Porte girevoli: si “ricicla” dall’Antitrust in 3 giorni

Le chiamano “porte girevoli”. A volte però questi bussolotti che mettono in comunicazione istituzioni, politica, autorità di vigilanza, aziende, assicurando rapidi traslochi e altrettanto fulminei trasferimenti di carriera, ruotano a velocità tale da sembrare più delle turbine che dei cancelli. L’ultimo caso è quello di Filippo Arena, che il 31 dicembre ha lasciato la carica di segretario generale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm, vulgo Antitrust) e dall’altroieri è partner dello studio legale Gatti Pavesi Bianchi Ludovici, responsabile del dipartimento di Diritto pubblico dell’economia e coordinatore delle aree di Diritto europeo, amministrativo e Antitrust. i sono bastati tre giorni, dopo una carriera pubblica durata 25 anni, per passare al privato in uno dei maggiori studi legali d’impresa.

Messinese, classe 1969, Arena era segretario generale del- l’Antitrust dall’11 luglio 2018. Alle spalle aveva una folgorante carriera da grand commis di Stato: dal 2006 al 2010 consulente giuridico dell’Agcm, dal 2007 coordinatore del servizio di Procura e dal 2008 al 2011 della prima sezione bis dell’Avvocatura generale dello Stato, dal 2011 consigliere giuridico e poi capo dell’ufficio legislativo del ministero dello Sviluppo economico, poi capo di gabinetto all’Antitrust. Anni nei quali l’Autorità per la concorrenza ha gestito procedure rilevanti specie sul fronte digitale, come dimostrano le sanzioni da decine di milioni ad Amazon e Apple del novembre scorso e poi di nuovo ad Amazon, per la cifra monstre di 1 miliardo e 128 milioni, del 9 dicembre. Arena è esperto di diritto delle tecnologie, come attesta la sua audizione del 16 giugno scorso alla Commissione Trasporti della Camera sulle proposte di regolamenti Ue per i servizi e mercati digitali.

L’ex segretario dell’Antitrust non è l’unico civil servant a sedere in Gbpl. Da giugno 2018 lo studio si è dotato di uno Strategic Advisory Board di consulenti esterni che lo “affiancano e supportano” a individuare ed elaborare progetti”, “dialogando con policy maker e istituzioni”. Del parterre de roi fanno parte Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica nei governi Prodi e D’Alema e presidente di Cassa Depositi e Prestiti dal 2008 al 2015, Roberto Maroni, già presidente della Regione Lombardia e ministro del Lavoro e dell’Interno nei governi Berlusconi, Gianpiero Massolo, già segretario generale del ministero degli Esteri e direttore generale del Dipartimento informazioni sicurezza di Palazzo Chigi.

In base alla legge 287 del 1990, per i prossimi tre anni Arena dovrà seguire il codice di condotta dell’Agcm in materia di conflitto di interessi e non potrà “essere coinvolto in procedimenti istruttori” relativi a questioni di diritto della concorrenza, italiano o europeo, di cui si sia occupato, pena la nullità dei suoi atti. Contattato, Arena fa sapere che “si atterrà, ovviamente, con rigore e trasparenza” alle norme. Non c’è da dubitarne: basta la parola.

Il governo NapoLetta: decide tutto B. prima dell’Apocalisse

2013, 24 aprile. Dopo l’inaudito discorso alle Camere per strapazzare i parlamentari che l’hanno appena rieletto e minacciare di lasciare il Quirinale se il governo non sarà di larghe intese e non riformerà la Costituzione come vuole lui, il ri-presidente Giorgio Napolitano dà l’incarico a Enrico Letta. Il quale, ancora l’8 aprile, dichiarava: “Pensare che, dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come in Germania qui non ha senso”. Infatti ora presiede un governissimo Letta-Berlusconi, appoggiato da Pd, FI e centristi di Scelta civica-Udc-Fli. È stato proprio il Cavaliere a sceglierlo come premier, preferendolo all’altro pretendente: Matteo Renzi, il candidato alla segreteria dem che lui ha già ricevuto ad Arcore nel dicembre 2010 da sindaco di Firenze, ma che giudica troppo ambizioso. “Enrico Letta – dichiara – appartiene a una famiglia che conosciamo bene, certamente anche Letta nipote è un’ottima persona”. In nove mesi, il governo Letta farà una sola cosa degna di nota: il rinvio di un anno delle due rate dell’Imu per i proprietari di prime case, inclusi i magnati con ville e castelli (primo punto del programma del Pdl). Per il resto resterà paralizzato dai veti incrociati di Pd e centrodestra.

6 maggio. La Cassazione respinge l’istanza di rimessione dei processi a Berlusconi da Milano a Roma, sbloccandoli.

8 maggio. La Corte d’appello di Milano conferma la condanna di Berlusconi a 4 anni per frode fiscale (più 5 di interdizione dai pubblici uffici) e deposita contestualmente le motivazioni della sentenza, perché mancano pochi mesi alla prescrizione anche per le due frodi sopravvissute alla falcidie dell’ex Cirielli. Il condannato insulta i giudici “accecati dall’odio, patologia da eliminare”.

11 maggio. Nuova gazzarra di piazza del Pdl, stavolta a Brescia, contro i giudici di Milano. Presenti i neoministri Alfano, Lupi, Quagliariello e naturalmente Berlusconi, che arringa la folla paragonandosi a Enzo Tortora. Napolitano, anziché difendere i giudici e redarguire i ministri, dice di “capire chi si trova impigliato in processi e vicende giudiziarie di rilievo”. Impigliato per non dire imputato, anzi condannato. Il Pd nomina segretario reggente Guglielmo Epifani al posto del dimissionario Pier Luigi Bersani.

4 giugno. Letta nomina 35 saggi per riformare la Costituzione come vuole Napolitano. Tre di essi – Beniamino Caravita di Toritto, Giuseppe de Vergottini e Niccolò Zanon – stanno preparando un parere pro veritate per il ricorso di Berlusconi alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro la legge Severino (votata da FI), che lo espellerebbe dal Senato in caso di condanna definitiva.

19 giugno. La Consulta boccia il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Camera per far annullare il processo Mediaset, a causa di un impedimento di Berlusconi dichiarato illegittimo dal Tribunale. Il Cavaliere attacca la Corte e Napolitano (“un comunista che non rispetta i patti”) per non averla fermata. Ma pure perché non vuole nominarlo senatore a vita.

24 giugno. Il Tribunale di Milano condanna Berlusconi a 7 anni (Ilda Boccassini ne aveva chiesti 6) nel processo Ruby per prostituzione minorile e concussione per costrizione. E invia gli atti alla Procura perché proceda contro 32 testimoni che hanno mentito in aula, probabilmente a pagamento. Il condannato strilla al “plotone di esecuzione” e all’“emergenza democratica”. Il premier Letta lo invita a cena a Palazzo Chigi per tenerselo buono. Giuliano Ferrara, con parrucca, rossetto e trucco pesante, raduna una piccola folla in piazza Farnese sotto lo striscione “Siamo tutti puttane”. C’è anche la fidanzata di Silvio, Francesca Pascale, che tira in ballo Napolitano e le sue intercettazioni con Mancino appena distrutte per ordine della Consulta. Brunetta si associa alla minaccia: “Faremo per Berlusconi ciò che ha fatto Napolitano per difendere i suoi diritti costituzionali”.

26 giugno. Napolitano riceve al Quirinale il neocondannato Berlusconi, che lo invita a “non restare neutrale” in vista della sentenza della Cassazione sul caso Mediaset.

9 luglio. La sezione feriale della Cassazione, guidata dal presidente di turno Antonio Esposito, fissa l’udienza Mediaset per il 30 luglio, senz’attendere la ripresa ordinaria di metà settembre. Così prevede la legge per i processi urgenti: quelli con detenuti e quelli che rischiano la prescrizione durante la pausa estiva o nei successivi 45 giorni. Fra questi ultimi c’è anche il processo Mediaset, iniziato nel 2005, che ha già visto prescriversi per la ex Cirielli 360 milioni di dollari di frodi, appropriazioni indebite e falsi in bilancio, lasciando due soli reati superstiti: le frodi di 4,9 milioni di euro del 2002 e di 2,4 del 2003. Ma la prima andrà in prescrizione il 1° agosto (secondo i giudici) o a metà settembre (secondo le difese): dunque la Corte deve sentenziare subito. Berlusconi, sconvolto dalla sola idea di essere un cittadino come gli altri, tuona contro la “nuova piazzale Loreto” e i giudici che “vogliono farmi fuggire come Craxi”. Minaccia di affossare il governo in caso di condanna. E ottiene un’incredibile sospensione dei lavori di Camera e Senato per 24 ore in segno di protesta, anche con i voti del Pd, pronto a dargliele tutte vinte pur di salvare il governo Letta. Negli stessi giorni i dem si rimangiano la promessa di appoggiare la proposta dei 5Stelle di renderlo ineleggibile in base alla legge 361/1957. E, su pressione di Napolitano, salva il ministro dell’Interno Angelino Alfano dalla mozione di sfiducia M5S-Sel (sostenuta anche da Renzi) per il sequestro di Alma e Alua Shalabayeva, moglie e figlioletta di un dissidente kazako, da parte della Polizia italiana al servizio del regime di Astana.

19 luglio. Nel processo Ruby-bis per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, il Tribunale di Milano condanna a 7 anni Lele Mora ed Emilio Fede e a 5 anni Nicole Minetti. E trasmette gli atti alla Procura perché proceda contro Berlusconi e i suoi legali per corruzione o subornazione di una trentina di testimoni. A Bari la Procura chiude le indagini sul Cavaliere, accusato di aver indotto il suo pappone Gianpi Tarantini a mentire sulle prostitute a Palazzo Grazioli (Patrizia D’Addario&C.).

30 luglio. Inizia l’udienza del processo Mediaset dinanzi alla sezione feriale della Cassazione. I giornali berlusconiani sono pieni di messaggi minacciosi e allusivi a Napolitano perché “rispetti i patti”. Negli ultimi giorni, il presidente Esposito ha respinto uno strano invito di Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa, ex leader di Magistratura Indipendente, ora sottosegretario alla Giustizia in quota Berlusconi) e una irrituale richiesta del primo presidente Giorgio Santacroce di incontrare i cinque membri del collegio. Davanti al Palazzaccio si riunisce una piccola folla di fan berlusconiani: l’“Esercito di Silvio”. La bomba atomica sulle larghe intese sta per esplodere.

(27 – continua)

Popolo Viola “I partiti vengano in piazza contro B.”

Gianfranco Mascia riporta in vita il Popolo Viola a Roma – in verità una trentina di persone e altrettanti giornalisti – e propone “una manifestazione nazionale di tutti i partiti antifascisti” contro l’ipotesi dell’elezione di Silvio Berlusconi al Quirinale. In piazza Santi Apostoli si vedono mascherine e drappi viola, il colore del movimento che negli anni d’oro del berlusconismo (e dell’antiberlusconismo) portava a manifestare anche centinaia di migliaia di persone. Poi un tricolore e una manciata di striscioni contro B. al Colle: “Il Quirinale non è un bunga bunga”, “Berlusconi al Quirinale: l’Italia piange, il mondo ride”. Mascia lancia anche un coro “femminista”: “E noi che siamo italiani abbiamo un sogno nel cuore, una donna al Quirinale, una donna al Quirinale”. Sul piccolo palco prende la parola anche Pancho Pardi, altro vecchio leader dei girotondi e delle manifestazioni contro l’ex Cavaliere: “Il problema non è la grottesca candidatura di Berlusconi, ma l’ipotesi che il Parlamento possa votarlo davvero. I parlamentari devono guardarsi in faccia e chiedersi se vogliono varcare la soglia dell’ignominia”.

“Al Colle mi piacerebbe Zagrebelsky”

“Mi pare che nella corsa al Quirinale l’unica evidenza sia la confusione”, dice Carlin Petrini, scrittore e fondatore di Slow Food. “Il Parlamento – sostiene – non sembra più in grado di rappresentare i bisogni del Paese. Gli eletti sono preoccupati dalle prossime elezioni, dove il loro numero sarà tagliato. Non è un caso che ora nelle Camere ci sia il più grande Gruppo misto della storia repubblicana”.

Incombe il nome di Mario Draghi, crede sia l’uomo giusto?

Ho l’impressione che il mandato da premier e la missione assunta da Draghi non siano affatto compiuti, al contrario di quello che sostiene lui. Ha buon gioco chi gli dice di finire il lavoro che ha cominciato. Mi sembra che l’insistenza su Draghi sia un elemento che complica le cose, invece di semplificarle. Un Paese bloccato su un singolo nome, per la carica più alta, non è che sia messo tanto bene…

Quale profilo dovrebbe avere il prossimo presidente della Repubblica?

Vorrei una figura come quella di Sergio Mattarella, per me è stato una sorpresa. Se mi avesse fatto la stessa domanda sette anni fa, non le avrei fatto il suo nome e non mi sarei aspettato da lui una presidenza di così alto profilo. Serve una personalità che abbia competenze costituzionali e che possa rappresentare tutti. Anche se essere sopra le parti è molto difficile, glielo dico da uomo di sinistra.

Chi le viene in mente, quando elenca queste caratteristiche?

Penso a una persona come Gustavo Zagrebelsky. Avrebbe tutte le qualità per essere un eccellente capo dello Stato. In ogni caso, bisogna iniziare a guardare fuori dalla solita cerchia di nomi ripetuti da giornali e tv.

Ha letto l’appello di Dacia Maraini e di altre intellettuali per una donna al Colle? Che ne pensa?

È un’istanza giusta, un argomento che merita attenzione. Ci sono molte donne con esperienza politica ad alti livelli e prestigio internazionale.

A chi pensa?

Per esempio a Emma Bonino o a Rosy Bindi.

L’elefante nella stanza (a destra) è la candidatura di Silvio Berlusconi.

Non ci voglio nemmeno pensare. Preferisco credere che sia un gioco delle parti, una candidatura di bandiera che fa comodo soprattutto a lui. Non scherziamo, su: anche a livello internazionale sarebbe uno smacco incredibile. Esporrebbe l’Italia all’incredulità del resto del mondo. È un’ipotesi assurda, divisiva, senza etica. Mi preoccupa anche solo l’ostentazione del nome di Berlusconi e l’associazione con il ruolo di chi deve rappresentare tutti gli italiani.

Conte prova a placare i 5S: “Non possiamo spaccarci”

Raccontano che ieri, atterrito dalla lettura di giornali e agenzie, Luigi Di Maio sia sbottato: “Così non possiamo reggere ai tavoli per il Quirinale”. Così non può andare avanti il M5S, privo di una rotta o una linea. A oggi ne ha tante di linee, quante gli sbalzi d’umore o i calcoli di questo o quel gruppetto. Un formicaio impazzito, dove in un pugno di ore si è passati dall’apertura di Giuseppe Conte all’elezione di Mario Draghi – “nessuna preclusione” – a molti senatori che lunedì sera in assemblea hanno invocato il Mattarella bis, con tanto di virgolettati. E al Quirinale, trapela da fonti di governo, non hanno affatto gradito. Nel frattempo qualche ministro riapriva all’ipotesi di “una donna al Colle” per poi planare di nuovo su Draghi. Ieri mattina il vicepresidente Michele Gubitosa ha provato a stemperare dicendo che “Mattarella è stato sempre ed è il primo nome che il M5S voterebbe per il Quirinale, capisco i senatori”, e le chat hanno subito rigurgitato proteste: rivolte anche contro Letizia Moratti, ipotesi di candidata del terzo tipo che i fronti opposti del Movimento si rinfacciano da giorni (“l’ha proposta Conte”, “macché, il nome lo ha fatto Di Maio”). Tutti smentiscono tutti. Di sicuro gran parte dei parlamentari non la voterebbero mai. Tradotto: non è certo questo il punto, casomai solo un sintomo della febbre alta dei 5Stelle.

Perché è vero che Conte si sta rassegnando all’idea di Draghi al Colle. Proprio come Di Maio, che spera di potersela giocare come nuovo premier (ma anche il dem Lorenzo Guerini ha puntato quella poltrona, giurano fonti trasversali). “Però a oggi al tavolo il Movimento non può garantire nulla sulla tenuta dei suoi in Parlamento” certifica un big. Non può il M5S dove Danilo Toninelli invoca ancora il Mattarella bis – “Il Movimento proponga a tutti i partiti di chiedergli di restare” – mentre un altro veterano come il presidente della commissione Affari Esteri del Senato, Vito Petrocelli, lo riscrive su Twitter: “Non voterò per Draghi”.

In questo mare di veti e piccole rivolte, Conte naviga con evidente difficoltà. Ieri mattina l’ex premier ha riunito vicepresidenti e capigruppo, mostrandosi “molto adirato” per la situazione. Nessuna consegna precisa, però. Anche se ormai l’avvocato è deciso nel virare verso l’elezione di Draghi al Colle. Impossibile che Mattarella resti al suo posto, come pure l’ex premier sperava, anche perché gran parte del centrodestra non vuole saperne. E poi il segretario dem Enrico Letta lì vuole arrivare, a Draghi. Perché la scommessa che fa rima con speranza dei giallorosa è sempre quella, che il centrodestra alla fine si spacchi su Silvio Berlusconi e converga sull’ex presidente della Bce.

Ma M5S e Pd pongono come condizione dirimente un accordo preventivo sul nuovo governo, “perché è già complicato così, figurarsi provare a eleggere l’attuale premier al ‘buio’” ripetono dal Movimento. Conte “sente tutti i partiti, tutti i giorni”, assicurano. Ma nei colloqui riservati ha bollato come “falsi” moltissimi dei possibili candidati/e che gli sono stati attribuiti. Però poi il problema restano i numeri, cioè lo stato gassoso dei gruppi parlamentari, che ieri si sono radunati nell’assemblea congiunta sull’obbligo vaccinale.

L’occasione per Conte di precisare: “Ho letto che avrei fatto nomi e che avrei utilizzato emissari per incontrare altri esponenti politici (Gianni Letta, ndr). Ripeto: non ho fatto nomi, non è il momento, e non mi servo di emissari”. L’avvocato sa che i gruppi pretendono di essere coinvolti nelle scelte sul Colle. Così promette per la prossima settimana un’assemblea congiunta sul Quirinale. “Il voto del M5S sarà determinante solo se saremo compatti, non possiamo dare l’immagine di un Movimento spaccato” quasi implora. Per il resto si parla di vaccini, Covid e ristori. La tesoriera alla Camera, Francesca Galizia, la butta lì: “Non è il caso di tornare in Rai?”. Un altro nodo irrisolto, nel Movimento che con le questioni in sospeso potrebbe riempire un armadio. Fuori, a osservare a distanza, ci sono gli altri partiti. Con il Pd in prima fila, preoccupato: “Ma i 5Stelle come terranno nel voto segreto?”. Ottima domanda.

“Mi appello agli ex 5S: eleggiamo Berlusconi per pacificare il Paese”

È la Lara Croft di Silvio Berlusconi. Così la chiamano in Transatlantico. Il leader di Forza Italia, per tentare la scalata al Colle, l’ha assoldata per cercare i 50 voti che gli mancano per arrivare alla soglia di 505. E lei, che un anno fa uscì dal partito per fare la “responsabile” di Conte, oggi va all’avventura e parla con tutti. Soprattutto con i colleghi del M5S e gli ex grillini nel Misto. “Con i 5S governiamo – dice Polverini – eleggendo insieme Berlusconi possiamo pacificare il Paese”.

Onorevole Polverini, B. ce la può fare?

Qualche mese fa sembrava una boutade: oggi la sua candidatura è lì. Ed è il candidato più autorevole del centrodestra: lui lo ha fondato e ha portato al governo forze, come An e Lega, che senza di lui non ci sarebbero arrivate.

E i voti? Gliene mancano almeno 50.

È un’impresa difficile ma non impossibile. Ma lui ci crede ed è carico. E tra i parlamentari c’è una reazione molto positiva sulla sua candidatura.

Tipo?

Penso soprattutto al M5S o agli ex M5S. Il M5S è arrivato in Parlamento sulla scia dell’antiberlusconismo e aveva tribuni come Di Maio e Di Battista che ci attaccavano tutti i giorni. E noi rispondevamo attaccandoli a nostra volta, spesso – e questo è stato un errore – andando troppo oltre. Oggi è tutto un altro mondo.

Si spieghi.

Oggi il M5S è cambiato: basti pensare che un Movimento che non voleva allearsi con nessuno oggi governa con noi, proprio con Berlusconi. Oggi ci conosciamo e ci parliamo.

Conte dice “no” e restano differenze grosse tra di voi.

Io sono stata la prima in FI a non andare contro il Reddito di cittadinanza: è una misura che aiuta i più deboli. Anche i leader 5S oggi sono diversi…

A chi si riferisce?

Chi può permettersi di attaccare Di Maio? Mentre tanti colleghi stavano lì a disprezzare il modo con cui è stato eletto, è un ragazzo che ha portato il M5S al 33%, ha fatto il ministro del Lavoro e degli Esteri. È stato il più bravo di tutti. Conte invece è stato un buon premier, ma adesso fa fatica da leader.

È vero che lei in Parlamento cerca voti per B. tra gli ex 5S?

Ho una storia personale che mi ha portato a contatto con mondi diversi. Questo mi consente di avere rapporti trasversali. Non sto convincendo nessuno, ma parlo con tanti colleghi soprattutto nel Gruppo misto. E sono in tanti.

Cosa dice loro?

Che l’elezione di Berlusconi potrebbe rappresentare la pacificazione nazionale. Negli ultimi 25 anni l’Italia si è divisa su di lui. Se venisse eletto, il Paese si rimetterebbe in pace con se stesso. Si ricomincerebbe da capo. Siamo in un nuovo 1994.

E loro cosa rispondono?

Dicono: ‘Tutto sommato… vediamo se si candida e poi ne parliamo’. Nessuno dice di no, anzi.

Chi ha convinto?

Questo non posso dirlo.

Ma come fa a pacificare il Paese un condannato per frode fiscale?

Io non entro nel merito delle vicende giudiziarie. Ma la storia di Berlusconi parla per lui: ha governato il Paese con grandi risultati. Il Pd non può porre veti: Prodi non era divisivo?

Si fida dei suoi alleati?

Sì, anche perché se tradissero Berlusconi verrebbe meno la coalizione.

B. però ha un grosso ostacolo che si chiama Draghi: se viene eletto fate cadere il governo?

Sarebbe difficile sostenere un nuovo esecutivo. Poi non è che a Draghi si possa consentire tutto: l’elezione di un premier al Quirinale sarebbe una forzatura della Costituzione. Cosa fa: si dimette prima, ammesso che poi trovi i voti? E poi, in caso di sua elezione, la politica sarebbe commissariata per sette anni.

La destra litiga sui delegati. E sul voto c’è l’incubo virus

Il pallottoliere quirinalizio dice 33 al centrodestra e 25 al centrosinistra. Ma queste 58 caselle dei delegati regionali – ovvero i grandi elettori che ogni Consiglio può spedire a Roma per votare il nuovo capo dello Stato – andranno presto riempite con nomi e volti, ora che il presidente della Camera, Roberto Fico, ha ufficializzato la data della prima chiama: 24 gennaio, ore 15.

La scelta dei delegati – uno per la Val d’Aosta, tre per le altre Regioni – non è indolore. Prassi vuole che ogni Consiglio mandi in Parlamento il presidente di Regione, il presidente dell’Assemblea e un eletto delle opposizioni, ma ogni partito vuole strappare più posti possibili.

Il caso più spinoso è quello della Lombardia. Al governatore leghista Attilio Fontana dovrebbe affiancarsi il presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi, eletto con Forza Italia. Problema: tre mesi fa, Fermi ha traslocato nella Lega e ora FI si ritroverebbe beffata proprio nella terra di Silvio Berlusconi. I forzisti vorrebbero un passo indietro di Fermi, la Lega gongola all’idea di avere due delegati, in uno stallo che arriverà fino a Roma: a decidere non saranno i lombardi, ma l’ennesimo tavolo di centrodestra composto da Maurizio Gasparri, Giovanni Donzelli e Stefano Locatelli, responsabili degli Enti locali per FI, FdI e Lega. I tre si sentiranno nei prossimi giorni e la grana lombarda finirà nel risiko con tutte le altre caselle, soprattutto quelle delle Regioni dove la destra è all’opposizione.

In questo contesto resta poi l’incognita Berlusconi, perché se la prossima settimana il Cavaliere sarà certo di avere i numeri per farcela, potrebbe davvero farsi votare come grande elettore in uno dei fortini forzisti. La Calabria di Roberto Occhiuto è un’ipotesi, la Lombardia – dove la sua nomina sarebbe una exit strategy rispetto al rebus di cui sopra – è un’opzione che nel centrodestra definiscono ancora “plausibile” pur ammettendone la difficoltà.

Presto si capirà anche questo, dato che quasi tutte le Regioni hanno calendarizzato per la prossima settimana le sedute in cui votare i delegati. Di certo ci sarà il ligure Giovanni Toti, già “ufficializzato” da Coraggio Italia e che quindi potrà controllare da vicino i propri parlamentari. Si era detto pronto a rinunciare, invece, il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, dal quale era partito un appello per coinvolgere i sindaci tra i grandi elettori, come richiesto pure dal presidente dell’Anci (e sindaco di Bari) Antonio Decaro. Lo stesso Decaro – così come il sindaco di Bologna, Matteo Lepore – potrebbe essere designato, ma al momento dalle Regioni negano accordi già chiusi.

Anche quando la rosa dei grandi elettori sarà completa, resterà il dubbio su come svolgere le votazioni. Ieri l’emergenza Covid – 15 positivi alla Camera, altri 18 in quarantena, 6 isolati al Senato – ha costretto Montecitorio a chiudere alla stampa il Transatlantico, su cui sono stati allestiti gli scranni per consentire anche da lì i lavori dell’Aula. Edmondo Cirielli, questore della Camera di FdI, esclude di imporre il Super Green Pass ai grandi elettori: “Non possiamo costringere a un trattamento sanitario chi svolge una funzione costituzionale”. Possibile semmai “l’obbligo di tampone” per i 1008 votanti, che potrebbero pure transitare in Aula scaglionati.

Bimbo ucciso, scontro tra Procura e Tribunale

La ministradella Giustizia, Marta Cartabia, ha chiesto all’ispettorato di “svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari” sul caso di Davide Paitoni, il 40enne di Varese che ha ucciso il figlio Daniele di 7 anni. L’uomo era ai domiciliari per aver tentato di accoltellare un collega di lavoro. Lunedì, il presidente del Tribunale di Varese, Cesare Tacconi, aveva spiegato che l’ordinanza per i domiciliari era stata firmata dal Gip e motivata dal pm “con il pericolo di inquinamento probatorio, non con la pericolosità sociale”. Ieri però la Procura ha sostenuto che “il pubblico ministero aveva chiesto “l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, sul presupposto della ritenuta pericolosità sociale dell’indagato”.

Violenza in famiglia, 4 arresti in poche ore

Lunedìa Roma in poche ore 4 persone sono state arrestate in violazione di reati rientranti nel ”Codice Rosso”. In mattinata la Polizia è intervenuta in zona Magliana per allontanare un 31enne afghano dall’ex fidanzata: all’uomo era stato prescritto di non avvicinarsi alla donna. Poco dopo, a Colli Albani, gli agenti hanno arrestato un 35enne senegalese che aveva picchiato la compagna davanti ai figli. Nelle stesse ore, a Ostia, un 46enne romano è stato fermato per maltrattamenti al padre. Più articolata l’attività che ha portato all’emissione della misura cautelare in carcere per un 45enne, che dai domiciliari continuava a minacciare l’ex compagna. La Polizia ha segnalato il fatto alla Procura, che ha ottenuto dal Gip gli arresti per l’uomo.

Il pentito Parisi sul finto attentato a Scopelliti: ‘Uomo di Mancini decise di mettere la bomba’

“La sera di novembre il D’Antona, servendosi della criminalità locale, decide di mettere il pacco bomba a palazzo San Giorgio, facendolo recapitare in un bagno situato al piano terra”. È il contenuto di una missiva allegata a un’informativa della Dia finita agli atti del processo d’appello “’ndrangheta stragista” che vede imputato Giuseppe Graviano – già condannato all’ergastolo in primo grado – per l’omicidio di due carabinieri. Tre pagine scritte a mano e consegnate nel 2013 dal pentito Antonino Parisi al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Non è un mistero che da anni il pm sta indagando sul tritolo fatto trovare nell’ottobre 2004 a palazzo San Giorgio, sede del comune di Reggio Calabria, e che sarebbe servito a favorire il consenso politico dell’ex sindaco Giuseppe Scopelliti. Nell’ambito di quell’inchiesta, il pentito siciliano chiede di incontrare Lombardo per raccontargli cosa gli ha riferito un soggetto detenuto con lui nel carcere di Padova. Notizie de relato, ma allo stesso tempo ricche di particolari perché quel soggetto ha partecipato al finto attentato dove un ruolo di primo piano l’avrebbe svolto l’ex Sismi, i servizi segreti.

Almeno 30 pagine dell’interrogatorio di Parisi sono omissate. Non lo sono, invece, i fogli consegnati al pm a cui Parisi fa anche il nome di quell’“appartenente al Sismi (ex comandante di stazione della Guardia di finanza)”, che avrebbe deciso di simulare l’attentato a Scopelliti. Il pentito lo chiama “D’Antona” ma quando si parla di servizi segreti in riva allo Stretto i riferimenti che lui inserisce nelle tre pagine sono all’ex finanziere Corrado D’Antoni, poi diventato capo centro dei servizi segreti a Reggio. Quest’ultimo – che, precisiamo, non è mai stato indagato – era il “funzionario” referente di Marco Mancini (vice di Nicolò Pollari e numero 2 del Sismi) che allora firmò le informative grazie alle quali la questura trovò il tritolo a palazzo San Giorgio. La storia però sarebbe iniziata prima della “messinscena” del tritolo senza innesco. Nella lettera, Parisi fa riferimento al sequestro di altro esplosivo e collega, inoltre, quello di palazzo San Giorgio all’inchiesta “Bumma” e a tre finanzieri sotto copertura. “In quest’operazione – scrive il pentito – furono finanziate diverse centinaia di migliaia di euro dal Sismi per l’acquisto simulato dell’esplosivo”. Cento chili di tritolo il cui prezzo a un certo punto si sarebbe abbassato e una parte dei soldi sarebbe sparita: “Il funzionario del Sismi D’Antona – scrive Parisi – fece in modo di coprire l’accaduto”.