Quei pm di provincia senza i riflettori

C’è una Procura nella provincia del Regno, una qualsiasi, in un posto qualunque, senza tempo, dove lavora un Tizio, uscito da I Giusti di Borges. Uno di quelli che fanno cose comuni. Uno che fa il sostituto procuratore, orgogliosamente a vita, che lavora a un processo qualsiasi. Uno di quelli che nei libri di Montalbano fa sempre la figura del fesso, che nel Maresciallo Rocca fa sembrare Gigi Proietti il commissario Maigret. Uno di quelli che però crede nella forza delle parole e che, qualsiasi mestiere si faccia, non si possa prescinderne. Uno per cui il motore del mondo è il desiderio, il primo impulso per conoscere e capire, ciò che rende vivi in tutto ciò che si fa, compreso occuparsi di delitti e di morti.

Ma questo non conta, perché se non appari non esisti. Se non sei nei corsivi giusti o nelle mailing list che contano, sei out. E se non esisti non c’è fiducia verso nessuno che non sia la famiglia, gli amici, il clan. E la sfiducia genera distacco, per non dire avversione e sovversione. E così il rischio dei recenti fatti di cronaca giudiziaria che hanno coinvolto il Csm è che sia minata la fiducia nel servizio giustizia. Nessuno si affida più: né al medico del pronto soccorso né al vigile urbano né tantomeno al giudice, bombardati come siamo da immagini e notizie di malasanità, malagiustizia o malammore. Diventiamo noi stessi di volta in volta medici, vigili, giudici, amanti traditi.

Non fa notizia la normalità. C’è sete di eroi o di mostri. Medietà è sinonimo di mediocrità, malgrado Celine ci abbia insegnato ad amare chi vive nell’ombra. Quello che conta è la visibilità mediatica. Conta chi grida più forte, chi è fotogenico. Non contano più gli orari di lavoro da Bartleby lo scrivano dei tanti Giusti di Borges, il loro pensare che non è la funzione che qualifica la persona ma è l’uomo che fa il magistrato, che è importante come si fa il giudice e non dove lo si fa, che altro è essere serio altro è essere seriosi, che non conta il colore del fascicolo ma il fascicolo, non il nome dell’indagato ma il reato. Non la scorta ma le scorte… di libri, canzoni, film.

Non conta più pensare che si lavora meglio se si campa d’altro, se il lavoro occupa il tempo giusto e non il superfluo, se ci si innamora della propria donna e non di un’indagine. Non conta più pensare che la condanna non è una vittoria e l’assoluzione una sconfitta, che bisogna smetterla di essere autoreferenziali e corporativi, che non esiste il partito dei giudici ma solo dei giudici che fanno il loro lavoro.

Non conta più la freschezza e l’entusiasmo dei giovani magistrati, le loro notti in caserma, le prime timide ma rispettose requisitorie. Non conta più avere le porte dell’ufficio sempre aperte, pensare che un capo è tale se ha una legittimazione che viene dal basso, dai suoi collaboratori, che si conquista e alimenta giorno per giorno. Non conta credere che non fa carriera il magistrato più visibile o che va sui giornali o in tv – perché i giudici non fanno carriera, si distinguono solo per funzioni e non per gradi; che la giurisdizione è diffusa proprio per evitare gerarchie e garantire l’ autonomia e far sì che il magistrato sia solo il legittimo arbitro finale del significato della legge.

Da anni quel Tizio incontra straccioni, mendicanti, suonatori, volti che si difendono dal dolore della conoscenza o dal pericolo della pietà, sguardi allucinati e dolcissimi che colgono e uccidono per sempre il brulichio della vita. Sguardi che penetrano nel cuore delle vicende dei fascicoli, ne rendono il senso e il tempo interiore e restano incollati addosso a chiunque se ne curi, occupando e affollando il suo immaginario.

Di quel mondo quel giudice vuole continuare a occuparsi, dalla scrivania a cui siede tutti i giorni e non da altre, come quando da piccolo pensava di fare quel mestiere, per lui il più bello del mondo.

Quel Tizio ha letto quei versi e ha fatto propria l’idea di giustizia che da essi trasuda e che forse sarebbe bene rileggere, ogni tanto, nel silenzio del proprio ufficio pensando, con il poeta, che la salvezza del mondo dipenda dal mutuo ignorarsi di quei giusti:

“Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire./Chi è contento che sulla terra esista la musica./Chi scopre con piacere un’etimologia./Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi./Il ceramista che intuisce un colore e una forma./Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace./Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto./Chi accarezza un animale addormentato./Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto./Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson./Chi preferisce che abbiano ragione gli altri./Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”.

 

Mail box

 

Il consenso della Lega è (de)merito degli elettori

Io sono nata in un’epoca remota dunque scrivo con la vecchia penna. Non so se saranno lette queste righe. Vengo subito al fenomeno attuale: il consenso della Lega. Ma di cosa ci meravigliamo? Non è certo la prima volta che il popolo si prende una sbronza per l’uomo più ridicolo e invadente della piazza, ed è inutile cercare una qualche responsabilità in ogni direzione per il crollo dei 5 Stelle. Il motivo è sempre uno e uno soltanto: la mediocrità degli elettori, la superficialità di una parte degli italiani, una parte purtroppo sostanziosa. Spero di cuore che non si avveri la catastrofe che teme il bravo Scanzi.

Maria

 

Il voltafaccia di Conte: un punto di non ritorno

Condivido gran parte dell’articolo di Travaglio sul voltafaccia di Conte. Non concordo su un punto che è però dirimente. Il discorso di Conte è per i 5S paragonabile alla Bolognina di Occhetto. Le cause sono molto complesse e fondamentale è stata la mancanza di organizzazione del Movimento. Per vincere la guerra ci vuole una macchina da guerra. L’ectoplasma virtuale non è un’arma adeguata a sconfiggere i poteri forti globali e nazionali. Non condivido la scelta tattica di continuare a governare. Si è oltrepassato un punto di non ritorno. Se governare significa collaborare a depredare il Paese, o al più lavarsi le mani con un finto voto in parlamento, allora è meglio staccare la spina, andare a elezioni, raccogliere le migliori forze del Paese e prepararsi a una guerra di lunga durata. Il trasformismo sarebbe il colpo finale per annichilire il M5S,

Vincenzo Magi

 

Gli italiani come i migranti: costretti a mangiare interiora

Ho letto la notizia che un Magistrato ha aperto un’inchiesta su una cooperativa che dava da mangiare ai migranti interiora di pollo, che secondo lui noi italiani non daremmo neanche ai gatti. Sicuramente il Magistrato vive in un altro pianeta, forte del suo sudato stipendio mangerà ostriche e caviale e sicuramente per i suoi gattini comprerà fettine di filetto, dato che come ha dichiarato non darà mai ai suoi gattini le interiora di pollo. Invece, gentile Direttore, pubblichi questa mia, la supplico: così il Magistrato saprà che in Italia ci sono milioni di italiani che mangiano le interiora di pollo, o la trippa, perchè non si possono permettere il menù del Magistrato in questione. Chi le scrive ha lavorato 50 anni e ogni tanto non mi vergogno a dire che mangiamo le interiora per poter arrivare a fine mese.

Antonio Perrone

 

Zingaretti dica chiaramente con chi si vuole alleare

Possibile che un uomo intelligente e preparato come è Zingaretti, non capisca o forse non abbia il coraggio di affermare chiaramente, che per l’Italia, per il bene del Paese, per ciò che rimane della sinistra, dunque per il Pd c’è una sola strada: un alleanza con i 5 Stelle per governare insieme il Paese. L’errore che il Pd di Renzi fece e che regalò l’Italia alla Lega, fu la famosa infelicissima frase “senza di me” detta a chi nel partito, dopo il 4 marzo, voleva parlare con i 5Stelle. Mai errore fu più disastroso: ha messo il Paese nelle mani di Salvini! Le affermazioni di Zingaretti che si ascoltano da quando è diventato segretario del Pd, non dicono nulla, sono vuote di significato, sono parole senza riscontro nella realtà.

Sappiamo tutti, e lo sa anche Zingaretti, che non si governa senza alleanze poiché nessun partito ha la maggioranza che lo permetta.

Dunque il Pd dica chiaramente con chi intende allearsi per governare. Vuole Berlusconi? Vuole Salvini? Lo dica e si comporti di conseguenza. In tal modo gli elettori sapranno come regolarsi.

Romano Lenzi

 

Porto sicuro, l’ipocrisia di Matteo (e dell’Ue)

Credo che la pura logica imporrebbe lo sbarco nel porto più vicino, e quindi darebbe ragione a Macron e alla maggioranza dei paesi europei. È veramente assurdo pensare che, per evitare di farli sbarcare in Italia e mostrare il pugno duro, le navi di soccorso debbano percorrere via mare distanze notevoli, tali da dover impiegare molti giorni di navigazione, lasciando in condizione estremamente disagiate persone già provate dalla traversata. L’Italia dovrebbe concordare con l’Europa l’ottenimento delle risorse necessarie per creare centri di prima accoglienza per soggiorni brevissimi, quindi lo smistamento nei paesi europei in percentuale rispetto alla loro grandezza, i quali dovrebbero indicare subito il luogo di destinazione ricavato da modelli automatici preordinati.

Credo che Salvini non abbia nessuna intenzione di affrontare nel modo descritto la questione migranti perchè è stata e continua ad essere l’unica e vera spinta al decollo nei consensi.

Francesco Battaglia

 

Formigoni a casa: la legge è uguale per tutti?

Ho letto del caso Formigoni, che lascia il carcere solo perché ha compreso i suoi errori (dopo anni di arroganza). Mi chiedo se la giustizia è uguale per tutti e come mai nessuno dica niente al riguardo. Verrebbe da dire: ammettete i vostri errori così potete andare ai domiciliari magari a casa di un amico così avete anche compagnia.

Luciano B.

#freenipplesday. Perché prendere Carola a pretesto del diritto di (s)vestirsi?

Sono una donna di 40 anni cresciuta in una famiglia cattolica, ma laica e di larghe vedute. Mia madre (e soprattutto mio padre) mi hanno sempre lasciato libera di vestirmi come volevo, consigliandomi soltanto di fare attenzione al “decoro”. “Purtroppo – diceva mio padre – viviamo in una società che ti giudica a seconda di ciò che indossi”. Mi pare che stia accadendo esattamente questo con Carola Rackete, la capitana della Sea Watch che si è presentata in udienza addirittura, udite udite, senza reggiseno. Ovviamente assurdi sono stati gli attacchi e gli insulti che i soliti perbenisti della domenica le hanno rivolto. Ma quel che mi sembra ancora più surreale è l’atteggiamento delle donne che, per difendere il proprio diritto a scegliersi l’abito preferito – o a togliere il più scomodo – sabato usciranno di casa senza reggiseno, in segno di solidarietà. Ma davvero siamo ridotte così?
Eugenia Belmonte

 

Gentile Eugenia, capisco e condivido il suo smarrimento, anche se sono cresciuta in una famiglia di naturisti mancati. Il #freenipplesday (#capezzoliliberi: chissà perché tradotti in inglese) indetto per sabato da due ragazze torinesi, Nicoletta Nobile e Giulia Trivero, pur con nobili motivazioni, suona un poco ridicolo e cade paradossalmente nella stortura denunciata dalle due: “Viviamo un momento in cui, gridando allo scandalo, il dibattito politico viene oscurato da dettagli che puntano a distrarre dai veri contenuti”. Il famoso dito al posto della luna, ma qui di che luna si sta parlando? Dei migranti? Certo che no. Si parla del sesso degli angeli, ovvero del sesso di chi – una donna: Carola Rackete – ha salvato i migranti in mare, spostando inopportunamente il fuoco della discussione e cadendo proprio nella trappola che si pretende di disinnescare. Rackete, è vero, è stata insultata, tra le tante corbellerie rivoltele, per essersi presentata in Procura senza reggiseno: una polemica stupida e volgare, a cui forse sarebbe stato meglio non dare seguito. Si commenta da sola. Oltretutto, l’abbigliamento di Carola non era connotato politicamente; al contrario, ad esempio, di quello delle Femen, che fanno del proprio corpo, nudo o vestito, uno strumento di lotta politica. Perché quindi prendere Rackete a pretesto – per l’ennesima battaglia a caso – per “affermare il diritto delle donne di scegliere come vestirsi, senza essere giudicate?”. Purtroppo non sappiamo se la capitana indossasse o meno le mutandine perché, in quel caso, la protesta sarebbe stata molto meno visibile e sguaiata.
Camilla Tagliabue

La Propaganda sulla costituzione

Leggo periodicamente le grida di dolore emesse da coloro che hanno sonoramente perso il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Sono accompagnate da indignate invettive contro i professoroni e soprattutto contro Gustavo Zagrebelsky. Avremmo, non rispondo a nome suo, ma mi prendo la mia parte di responsabilità, aperto la strada a infinite (non ancora finite) nefandezze di fronte alle quali staremmo tutti zitti mentre il governo Lega-5 Stelle è affaccendato nella distruzione della Costituzione “più bella del mondo”.

Sull’aggettivo “bella” ho già eccepito poiché non esiste un concorso di bellezza per le Costituzioni che sarebbe comunque vinto dalla Costituzione mai scritta, quella del Regno un tempo Unito. Dopodiché, contrariamente agli scrittori di stupidaggini seriali sul referendum, sulla Costituzione e sul governo, entro nel merito.

Davvero il governo giallo-verde è il prodotto inevitabile della sconfitta di Renzi nel referendum? Molti cadono nella fallacia del post hoc ergo propter hoc sostenendo che un evento del dicembre 2016 ha determinato un evento del marzo 2018. In quindici mesi, il Partito Democratico e il suo segretario non sono riusciti a recuperare abbastanza voti per rendere quel governo impraticabile. Se qualcuno continua a sostenere che il 40 per cento di Sì erano voti di Renzi, allora ha già deragliato. Inconsapevolmente segnala il più gigantesco degli errori di Renzi: avere trasformato un referendum sul pacchetto di riforme in un plebiscito sulla sua persona. Ai plebisciti su persone, i democratici hanno l’obbligo di rispondere sempre e senza esitazioni: No.

I sostenitori della tesi che il No ha prodotto il governo giallo-verde dicono un’altra cosa grave. La campagna elettorale del Pd, maldestramente guidata dal suo segretario, che non voleva che crescessero prestigio e apprezzamento per Gentiloni capo del governo, non ha saputo recuperare neanche un voto. Se la comparazione è con Bersani 2013, ha perso il 7 per cento degli elettori, molto più di coloro che hanno votato LeU. I renziani dimenticano ad arte che la coalizione 5 Stelle-Lega non era l’unica possibile. Cinque Stelle e Partito Democratico avevano la maggioranza assoluta di seggi sia alla Camera sia al Senato. La prematura e dissennata decisione di Renzi di buttare il suo partito all’opposizione ha reso quasi inevitabile il governo Di Maio-Salvini. Questo governo è preferibile ad un governo Cinque Stelle-Pd? Un partito che dichiara di avere una missione nazionale accetta, senza neppure un dibattito interno e senza esperire le alternative possibili, di andare all’opposizione? Per starci, poi senza saperla fare, rivelandosi irrilevante, paralizzato dal suo due volte ex-segretario e dai parlamentari da lui nominati, maggioritari nei gruppi Pd sia alla Camera sia, ancor più, al Senato.

Adesso, 5 Stelle e Lega stanno manomettendo la Costituzione e né Zagrebelsky né i professoroni (quelli schedati da due politologi renziani per screditarli con riferimento all’età e alle cariche ed onori) si attivano per difenderla. Non discuto delle autonomie regionali differenziate. Vado sulle due riforme costituzionali già iniziate: referendum propositivo e riduzione del numero dei parlamentari. Sul primo, ricordo che la riforma costituzionale renziana andava nella direzione di dare maggiore potere ai referendari. Esistono notevoli differenze, ma il punto riguarda le modalità di legiferare. I Cinque Stelle vogliono trasferire potere ai cittadini a scapito del Parlamento. In realtà, potrebbe risultare che il referendum propositivo toglie potere al governo piuttosto che al Parlamento e che parlamentari competenti saprebbero come ridefinire i compiti delle rispettive Camere riconquistando le funzioni più importanti: controllo sull’operato del governo, conciliazione di interessi, comunicazione con la cittadinanza e rappresentanza politica.

La riduzione del numero dei parlamentari voluta dalle 5 Stelle ha le più classiche motivazioni populiste: tagliare “poltrone” per ridurre i costi, passando da 630 deputati a 400 e da 315 senatori eletti a 200 (in totale da 945 a 600 eletti) sembra essere il vero punctum dolens. La trasformazione del Senato secondo la riforma Renzi eliminava i Senatori eletti dai cittadini, recuperandone 95 dai Consigli regionali più cinque senatori a vita, veri “cavoli a merenda”. Da 945 parlamentari eletti si scendeva a 630 più 100, con la motivazione populista (e un di più di decisionismo accattone): meno poltrone, meno costi, i senatori di provenienza regionale non avrebbero avuto indennità, ma solo rimborso spese. Però, la rappresentanza politica non è mai solo faccenda di numeri. Dipende dalle modalità con le quali i rappresentanti sono eletti e possono essere rieletti. Da questo punto di vista, il colpo mortale alla rappresentanza politica viene, da un lato, dall’eventuale, ancorché fondamentalmente impossibile da praticare, vincolo di mandato, dall’altro dai limiti ai mandati elettivi.

La Legge Rosato con le sue liste bloccate è fatta per rendere impossibile la buona rappresentanza politica. Gli eletti sanno di dovere la loro “poltrona” , non agli elettori di fronte ai quali non avranno nessun incentivo a tornare per parlare di politica spiegando quel che hanno fatto, non fatto, fatto male, ma a chi li ha messi in lista in posizioni eleggibili. Il ministro Boschi annunciò che i capilista bloccati (paracadutati, come lei stessa sarebbe stata a Bolzano nel 2018), nominati dal segretario del partito, diventavano “rappresentanti del collegio”. Obiettai che sarebbero stati i commissari politici di quel segretario. La combinazione della riforma del Senato, con i nuovi senatori a rappresentare non i cittadini delle rispettive regioni, ma i partiti di quelle regioni e il suo depotenziamento quanto a rappresentanza e capacità di controllo sull’operato anche legislativo del governo, con la legge elettorale, Italicum o Rosato, incideva gravemente sulla rappresentanza politica. Con un’alzata di spalle, i renziani unitamente a commentatori politici, giornalisti e politologi, raccontarono la favola del trade-off: rinunciare a un po’ di rappresentanza per avere un tot di governabilità (garantita da un cospicuo premio di seggi). Alla faccia di coloro che pensano, con notevoli pezze d’appoggio, che una ampia e diversificata rappresentanza politica è premessa e fondamento irrinunciabile di qualsiasi governabilità.

No, la riduzione del numero dei parlamentari, magari giustificata con la necessità di maggiore e migliore efficienza, da un lato, non è di per sé un attentato alla democrazia, dall’altro, però, esige una apposita legge elettorale di cui non v’è traccia nel disegno riformatore del governo giallo-verde. Le critiche dei renziani e dei sostenitori delle riforme sconfitte sono opportunistiche e inaccettabili. Le riforme delle 5 Stelle si muovono sul loro stesso terreno. Sono contrastabili con le argomentazioni usate dai sostenitori del No. Lo saranno se e quando diventerà necessario. Lo farò insieme ai moltissimi “partigiani cattivi”. Nel frattempo, mi auguro, senza farmi illusioni, che i produttori seriali di stupidaggini costituzionali imparino qualcosa.

Incidente di Alcamo. È morto anche il secondo bambino

È morto a Palermo, dove era ricoverato dal 12 luglio, il piccolo Antonino Provenzano, 9 anni, che aveva perso il fratello di 13, Francesco, nell’incidente accorso il 12 luglio scorso sull’A29, nei pressi di Alcamo, in provincia di Trapani. Il bimbo aveva riportato gravissime ferite alla testa, era in coma farmacologico e si trovava nel reparto di Neurorianimazione di Villa Sofia. Il padre, Fabio Provenzano, 34 anni, che era alla guida e che pochi istanti prima dello schianto aveva postato un video su Facebook, è ricoverato in coma: le analisi del sangue hanno confermato la positività alla cocaina. L’uomo, un fruttivendolo di Partinico (Palermo), era in diretta sul social network quando ha perso il controllo della sua Bmw 320, che nell’impatto si è accartocciata. Dopo l’incidente, gli agenti della Polstrada hanno trovato un grammo di droga nella tasca dei pantaloni indossati dall’uomo. Attualmente è indagato dal procura di Trapani con l’accusa di omicidio stradale, aggravato dall’averlo commesso sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Delitto Macchi, cancellato l’ergastolo. Liberato Binda

I giudicidella Corte d’assise d’appello di Milano hanno assolto “per non aver commesso il fatto” Stefano Binda, accusato e condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi: la ragazza era stata violentata e uccisa con 29 coltellate nel 1987. Contro l’uomo, 52 anni, ex compagno di liceo della 21enne, arrestato nel gennaio 2016 e poi condannato all’ergastolo in primo grado, c’era secondo l’accusa anche la poesia “In morte di un’amica”, inviata ai genitori della vittima il giorno del funerale, sempre però negata dal diretto interessato. “Non l’ho uccisa io, non so nulla di quella sera”, aveva detto lui. I giudici d’appello gli hanno creduto, ribaltando il primo verdetto di condanna. “Abbiamo aspettato per 32 anni, Lidia non ce la restituisce nessuno, adesso vogliamo sapere la verità su quello che è accaduto quella sera”, il commento della sorella Stefania Macchi. “Forse è stata una sentenza affrettata”. L’omicidio Macchi resta così al momento senza un colpevole. Come effetto della decisione d’appello, Binda, che ha trascorso gli ultimi tre anni in carcere, tornerà immediatamente in libertà.

Falsi, abusi, maltrattamenti I fatti accertati e le accuse

Ora il Pd è il “Partito Di Bibbiano”, quando si parla dei 49 milioni o degli affari a Mosca i leghisti rispondono “e allora Bibbiano?”. Ma cosa c’è davvero nell’inchiesta “Angeli e demoni” e nell’ordinanza del giudice Luca Ramponi di Reggio Emilia che il 27 giugno ha disposto gli arresti domiciliari per sei persone, compresi il sindaco Pd di Bibbiano (10 mila abitanti) Andrea Carletti, la responsabile dei servizi sociali e il fondatore del Centro Hansel & Gretel Claudio Foti (la misura è stata poi attenuata: obbligo di dimora a Pinerolo, Torino) a cui si ispirava il centro “La Cura” del Comune emiliano. Anghinolfi qualche anno fa era stata invitata alla Festa dell’Unità del Pd a Bologna, ma ad Hansel & Gretel il M5s del Piemonte aveva donato 195 mila euro (salvo poi chiederne la restituzione dopo l’inchiesta). L’ordinanza (277 pagine) racconta l’orrore di una gestione che mirava a sottrarre alle famiglie i minori, a falsificarne le testimonianze, a sottoporli a costose psicoterapie nel centro “La Cura”, a collocarli presso famiglie affidatarie “amiche”.

L’indagine è partita proprio dall’intuizione della pm Valentina Salvi che si era accorta di un eccesso di casi di abusi su minori in quel territorio del Reggiano che corrisponde all’Unione dei Comuni della Val d’Enza di cui fa parte Bibbiano. Riguarda dieci minori tra i 5 e i 14 anni, “costretti” a ricordare fatti mai avvenuti. Quattro sono tornati a casa, per decisione del Tribunale dei minori di Bologna, prima ancora degli arresti. C’è un caso “pilota”, quello di una 14enne della quale sarebbe stato contraffatto un disegno, inserendo le mani di un uomo che sarebbe il padre facendole arrivare fino alle parti intime della ragazzina: “Io non mi ricordo di aver detto che non volevo più vederlo!”, ha messo a verbale la 14enne parlando del padre. “Ogni tanto mi capita di piangere perché mi manca il mio papà”, mentre l’affidataria urla il contrario.

La dirigente pubblica sceglie l’ex compagna

Personaggio chiave è Federica Anghinolfi, dirigente dei servizi sociali, 56 anni. Lesbica, di sinistra, l’ultimo suo post su Facebook prima dell’arresto era per Carola Rackete: un bersaglio perfetto per le destre. Il suo avvocato è Rossella Ognibene, che per assisterla si è dimessa da consigliere comunale M5S di Reggio Emilia e con il Fatto non desidera parlare. Anghinolfi risponde per la maggioranza dei dieci casi. Tra il 2016 e il 2018. L’elenco dei reati è sterminato: falso in atto pubblico, frode processuale, abuso d’ufficio, violenza privata, peculato, depistaggio, lesioni. Era lei a firmare le relazioni, per l’accusa false, che servivano ad allontanare i minori dalle famiglie. La Anghinolfi è anche accusata di violenza privata nei confronti di una delle assistente sociali per averla spinta a condividere i suoi comportamenti ritenuti illeciti. E infine avrebbe favorito l’affidamento di una minore a una sua ex compagna, con la quale è co-intestataria di un immobile acquistato con un mutuo ancora in essere, consentendole di incassare una retta “doppia rispetto al contributo invece previsto nelle tabelle di 620 euro mensili”. Avrebbe anche omesso di riferire che le “regressioni emotive e gli sbalzi d’umore dei minori” erano state riscontrate anche prima delle supposte violenze. Assieme all’assistente sociale Annalisa Scalabrini, secondo l’accusa, “con inganno consistito nel palesargli la riferita presenza di bruciori vulvari da parte della minore, inducevano il pediatra di base, facendo in modo che quest’ultimo certificasse in apposita prescrizione medica la necessità di dover eseguire a carico della bambina una visita ginecologica”.

Le si imputa anche di aver affidato, ancor prima dell’inaugurazione della “Cura” di Bibbiano nel settembre del 2016, il servizio di psicoterapia dei minori della Val d’Enza al centro Hansel & Gretel, firmando senza gara le determine relative alle spese sostenute per un importo superiore ai 40mila euro; di aver consentito alla onlus di Torino di utilizzare gratuitamente i locali della struttura pubblica per sedute di psicoterapia pagate 135 euro l’ora, a fronte dei 60/70 euro previsti, nonostante la Asl potesse farsene carico mediante i propri professionisti.

L’epilessia nascosta e il sogno manipolato

Ai domiciliari c’è anche Francesco Monopoli, assistente sociale 35enne dell’Unione Val d’Enza. Anche a lui si imputano falsità ideologica in atti pubblici, falsa perizia, frode processuale, abuso d’ufficio, depistaggio, lesioni. Avrebbe omesso l’epilessia di una minore, avrebbe indotto uno dei periti mediante inganno a credere a presunti comportamenti sadici, sessualizzati e seduttivi, avallati dal racconto di un sogno fatto dalla bambina difforme da quanto riferito dalla minore. Avrebbe omesso di astenersi dallo svolgimento della sua professione in presenza di un grave conflitto di interessi, perché vice-direttore dell’associazione “Rompere il silenzio”, diretta da Claudio Foti, anch’egli indagato. Monopoli sarebbe stato anche pagato da Foti per corsi di formazione e master organizzati dal centro studi. A lui si attribuiscono relazioni false. In una, ad esempio, avrebbe riferito del “timore concreto” del minore di incontrare i suoi familiari. In un’altra, per avallare la tesi dell’abuso e quindi del necessario affido, avrebbe descritto lo stato di due fratellini, al momento dell’allontanamento, indicandoli “privi di alcuna mimica facciale, insensibili a qualsiasi emozione esterna, silenti e passivi”. E ancora avrebbe riferito di atti di autolesionismo di una delle dieci minori da ricondurre a traumi dovuti a abusi sessuali, quando invece per l’accusa si tratta di gesti che emulavano quelli compiuti dalle coetanee a scuola.

Lo psicoterapeuta all’origine del metodo

Due protagonisti sono Claudio Foti e la sua compagna Nadia Bolognini. Foti, 68 anni, laureato in lettere, psicoterapeuta molto noto, è il direttore scientifico e la mente di Hansel & Gretel. Risponde di frode processuale e abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, avrebbe alterato lo stato psicologico ed emotivo di una minore, sottoponendola come “cavia”, durante il corso di formazione per gli operatori dell’Asl, attraverso “modalità suggestive”: “Tu vieni al mondo e come tutte le bambine provi ad aver fiducia nel mondo dei grandi… e sei tradita. Come ogni bambina credevi a tuo padre”, diceva.

L’abuso di ufficio, invece, riguarderebbe l’insediamento nei locali della struttura pubblica La Cura nella piena consapevolezza della totale illiceità del sistema creato. Su Foti sono emerse successivamente all’ordinanza anche notizie sul presunto maltrattamento in famiglia. Ma il suo legale, Girolamo Andrea Coffari, sostiene non vi siano denunce a suo carico.

La “macchinetta” dei ricordi

Nadia Bolognini, compagna di Foti e psicoterapeuta, risponde di accuse più gravi. Abuso d’ufficio, falsa perizia, frode processuale e dpistaggio ma anche falso in atto pubblico, violenza privata, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e lesione personale. La Bolognini è colei che avrebbe utilizzato la “macchinetta dei ricordi”, il Neurotek, uno strumento ad impulsi elettromagnetici, mostrandola come una “cosa magica” che serviva ad ascoltare i racconti “sulle cose brutte subite”. L’apparecchio è discusso, ma secondo gli esperti non può certo creare ricordi inesistenti. Per l’accusa, i percorsi terapeutici intrapresi non sarebbero conformi alla Carta di Noto sul l’esame del minore vittima di abuso sessuale. Così facendo, avrebbe violato la capacità di autoderminazione della minore, alterando il suo stato psicologico ed emotivo. Inoltre alla Bolognini sono contestate relazioni sui minori di cui riportava frasi e comportamenti falsi, interrogatori serrati nei confronti dei minori, sedute in cui “si travestiva da lupo o da altri personaggi cattivi tratti da racconti popolari”, durante le quali inseguiva il minore all’interno del proprio studio presso la Cura, urlandogli contro ed inseguendolo al dichiarato fine di punirlo e sottometterlo (anche con chiaro significato sessuale)”. Lei avrebbe sistematicamente denigrato dinanzi ai minori le figure genitoriali per convincerli che fossero vittime di abusi e maltrattamenti. Questo modus operandi si ripete per la maggior parte dei casi. Inoltre, secondo l’accusa, dichiarava una durata delle prestazioni professionali eseguite superiori alla realtà. Su 115, 61 duravano meno dei 45 minuti previsti. Fatturava, così, compensi maggiori di quelli che le spettavano.

Il sindaco dem che avallava

Resta agli arresti domiciliari anche l’ex sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, esponente del Partito democratico. Si è autosospeso dal partito, il prefetto l’ha ovviamente sospeso dall’incarico pubblico. Risponde di abuso d’ufficio e falso ideologica. Secondo l’accusa, “disponeva lo stabile insediamento dei tre terapeuti privati della onlus di Torino nei locali della struttura pubblica della Cura, della cui istituzione si era personalmente occupato e assunto la paternità in diverse occasioni pubbliche”.

I giudici gli contestano la partecipazione all’incontro del 10 dicembre scorso, da cui sarebbero derivati due documenti. Nel primo si stabiliva un preventivo di spesa per la psicoterapia di 8 minori vittime di maltrattamenti e abusi: per il 2019 di 57.200 euro e per il 2020 di 23.070 euro. Nel secondo, del gennaio scorso, con la finalità di spacchettare gli importi per evitare una procedura a evidenza pubblica fissata sopra i 40 mila euro, gli importi venivano ascritti a un periodo di 6 mesi per un valore di 28.600 euro.

L’audacia di Boschi, eroina del collegio

Ai renziani, è certo, non manca l’audacia. Per anni hanno portato avanti la narrazione di un’Italia in ripresa, con una legge elettorale “che avrebbero copiato in tutta Europa” e con una riforma costituzionale “che il Paese aspettava da decenni”. Finita mestamente quella stagione, i nostri eroi non si sono arresi e hanno presto trovato nuovi argomenti per suonarsela e cantarsela. Ieri per esempio l’ex ministra Maria Elena Boschi, in un’intervista a Repubblica, ha mostrato sfrontatezza: “I renziani hanno paura di non essere rieletti in caso di elezioni anticipate? Figuriamoci: ma se diciamo che bisogna andare al voto! Noi siamo quelli che hanno vinto nei collegi uninominali”. Ah si? Beh, un po’ pochini allora questi renziani, considerando che nel 2018 il centrosinistra ha vinto in 28 collegi uninominali alla Camera su 232. Gioverà allora ricordare che proprio la Boschi, aretina e grande sostenitrice dei collegi, è stata eletta a Bolzano, grazie (più che ai voti del Pd) alle liste dei sudtirolesi di Svp, che hanno doppiato gli alleati dem. Ma la passione per gli uninominali era talmente forte che la Boschi era blindata in altri 5 collegi plurinominali, tutti da capolista: Lombardia, Lazio e tre zone della Sicilia. Ovunque, tranne che a Arezzo. Facile, con tutti questi paracaduti, non avere paura del voto.

Il Pd “sfiducia” Renzi e litiga anche sul Rubligate

È il giorno in cui Matteo Salvini fugge dal Senato. Quello in cui il Movimento 5 Stelle, ancora stordito per il sì al Tav, lascia vuoti gran parte dei banchi del Senato. Sarebbe una prateria politica per l’opposizione, eppure il Partito democratico riesce a incartarsi. Colpa ancora una volta delle solite beghe interne, mai risolte dopo anni di scissioni, batoste elettorali, dimissioni a metà, reggenze e primarie.

L’ultimo capitolo dello psicodramma si compie ieri, quando Matteo Renzi rinuncia al suo intervento in Senato in polemica con i malumori espressi da alcuni onorevoli dell’ala zingarettiana, per poi rifugiarsi nella consueta diretta Facebook. In Senato alla fine parla Dario Parrini, capogruppo dem in commissione affari costituzionali, ma per tutto il giorno tiene banco lo scontro tra le correnti.

I primi problemi sorgono già martedì, quando Zingaretti si riunisce con i senatori del Pd e viene formalizzata la proposta dei renziani secondo cui sarebbe stato proprio l’ex premier a prendere la parola in Aula per rispondere all’informativa di Giuseppe Conte sul caso Rubli. La proposta passa all’unanimità, ma tre onorevoli – Antonio Misiani, Luigi Zanda e Roberta Pinotti – alzano la mano per contestare il metodo utilizzato, perché il capogruppo Andrea Marcucci avrebbe chiesto a Zingaretti il via libera per Renzi prima di discuterne con l’assemblea.

Il voto comunque è positivo e dunque nulla osterebbe all’intervento dell’ex segretario, che però nella mattinata di ieri annuncia il passo indietro su Facebook: “Avevo chiesto di poter intervenire contro Salvini a nome del Pd. La cosa ha suscitato polemiche interne da parte dei senatori vicini alla segreteria. E siccome ritengo assurdo che nel giorno in cui Salvini deve parlare dei suoi guai, una parte del Pd attacchi me, ho deciso di rinunciare all’intervento”.

Concetti ribaditi poi in serata, ancora sul social network. Renzi interviene in diretta e torna sulla dialettica interna: “Trovo sorprendente che tutte le volte che apro bocca ci sia qualcuno dei miei, ‘miei’ si fa per dire, che mi attacca. Il Matteo da attaccare non sono io, ma Salvini”. Parole che ricalcano lo scontro, anche se lo stesso Renzi alza le mani e giura di “non voler fare alcuna corrente”, pur annunciando il via della sua scuola di formazione politica estiva e l’organizzazione della decima Leopolda, a ottobre.

Il partito, però, è ormai in ordine sparso. Zingaretti cade dalle nuvole: “Francamente non capisco cosa sta succedendo. Una discussione sul Russiagate sta diventando una discussione sul Pd. È una polemica insensata, in momenti come questi ci vuole molta responsabilità perché gli avversari sono fuori di noi”.

I renziani sono molto meno serafici. Marcucci, sentito da Fanpage, parla di “indole autolesionistica”, Michele Anzaldi rilancia con il “tafazzismo allo stato puro”. Alessia Morani va dritta contro Zingaretti: “Il nuovo Pd ha deciso che Renzi non deve parlare in Senato. Dopo averci epurato dalle tv ora ci impediscono anche di svolgere il nostro mandato parlamentare. Proprio ‘nuovo’ questo Pd. Complimenti davvero”. Storie di correntismo quotidiano.

Sozzani è salvo: Pd, Lega e FI votano no alle intercettazioni

Guai a usare il trojan se di mezzo ci sono i parlamentari. La giunta per le autorizzazioni della Camera dice no ai magistrati di Milano: non potranno utilizzare le conversazioni captate tramite spyware che riguardano il deputato forzista Diego Sozzani, reso celebre dall’intercettazione in cui si lamentava con un suo sodale di essere costretto a “mettersi in ginocchio per tre lire” per riuscire a raccattare fondi per la campagna elettorale di marzo 2018. Sozzani è accusato di finanziamento illecito dei partiti (reato per il quale ne è stato richiesto l’arresto), ma risulta pure indagato per corruzione, traffico di influenze e turbata libertà degli incanti. In concorso con altri, coinvolti nella maxi inchiesta dell’Antimafia di Milano denominata “Mensa dei poveri” che lo scorso maggio ha fatto tremare i polsi alla politica della regione Lombardia fino a lambire persino gli uffici del governatore Attilio Fontana.

Ma il clamore per questa nuova Tangentopoli sembra acqua ormai passata e Sozzani può dormire sonni tranquilli: per lui è scattato lo scudo di Montecitorio. A votare “no” all’uso delle intercettazioni richiesto dal tribunale di Milano sono stati Forza Italia, Lega e pure il Pd. Che in particolare ha messo nel mirino il trojan, che metterebbe a rischio la tenuta costituzionale del sistema delle guarentigie che proteggono gli onorevoli. Isolati i 5 Stelle che invece hanno votato sì. “Il quadro accusatorio che emerge dall’inchiesta è di una gravità assoluta. E la richiesta dei giudici, al netto del fatto che le tecnologie si evolvono anche rispetto agli strumenti investigativi, si presenta comunque in linea con la giurisprudenza della Corte di Cassazione e Costituzionale”, dice il deputato M5S Eugenio Saitta, che spiega le ragioni che hanno spinto il Movimento a votare per concedere l’autorizzazione, mantenendo salda la linea che “da sempre adottiamo in circostanze simili e distinguendoci ancora una volta da tutte le altre forze politiche che si sono espresse contro l’utilizzabilità delle intercettazioni”.

Una linea che però è risultata minoritaria: la Camera ha sbattuto la porta in faccia ai magistrati ponendo una seria ipoteca anche sulla richiesta di arresto che pende sempre sulla testa di Sozzani.

Ma cosa gli contestano gli inquirenti? Di aver percepito illegalmente un “contributo” elettorale di 10 mila euro da un imprenditore (Daniele D’Alfonso) con un finanziamento “finalizzato a far ottenere alla società di D’Alfonso agevolazioni nell’ottenimento di appalti in provincia di Novara”. Attraverso le conversazioni captate, scrive ancora il gip di Milano “si ottiene un riscontro agli indizi del sistema illecito di incarichi pilotati a favore della società Greenline srl, riconducibile al deputato, da parte delle società in house operanti in provincia di Varese eterodirette da Nino Caianiello”. Presunto “grande manovratore” di un sistema di “stecche” svelata dall’indagine che vede più di cento indagati, tra cui anche Lara Comi. Eppure per la Camera c’è il fumus persecutionis e le intercettazioni non potranno essere utilizzate.

E la richiesta di arresto? Di questo tornerà ad occuparsi la Giunta per le autorizzazioni la prossima settimana. Mentre ancora non è certo quando si pronuncerà l’Aula della Camera per il voto finale. “Mi auguro prima dell’estate anche perché sarebbe surreale che ci si esprimesse a settembre rispetto a una richiesta di misura cautelare”, chiosa il pentastellato Saitta.

Al netto del calendario, le speranze dei magistrati sono ridotte al lumicino, dato il “no” all’uso delle captazioni che era questione pregiudiziale. Un diniego che ha riguardato sia le intercettazioni classiche che quelle acquisite con lo spyware, nonostante fossero ritenute rilevanti non solo – come scrive il gip Raffaella Mascarino –per valutare la ricorrenza delle esigenze cautelari, ma anche per la prosecuzione delle indagini.