Mail Box

 

Borrelli, chi è giusto e onesto non può che essergli grato

Tutti gli italiani veramente onesti e giusti devono essere grati all’ex capo del pool di Mani Pulite. Oltre a essere stato un encomiabile servitore dello Stato, Francesco Saverio Borrelli fu tenace avversario di quella corruzione che era ed è alla base dell’aberrante degenerazione del sistema dei partiti e non cessò mai di battersi per l’indipendenza della magistratura. Quanto mai attuale il suo monito contro un potere che continua a offenderci tutti.

Matteo Viviano

 

No alla scuola aperta d’estate: ai figli devono badare i genitori

Ieri è stato pubblicato un articolo a firma di Elisabetta Ambrosi: “E se la scuola restasse aperta?”. Come docente non condivido nulla. Dalla lettura si ipotizza una scuola italiana dalle vacanze troppo lunghe! Non è così! In Italia le vacanze sono concentrate a Natale, Pasqua e in estate. In altri Paesi i giorni di pausa sono distribuiti durante tutto l’anno (ottobre-maggio). I genitori hanno la responsabilità di organizzare le lunghe giornate estive, evitando facili soluzioni in cui regnano la noia, il vuoto o l’eccessiva esposizione a tv e smartphone. La scuola ha altri compiti! Agli insegnanti non possono essere richiesti impegni diversi da quelli formativi.

Gianfranco Scialpi

Gentile insegnante, lei fa fatica a distinguere tra il problema della vostra condizione lavorativa e ciò che invece gioverebbe ai bambini (e alle loro famiglie). Avere oltre tre mesi di vacanze, invece che distribuirle nell’anno come fanno gli altri Paesi, è un problema sia per i genitori di oggi, precari e con una manciata di giorni di ferie, sia – soprattutto – per gli studenti perché non favorisce, come lei dovrebbe sapere, l’apprendimento.

E. Ambr.

 

DIRITTO DI REPLICA

Nell’articolo “L’altro caso Csm”, uscito sabato sul Fatto, si fa riferimento all’interrogatorio reso al Pm di Perugia in data 12.06.2019, evidenziando che nel corso dell’atto l’avvocato Amara ha riferito di essere a conoscenza di una registrazione che l’avvocato Calafiore aveva effettuato di un proprio colloquio con il giudice amministrativo Nicola Russo, relativo alla cosiddetta “sentenza Lo Voi”, nella quale il Russo “lasciava intendere che vi era stato una sorta di condizionamento, ovvero un do ut des. Lui (Russo) avrebbe favorito la conferma della nomina di Lo Voi, mentre Palamara e Pignatone avrebbero fatto in modo di risolvere i suoi procedimenti penali”. Quale difensore dell’avvocato Amara mi corre l’obbligo di puntualizzare che tale circostanza non è nuova, perché già ampiamente riferita da Amara nel corso di un suo interrogatorio – precedente di circa un anno – davanti alla procura della Repubblica di Roma, in cui è stato inequivocabilmente spiegato che tale conversazione tra Russo e Calafiore era da lui considerata artefatta e strumentale, in quanto finalizzata alla precostituzione di una fittizia e interessata ricostruzione della vicenda sottostante. Tanto è dovuto per rispetto della verità, poiché dalla semplice lettura dell’articolo potrebbe erroneamente ritenersi che l’Amara avrebbe avvalorato il contenuto del colloquio tra Russo e Calafiore, che invece ha sempre ritenuto tutt’altro che veritiero e genuino.

Avvocato Salvino Mondello

Grazie per la precisazione. Il “Fatto” non conosceva il contenuto dell’interrogatorio da lei citato, né alcun giornale l’ha mai pubblicato, mentre era assolutamente inedito il verbale riportato dal nostro quotidiano nell’articolo in questione. Prendiamo atto del fatto che l’avvocato Amara non crede alla versione della registrazione. Peraltro non l’abbiamo mai sostenuto, limitandoci a riportare correttamente le sue risposte a Perugia. Resta un fatto: a quanto pare qualcuno – questo ne ricaviamo – ha comunque registrato una conversazione con intenti a dir poco inquietanti. Lo dimostra il fatto che ben due procure abbiano rivolto domande al suo assistito su questo argomento. È una notizia che non smetteremo di seguire.

A. Mass.

 

In relazione all’articolo apparso il 21 luglio dal titolo “Menzogne e Rubli: ecco cosa sappiamo” viene riportata la frase: “Eppure da cinque mesi è chiaro che Ferlenghi è quantomeno informato di quello che è successo a Mosca tra il 17 e il 18 ottobre 2018, poiché era presente alla cena con Salvini e, in quanto uomo Eni in Russia, evocato dalle discussioni al tavolo del Metropol”. Tengo a precisare che ho presieduto nella giornata del 17 ottobre 2019 a Mosca presso l’Hotel Lotte Plaza l’Assemblea Annuale pubblica della Confindustria Russia alla presenza di oltre 800 partecipanti a cui ha partecipato tra le altre personalità anche il Ministro degli Interni e Vice Premier Matteo Salvini. Non ero presente ad alcun incontro nella giornata del 18 ottobre 2019 presso l’hotel Metropol ne’ tantomeno mi risulta alcuna evidenza che il mionome sia stato “evocato” al tavolo del Metropol.

Ernesto Ferlenghi

Nelle conversazioni registrate al tavolo del Metropol si parla di una partita di gasolio di cui l’Eni dovrebbe risultare compratore finale. Il rappresentante dell’Eni in Russia è il dottor Ferlenghi. Prendo atto che Ferlenghi non smentisce di aver partecipato alla cena con Salvini il 17 ottobre. Tra l’assemblea e la fine della cena, non sappiamo esattamente quando, Fabrizio Candoni di Confindustria Russia consiglia a Salvini di non andare al Metropol il giorno dopo.

Ste. Fel.

Tour de France. La competizione è serrata: non c’è più la “dittatura dello squadrone”

 

Buongiorno, non sono un fanatico di ciclismo, ma sto seguendo con interesse quest’ultimo Tour, molto più movimentato di altri: in poco più di 2’ si rincorrono ben sei ciclisti. Come mai la corsa è così accesa e poco prevedibile? Fossero tutte così…

Enrico De Mattei

 

Gentile Enrico, questo Tour de France segue la logica della lampara. Una pesca d’astuzia. Si accendono le luci, si evita di sciabordare e far rumore, si armano le reti, si sta in attesa, lesti a scattare. Perché i pesci, anche i più nascosti, prima o poi vengono a galla. Fuor di metafora, le salite dei Pirenei, come le lampare, hanno stanato i “pesci” grossi del Tour. I capitani sornioni rintanati nel gruppo. Costretti a uscire allo scoperto. Una conseguenza dell’avere abbassato il numero dei corridori per team da nove a otto. Capitani e alfieri vanno subito in prima linea, quando la strada s’impicca al cielo. Impongono ritmi letali. I gregari scivolano ben presto nelle retrovie. I leader si affrontano a pedale aperto, spalleggiati dai vice. Non c’è più la dittatura di uno squadrone “solo al comando”, come era la spocchiosa e strabordante Sky di Wiggins e Froome. Si sono livellati i valori, e quindi moltiplicate le ambizioni.

La Sky ha cambiato nome: Ineos. Ma non la strategia delle due punte che la caratterizzava. La differenza è che il resto della squadra non è apparsa all’altezza dei vecchi tempi. Geraint Thomas, vincitore del Tour 2018, è affiancato dallo scalpitante colombiano Egan Bernal, 22 anni. Le gerarchie non sono chiare. Bernal pare meglio di Thomas. Stuzzicato su una eventuale rivalità, ha dichiarato di non correre contro il proprio capitano ma contro gli altri. Parla la classifica, dice. Lui è quarto, Thomas è secondo. Stamani il simpatico Julien Alaphilippe parte ancora in maglia gialla. È un outsider. Ha 1’35” su Thomas. Si sono vinti Tour per molto meno. Ma Ju-Ju è l’agnello sacrificale. La vera classifica comincia da Thomas, ed è assai stretta. Incertezza vuol dire emozioni. In appena 39” si stringono in quattro. Uno più tosto dell’altro. L’olandese Kruijswijk, a un morso dal sellino di Thomas, lo tallona a 12”. L’eroe di casa, Thibaut Pinot, a 3 piccolissimi secondi dal tulipano. Ha trionfato sul Tourmalet davanti a Macron. La Francia sogna il trionfo che manca dal 1985. Ma occhio alle reti delle lampare Ineos: Bernal gli sta ai mozzi, staccato di 12”. E l’inaspettato tedesco Buchmann, ultimo del quartetto, a 24”. Roba da superenalotto delle due ruote.

Leonardo Coen

Romano il russo, amante del sadismo da D’Alema a Renzi

Esprimiamo sincera solidarietà al deputato Andrea Romano, minacciato di morte da uno dei tanti intellettuali contemporanei che pascolano allo stato brado sui social. Direttore di niente, e cioè della webzine clandestina Democratica, Andrea Romano ha dato ampio risalto al vile messaggio del simpatico detrattore, che gli chiedeva conto – si fa per dire – di uno dei tanti episodi controversi che ne caratterizzano la garrula vita. Il Romano, con quella sua simpatia diuturnamente straripante, avrebbe giorni fa insultato la parlamentare M5S Francesca Businarolo perché incinta e – dunque – secondo lui non in grado di presiedere la Commissione Giustizia. Romano ha negato tutto e non c’è motivo di non credergli, perché anche in sincerità somiglia a Matteo Renzi.

Certo, il Romano poco o nulla dice quando le minacce di morte cadono addosso a chi mal tollera. Per esempio il sottoscritto, che prima e dopo il 4 dicembre 2016 registrò una sfavillante collezione di insulti e minacce di morte nell’indifferenza pressoché totale piddino-renziana, secondo la quale – come noto – in Rete i soli che insultano sono i grillini mentre chi ha il poster in camera di Renzi (oltre a esser scampato a Basaglia) è un fiore di campo. Pazienza: da queste parti la solidarietà non si nega a nessuno, e quindi neanche a Romano.

Per nostra fortuna, nonostante l’odioso oltraggio subìto, il Romano vive ancora e lotta in mezzo a noi. È stato pure decisivo nel portare Renzi alla Marsilio Editore, contribuendo così alla nascita di un testo di successo. Il dato è certo rimarcabile, non tanto per la letteratura (il libro fa mediamente orrore all’intestino tenue), quanto perché è forse la prima mossa vincente – negli ultimi 123 anni – di questo ameno trasformista livornese. Di recente il Romano, con mossa tardo situazionista, ha parlato in russo alla Camera dei Deputati: intendeva provocare Lega e Salvini. In effetti il Romano conosce bene il russo, avendo a lungo studiato a Mosca per approfondire la formazione del sistema stalinista. Un sistema che, peraltro, sembra guidarlo nella sua assai obliqua visione democratica.

Romano non ha mai fatto nulla di rilevante e mai la farà: anche per questo è renziano. Con sadismo efferato, ha ucciso tutto quel che ha toccato. Era dalemiano, e D’Alema è imploso. Credeva in un futuro politico di Montezemolo, e quello neanche ha avuto il tempo di vivere un trapassato prossimo. Si è poi reinventato montiano, salvo poi ammazzare anche lui. Quindi è diventato più renziano di Renzi, conducendolo – va da sé – al subitaneo trapasso. Il suo bacio (della morte) è come un rock: se disgraziatamente vi incontrasse per strada e vi dicesse di stimarvi tanto, state pur certi che di lì a poco verrete licenziati, lasciati e pure zimbellati da Nardella. Dove passa lui non resta niente e, al massimo, crescono i Migliore: Genny Migliore, l’altro gran fiancheggiatore pretoriano che presidiava col Romano le tivù durante gli anni tremendi del renzismo rampante.

Dotato di un acume politico paragonabile a quello di un Tabacci tramortito da labirintite furiosa, nel 2007 il Romano lasciava intendere che Grillo non avrebbe avuto futuro in politica: un altro Fassino contemporaneo. Oggi che non se lo fila nessuno, elemosina attenzioni minori e lancia strali a caso. Nel suo crepuscolo congenito, incarna da sempre e per sempre il peggio del peggio della politica. Finché nel Pd ci sarà lui, e gente come lui, in tanti (pur detestando Salvini e trovando sempre più impalpabili i 5 Stelle) non voteranno mai e poi mai Pd. Qualcuno, più prima che poi, lo faccia sapere a Zingaretti.

Alcuni dubbi sulla Riforma della giustizia

Il Ministro della Giustizia Bonafede ha presentato al Consiglio dei Ministri un disegno di legge di riforma della giustizia civile e penale che comprende anche la modifica del sistema elettorale del C.S.M. e la disciplina dei rapporti tra magistratura e politica.

Sistema elettorale C.S.M. Per neutralizzare lo strapotere delle correnti nella scelta dei candidati e nella elezione dei componenti togati si prevede un sistema scandito su due tempi: prima si eleggono 5 candidati in ognuno dei 20 Collegi che sostituirebbero quello unico nazionale attuale e poi si procede, in ogni Collegio, al sorteggio tra i 5 candidati del suo (unico) rappresentante. Così congegnato il sistema appare in contrasto con l’art. 104/4 della Costituzione per il quale i due terzi dei componenti “sono eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie”: ne deriva che la nomina non può essere affidata al fato ma va collegata alla manifestazione di volontà dell’elettore che “elegge”, cioè “sceglie” la persona che intende mandare al C.S.M. quale suo rappresentante. Se si volesse ad ogni costo mantenere il sorteggio sarebbe preferibile un meccanismo che preveda una prima fase con l’estrazione a sorte dei 5 candidati per ogni Collegio e una seconda fase con l’elezione diretta del candidato, scelto tra i 5, da parte di tutti i magistrati del collegio. Resterebbe comunque sul sistema dei Collegi il dubbio di illegittimità costituzionale derivante dalla lettura della Legge fondamentale per la quale “tutte” le categorie sono elette da “tutti” i Magistrati (cioè su scala nazionale).

Magistrati e Politica.

1) Si prevede che il magistrato candidato ma non eletto venga destinato, per cinque anni, ad uffici giudiziari di un Distretto di Corte d’appello diverso da quello dove si era presentato. In questa ipotesi la mancata elezione si risolve in una causa sopravvenuta di incompatibilità con la sede originaria sicchè l’assegnazione ad un’altra sede non contrasta con la Costituzione (v. Corte Costituzionale sent. n.172/1982). 2) Si prevede che il magistrato cessato dal mandato parlamentare nazionale o europeo, ovvero dalla carica di sindaco di grandi città o di presidente di Regione cessa definitivamente di far parte della Magistratura per essere collocato a vita negli uffici del Ministero della Giustizia. Si tratta di una norma fortemente sospetta di incostituzionalità per contrasto con l’art.51/3 per cui “Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro” . Va ricordato che nell’Assemblea Costituente l’on. Lelio Basso, relatore del Titolo IV-Rapporti politici sottolineò: “Per questa norma costituzionale è garantito ad ogni cittadino… di ritrovare il suo posto di lavoro quando sia cessato l’ufficio pubblico cui sia stato chiamato: disposizione nota già alla Costituente di Weimar, e necessaria perché i diritti politici non siano resi vani per la più larga parte della popolazione” (Atti C.C. vol. II pag. 11). In conclusione: il “suo posto di lavoro” non può significare altro che il posto dove il magistrato, prima di essere eletto, esercitava la sua funzione di giudicante o di requirente e nel quale ha diritto di rientrare senza essere penalizzato per avere esercitato il diritto politico di elettorato passivo garantito dall’art. 51/1 della Costituzione.

5stelle-Pd, eppur qualcosa si muove

5 stelle-PD, eppur si muove qualcosa. Dopo la divaricazione tra Lega e 5 stelle sulla fiducia alla neo presidente della Commissione Ue e il Russiagate, ha ripreso a circolare la voce di una possibile liason tra pentastellati e PD. Come da copione, entrambi si sono precipitati a smentire. Eppure… la politica risponde a una sua logica. Tre osservazioni e un problema. Primo: in un assetto del sistema politico grossomodo tripolare, imperniato su Lega, 5 stelle e PD, se scoppia la coppia innaturale e sempre più litigiosa che oggi sostiene il governo, il terzo attore, cioè il PD, dovrebbe entrare in gioco, non potrebbe reiterare il proprio isolamento, condannarsi a una eterna minorità. Perché, al netto della sterile retorica autorassicurante, esso non può immaginare di rappresentare un’alternativa di governo con il suo 22% e privo di un sistema di alleanze. Nel quadro del suddetto tripolarismo, che potrà certo cambiare nei rapporti di forza tra i tra soggetti ma difficilmente può assicurare l’autosufficienza di ciascuno (salvo il vecchio centrodestra solo rivisitato e corretto nei suoi equilibri interni), il PD dovrà decidere quale dei due avversari è quello sistemico e comparativamente più antagonista. La logica, i numeri e la politica sono inequivocabili: trattasi della destra egemonizzata da Salvini. Secondo l’Economist e la più parte degli osservatori internazionali, il politico più pericoloso in Europa. Seconda osservazione: è vero che, da lunghi mesi, assistiamo a endemiche contese tra i partner di governo puntualmente ricomposte grazie al cemento del potere, assai più che del contratto.

E tuttavia le due divaricazioni recenti rivestono una singolarissima portata. Da un lato un voto che certifica chi sta con il fronte europeista e chi con quello della destra sovranista nella Ue. Perché, al netto delle mille contraddizioni che hanno segnato l’elezione di Ursula Von Der Leyen, alla stretta finale, quella è stata la linea di frattura che lei stessa ha voluto fissare. Dall’altro, il Russiagate, con la sua tripla valenza: di seria questione morale-legale, di sottese opzioni di politica estera in tema di alleanze internazionali, di rispetto della democrazia parlamentare. Alludo all’ostinato e persino sprezzante rifiuto di Salvini di fornire al parlamento i doverosi chiarimenti. Non è poco. Terzo elemento: altre cruciali issues sulle quali misurare affinità e differenze tra i tre poli. In verità, già in origine, da parte del PD, si sarebbe dovuto distinguere il segno ideologico delle due misure bandiera di 5 stelle e Lega: reddito di cittadinanza e flat tax. La prima, mal congegnata, ma connotata da una innegabile ispirazione solidaristica e di lotta alla povertà; l’altra geneticamente iniqua, favorevole ai ceti più abbienti, persino in contrasto con il principio costituzionale della progressività. Ora, altresì, sono venuti al pettine anche altri nodi, connessi alle rispettive priorità programmatiche dei due partiti di governo. Le rammento: per la Lega, il concreto avvio della flat tax, ulteriori strette securitarie e chiusura dei porti, autonomie regionali che avvantaggiano le regioni ricche del nord, l’annunciata riforma della giustizia della quale è facile immaginare il segno ostile alla magistratura; per i 5 stelle, riduzione del cuneo fiscale, salario minimo, vigilanza su autonomie che non minino la coesione territoriale nazionale. Può il PD mostrarsi indifferentemente equidistante?

Da ultimo un problema che condiziona una eventuale interlocuzione tra PD e 5 stelle. Va chiamato con il suo nome, anzi, con due nomi: Renzi e Di Maio. Il primo si è opposto e si oppone recisamente a tale dialogo. Anche per una evidente ragione di potere personale: non sarebbe plausibile che egli potesse continuare ad avere un peso in un PD che rovesciasse la linea politica da lui praticata durante la sua segreteria e ancora dopo le elezioni: quella di chi ha scelto come avversario sistemico i 5 stelle e non la destra (con pezzi della quale ha governato e fatto una legge elettorale che traguardava a una maggioranza di governo PD-FI).

Il secondo, Di Maio, perché troppo legato a una esperienza di governo archiviata la quale difficilmente potrebbe intestarsi la svolta. Due speculari problemi personali ma anche politici, che chiamano in causa altri due attori: Zingaretti e la sua forza soggettiva e oggettiva di affrancarsi da Renzi; e Conte, che, di recente, sembra (il condizionale è d’obbligo) volere ritagliarsi una sua autonomia politica anche dai 5 stelle. Riusciranno i nostri eroi? Trattasi di impresa difficile e tuttavia, altrimenti, l’esito è già scritto: quello di una incontrastata egemonia della destra a guida Salvini. Un po’ tutti gli opinionisti sostengono che, se dialogo vi dovesse essere tra 5 stelle e PD, sarà solo a valle di nuove elezioni politiche. Personalmente, contro l’opinione dei più, non escludo anche a monte, magari solo per scongiurare elezioni ravvicinate che, a dispetto delle pubbliche dichiarazioni, sono in molti a non volere anche con buoni argomenti.

I soldi sono arrivati, ora manca il lavoro

Passati cinque mesi dalla partenza del reddito di cittadinanza – le prime domande risalgono a marzo – è tempo di bilanci. Il bicchiere è mezzo pieno, ma anche mezzo vuoto. La parte fallimentare è quella delle politiche attive: siamo ancora a zero, la riforma dei centri per l’impiego non è partita, lo scontro sulle competenze con le Regioni ha prodotto lo stallo temuto, alcuni governatori come Vincenzo De Luca arrivano a boicottare il progetto rifiudandosi di destinare i “navigator” assunti alle mansioni previste, cioè a incrociare domanda e offerta di lavoro per aiutare i beneficiari del sussidio a trovare un posto. Mesi di dibattito sulle offerte obbligatorie da accettare, vicino o anche lontano da casa, per ora sono stati inutili: di offerte non ce ne sono.

Anche il decisionismo di Luigi Di Maio nell’imporre il professore del Mississippi Mimmo Parisi alla guida dell’Anpal, l’Agenzia delle politiche attive del lavoro che deve gestire i navigator, si è rivelato controproducente. Parisi ha ottenuto ottimi risultati negli Stati Uniti sviluppando una tecnologia per aiutare i disoccupati a capire quali competenze mancano loro per essere appetibili. È stato poi un utile consulente di Di Maio nella fase di progettazione, ma con la sua nomina all’Anpal si è trovato imprigionato in logiche burocratiche italiane che lui, negli Stati Uniti da decenni, non padroneggia. E soprattutto si è arrivati al risultato paradossale che il Parisi presidente dell’Anpal non può usare la tecnologia e le competenze del Parisi professore del Mississippi senza esporsi ad accuse di conflitti di interessi o, peggio, senza forzare le procedure per gli appalti. Tutta l’efficacia anti-povertà del reddito di cittadinanza, quindi, è per ora affidata alla mera erogazione del sussidio mensile.

Da questo punto di vista il bicchiere, pur con molti limiti, è mezzo pieno. Nella fase di avviamento non ci sono stati grossi intoppi, anche la distribuzione delle card da parte delle Poste è filata liscia, e il numero di persone coinvolte è significativo. In base ai dati diffusi ieri dall’Inps, le domande complessive sono state 1,4 milioni. Sulla base della dimensione media di ogni famiglia stimata ai tempi dell’approvazione della legge – 2,75 membri – questo equivale a dire che dietro quelle domande ci sono 3,85 milioni di persone. Parecchie. Le domande accolte finora sono quelle di 895.220 nuclei familiari, che equivalgono a circa 2,4 milioni di persone. Certo, la quota dei rifiuti è sorprendentemente alta per una misura e potrebbe indicare che i paletti sono troppo stringenti e poco chiari, visto che comunque il grosso delle domande passa dal filtro preliminare dei Caf. Ma il numero assoluto di chi riceve il sussidio è alto.

Le polemiche sugli importi troppo bassi non sembrano fondate nei dati: la media a nucleo familiare risulta, anche ora che il numero dei beneficiari è ampio, di circa 500 euro al mese. Quasi tre volte il Rei, lo strumento precedente al reddito. E chi prende poco è perché è vicino alla soglia che permette l’accesso al beneficio.

C’è poi la questione dei risparmi: la spesa 2019 sarà inferiore a quella prevista. Questo certifica il fallimento? No, secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), l’autorità indipendente sui conti. La relazione tecnica alla legge stimava l’accoglimento di 1,3 milioni di domande all’anno, l’Upb dice che col ritmo visto fino a maggio (ogni mese il 20 per cento in meno del mese precedente) si arriverebbe a 1,25 milioni. In realtà i dati di giugno indicano un calo più sensibile, le domande sono crollate da 187.723 a 99.678. Chissà se c’entra lo spartiacque delle elezioni europee.

Comunque, il grosso del risparmio che si registrerà nel 2019, pari a 1,2 miliardi, si deve semplicemente al fatto che le domande arrivano scaglionate e chi comincia a ricevere il sussidio a settembre, nel 2019 lo prenderà soltanto per quattro mesi, mentre se lo avesse richiesto ad aprile lo avrebbe incassato per nove. Ma nel 2020 la spesa andrà a regime e arriverà intorno ai 5,6 miliardi previsti. Quando saranno disponibili i dati sul 2019 si capirà se questo investimento è servito e se almeno il numero di poveri assoluti è diminuito.

Occasione di riscatto o delusione? Ecco le storie

Da maggio scorso sono accreditati i soldi sulle oltre 800 mila card consegnate. In questi mesi i beneficiari del Reddito di cittadinanza hanno raccontato al Fatto l’effetto che questo ha avuto nella loro vita. Per qualcuno è cambiata, per altri, invece, le critiche per gli importi esigui o le difficoltà a gestire le spese ne hanno limitato l’impatto.

 

Ho fatto il gioielliere per 25 anni guadagnando cifre da capogiro, eppure oggi mi ritrovo senza lavoro con una figlia di 25 anni a carico della mia ex moglie perché non posso permettermi neanche di farle una ricarica e me ne vergogno. Grazie alla richiesta accolta, oggi posso permettermi di fare qualcosa in più per lei.
Fulvio T. (55 anni, Catania)

Parte del mio reddito l’ho speso al supermercato, poi farò il bonifico per l’affitto della casa e magari ci scappano un paio di scarpe nuove per il mio bimbo. Intanto non sarò costretto ad accettare lavori da schiavo.
Alberto L. (51 anni, Messina)

Ho fatto la visita dall’oculista e acquistato il collirio ma non posso rifare le lenti per gli occhiali che costano 800 euro. Perché non dare la possibilità di mettere da parte ogni mese fino a 150 euro da spendere entro 6 mesi?
Carla P. (66 anni, Roma)

Ho pagato l’affitto e una bolletta, anche se non mi sono rimasti soldi per comprare da mangiare a mio figlio. È difficile continuare a mangiare sempre pasta con il burro.
Barbara P. (48 anni, Marche)

Siamo una famiglia con 4 figli (compresi tra i 15 ed i 9 anni), sono un libero professionista, mia moglie è casalinga e stiamo in affitto. Ho preso 40 euro, nulla. Continueremo a sopravvivere.
Paolo B. (51 anni, Bergamo)

Ho un affitto di 500 euro e spese varie di circa 300 euro tra acqua, luce e gas. Sono disoccupato dal 2014. Ora riesco quasi a pagare tutto, ma se si vuole ritornare a lavorare bisogna fare anche dei corsi di aggiornamento che al momento sono a pagamento.
Marco A. (50 anni, Genova)

Ho preso 280 euro e va bene. Ma vorrei sapere perché nessuno ha pensato a chi vive nei piccoli paesi dove non c’è ancora l’Adsl e i negozi non hanno il Pos. Siamo in due e possiamo prelevare 50 euro al mese e di questi la metà sono da accantonare per le bollette, ci restano 83 centesimi al giorno per il pane e la spesa. Se non compro pane per una settimana, posso andare in un supermercato vicino al mio paese dove hanno il Pos ma il costo del biglietto del pullman è di 5,20 euro.
D. S. (58 anni, provincia di Novara)

Sono molto delusa per come viene calcolato il reddito di cittadinanza. L’aver percepito la Naspi nel 2017 (1.880 euro lordi), mi ha fatto prendere solo 158 euro con cui dovrei pagare l’affitto di 250 euro e mantenere una figlia di 17 anni. Che senso ha una misura anti-povertà basata sui redditi lordi percepiti due anni prima?
Laura T. (41 anni, Palermo)

Sono disabile al 75%. Avevo la carta Rei con 187,5 euro e già a fatica riuscivo a starci dentro da povero. Ora mi ritrovo obbligato a spendere i soldi del reddito di cittadinanza per qualcosa deciso da altri.
Andrea S. (35 anni, Brescia)

Il reddito di cittadinanza mi ha cambiato la vita. Sono disoccupato e mi sono sempre dovuto arrangiare. Adesso vivo con più serenità.
Ivano C. (54 anni, Genova)

Non ho un lavoro e ho ricevuto 162 euro. Vivo in affitto. Come faccio a pagare le altre spese per vivere?
R. C. (65 anni, Torino)

Quando ho visto che mi hanno accreditato 40 euro ho pianto di rabbia. Non voglio che mi vengano regalati soldi, ma cercavo una speranza. Sono madre con 3 figli minori e ho un mantenimento molto ballerino. Questa non è vita, anche perché le mie condizioni economiche sono peggiorate dal 2017. Intanto ai colloqui mi ripetono: “Bel curriculum, ma con 3 figli come fa a lavorare?”.
Claudia T. (40 anni, Parma)

Quando mi hanno accettato la domanda si è acceso un raggio di sole, poi spento al ritiro: con un affitto di 450 euro e un bambino di due anni, come si può trovare sollievo con soli 40 euro?
Vins (33 anni, Catania)

Dopo anni alla Caritas, con i 681 euro che mi hanno accreditato ho fatto la spesa al supermercato: una volta di 19 euro e una volta di 30 euro. Poi ho pagato la bolletta della luce (35 euro). Ora vorrei trovare un telefonino connesso a Internet, perché mio marito è in dialisi e almeno può guardare qualche video. Con il contante comprerò i biglietti dell’autobus per accompagnarlo in ospedale e, magari, mentre lo aspetto berrò un caffè alle macchinette. Poi magari riuscirò a comprare un paio di scarpe a mio marito e dei pantaloni per me. Da zero euro che avevo, ora ho un po’ di respiro.
Susanna G. (49 anni, Pisa)

Vivo in affitto con mia figlia di 10 anni, sono disoccupato e invalido. Dopo un infarto la mia azienda non mi ha rinnovato il contratto. Percepivo 650 euro di Naspi e ora ho ricevuto 40 euro con cui ho pagato la bolletta della luce scaduta da un mese. Spero di ricevere qualcosa in più, ma per quanti vivono la mia stessa situazione, il reddito mi ha datà un po’ di dignità.
Mario (56 anni, Mantova)

Sono invalido al 67% e mia moglie è casalinga, abbiamo due figli minorenni. Grazie al reddito ci sentiamo meno emarginati e ci vergogniamo meno. Abbiamo comprato un paio di scarpe nuove, una maglietta, fatto la spesa come persone normali. Finalmente una vita dignitosa , se poi dovessero darci un lavoro saremmo le persone più felici d’Italia.
Franco C. (63 anni, Sassari)

È dura vivere di elemosina. Grazie al reddito di cittadinanza ora posso provvedere da sola alle spese alimentari e di altre necessità. Anzi, a mia volta mi posso permettere di dare piccoli aiuti in cambio di brevi passaggi in auto per il supermercato o altre commissioni.
Paola V. (63 anni, Piemonte)

 

“E Bibbiano?”: il problema della sinistra con l’indagine

Da qualunque parte la si guardi, Bibbiano e la lunga scia che precede i fatti di Bibbiano è una storia di manipolazione della realtà. Culturale, giudiziaria, politica. La storia di bambini i cui ricordi vengono manipolati grazie a quella poltiglia fatta di scienza, psicologia e superstizione che è il metodo Foti, di giudici che credono aprioristicamente a bambini suggestionati e a perizie interpellate come fossero testi sacri, di una politica che manipola, minimizza, enfatizza la realtà a seconda dell’utilizzo che desidera fare della vicenda.

Da una parte i Cinque stelle, Salvini e la destra compatta per cui il Pd è Erode e il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti la dimostrazione che i comunisti forse non mangiano i bambini ma li danno in pasto a orchi che modificano ricordi, disegni, testimonianze e li strappano alle loro famiglie naturali. Ed è bizzarro, perché il caso dei diavoli della Bassa modenese emerso grazie alla recente inchiesta di Pablo Trincia che ha scoperchiato un sistema di commistioni tra psicologi, medici, sistema degli affidi e malagiustizia non aveva creato la stessa indignazione. Eppure c’erano filmati che testimoniavano manipolazioni sui bambini, c’erano medici che “la bambina fu abusata, se risulta vergine è perché l’imene con la pubertà può ricrescere”, c’erano suicidi, 16 bambini allontanati, morti di crepacuore, bambini ormai adulti che avevano negato gli abusi. Mancava però l’elemento più grave, quello che da solo avrebbe smosso hashtag, uffici stampa e coscienze: un sindaco del Pd coinvolto nella faccenda.

Va segnalata la perla di Luigi Di Maio: “Io con il Pd, il partito di Bibbiano che toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli non voglio averci nulla a che fare”. Perché è evidente che identificare il Pd con Bibbiano è una forzatura ed è stato chiarito che l’elettroshock non è mai stato eseguito su alcun bambino. Ed è altrettanto evidente che il tormentone social “E allora Bibbiano?” è un mantra politico che non si preoccupa né dei bambini né delle famiglie ma solo di screditare un partito.

C’è un “però” gigantesco in questa parte di storia ed è che la sinistra, al di là di certe becere strumentalizzazioni, dalla vicenda esce comunque se non ammaccata, spaventosamente assente. Impaurita. Sulla difensiva. Basta ripercorrere la storia dei principali casi legati ad accuse di abusi poi rivelatesi infondate o su cui gravano ancora terribili sospetti (Biella, Bassa modenese, Brescia…), per trovare sempre e solo uno sparuto gruppo di politici che ha assunto, nel corso delle varie vicende giudiziarie, posizioni garantiste e ai tempi impopolari: Carlo Giovanardi si è speso strenuamente contro la cultura del sospetto e della gogna nei casi di Rignano Flaminio e Bassa Modenese, tanto da beccarsi pure l’appellativo, all’epoca, di “sottosegretario con delega agli indagati”. Claudio Regis, ex senatore leghista, nel difendere i quattro imputati (poi suicidi) di Biella si beccò una condanna per aver accusato la magistratura di aver trascinato in tribunale degli innocenti.

Pablo Trincia in un recente tweet ha scritto: “Noi è quattro anni che raccontiamo la storia di Veleno all’universo. Prima del caso Bibbiano non ci ha mai cagato nessun politico (ne abbiamo contattati molti). Le uniche persone che si erano fatte avanti: Antonio Platis di Forza Italia (Mirandola), Stefania Ascari dei 5 stelle e Carlo Giovanardi”. E capite bene che un momento storico in cui bisogna dar ragione a Giovanardi è quantomeno inquietante.

Perché al momento, duole dirlo, la sinistra è molto più preoccupata del fatto che Bibbiano contamini il Pd che del fatto che il metodo Foti abbia contaminato i tribunali di mezza Italia. Leggo una discreta quantità di articoli garantisti sull’indagine di Bibbiano su molti quotidiani di sinistra. Leggo titoloni sulla scarcerazione di Claudio Foti come se scarcerazione significasse la sua innocenza, leggo interviste con passaggi clamorosi a Foti in cui non gli viene mossa un’obiezione seria. A Repubblica Foti ha dichiarato: “Le statistiche dicono che una bambina su cinque è abusata sessualmente prima dei 18 anni”. Che è una cifra spaventosa. “I dati europei che cita Foti esistono e sono di bassissima qualità: ad analizzare quelle statistiche la stragrande maggioranza dei casi è di molestie subite non da bambini bensì da adolescenti e si tratta di molestie perpetrate anche da coetanei, ma nei proclami del Cismai (Coordinamento italiano servizi maltrattamento sull’infanzia, ndr) diventa: nella nostra civile Europa ci sono 18 milioni di bambini abusati! E’ un problema di cattiva scienza e di cattiva divulgazione”, afferma lo psicologo Corrado Lo Priore.

Anche la corsa politica e giornalistica al ridimensionamento della questione “elettroshock” è corretta ma manca un pezzo. Non è veritiero affermare che il metodo EMDR e la “macchinetta dei ricordi” (che non dà scariche elettriche ma vibrazioni e impulsi sonori) sia una tecnica adottata e rispettata dalla comunità scientifica. La scienza, sul tema, è divisa e non esiste uno studio serio che ne accerti l’efficacia. Sentire che una macchinetta estrae i record sepolti mi fa lo stesso effetto di “la trance sciamanica induce alla guarigione olistica”. Il guaio è che i risultati dell’utilizzo di questa macchinetta finiscono nelle mani dei giudici e con una veste pseudo-scientifica. Nel frattempo, del destino degli imputati in questi processi non interessa a nessuno, per cui una parte politica lo chiama “elettroshock” mentendo per strumentalizzare, l’altra parte lo definisce “innocuo” o si appella alla scienza senza fornire dati e prove.

A destra si continua a parlare di bambini “che non si toccano”, a sinistra di “partito che non si tocca”. I pochi che si domandano perché quando si approfondiscono le storie più drammatiche di false accuse come Biella, Veleno, Brescia o Rignano ci si imbatta sempre in Claudio Foti o in qualche suo discepolo, si ritrovano ignorati o usati dalla politica. I pochi che chiedono di non dare un colore politico alla questione e il nome “scienza” a macchinette, che chiedono di non considerare Bibbiano un caso ma una delle tante metastasi di un sistema pernicioso che agisce indisturbato da decenni (al di là delle singole responsabilità da accertare), che chiedono di occuparsi dei bambini, dei partiti ma pure degli imputati che sono o sono stati vittime di metodologie discutibili e linee guida ad personam, sono in compagnia di Giovanardi. E sì, è preoccupante.

Unicredit pronta a tagliare 10mila posti. Sindacati furiosi

Unicredit si prepara all’ennesima sforbiciata. Il gruppo guidato da Jean Pierre Mustier nel nuovo piano strategico che verrà presentato a dicembre, potrebbe tagliare fino a 10mila posti e ridurre fino al 10% i costi operativi. Sotto la lente, scrive Bloomberg che riporta l’indiscrezione, l’Italia, dove c’è il maggior numero di dipendenti, ma anche altri paesi. Solo in Europa l’istituto a perimetro ha 88 tra banche e uffici di rappresentanza. Numeri che sono ancora in fase di revisione e quindi potrebbero essere inferiori ma che la banca non commenta. Lo fanno invece i sindacati con il segretario della Fabi, Lando Sileoni che va giù duro: “Se queste indiscrezioni fossero confermate stavolta si fa a cazzotti e se serve useremo altro”. Anche Massimo Masi (Uilca) annuncia che “sarà battaglia durissima: è un dramma perché non si sa che banca sarà”. Oggi Unicredit conta 86.232 dipendenti (60 mila in Italia). Nel precedente piano, che scade a dicembre, aveva programmato una riduzione degli Fts (dipendenti a tempo pieno, ndr) di 14.000 unità. Nel 2011 anno della maxi svalutazione da 9,6 miliardi (con Ghizzoni a.d) le uscite programmate solo in Italia erano state oltre 5mila.

Uranio, la Difesa non paga neanche dopo la sentenza

La ministra M5s della Difesa, Elisabetta Trenta, ha promesso per settembre una legge o addirittura un decreto in favore delle vittime dell’uranio impoverito e degli altri agenti tossici a cui sono stati esposti i militari italiani durante le missioni all’estero e non solo. Per il momento, però, la Difesa continua a resistere alle richieste di risarcimento dei danni. Perfino quando le sentenze che condannano l’amministrazione a pagare sono definitive. Così ieri il Tar di Firenze ha accolto il ricorso della moglie e della figlia oggi 28enne di un maresciallo paracadutista dei carabinieri, morto di tumore nell’ormai lontano 2000 e ha ordinato la nomina di un commissario ad acta per procedere – se non lo farà la Difesa – al pagamento di quanto dovuto alle due donne, circa 900 mila euro tra risarcimento, rivalutazione, interessi e spese legali. La sentenza della Corte d’appello di Firenze era del 6 novembre 2018, non è stata impugnata in Cassazione e quindi è passata in giudicato il 7 gennaio di quest’anno. Qualche mese dopo l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale dell’Osservatorio militare che assiste le vittime, si è rivolto al Tar per l’ottemperanza. Alla Difesa costerà altri mille euro di spese legali più i maggiori interessi dovuti sulla somma principale. Dal ministero ieri sera hanno fatto sapere che provvederanno subito, entro i 60 giorni fissati dal Tar, evitando in questo modo la nomina del commissario ad acta. Ma certo c’è qualcosa che non va se la ministra dichiara la sua vicinanza alle vittime, suggerisce perfino l’inversione dell’onere della prova in loro favore, ma gli uffici resistono all’infinito nei giudizi.

Qui parliamo di un sottufficiale dell’Arma che dal 1983 e fino al febbraio del 2000 aveva operato in Libano, Somalia, Bosnia, Albania e di nuovo in Bosnia. L’ultima volta è rientrato malato di cancro, con metastasi ovunque e se n’è andato in pochi mesi. Le sentenze sono molto chiare. Per 19 anni e fino all’ultimo giudizio la moglie del maresciallo, oltre a crescere una figlia rimasta orfana a nove anni, ha dovuto f anticipare le spese legali. Si comprende perciò l’irritazione di Domenico Leggiero, presidente dell’Osservatorio militare che segue da 20 anni queste vicende e conta 367 morti e oltre 7.500 militari ammalati di patologie che si ritengono connesse all’uranio impoverito. “È la prima volta da quando esplode il caso uranio e forse nella storia della Repubblica – ha detto Leggiero ieri mattina rendendo nota la sentenza – che un ministro della Difesa viene commissariato perché non ottempera alle sentenza di un Tribunale”. E in serata: “Hanno detto che pagheranno subito? Lo dicevano anche a novembre”.