Pillon riscrive Pillon: il ddl slitta a settembre

Ieri era tornato in discussione in commissione Giustizia al Senato, che ha dato mandato all’unanimità – sempre però al senatore Simone Pillon (tra i fondatori del Family Day e mediatore familiare) – di redigere un nuovo testo unificato sull’affido condiviso. Una mossa che, secondo il M5s, implica l’addio al primo e contestato ddl Pillon e fa slittare a settembre la discussione con un nuovo testo che riunisca non solo i sei ddl depositati, ma anche quanto emerso dalle oltre cento audizioni svolte in questi mesi. Altrimenti, assicurano, non ci sarà l’approvazione.

Fino ad oggi, il disegno di legge – senza tenere conto anche di quello della senatrice Binetti che presenta invece forti criticità sul modo di affrontare la violenza domestica – è stato fortemente criticato (ieri ci sono state proteste e sit in di “Non un di meno” ed altre associazioni): giudicato discriminatorio, impari e reo di sacrificare l’interesse dei figli per l’interesse degli adulti.

Il ddl prevedeva, per dire, l’introduzione di metodi di risoluzione alternativa al tribunale per i conflitti familiari come, ad esempio, la mediazione civile obbligatoria in caso di figli minorenni per “salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia”. Si disponeva che il mediatore familiare fosse tenuto al segreto professionale e che nessuno degli atti del procedimento di mediazione familiare potesse “essere prodotto dalle parti nei procedimenti giudiziali”. Neanche in caso di emersione di violenza. E tutto a pagamento. Si prevedeva, poi, che “indipendentemente dai rapporti tra i due genitori” il minore abbia diritto a mantenere “un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali e a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale”: 12 giorni al mese con uno, 12 con l’altro. E ancora: il doppio domicilio, mantenimento diviso equamente tra i due genitori per il tempo in cui il figlio gli è affidato, un piano genitoriale che contenga la ripartizione esatta per ciascun capitolo di spesa, il contrasto alla cosiddetta “alienazione parentale”.

Associazioni, psicologi, operatori, giuristi e movimenti femministi si sono opposti al testo. Tra questi, anche le relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne. Molte le critiche: separazione e divorzio con figli minorenni coinvolti diventano più onerosi e complessi, con il pagamento obbligatorio di un mediatore anche in caso di modifiche minime del piano genitoriale (che nella sua rigidità riduce la libertà di scelta del minore). In molti hanno fatto notare che il ddl aveva un principio adultocentrico, che il principio di bigenitorialità paritaria a tutti i costi renda il minore “un bene”. Per il Coordinamento italiano per i servizi maltrattamento all’infanzia (Cismai) “la divisione a metà del tempo e la doppia residenza dei figli ledono fortemente il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità e alla protezione dalle lacerazioni che inevitabilmente le separazioni com portano”. Fuori, infine, i casi in cui le separazioni sono dovute a violenza domestica, costringendo la vittima a negoziare con il proprio aggressore. Nessuna definizione di “violenza” né inserimento nell’iter giudiziario per regolamentare i rapporti tra genitori.

Minori rubati, Salvini si scatena ma sbaglia i numeri del 200%

I toni indignati, gli abbracci con la folla, la promessa che le ingiustizie non si ripeteranno. E pure qualche sparata di troppo, subito smentita. C’è tutto Matteo Salvini nella visita del leader leghista a Bibbiano, 10 mila anime in provincia di Reggio Emilia sconvolte da un’inchiesta sui minori sottratti alle famiglie e dati in affido con modalità ritenute illecite dalla Procura e dal giudice. Sei agli arresti domiciliari tra responsabili pubblici e psicoterapeuti del centro studi Hansel & Gretel (uno revocato), più alcune misure interdittive. L’indagine è in corso, ma l’occasione politica per la Lega è già tutta da cogliere, per una volta di nuovo in sintonia con gli alleati del Movimento 5 Stelle che da giorni associano lo scandalo emiliano al Pd, a cui è iscritto il sindaco indagato.

E così nel giorno in cui la Gazzetta di Reggio scrive che 4 dei 6 minori indicati nell’ordinanza d’arresto sono tornati dalle famiglie, ancora prima delle misure disposte il 27 giugno, Salvini si veste da uomo della provvidenza, incontra i genitori e giura in piazza di sistemare tutto: “Non avrò pace fino a che l’ultimo bambino in Italia sottratto ingiustamente alla propria famiglia non tornerà da mamma e papà. In un Paese civile prima di portare via un bimbo da casa le devi aver provate tutte ”.

Un caso nazionale, ma che secondo il ministro assume dimensioni anomale proprio in Emilia: “Grazie a una interrogazione della Lega in Regione, ho visto che solo negli ultimi anni qui sono stati 10mila i bambini portati via dai loro genitori. Andremo fino in fondo: chi è stato portato via con l’inganno deve poter tornare”.

La gente applaude, una anziana signora si sporge e bacia il vicepremier. I numeri di Salvini, però, sono falsi. Lo conferma la Regione Emilia-Romagna, che con il sottosegretario alla presidenza Giammaria Menghi spiega: “In Emilia, al 31 dicembre 2017, i minori in affidamento erano 1.529 e quelli in comunità 1.441”. Totale: 2.970. “Vi sono poi altri minori ospitati in strutture insieme alle madri – spiega ancora Menghi – ma di certo si è lontani dai 10 mila bambini ‘portati via ai genitori’ di cui ha parlato il vicepremier”. Sembra sia stato un errore di calcolo: lo staff del ministro deve aver fatto la somma algebrica dei minori in affido al 31 dicembre di ciascun anno dal 2014 al 2017, mentre naturalmente in quei numeri ci sono anche bambini allontanati negli anni precedenti.

Poco importa. Il comizio prosegue senza intoppi. “Non vengo qui – assicura Salvini – per attaccare Renzi o Zingaretti, non mi interessa il colore politico. Qui ci sono da salvare dei bimbi”. In che modo? Raccogliendo testimonianze e portando il caso in Parlamento: “Invito chiunque sia a conoscenza di altri abusi, a segnalarli al ministero dell’Interno, se vuole anche dietro anonimato. Entro quest’estate verrà approvata, su proposta della Lega, la commissione d’inchiesta sulle case famiglie”. Uno strumento che dovrebbe monitorare gli affidi “in tutta Italia, città per città, assistente sociale per assistente sociale”, mentre il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha promesso “una task force” e il vicepremier Luigi Di Maio fa sapere che anche lui andrà a Bibbiano.

Salvini insiste poi su un terreno ben noto: “Ogni volta che vado a visitare un campo rom mi domando perché i tribunali dei minori non vadano a portare via quei bimbi. I servizi sociali sono implacabili coi genitori italiani che hanno perso il lavoro e hanno qualche problema a pagare le bollette, mentre con chi educa i figli al furto è tutto normale”.

È campagna elettorale, gridano dal Pd, con la vicesegretaria Paola De Micheli che attacca: “Salvini si reca a Bibbiano per una passerella di cattivo gusto. Perché non va nel foggiano dove hanno arrestato un sindaco della Lega?”. Domanda che non sfiora neanche il ministro: “Dovrebbe parlare con le mamme e i papà con cui ho parlato io, a cui sono stati rubati con l’inganno i bimbi”. Ma anche la critica dem, intanto, fa il gioco del ministro: lo scandalo è giudiziario, ma il dibattito è tutto politico.

Arrestato titolare del centro accoglienza. Evasione da 3 milioni

Sfruttava il business dei migranti, con fatture false fino a 17 milioni di euro. Un imprenditore fiorentino, titolare di un consorzio di gestione di centri di accoglienza per migranti nella provincia di Firenze, è stato arrestato con l’accusa di evasione fiscale per 3 milioni di euro nel periodo 2012-2017. L’uomo è stato posto ai domiciliari. Il provvedimento, con il quale è stato disposto anche il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di denaro, di beni mobili e immobili per 3 milioni, è stato firmato dal gip del tribunale di Firenze Angelo Antonio Pezzuti. L’indagine è stata avviata in seguito a un controllo sull’utilizzo di alcuni fondi pubblici, erogati per l’accoglienza dei migranti. Le società, attive nella provincia di Firenze e, in particolare, nell’Empolese, in molti casi avrebbero omesso il versamento delle imposte e, in alcuni, anche dei contribuiti previdenziali, nonché emesso diverse fatture con importi notevolmente aumentati, secondo l’accusa, rispetto al reale a favore della società consortile. Alcune di esse, attive per brevi periodi, venivano rappresentate da prestanome italiani e stranieri, in alcuni casi anziani o con precedenti penali, che, alla chiusura, ne svuotavano i conti correnti per restituire i soldi.

“Appalti truccati ai soliti noti”: sindaco leghista ai domiciliari

Uno dei “volti del buon governo” in Puglia, lo aveva definito un anno fa l’allora coordinatore regionale Andrea Caroppo, accogliendolo nella Lega. Da ieri Antonio Potenza, sindaco di Apricena (Foggia), è agli arresti domiciliari: non solo un viaggio, assieme al fratello, a bordo della Opel Mokka del Comune per scopi privati che gli è costato l’accusa di peculato d’uso, ma un vero e proprio “comitato d’affari” sugli appalti pubblici, che ruotava intorno al suo assessore Augelli (anche lui fermato) e che ha portato altre 12 misure interdittive, secondo le ricostruzioni nell’inchiesta della procura guidata da Ludovico Vaccaro.

Le gare venivano vinte sempre dagli stessi, grazie a una “macchina criminale rodatissima” che “strumentalizzava gli uffici pubblici, che non si faceva nessuno scrupolo e non ha incontrato opposizione”, scrivono gli inquirenti. Tanto da far lucrare i ‘soliti noti’, la cerchia che si è spartita gli appalti, perfino sui lavori di ammodernamento anti-sismico della caserma dei carabinieri. Così avrebbero lavorato gli uomini vicini a Potenza, alla guida del Comune del 2012 e rieletto poche settimane fa con oltre il 71% delle preferenze, finito ai domiciliari anche con l’accusa di concussione e abuso d’ufficio. La prima riguarda una “schifezza di quelle grandi”, come la chiama la vittima in un’intercettazione, su un posto a tempo indeterminato da collaboratore amministrativo nel Comune di Andria: il sindaco leghista avrebbe costretto una persona del suo staff, primo in graduatoria, a rinunciare per favorire il secondo. L’abuso d’ufficio viene contestato perché nel novembre 2017, Potenza aveva affidato verbalmente a una “persona di fiducia” il compito di “bonificare” il suo ufficio da microspie, installando un impianto di videosorveglianza in assenza di “qualsivoglia atto amministrativo”, scrive il gip Corvino. Tutto a spese del Comune.

“Ho rapporti con il governo, la Regione capirà”

“Se io vado al governo, il governo non è amico della Regione, cioè l’unico che ha rapporti con il governo sulla materia nostra sono io”.

L’imprenditore genovese Paolo Arata sembra molto convinto di sé. È il 23 maggio 2018, quando l’ex politico forzista, indagato per corruzione dalle Procure di Palermo e Roma, si trova in macchina insieme al figlio Francesco. I due dialogano sulle loro “prospettive economiche” e sugli “investimenti nel settore delle rinnovabili” in Sicilia. Discorsi ascoltati dagli investigatori della Dia di Trapani, che registrano ogni parola.

La “materia” di cui parla l’ex deputato forzista è l’energia rinnovabile, e nello specifico il biometano. Tramite la Solgesta Srl, azienda amministrata dalla moglie Alessandra Rollino, Arata ha presentato a Francofonte (Siracusa) e Calatafimi (Trapani) due progetti. Sulla carta sembrano impianti di biometano, ma in realtà nasconderebbero due inceneritori di rifiuti a gassificazione.

Per non rischiare che i progetti potessero essere bloccati, Arata sfrutta il suo forte ascendente sul leghista Armando Siri, consigliere economico di Matteo Salvini, per far inserire nell’accordo di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle, due righe sul biometano. Manovra che Arata avrebbe incentivato promettendo 30 mila euro all’ex sottosegretario del Carroccio, oggi indagato per corruzione a Roma e per questo costretto a dimettersi lo scorso maggio.

“Ieri sera mi hanno telefonato i miei amici della Lega mi hanno detto che nel contratto di governo hanno inserito alla voce rifiuti il biometano, ciao”, scrive Arata in un sms indirizzato al suo ingegnere di fiducia.

Nonostante il risultato, il figlio Francesco sembra avere ancora qualche timore per gli impianti siciliani, vista l’opposizione dei deputati regionali grillini e delle associazioni ambientaliste locali.

Ma Arata lo tranquillizza. “Questi devono un po’ capirlo, non hanno mica ancora capito alla Regione il ruolo che ho io, cioè l’unico che ha rapporti buoni, ottimi con il governo sono io, perché me ne occupo io almeno per metà e l’altra metà mi stanno ad ascoltare i Cinque Stelle, vedrai che la rivediamo anche la questione del biometano, stai tranquillo”.

“Me lo diranno chi è il mio interlocutore sui rifiuti sull’energia – aggiunge Arata –, io sono il responsabile della Lega, soprattutto tutti e due, sia Forza Italia che la Lega mi hanno riconosciuto questo ruolo. Quindi io c’ho due cappelli: Regione e lì, con Armando che mi segue in toto.” Per gli inquirenti, Siri sarebbe uno dei due “cappelli” di Arata, cioè lo “sponsor” politico a disposizione dell’imprenditore.

Arata due volte al forum di affari Italia-Russia

Il Foro di Dialogo Italia-Russia è la cornice istituzionale per gli accordi commerciali tra i due Paesi. Durante l’ultimo incontro, avvenuto a Roma il 4 luglio, anche il presidente dell’associazione Lombardia-Russia Gianluca Savoini si era fatto accreditare dal Viminale tra i partecipanti, nonostante Salvini dichiarasse di non saperne nulla.

Concepito nel 2004 da Putin e Berlusconi, il Foro è un appuntamento immancabile per gli uomini d’affari russi che vogliono investire in Italia e viceversa. Tanto è vero che Antonio Fallico, il presidente di Banca Intesa Russia tenutario dei rapporti commerciali di alto profilo con Mosca, compare in ogni edizione tra gli invitati.

L’altro Forum economico in cui Banca Intesa Russia gioca un ruolo di prim’ordine è quello internazionale di San Pietroburgo, evento da non mancare se si vogliono fare affari nel Paese di Putin. In entrambe le occasioni c’è un tema di cui si discute sempre: l’energia.

Ben prima dell’epoca salviniana, quello economico è il settore principale al centro degli interessi di Roma e Mosca. Scorrendo i nomi dei partecipanti delle vecchie edizioni del Foro di dialogo Italia-Russia, ce n’è uno che in questi giorni salta subito agli occhi: Paolo Arata, l’uomo che avrebbe promesso 30 mila euro all’ex sottosegretario Armando Siri nel 2018.

È presente come moderatore sia nel 2007, sia nel 2009, con la qualifica di “Vice presidente del Forum Energia e Società”. A quanto pare è stato invitato all’insaputa della stessa organizzazione: “Non ricordo che Arata mi abbia parlato mai di questo evento”, afferma Andrea Margheri, ex senatore che del Forum Energia e Società è stato presidente. “Arata si presentò da solo quale esperto di ecologia e ambiente di Forza Italia”, ricorda. È da allora che per tutti Paolo Arata è l’esperto di rinnovabili in quota FI.

Il passaggio in Lega, avvenuto due anni fa, ancora sorprende Margheri. Arata nel 2009 era preoccupato perché il governo aveva in programma una riduzione dei fondi per l’energia rinnovabile.

Stesso timore di un altro panelist, Igor Akhmenov. In Italia rappresentava il gruppo Renova, colosso dell’oligarca russo Viktor Vekselberg, uomo dell’inner circle di Putin.

La partecipazione di Akhmerov al Foro coincide con l’ingresso prepotente nel mercato italiano: la sua azienda, Avelar Group, fa incetta di operatori del settore, acquisendo il controllo di decine di parchi solari, principalmente in Puglia. L’obiettivo? Portarsi in pancia una ricca fetta del Conto Energia, il fondo di aiuti statali per i produttori di energia fotovoltaica.

Già nel 2013 l’interesse scema: il mercato italiano “ha esaurito il suo potenziale”, spiegava Akhmenov. L’anno successivo viene arrestato: secondo la Procura di Milano, l’installazione dei pannelli attestata al Ministero dell’Economia non sarebbe mai stata realmente conclusa.

In più, per ottenere una maggiorazione degli incentivi, Avelar avrebbe fatto certificare i pannelli provenienti dalla Cina come prodotti in Italia. Una truffa che ha fruttato oltre 50 milioni di euro alla controllata del colosso russo. E che ad Akhmerov è costata, ad aprile 2019, una condanna in primo grado a 4 anni e sei mesi per aver sottoscritto le false dichiarazioni necessarie all’erogazione dei fondi.

Dieci anni prima, a fianco di Akhmerov al tavolo del Foro sedeva il rappresentante di un altro gigante dell’energia russa: Nazim Suleymanov, all’epoca a capo della filiale italiana di Lukoil. Di quei tempi, però, più che di energia green l’azienda petrolifera russa sembrava interessarsi di pompe di benzina italiane.

Da aprile 2017 siede nel consiglio di amministrazione di Litasco. Un altro nome che riporta alle cronache di oggi: è tra le aziende evocate da “Ita2” (Gianluca Meranda e Luca Picasso) durante le negoziazioni all’hotel Metropol di Mosca.

Napolitano al mare seguito da 12 agenti Lui: “Non decido io”

Quattro agenti per fare da autisti, due per lui e due per la moglie. Più altri due – con turni da sei ore – per garantirne la sicurezza durante il soggiorno nella struttura militare che li ospita. Le vacanze di Giorgio Napolitano e della signora Clio a Marina di Cecina, secondo quanto riporta Il Giornale, starebbero richiedendo in questi giorni uno sforzo notevole da parte delle forze dell’ordine locali. Il presidente emerito della Repubblica avrebbe infatti preteso di sdoppiare gli autisti al servizio in quanto lui e la moglie avrebbero l’esigenza di muoversi anche separatamente. Richieste che avrebbero provocato la rabbia dei sindacati di polizia, come ancora riportato dal Giornale. Stando a quanto chiariscono dallo staff di Napolitano, però, la decisione sull’impegno degli agenti non dipenderebbe dall’ex presidente: “Le scelte relative al servizio di scorta e di vigilanza del Presidente emerito – scrive lo staff nella replica al Giornale – sono regolate da norme e direttive ovviamente non dipendenti dalla volontà del presidente Napolitano. Le spese relative al soggiorno del presidente, di sua moglie Clio e dei loro assistenti domestici sono naturalmente, come negli anni passati, a loro carico”.

Rai 2, Rai 3 e Rete 4: mancano pluralismo, equilibrio e obiettività

L’Agcom, l’Autorità Garante per le Comunicazioni, mette nel mirino la Rai e Rete 4. Su Viale Mazzini è stata aperta un’istruttoria “per mancanza di equilibrio, pluralismo, completezza dell’informazione e obbiettività” durante l’ultima campagna elettorale. Sotto la lente di Agcom sono finiti il Tg2 e il Tg2 Post, diretti da Gennaro Sangiuliano, la trasmissione Realiti, presentata da Enrico Lucci, sempre su Raidue, e L’approdo di Gad Lerner su Raitre. Laddove venissero accertate le accuse, l’Autorità potrebbe applicare una sanzione pecuniaria fino al 3% del fatturato della rete dell’ultimo anno. “Si tratta di una cosa molto grave, in pratica viene bocciato il palinsesto di Raidue”, fa notare la consigliera d’amministrazione Rita Borioni. Il garante ha inoltre inviato una lettera di richiamo a Rete 4 (Mediaset) per la trasmissione Fuori dal coro, condotta da Mario Giordano, segnalando la necessità di garantire “la presentazione veritiera dei fatti, in modo da favorire la libera formazione delle opinioni”. L’emittente è stata richiamata alla necessità di “evitare che rappresentazioni stereotipate possano generare effetti discriminatori nei confronti delle minoranze”.

Al Metropol anche un funzionario pubblico

Il puzzle si compone. I pm milanesi e gli investigatori della Guardia di Finanza avrebbero identificato un altro russo – il secondo – presente alle 9,30 del 18 ottobre scorso all’hotel Metropol di Mosca. Il nome è avvolto ancora dal riserbo, ma sembra trattarsi di un pubblico funzionario. Anche da qui viene l’ipotesi di reato, corruzione internazionale, scritta sul fascicolo dell’indagine condotta dai pm Fabio De Pasquale, Gaetano Ruta e Sergio Spadaro.

La presenza di un rappresentante dello Stato russo darebbe una luce diversa all’incontro di ottobre. Certo, occorre sapere se l’uomo fosse presente in veste ufficiale (e su mandato di chi). Finora alla ricostruzione del famoso incontro mancavano tasselli fondamentali. Si conoscono ormai le identità degli italiani presenti: oltre a Gianluca Savoini (presidente di Lombardia- Russia), c’erano l’avvocato Gianluca Meranda e Francesco Vannucci, ex impiegato del Monte dei Paschi di Siena.

Dall’altra parte del tavolo si sapeva soltanto della presenza di Ylia Anreevich Yakunin, un manager vicino all’avvocato Vladimir Pligin (che la sera prima avrebbe ospitato nel suo studio un incontro tra Matteo Salvini e il vicepremier russo con delega all’Energia Dimitry Kozak). Ma si trattava, appunto, di un manager, una figura del mondo dell’imprenditoria privata, pur se con legami al Cremlino. La presenza di un pubblico funzionario potrebbe agganciare l’incontro al governo russo.

È un momento importante per l’inchiesta che fa tremare la Lega. Per definire meglio il quadro i pm sembrano decisi a sentire come persona informata sui fatti (non è indagato) Ernesto Ferlenghi: la sera precedente all’incontro del Metropol, il manager Eni e presidente di Confindustria Russia era presente con Matteo Salvini e Savoini a una cena organizzata da Luca Picasso (direttore di Confindustria Russia, neppure lui indagato). Anche la versione di Picasso potrebbe presto essere oggetto di interesse da parte dei magistrati milanesi. Ferlenghi potrebbe fornire ai pm dettagli importanti per ricostruire l’agenda della delegazione italiana a Mosca. Savoini, Meranda e Vannucci, infatti, essendo indagati hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere ai pm. Ma Ferlenghi come testimone è obbligato a rispondere e a dire la verità.

Intanto le indagini proseguono su altri fronti. C’è da esaminare la grande mole di materiale sequestrato agli indagati nelle scorse settimane. Un lavoro che richiederà tempo. Mesi, forse. Non solo: dagli accertamenti sulle celle telefoniche in Italia e dalle informazioni per esempio acquisite dalle compagnie aeree potranno arrivare altri elementi utili. Poi, certo, ci sarebbe da indagare anche in Russia, ma finora non sono state avanzate richieste di rogatoria. Difficile dire se le autorità moscovite sarebbero disposte a collaborare. I rapporti tra autorità giudiziarie sono regolate da una convenzione di assistenza giudiziaria che risale al 1959, in piena epoca sovietica.

Malofeev vide Salvini a Mosca in gran segreto

Oltre i rubli c’è di più. Come i frequenti contatti, sempre discreti, tra il ministro Matteo Salvini e il miliardario Konstantin Valeryevich Malofeev, prodigio moscovita del ‘74, accusato di sostenere i separatisti filorussi in Ucraina e perciò sanzionato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ospite non gradito in occidente. È l’ultraortodosso Malofeev, il filantropo che venera lo zar Vladimir Putin e che foraggia e supporta ovunque i movimenti sovranisti e cristiani, l’impegno riservato di Salvini nella famigerata trasferta in Russia del 17 e 18 ottobre 2018, non menzionato nell’agenda ufficiale, a lungo taciuto per ragioni diplomatiche? I collaboratori del ministro dell’Interno, interpellati dal Fatto, non smentiscono.

Usciamo dal salone dell’epico albergo Metropol di Mosca, lì dove il leghista in purezza Gianluca Savoini, il 18 ottobre 2018, assieme ai carneadi Gianluca detto Luca Meranda e Francesco Vannucci, tratta con tre russi una commessa di petrolio di 1,5 miliardi di dollari per mascherare un presunto finanziamento di 65 milioni per il Carroccio. Il giorno più oscuro, ormai, è la vigilia del Metropol, il 17 ottobre di Salvini.

Il capo del Carroccio è il politico di riferimento di Confindustria Russia, rifondata e controllata da Ernesto Ferlenghi, dirigente di Eni. Per sancire la proficua sintonia, con rapporti che coinvolgono la coppia Savoini e Claudio D’Amico, consigliere del ministro negli uffici di Palazzo Chigi, Confindustria Russia indice un’assemblea in onore di Salvini. È il pomeriggio del 17 ottobre. Salvini non delude la platea, elogia la Russia di Putin, rivendica l’amicizia Roma-Mosca. Per una serata in allegria, l’imprenditore Luca Picasso, direttore generale di Confindustria Russia, prenota un tavolo da otto – nella delegazione italiana c’è posto pure per Savoini – al ristorante panoramico Ruski.

Dopo l’intervento che scalda gli industriali col portafoglio a Mosca e dopo che Fabrizio Candoni, già vice di Ferlenghi in Confindustria, gli sconsiglia di partecipare al raduno del Metropol, il ministro dell’Interno sparisce. Per un’ora, forse di più. Ricompare all’aeroporto di Mosca con un selfie la mattina del 18, un largo sorriso mentre regge una brocca di birra e si accinge a mordere un robusto panino con contorno di patatine fritte. Dov’è andato Salvini il 17? Adesso una traccia porta a Malofeev. Questa è la versione ufficiale del portavoce di Salvini: “Il ministro lo conosce e l’ha incontrato più di una volta. A memoria non ricorda se anche il 17 ottobre. Cioè non lo esclude, ma non posso confermarlo”. Malofeev ha un patrimonio smisurato, di quelli con un’origine mista tra leggenda e mistero, è l’inventore di Marshall Capital, una società d’investimento, è il padrone di Tsargrad Group of Companies, un consorzio che gestisce televisioni popolari e influenti nonché gruppi caritatevoli con in testa San Basilio il Grande.

Il cosiddetto “oligarca ortodosso” Malofeev, sospettato di aver agevolato un prestito bancario per il partito francese di Marine Le Pen, è sempre generoso con chi protegge i valori cristiani e combatte il globalismo e considera l’Italia di Salvini un’avanguardia in Europa.

Non c’era perché bloccato a Mosca, però ha accolto con entusiasmo (se non sovvenzionato) il Congresso mondiale delle famiglie che s’è tenuto a Verona lo scorso marzo con la benedizione del Carroccio e l’applaudito discorso di Salvini. Un raduno contro l’aborto e i diritti civili ai gay a cui ha partecipato Aleksej Komov, amico di Malofeev, presidente onorario dell’Associazione culturale Lombardia-Russia di Savoini e D’Amico e osservatore di Mosca al congresso leghista di Torino (2013) che ha eletto Salvini segretario. Aleksandr Dugin, il filosofo putiniano, è il pensiero di Malofeev, va in giro per l’Italia e predica l’Eurasia dal Tg2 del salviniano Sangiuliano. E Malofeev, compiaciuto, assiste da lontano. Oltre i rubli del Metropol c’è di più. È la Lega di Salvini che dall’origine s’è consegnata ai russi.