrebini”, senza dimenticare che i nordafricani “usano le armi corte e sono molto abili nel maneggiare i coltelli”. Amen.

A quel punto interviene in diretta Salvini, che senza aspettare gli sviluppi delle indagini accredita senza problemi le prime versioni, minaccia di “prendere a calci” uno per uno gli irregolari entrati in Italia e financo resiste alla bordata del conduttore Poletti che lo incalza con un “Quindi ministro, sta dicendo a chi ci ascolta che la musica è cambiata?”. Nella fake news casca anche l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: “Aveva 35 anni –twitta – Mario cerciello accoltellato a morte stanotte durante un controllo su due sospetti nordafricani. Onore alla vittima”

La bufala dei colpevoli africani viene poi alimentata in rete nel pomeriggio (come ieri ha ricostruito Wired) da gruppi Facebook e Twitter amministrati da militari dell’Arma e della Guardia di Finanza (box a lato). Poi la svolta, i colpevoli sono due americani, che non dormivano in baraccopoli lungo il Tevere ma in un lussuoso albergo a 100 metri dal luogo del delitto. Un caso risolto a tempo di record grazie al lavoro (silenzioso) degli investigatori.

Ventiquattr’ore dopo, nessun imbarazzo, anzi. In fondo Salvini non fece un passo di lato nemmeno quando – era il dicembre 2018 – con il suo consueto tweet di prima mattina rischiò di compromettere un’operazione della Procura di Torino contro la mafia nigeriana, scatenando le ire dell’allora procuratore Armando Spataro. Il vicepremier, invece di scusarsi, invitò Spataro “ad andare in pensione”, ben sapendo che la cosa sarebbe effettivamente accaduta dopo poche settimane.

E quindi, avanti con i tweet: “Sperando che l’assassino del nostro povero carabiniere non esca più di galera – ha scritto ieri Salvini – ricordo ai buonisti che negli Stati Uniti chi uccide rischia la pena di morte. Non dico di arrivare a tanto, ma al carcere a vita (lavorando ovviamente) questo sì!”. E poi, il momento dadaista. Un video in cui un malcapitato lamenta di essere stato aggredito da otto persone su cui giganteggia la scritta: “Passante aggredito da gruppo di immigrati”. Il ministro così commenta: “Roba da matti… L’altra sera a Reggio Emilia quest’uomo è stato riempito di calci e pugni da un gruppo di immigrati. Io non cambio idea: per chi non scappa dalla guerra ma la guerra ce la porta in casa, TOLLERANZA ZERO. Punto”. Il video è difficile da contestualizzare (probabilmente si riferisce ai tafferugli provocati da un gruppo di gambiani alla Stazione di Reggio dopo la morte di un loro connazionale travolto da un treno), ma tanto basta per scagliarsi contro lo straniero. La timeline dei social di Salvini (tra gattini randagi, tenere foto di famiglia e insulti alla “zecca comunista” Carola) è un continuo enfatizzare i fatti di cronaca che hanno come protagonisti immigrati. Avanti così, fino al prossimo “bastardo” (altrimenti si rischia di parlare di rubli).

Un ministro dell’Interno dovrebbe avere più contegno e stile? Risposta evidente, ma purtroppo domanda inutile. Funziona. E forse nemmeno Guzzanti riuscirebbe a farci ridere imitando Salvini.

L’omicida si rifiuta di parlare e la strana telefonata al 112

La dinamica dell’omicidio del vicebrigadiere Brega sembra lentamente delinearsi, ma restano ancora non poche zone d’ombra. Per il momento sappiamo che Mario Cerciello Rega ha perso la vita giovedì notte, freddato da otto coltellate. Ad infliggerli è stato il giovane americano Elder Finnegan Lee, da pochi giorni a Roma in vacanza, che ha confessato nel corso del primo interrogatorio di aver ucciso il carabiniere, ma ieri davanti il gip si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Nella sua stanza d’albergo, al Meridien Visconti in zona Prati, dove alloggiava insieme al connazionale italoamericano Christian Gabriel Natale Hjorth, gli inquirenti hanno trovato un coltello di notevoli dimensioni sporco di sangue, nascosto dietro a un pannello del soffitto, e i vestiti indossati durante l’aggressione. Nella stanza c’era anche un flacone di xanax, un ansiolitico, e le autorità sospettano che i due americani fossero sotto l’effetto dell’alcool, al momento dell’aggressione.

Restano però dei dubbi, sulla dinamica degli eventi. Innanzitutto bisognerà chiarire la figura di Sergio Brugiatelli, che risulterebbe incensurato, ma secondo gli inquirenti sarebbe molto conosciuto nella zona di Trastevere. Avrebbe rilasciato più dichiarazioni alle autorità, spiegando l’incontro con i due americani e il suo ruolo nella compravendita della sostanza stupefacente.

Sarebbe stato lui a condurli da un “uomo con un cappello nero”, presumibilmente il pusher. Secondo la ricostruzione dei ragazzi, Natale che conosceva la lingua italiana, si sarebbe avvicinato allo spacciatore per trattare l’acquisto, mentre in disparte sarebbero rimasti Finnegan Lee e Brugiatelli.

In quel momento però sarebbero comparse altre persone. La situazione sarebbe stata un po’ tesa, e per questo motivo i due ragazzi sarebbero fuggiti dopo aver acquistato la roba. Scappando uno dei due giovani, avrebbe portato con se la borsa di Brugiatelli, che l’aveva lasciata agli americani come garanzia per l’acquisto della droga.

L’uomo ha raccontato di aver usato il telefonino di un passante, per chiamare al suo cellulare che si trovava dentro la borsa. I due giovani avrebbero risposto inferociti, perché il loro acquisto non era andato a buon fine, si erano trovati con dell’aspirina invece della cocaina. Quindi avrebbero preteso un grammo di cocaina e 100 euro in contanti, per lo scambio.

A questo punto però c’è un altro dubbio. Brugiatelli spiega di aver chiamato i carabinieri denunciando il furto e la tentata estorsione. Non avrebbe spiegato però che fosse stato il tramite dei due americani, mentendo sulla loro identità, e raccontando che due maghrebini lo avevano derubato di uno zainetto, dove dentro si trovavano documenti, un telefonino e altri oggetti personali.

La centrale dei carabinieri dirama una comunicazione, chiedendo di poter intervenire per un possibile cavallo di ritorno in via Pietro Cossa, nella zona di Prati.

Ad intervenire sono il vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega e il collega Andrea Varriale, che niente hanno a che vedere con Brugialetti, com’era stato ipotizzato in precedenza. I militari infatti, facendo servizio a piazza Farnese, non erano a conoscenza di chi fosse l’uomo.

All’incontro si presentano i due giovani americani, uno dei due con un coltello nascosto. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due carabinieri erano armati, e avrebbero mostrato il distintivo spiegando di essere dei militari in servizio.

“Non pensavo fosse un carabiniere – ha raccontato l’omicida –, avevo paura di essere nuovamente ingannato”.

L’altro americano invece ha spiegato che non aveva capito si trattasse di un militare.

Gli inquirenti hanno spiegato che al momento dello scambio, Brugiatelli non era presente, ma si trovava nelle vicinanze. Fonti de Il Fatto invece, raccontano che l’uomo era in compagnia dei due militari. Lo stesso vale per la presenza delle volanti, che sarebbero state pronte ad intervenire in supporto dei due carabinieri. Risulterebbe invece, che i due uomini non siano stati coperti, e che non sia stata seguita la procedura.

Due giorni e due notti di discussione: passa la legge anti-omofobia

La legge nazionale ancora non c’è. Ma almeno in Emilia Romagna ieri è arrivato il via libera alle norme contro le discriminazioni omofobe. Non è stata una passeggiata nemmeno lì: ci sono volute 40 ore di votazioni in consiglio regionale prima di arrivare all’approvazione. Il che fa dire al segretario dell’Arcigay Gabriele Piazzoni che si tratta di “una vittoria per nulla scontata”. “Siamo consapevoli dei limiti del testo, in particolare dell’emendamento che ribadisce i vincoli della legge 40 in tema di gestazione per altri, del tutto fuoriluogo in questa legge – prosegue Piazzoni – ma non possiamo non esultare per come la maggioranza dell’aula, formata da Pd, Sinistra Italiana e Gruppo Misto, con il sostegno del M5S, ha saputo tener testa all’attacco violentissimo delle destre alle nostre istanze, che si è tradotto in una maratona senza precedenti”. La seduta è in effetti durata due giorni e due notti: il centrodestra aveva presentato 1.787 emendamenti che sono stati discussi e votati uno per uno. Il via libera definitivo è arrivato alle tre e mezza del mattino.

“Combattete al governo”. “No, basta così”

Venerdì Il Fatto ha pubblicato numerose lettere arrivate in redazione dopo l’annuncio del Sì al Tav da parte del premier Conte, accompagnato dagli interventi di Tomaso Montanari e Stefano Feltri sul tema delle responsabilità dei Cinque Stelle in questa fase storica. Il dibattito continua: ecco cosa ci scrive un lettore e cosa risponde Montanari.

 

Caro Montanari, sono terrorizzato dall’idea che, nonostante la resistenza, tra quattro anni ci ritroveremo comunque con Salvini a palazzo Chigi, e soltanto perché nel frattempo il M5S sarà percepito come il freno a mano che ha impedito alla Lega di “cambiare” davvero l’Italia. Sostenevo il ritorno alle urne in tempi non sospetti, fin da quando nessuno volle fare un governo con il M5S, quando i sondaggi prevedevano un Movimento in viaggio vero il 40%, o un governo che non avesse bisogno di tutti i dem per essere avviato. Adesso, l’unica possibilità per il M5S è smetterla di giocare pulito con un alleato che gioco sporco e porre fine a questa sudditanza. L’unica speranza giace nello stracciare il contratto (o lasciarlo nelle mani di Conte), imporre ovunque la loro agenda e fare a gara con Salvini a chi finisce prima le cartucce, costringendo il Pd a essere la sponda di qualcuno. E se il governo deve cadere, cada per colpa degli altri.

G.C.

 

Caro lettore, lo scenario che lei prospetta è quello, teoricamente, preferibile. Restare al governo col coltello tra i denti, e fare quello che non si è fin qui fatto: far rispettare le proprie idee e i propri numeri. Ma queste idee ci sono mai state? E, se sì, ci sono ancora? Questi mesi hanno mostrato che il ceto dirigente di un Movimento senza democrazia interna è animato quasi solo da ambizione personale. Per resistere come lei suggerisce, ci vogliono invece una determinazione e una volontà straordinarie. Prendiamo la questione cruciale: è in grado Toninelli di mettersi di traverso ad ogni passaggio verso il Tav, con una guerriglia istituzionale efficace? È nella posizione di farlo, se vuole. Ma ne è capace? Ho potuto constatare personalmente come anche nei ministeri del Movimento (penso ai Beni culturali), il Movimento stesso non sia riuscito a imporre la sua politica: per mancanza di chiarezza mentale, per divisioni profonde, incapacità, timidezze, scelte di personale sbagliato. Questo in tempo di pace: figuriamoci se si scende in trincea contro il condomino di governo. Si tratta ora di scommettere sul male minore, e avendo visto il Movimento al governo, francamente penso che difficilmente si farà più male all’opposizione. Ma il problema è più di fondo: tutti conosciamo ormai la visione – distopica e nera – della Lega di Salvini. Nulla abbiamo invece capito dell’idea di società e di mondo dei Cinque Stelle: e senza una visione, un obiettivo, un progetto è impossibile non dico vincere, ma anche solo combattere. Le macerie del Pd stanno lì a dimostrarlo.

Tomaso Montanari