Le sinfonie di Beethoven e il Muro si è sgretolato

Il muro di Berlino è diventato memoria in tanti modi diversi, anche per la stessa persona. È il 1989, un anno che sarebbe restato senza volto se non fosse stato per l’attivismo un po’ frenetico di Ronald Reagan che, da attore, impersonava il ruolo di presidente degli Stati Uniti, simpatico, cordiale, aggressivo, pericoloso, invischiato, sia prima che dopo, in eventi segreti (Iran e Nicaragua) in guerre locali, in attacchi di poche ore e nessuna spiegazione (proteggeva Saddam, bombardava Gheddafi) e della capacità unica, si può dire, per un presidente conservatore, di diffondere ottimismo e una certa fiducia.

La caduta (si dovrebbe dire il crollo) del muro di Berlino è stato il grande evento che ha squassato e cambiato quell’anno, quel decennio, ma ha avuto la forza, difficile da spiegare, di cambiare del tutto il prima, non solo il dopo. Tutti noi attivi in quegli anni, abbiamo ancora ben radicata l’immagine del Check Point Charlie, uno stretto cunicolo grigio scuro di strada armata e sorvegliata: soldati, polizia, agenti scoperti, agenti coperti, agenti segreti, infiltrati, provocatori che cercavano tutto, toccavano tutto, anche la carta da pacco, sotto e sopra, e ogni ispezione appariva interrotta, non finita, e ognuno restava un sospetto.

Check Point Charlie era l’unico modo di compiere una operazione magica: passare da una città luminosa e ricca a una città scura e povera, strade deserte, passanti come comparse di un film denigratorio, auto (pochissime) come in una parodia malevola. E il teatro di Bertolt Brecht, che ogni volta si andava a vedere, polveroso e grigio come il resto dei luoghi intorno, dove tutto, persone e cose, aveva l’aria di andare verso una dignitosa estinzione.

Check Point Charlie è stata per decenni una triste Disneyland del comunismo al potere. Ma nessuno poteva prevedere la portata del crollo, che ha distrutto tutto il prima, fatto di orgoglio per la vittoria contro il fascismo e il nazismo della seconda guerra mondiale, e aveva dato a ciascuno, nel mondo libero, una pretesa di protagonismo e di controllo libero del destino che è evaporato di colpo. Ora, con quello che abbiamo vissuto e sperimentato da allora, non è fuori posto spingere avanti i pezzi di quel che ci resta di allora (memoria, storia, emozioni, euforia, paura) senza metterli in ordine. Perchè il disordine che allora sembrava festoso sul grande evento che ha reso memorabile il 1989, è rimasto con noi, un disordine che non è più finito e anzi è una macchia che si allarga sempre di più e impedisce di capire bene il prima e di intravedere il dopo, che è diventato un terribile gioco a mosca cieca. L’evento “muro” per me si colloca fra due persone. Una è Kurt Masur, il grande Direttore d’orchestra tedesco che, benchè vivesse a Berlino East, era uno dei pochi grandi che poteva viaggiare, e a New York lo incontravo al Carnegie Hall o al Metropolitan Theatre. Dopo il muro l’ho intervistato a Bologna (dove era venuto a dirigere un concerto) per un libro e un documentario dal titolo Il terzo dopoguerra e ho avuto da lui la storia dei suoi giovani violinisti. Erano andati a suonare davanti al muro ancora intatto, ed erano stati arrestati. Masur allora ha portato tutta l’orchestra sotto il muro e benchè circondato da soldati armati, ha diretto, come in un rito magico, tutte le sinfonie di Beethoven, “e il muro è crollato” (sto citando lui).

Infatti i soldati sono scomparsi e sono arrivati i ragazzi delle picconate e della apertura dei primi varchi. “Sul momento – diceva Mansur – è sembrato davvero che l’Inno alla Gioia fosse magico”. Anche l’altro protagonista della mia memoria del muro è un artista, un artista da strada che ho conosciuto molto dopo. Lui – Kiddy Citney – dipingeva sul posto tutti i pezzi di muro che gli cadevano intorno, dipingeva soprattutto con un viso di donna che lo ha poi reso famoso nelle Gallerie e nelle mostre.

Io ho avuto da lui in regalo un suo pezzo di muro solo pochi anni fa. Devo aggiungere una scena che mi è chiara come un film ma che resta sospesa nell’irrealtà come un sogno: una “motorcade” di molte limousine nere con una scorta immensa sta muovendosi lungo Park Avenue, a Manhattan in un pomeriggio di sole, i passanti diventano folla che applaude. Poi sempre più folla che accorre dalle strade laterali. La motorcade si ferma, le moto e i blindati di scorta non sembrano avere ordini. Ma da una delle auto nere scende, da solo, Gorbaciov e comincia a stringere mani.

E so benissimo che non siamo in sequenza temporale corretta per questa sequenza. Ma è legata alla caduta del muro, al fatto che ha reso unico nelle nostre vite il 1989. Unico e ingannevole.

Il vento di euforia, a momenti di gioia, a momenti di incontrollata speranza che stava agitando i sentimenti e le bandiere del mondo, era una falsa spinta verso qualcosa che non accadeva e non sarebbe accaduto. Stava iniziando la grande discesa sempre meno controllata, sempre meno conosciuta , dove persino i disastri non sono soltanto un complotto o un malevolo piano. Sono una sorta di accidente che si ripete, dove il male, come se fosse stato liberato da una sua prigione, vaga in cerca di protagonisti, e costringe a uno stato di guerra che, dopo molti sobbalzi e molte finte vittorie, abbiamo cominciato a organizzare noi stessi, munendoci della indifferenza e della crudeltà necessarie, perdendo, come il nemico o presunto nemico, sempre un po’ più di umanità, e arrivando al punto da promettere la costruzione di muri dovunque, gettando intanto sulla strada di altri esseri umani tutto il filo spinato che riusciamo a trovare, il più tagliente possibile e dedicando insulti e disprezzo a chi, nonostante tutto, riesce a passare. No, il 1989 è stato un grande anno. Ma non è finito bene.

 

L’anima nera della Brexit senza compromessi

Boris Johnson ha inaugurato il suo mandato da premier con un brutale rimpasto di governo: fuori i ministri leali alla May e quelli contrari al no deal. Rigetta così, da subito, la linea che ha dominato il governo May: quella del compromesso, sia con la corrente moderata del proprio partito che con l’Unione Europea. Promette una “nuova età dell’oro” per il Regno Unito e un nuovo accordo con Bruxelles da cui scompaia la clausola della back-stop. “Inaccettabile” è la immediata reazione europea. Improbabile che Johnson, che conosce Bruxelles, creda davvero di poter riaprire il negoziato nei 98 giorni che restano prima della scadenza del 31 ottobre, in cui ha promesso che Brexit sarà, con o senza accordo. Ma in 98 giorni può riuscire a ottenere una crescita di consensi tale da garantirgli la vittoria in caso di elezioni anticipate, assicurandosi 5 anni di governo. Che questo sia il suo vero obiettivo lo fa pensare la nomina a consigliere speciale di Dominic Cummings, geniale quanto spregiudicato stratega della campagna Vote Leave, l’uomo che inventò lo slogan vincente Take back control e l’efficace quanto falsa promessa, riprodotta su autobus itineranti, di 350 milioni di sterline in più a settimana per il servizio sanitario nazionale una volta usciti dall’Ue. Non a caso si è rifiutato di comparire di fronte alla commissione ministeriale che indaga sulle fake news e per questo colpevole di oltraggio al Parlamento. Secondo lo sceneggiatore di Uncivil War, miniserie di Channel 4 sulla battaglia per il referendum in cui era interpretato da Benedict Cumberbatch, a Westminster molti lo definiscono “Anticristo” o “Pseudo-intellettuale”, altri “Genio” o “messia”. Laureato in storia ad Oxford, 47 anni, Cummings è stato a lungo nello staff di Michael Gove, uno dei big del partito conservatore, ed ha tentato varie strade prima di accettare l’incarico di guidare la campagna per il Vote Leave.

Ma non è uomo di pubbliche relazioni: dopo il trionfo al referendum, quando poteva avere tutto, si è ritirato a vita privata. Piuttosto è l’ideologo, solitario, sprezzante di fama e denaro, anarchico, non ortodosso, di una rivoluzione anti-sistema che ha come primo obiettivo la macchina del governo britannico, che lui considera un intreccio perverso di interessi di parte e chiama “the blob”. Dal suo blog personale invoca lo smantellamento delle attuali strutture di potere governative, sostiene che i più alti funzionari non abbiano le capacità necessarie per far funzionare un governo moderno e chiede la creazione di team d’élite, esterni alla pubblica amministrazione, che ne prendano il posto nell’indirizzare le politiche governative.

È divisivo, controverso, detestato anche da molti Brexiteers per il suo radicalismo e la sua lingua tagliente. E nel suo nuovo incarico non può che scontrarsi ferocemente proprio con quei dipartimenti pubblici che tanto disprezza. Pochi scommettono sul fatto che duri a lungo nello staff di Boris. Ma potrebbero bastare 98 giorni o poco più.

La Sinistra si fa i dispetti: niente fiducia a Sanchez

No Podemos, no. Con 155 voti contrari, 124 a favore e 67 astenuti, alla seconda votazione a maggioranza semplice, ieri è definitivamente fallita l’investitura del premier incaricato Pedro Sánchez a capo del governo spagnolo. A sfilarsi, astenendosi, è stata la coalizione della sinistra radicale Unidas Podemos guidata da Pablo Iglesias, dopo una settimana e una mattinata al cardiopalma alla ricerca del compromesso perfetto per entrambi gli attori.

“Impossibile, ci hanno chiesto letteralmente il governo intero”, aveva dichiarato già di primo mattino la vicepresidente del governo uscente, Carmen Calvo, designata per i negoziati con Podemos. “Ci vogliono affidare un ruolo meramente decorativo”, aveva accusato a sua volta il mediatore di Podemos, Pablo Echenique. Dunque, niente governo monocolore come sperava il leader socialista, niente governo di coalizione come teorizzava Iglesias, niente esecutivo di cooperazione, come l’avevano ridefinito i socialisti in questi ultimi 20 giorni di tira e molla nella speranza di camuffare la strategia.

A far scegliere l’astensione è stato il ‘no’ alla proposta in extremis di Iglesias di ottenere – oltre alla vicepresidenza del governo per la compagna e co-leader Irene Montero – anche tre ministeri chiave per la sinistra: la Sanità, l’Università e l’innovazione scientifica più il dicastero del Lavoro. Quest’ultimo ha fatto traboccare la pazienza di Sanchez, la cui offerta era simile, ma con il ministero della Casa al posto di quello del Lavoro, e ha rimandato al mittente la richiesta a un’ora dall’inizio del voto di fiducia in Parlamento. Allora Iglesias ha rilanciato chiedendo non tutto il dicastero, ma le deleghe alle “politiche attive per il lavoro”. Si tratta delle misure – per lo più in capo alle comunità autonome – di gestione dei disoccupati, dai centri per l’impiego ai corsi di formazione. Il corrispettivo dei nostri navigator per il reddito di cittadinanza per intenderci, punti cardine per l’attuazione del programma elettorale di Podemos che ha promesso di smantellare la riforma del lavoro del governo Rajoy anche attraverso il sistema di aiuto alla disoccupazione. “Se mi obbliga a scegliere tra la presidenza della Spagna e le mie convinzioni, scelgo queste ultime” si è impuntato Sanchez nell’ultimo discorso prima di veder crollare ogni speranza di tenere il governo guadagnato riportando il Psoe quasi ai vecchi fasti alle elezioni del 28 aprile.

Unidas Podemos ha scelto di astenersi facendo mancare i numeri al “suo stesso governo”. Al seguito, non hanno votato i partiti autonomisti, a cominciare da Esquerra Republicana per Catalogna che con il capogruppo Rufián ha lanciato un monito: “Per quanti anni ci pentiremo a sinistra di quello che è successo oggi?”. Nessuno può dirlo perché non è escluso che un governo possa nascere. È partito ieri, infatti, il conto alla rovescia: c’è tempo due mesi perché le due sinistre trovino un accordo. L’alternativa è che si porti davanti al Re una nuova possibile maggioranza entro il 23 settembre. In caso contrario Felipe VI può sciogliere le Camere e il 10 novembre si torna a votare. Se così fosse sarebbe la “maledizione Sanchez”, la seconda sconfitta in 4 anni; a marzo 2016, per mancanza di fiducia da parte di un Parlamento molto più frammentato di quello di oggi, fu costretto a dimettersi dal suo stesso partito per lasciare il posto al Popolare Mariano Rajoy che – senza alleanze possibili – traghettò il Paese verso nuove elezioni. Una sconfitta tanto più cocente ora per Sanchez, uscito vincente seppur di misura dalle Politiche e acclamato leader dei socialisti in Europa. Una nuova impasse per la Spagna, con una destra molto più divisa del 2016 con i Popolari di Casado ai minimi storici e i centristi di Ciudadanos in crisi con Albert Rivera sempre votato al bullismo dell’ultradestra di Vox: “La banda non si è messa d’accordo per spartirsi il bottino”, ha irriso Sanchez in Parlamento aggiungendo “lei è molto meno tronfio di ieri”. Con un panorama così non è detto che andare alle urne a novembre sia risolutivo. Pensare che proprio ieri ci sarebbe stato da festeggiare: la disoccupazione in Spagna è scesa da oltre il 20 al 14%.

Chat violente: il governatore Rossello si dimette

A Hong Kong, spuntarla è difficile: dietro il governatore, c’è la Cina, un monolite politico. A Porto Rico, una Hong Kong dei Caraibi, teatro da giorni di proteste di massa, è più facile: dietro, ci sono gli Stati Uniti dello showman presidente, Donald Trump, che, quando sente puzza di bruciato, scarica subito i suoi interlocutori. Così, il governatore Ricardo Rossello cede alle pressioni della piazza e annuncia la sue dimissioni, effettive dal 2 agosto. A prendere il suo posto ad interim, in attesa delle elezioni, sarà il segretario alla Giustizia del Territorio statunitense, Wanda Vazquez. Nei giorni scorsi, Rossello s’era già impegnato a non candidarsi per un nuovo mandato e a lasciare la guida del suo partito. Grande un po’ più della Corsica e con quasi 4 milioni di abitanti, l’arcipelago di Porto Rico potrebbe presto diventare il 51° Stato dell’Unione: un referendum lo decise nel 2012.

Rossello riconosce che le manifestazioni con centinaia di migliaia di persone a chiedere le sue dimissioni, e le procedure di impeachment delineatesi gli impediscono d’andare avanti. Le proteste erano state innescate dalla diffusione di conversazioni del governatore con suoi alleati contenute in una chat criptata: insulti alle donne, agli avversari e agli elettori, comprese le quasi 3.000 vittime dell’uragano Maria che ha devastato l’arcipelago nell’ottobre 2017. All’inizio della settimana, due navi da crociera avevano cancellato la loro sosta a San Juan, facendo temere disastrose conseguenze delle proteste sull’economia locale, largamente basata sul turismo. Si stima che il mancato sbarco dei 15 mila passeggeri delle due navi sia costato ai portoricani 2,5 miliardi di dollari di mancati introiti.

Trump non ha mai difeso Rossello, anzi ne aveva più volte criticato la gestione degli aiuti federali dopo l’uragano Maria, 92 miliardi di dollari, in gran parte “sperperati e sprecati”.

Bulgaria: come rubare sul web i dati personali a una nazione intera

Storia di un hackeraggio record a un database-nazione: i dati digitali di cinque milioni di bulgari, cioè tutti gli economicamente attivi in un Paese di sette milioni, sono stati rubati. Il leak di dati pubblici più poderoso della storia del Paese e forse d’Europa: il 2019 sarà quello che tutti ricorderanno come l’anno zero della privacy bulgara, perché non esiste più.

La polizia ieri ha accusato di terrorismo due impiegati della società Tad Group. Ma anche qui ci sono stranezze: nonostante la gravità della contestazione, Georgi Yankov è stato fermato e poi rimesso in libertà; l’altro è Kristian Boykov, 20 anni, addetto all sicurezza del web della compagnia; rilasciato su cauzione, gli è stato intimato di non lasciare il paese. Gli investigatori ritengono che Boykov sia l’autore di una email con la quale un misterioso hacker russo offriva file sottratti all’agenzia fiscale ai media bulgari. Inoltre, i magistrati sostengono che i dati analizzati su uno dei computer di Boykov li porta a credere che il tecnico avesse in memoria i dati rubati, prima che fossero pubblicati online.

Due settimane fa i giornali bulgari ricevono una mail da un server russo, scritta in cattivo inglese. Indica che c’è stato un mega furto di dati sensibili soprattutto nei confronti della Nap, l’agenzia delle entrate bulgara. Altra leggerezza: una delle tv più seguite, canale Europa, ha mostrato il link del download contenuto nella mail degli hacker. È stato allora che tutti i bulgari hanno scaricato dati sull’assicurazione sanitaria e salari di amici, vicini di casa, colleghi e tutto il resto della nazione.

Ilia Temelkov, 28 anni, autore del programma Tranzistor, quando ha acceso il suo computer, si è accorto che tutti i suoi dati personali volavano veloce come la luce nei computer del resto della nazione. “La storia è deflagrata: indirizzi, pensioni e stipendi, spese sanitarie, informazioni fiscali e sui mutui. Perfino il numero della carta d’identità o indirizzi dei bulgari che vivono all’estero. In quel file in una parola sola c’è la Bulgaria tutta”.

Una delle letture per spiegare gli eventi contiene elementi di spionaggio che riporta alla Bulgaria terreno di sfida fra spie occidentali e di Mosca: dato che il governo ha comprato caccia americani, i soldati del web russo hanno attaccato. Il copione logoro della guerra delle spie e troll russi troverebbe in Bulgaria nuove fonti di ispirazione nella terra che pullula di quasi diecimila contatti russi trincerati negli uffici di Sofia. Ma la teoria del complotto internazionale con l’ombra di Mosca come protagonista forse è pari alla miopia digitale di un governo dai metodi grossolani.

Tra le poche certezze rimaste oggi a Sofia ci sono le parole di Boyan Yurukov, ingegnere informatico e analista bulgaro, che vive a Francoforte con lo schermo perennemente acceso . Quando Boyan ha iniziato a rilasciare interviste è stato accusato dal governo di essere l’hacker o di conoscerlo: “Non ci viene detto se è successo anche ad altre agenzie statali o se questa è la prima volta” dice Boyan. Anche gli algoritmi invecchiano e quelli della Nap secondo Boyan “non avevano alcuna profondità di elaborazione e sicurezza. Per questo furto dati non ci voleva Snowden”.

Il governo, prosegue l’analista “ora vuole bloccare il processo di digitalizzazione, giustifica la necessità della polvere dei faldoni di carta che rendono il paese arretrato, sono dei burocrati ma la situazione precipita: la gente non ha percepito l’estensione del danno, questi dati possono essere usati per qualsiasi frode, le persone in un attimo potrebbero perdere la loro vita, ma preferiscono essere cullate dalla semplificazione della propaganda”.

Intanto l’agenzia fiscale dovrà pagare una multa fino a 20 milioni di euro per aver permesso l’intrusione degli hacker. Secondo il quotidiano finanziario Capital, i dati trapelati includevano anche i file della rete antifrode dell’Unione Eurofisc, che consente alle amministrazioni fiscali nazionali di condividere informazioni e combattere le frodi organizzate a livello mondiale.

Precari nella Pa, l’Ue apre procedura di infrazione

La Commissione Ue ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per abuso di ricorso ai contratti termine nella pubblica amministrazione e per discriminazione dei lavoratori a tempo. La direttiva Ue sui contratti a tempo determinato prevede che i lavoratori abbiano le stesse condizioni dei colleghi a tempo indeterminato comparabili. Attualmente, spiega Bruxelles, la legislazione italiana “esclude da questa protezione diverse categorie di lavoratori del settore pubblico” fra cui la scuola e la sanità. La Commissione elenca in dettaglio alcune le categorie del settore pubblico in cui è garantita parità di trattamento: insegnanti, personale sanitario, lavoratori del settore dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, personale di alcune fondazioni di produzione musicale, personale accademico, lavoratori agricoli e personale volontario dei vigili del fuoco nazionali. Inoltre, “l’Italia non ha predisposto garanzie sufficienti per impedire le discriminazioni in relazione all’anzianità”. L’Italia ha ora 2 mesi per rispondere alle argomentazioni della Commissione, oppure la procedura passerà alla seconda fase.

Beni comuni, oggi il “Firma Day” per la legge nel nome di Rodotà

Oggi 26 luglio è un “Firma day” nazionale per i beni comuni. A promuoverlo sono il Comitato Rodotà e Generazioni Future, due soggetti animati, tra gli altri, da giurista Ugo Mattei che di Rodotà è stato vicepresidente della Commissione istituita nel 2007 presso il ministero della Giustizia e con il compito di redigere un Codice civile dei Beni comuni.

“Tutti i comuni italiani – spiega proprio Ugo Mattei – sono stati avvisati del loro obbligo di mettere a disposizione dei cittadini i loro uffici per poter firmare. Si tratta di un diritto costituzionale”. “Siamo davvero al rush finale – spiega ancora Mattei -, forse le firme sono state anche superate, ma vogliamo essere sicuri”. Il promotore di Generazioni future si trova al campo No Tav in Val di Susa e si dice molto contento dell’accoglienza trovata: “Firmano davvero tutti, anche come forma di reazione al disgusto di queste giornate e alla delusione per il voltafaccia sulla Tav: ora siamo davvero ottimisti”.

L’iniziativa è partita da diversi mesi e ora è allo sprint finale per arrivare alle 50 mila firme necessarie a far approdare il progetto in Parlamento.

Il “sogno” della Commissione Rodotà, una legge che regolasse i Beni comuni, distinguendoli da quelli pubblici e da quelli privati, si era arenato dopo il disegno di legge delega, frutto del lavoro della Commissione stessa.

Era sembrato che il tempo fosse di nuovo favorevole quando nel 2011 il referendum sull’acqua pubblica fu vinto da una iniziativa totalmente popolare. Ma le incapacità della sinistra di governo, e non solo, e le divisioni tra i vari comitati, non permisero di sfruttare l’occasione. E invece ora, nonostante i 5 Stelle al governo, il vento sembra essere di nuovo favorevole alle privatizzazioni e alla gestione liberista delle risorse “comuni”, come l’acqua, ma anche i vari beni comuni che sono legati all’ambiente e alla sua devastazione.

Il Comitato si prefigge di riportare al centro del dibattito pubblico la questione dei “beni comuni” attraverso la proposta di legge di iniziativa popolare, ma anche di costruire una rete permanente ad azionariato diffuso, una Società Cooperativa di Mutuo Soccorso fra generazioni presenti e future in difesa dei beni comuni. Azioni da 1 Euro, acquisibili una tantum da ogni persona fisica o giuridica durante e dopo la raccolta firme. Una rete solida e duratura pensata per rafforzare i legami e rendere più efficace l’azione comune.

La Borsa non crede a Bio-On: il titolo crolla ancora del 70%

Il terzo giorno del dramma Bio-On inizia con una battaglia di comunicati notturni: all’1.34 finalmente l’azienda bolognese risponde in modo dettagliato alle accuse del fondo americano Quintessential che, come anticipato dal Fatto, ha scommesso al ribasso prima di divulgare le informazioni raccolte in mesi di indagini sulla start-up bolognese della bioplastica che fino a martedì valeva in Borsa 1 miliardo. Bio-On si difende e denuncia il fondo per diffamazione, poco dopo Quintessential risponde con un altro comunicato che rivendica le accuse e pubblica il parere del commercialista che ha analizzato i bilanci Bio-On, Maurizio Salom.

Gli investitori – basta seguire le discussioni su forum come FinanziaOnline.com – si dividono: c’è chi ha capito di avere davanti una nuova “Parmalat a Bologna”, come dal titolo del report di Quintessential, e chi si ostina a credere alla storia di successo raccontata da dodici anni da Marco Astorri, il fondatore e presidente di Bio-On, che l’ha portata in Borsa nel 2014. Il mercato nel suo insieme per ora sembra stare però con il fondo guidato da Gabriele Grego che è di certo un investitore aggressivo e interessato, ma ha come modello di business quello di rivelare frodi nei bilanci e conti truccati e poi guadagnare sul conseguente crollo delle azioni. I titoli di Bio-On mercoledì erano stati scambiati per tre minuti, prima di essere sospesi da Borsa Italiana per eccesso di ribasso. Dopo quella caduta del 10 per cento, nei pochi minuti in cui sono stati scambiati ieri si è manifestato quel crollo ulteriore del 70 per cento del prezzo che il giorno prima era solo teorico. L’azienda sta precipitando, da 55 euro per azione a 15.

Nel suo sterminato comunicato stampa notturno Bio-On resta sul vago sui punti cruciali dell’attacco di Quintessential. Quante tonnellate di PHA, la plastica biodegradabile che è il cuore del business della società, viene prodotta dallo stabilimento di Castel San Pietro Terme costato 40 milioni invece dei 15 previsti? Non si sa, l’azienda si limita a dire che è sbagliato confrontare i costi con quelli di concorrenti più grandi come Novamont. A che punto sono i mille progetti annunciati con multinazionali spesso neppure nominate (come nel caso dell’iniziativa sul tabacco)? Mistero. Bio-On commenta le analisi e le previsioni sul prezzo fatte da banca Finnat, ma non chiarisce come si fa a prendere sul serio l’unico istituto che analizza il titolo visto che questo è socio di Bio-On in due joint venture. L’azienda guidata da Astorri prova a rassicurare: il modello delle joint venture – società con partner esterni guidate dagli stessi top manager Bio-On – funziona: nel 2018 il fatturato derivante da queste cessioni di diritti su tecnologie proprietarie è esploso a 51 milioni, anche se la cassa era negativa di 21 (non tutti i soldi non entravano davvero), ma nel 2019 sono già arrivati 12,5 milioni. E altri ne arriveranno.

Il fondo Quintessential continua però a rivelare stranezze, come il caso della Virdhi, basata alla Hawaii, al 2800 Woodlawn Drive, Honolulu. Il 29 agosto 2013, prima della quotazione in Borsa, Astorri annuncia una partnership con Virdhi in campo biomedicale, omette di dire che la società è nata soltanto pochi giorni prima, il 5 agosto, e quindi non è chiaro quale potenziale debba avere. Sei anni dopo, il sito di Virdhi è ancora fermo all’annuncio: “I primi risultati nella ricerca saranno annunciati nel 2014”.

Le bizzarrie non finiscono qua. In un comunicato sul sito di Bio-On Virdhi viene presentata come “una start-up che sviluppa materiali avanzati per uso biomedicale”. In una presentazione in power point del presidente Bio-On sul sito del premio ImpresaAmbiente, in quei mesi, Virdhi diventa soltanto un “logo” che rappresenta “il marchio dell’esperienza innovativa acquisita dal 2007 da sviluppare specificamente nel mercato Usa”. Quindi è un’azienda o un logo? Quel che è certo è che nei successivi anni di Virdhi non si sente più parlare e di soldi da quell’accordo non ne arrivano. E Bio-On non comunica mai al mercato se e perché quell’operazione è fallita.

I ricercatori assoldati da Quintessential hanno anche indagato sul passato dei due fondatori di Bio-On, Marco Astorri e Guido Cicognani. Prima di fondare l’impresa di bioplastica bolognese nel 2007, il loro percorso professionale sembra molto lontano dalla chimica e dall’industria. Per 13 anni hanno lavorato molto nel campo del marketing, soprattutto con una società che si chiamava Tric & Trac. Niente vieta di reinventarsi e scoprire il “biopolimero più importante al mondo”, come ha detto Astorri in una intervista a Class Cnbc. Su LinkedIn, il social network dei professionisti, però Astorri omette questo suo passato e si presenta soltanto come “proprietario” di Bio-On.

Il campione di poker testimonial anti-ludopatia

Dario Sammartino! chi sarà mai costui? I media lo hanno ignorato come un sol uomo; eppure questo signore napoletano di 32 anni sarebbe il testimonial ideale contro la ludopatia. Sammaritino si è appena classificato secondo all’evento principale delle World Series of Poker, ovvero i campionati del mondo di un gioco giustamente assimilato agli sport. Nella versione Texas hold’em, il poker è in effetti un gioco di abilità: l’abilità di gestire l’alea, quindi la miglior scuola di vita possibile (più degli scacchi, che simulano un mondo dominato solo dal pensiero).

Sammartino è un brillante pokerista professionista (14 milioni di dollari vinti in carriera), mentre non esistono né mai esisteranno professionisti della roulette o delle slot machine. Eppure, viviamo in un paese in cui le slot sono ovunque; un paese dove le tabaccherie possono trasformarsi in bische; un paese dove con una carta di credito un minore può diventare l’erede di Marco Baldini. Dove l’apertura dei casinò reali è vietata, ma quelli online prosperano, insieme alla dipendenza di cui son ideali portatori. Quel Paese dove sull’azzardo si azzarda di tutto, facendolo diventare il primo business della criminalità organizzata, si chiama Italia. Dario Sammartino sarebbe il testimone ideale contro la ludopatia, perché questa si combatte distinguendo lo skill game dal puro azzardo legalizzato, proibendo il gioco compulsivo e proteggendo il gioco sportivo. Ammesso che la si voglia combattere davvero.

Pagare per la Rete mai richiesta: benvenuti in Tim

Può essere che, uno di questi giorni, la Tim addebiti sul mio conto corrente i costi residui della famosa operazione Telekom Serbia, quella di Igor Marini e soci tanto per capirci. Non ci sarebbe niente da stupirsi, insomma. Perché ben altro l’operatore telefonico di Telecom Italia, che mi ha avuto come cliente dal 1999 fino al 6 giugno scorso, quando li ho mandati a quel paese, mi ha messo in conto indebitamente e impunemente. Premetto: io non ho Internet sul telefono cellulare, mai avuto in vita mia. Sono all’antica, per me un telefono è un telefono, come una rosa (per Gertrude Stein) è una rosa. Non ho Internet e null’altro: solo il telefono nudo e crudo, per un utilizzo nudo e crudo. Un telefono serve per telefonare, e basta. Qualche tempo fa, tuttavia, dando un’occhiata agli estratti conto della mia banca, ho scoperto che Tim, almeno tra il 2018 e i primi mesi del 2019, mi ha fatto pagare non solo come se avessi un super Internet, ma anche una serie di servizi di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza: traffico verso numeri Tim, traffico verso numeri di altro operatore, traffico verso rete fissa, traffico Wap, traffico servizi interattivi. Servizi, beninteso, che, come ha scritto a Tim l’Associazione Consumatori Piemonte, “non erano dovuti” e che “non avevano nulla a che fare con il profilo cliente” a me in uso. Tutto ciò per somme esorbitanti, con una media di 240 euro e picchi di oltre 400 euro di addebiti. Se usano sistemi simili con tutti, in sostanza, il guadagno dovrà essere bello grosso, sebbene sia non lecito. E pare proprio che la Tim abbia all’attivo numerosi casi come il mio.

Ora, in attesa che Tim mi restituisca subito il maltolto, vorrei che questa mia storia da uomo senza Internet sul cellulare servisse da esempio di lotta per altri compagni di sventure Tim (o di altre compagnie). E vorrei che servisse, poi, come stimolo per ribellarsi alle multinazionali della rete o delle reti, telefoniche o di altro genere, che per fare fatturato pescano nelle tasche dei clienti. Qualche anno il compianto Cristopher Hitchens, autore anche di un bel saggio su George Orwell (La vittoria di Orwell), disse in un’intervista: “Orwell ha inoltre avvertito sulla volontà della gente ad autodisciplinarsi e credere a tutto ciò che gli viene detto. Soprattutto la volontà degli intellettuali e accademici di diventare adoratori di chi è al potere, o di divulgare quella che è l’idea imperante. Conformità, in altre parole, che continuerà sempre a essere una minaccia. La gente purtroppo non si ricorda di Orwell come dovrebbe, per la sua opposizione al conformismo”. E conformismo è pure accettare di farsi salassare, non solo ingiustamente ma assurdamente, dai signorotti di Tim.

P.S. Ricevo, in queste ore, una mail da Tim in cui si fa riferimento a una mia richiesta, mai fatta, in relazione a un mio numero di telefono fisso che non ho più in uso da almeno dieci anni. Da Orwell al Philip Dick di La città sostituita. Leggere per credere: “Fiumicino, 25/07/2019 N. Prot. C24026346 Oggetto: Risposta a segnalazione per Sim Mobile Numero Telefono 011887977. Gentile cliente, a seguito della segnalazione di cui in oggetto pervenuta il 22/07/2019, ti informiamo di aver effettuato le dovute verifiche dalle quali non sono emersi elementi che ci consentano di accogliere la tua richiesta in quanto è di competenza del Servizio Clienti TIM Mobile. Ti invitiamo pertanto, a inoltrare la domanda al numero verde di fax 800000119. Siamo a tua disposizione per qualunque altra esigenza. Se desideri informazioni o aggiornamenti sulle nostre proposte commerciali, visita il sito www.tim.it o chiama gratuitamente il Servizio Clienti 187, che è disponibile 7 giorni su 7, oppure scrivi sulle nostre pagine Social Facebook e Twitter. Arrivederci da TIM”.