Settimana di partenze per le vacanze e di possibili disagi per chi si muove in treno, auto, aereo, traghetto e anche in città: è infatti in programma lo sciopero generale dei trasporti, su due giorni, che fermerà mercoledì 24 tutti gli ambiti, dal tpl alle ferrovie, dai porti alle autostrade, mentre il 26 solo il trasporto aereo. Sempre il 26 è in programma però anche uno sciopero di 24 ore di Alitalia. E il ministero dei trasporti ha già convocato per martedì i sindacati per affrontare le problematiche del trasporto aereo e scongiurare che il 26 si trasformi in un venerdì nero. Lo sciopero nazionale, proclamato unitariamente da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti per chiedere al Governo di avviare un confronto a 360 gradi sul settore dei trasporti, avrà una durata di 4 ore (con qualche eccezione) e si svolgerà in due giornate, con presidi mercoledì 24 in varie città e a Roma davanti al Mit. In particolare, il 24 sono possibili disagi nelle città, con lo stop del trasporto pubblico locale. Possibili disagi anche per chi si sposta in auto: nelle autostrade nelle ultime 4 ore del turno per il personale addetto agli impianti, alla sala radio e alla viabilità, mentre per un turno per il resto del personale (tra cui anche gli addetti ai caselli).
“Youtube spia i bimbi per gli spot” E Google si accorda per la multa
Multimilionaria, anche se non si sa precisamente se nell’ordine delle decine o delle centinaia di milioni. Di sicuro, però, Google dovrà pagare, tanto da accordarsi con la Federal Trade Commission (Ftc) americana per la multa legata al servizio video di Youtube, accusato di aver violato la legge federale sulla privacy dei bambini, ovvero la Children’s Online Privacy Protection Act (Coppa), che vieta di tracciare e di “corteggiare” con la pubblicità gli utenti sotto i 13 anni e rende invece obbligatorio il consenso dei genitori per la raccolta delle informazioni sui minori.
Il caso era nato nel 2017 quando una ventina di gruppi di difesa dei minori e della privacy aveva presentato un reclamo alla FTC, sostenendo che Youtube avesse consapevolmente raccolto dati e spinto gli annunci pubblicitari a bambini di età inferiore ai 13 anni. Nel 2018, poi, il reclamo era stato riproposto da un gruppo di 23 studi legali e associazioni per violazione del Coppa. Dopo la finalizzazione dell’accordo, annunciata ieri dal Washington Post, ora la palla passa al ministero della Giustizia che raramente capovolge una decisione della commissione. A favore hanno votato i tre membri repubblicani, mentre i due democratici si sono opposti.
Per avere una idea della sanzione, si può fare riferimento ad alcuni precedenti. All’inizio dell’anno la Ftc aveva deciso una multa da 5,7 milioni di dollari contro l’app social Musical.ly (o Tik Tok) per accuse analoghe. A ogni modo, i problemi sollevati nei confronti di Youtube potrebbero essere comuni ad altri popolari servizi online, dai social media alle piattaforme di gioco. Nel caso del servizio di Google, i dati dei ragazzini sarebbero stati raccolti tramite video con cartoni animati, filastrocche o persone che aprono regali per i bambini.
Potrebbe quindi solo essere l’inizio di una nuova stagione. Nei giorni scorsi la Ftc aveva votato una stangata da 5 miliardi di dollari contro Facebook per un altra caso di violazione della privacy, quello di Cambridge Analytica, la controversa società di raccolta dati che ebbe accesso illegale ai dati personali di ben 86 milioni di utenti. Informazioni usate per di più per scopi politici.
Intanto il Codacons, l’associazione a tutela dei consumatori, ieri ha chiesto che il Garante per la privacy italiano avvii una indagine su Google e ha annunciato un esposto. “Già in passato il Codacons ricorda di aver denunciato la presenza su Youtube di video dedicati ai bambini contenenti messaggi pubblicitari occulti, in grado di influenzare i minori – spiega il presidente, Carlo Rienzi –. Ora, a seguito della violazione della privacy dei bambini accertata negli Stati Uniti, vogliamo che anche in Italia siano avviate indagini sul comportamento della società”.
19 miliardi di aiuti pubblici che non aiutano l’ambiente
Circa 19,3 miliardi: a tanto ammontano gli incentivi pubblici distribuiti nel 2017 e che però risultano dannosi per l’ambiente. Quelli favorevoli, invece, si sono fermati a 15,2 miliardi. Sei e mezzo quelli considerati “incerti” dal Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli pubblicato dal ministero dell’Ambiente nei giorni scorsi. Un rapporto di oltre 500 pagine, un lavoro enorme realizzato con il coordinamento scientifico di Aldo Ravazzi Douvan, quello tecnico di Gionata Castaldi e che analizza agevolazioni, incentivi, esenzioni e tutti i contributi attivi. Fra i dannosi, i sussidi alle fonti fossili si stima valgano 16,8. Non sono certo da condannare in toto. Spesso, infatti, l’incentivo è mirato allo sviluppo economico o occupazionale di un determinato settore, ma nel farlo crea comunque danni ambientali. Alla politica il compito di trovare il giusto compromesso.
Agricoltura e pesca.Molti dei sussidi a queste categorie hanno esito incerto mentre alcuni che erano stati inizialmente giudicati incerti sono diventati favorevoli (come alcune misure del programma dello sviluppo rurale per le foreste). All’opposto, ci sono valutazioni diventate incerte di sussidi prima favorevoli come il greening della Politica Agricola Comune. La Corte dei Conti Ue ha infatti concluso che “la Commissione non ha sviluppato una logica di intervento completa per il pagamento verde, né ha stabilito valori-obiettivo ambientali chiari e sufficientemente ambiziosi che possano essere da questo conseguiti. Inoltre, la dotazione di bilancio non è giustificata dal contenuto ambientale della politica in questione. Il pagamento verde rimane, sostanzialmente, un regime di sostegno al reddito”. Negativa, ad esempio, la riduzione della base imponibile ai fini Irpef e Ires per le imprese di pesca. “Permette l’attrazione di personale per l’esercizio di un lavoro usurante – si legge – ma aumenta il problema di sovracapacità della flotta di pesca nel Mediterraneo. L’eliminazione del sussidio potrebbe avere ricadute occupazionali, ma dal punto di vista ambientale potrebbe portare a un miglioramento della sostenibilità dello sfruttamento dei bacini ittici”.
Energia. È la parte più nutrita: gran parte degli incentivi vanno ai combustibili fossili. Sono ad esempio stimati i “mancati introiti” derivanti dall’assegnazione gratuita delle quote di emissione previste dall’Emission Trading System (la compravendita di quote di emissioni di gas serra entro il tetto massimo previsto dall’Ue). “L’assegnazione di permessi o quote a titolo gratuito è una forma di sussidio per gli impianti e una violazione del principio ‘chi inquina paga’”, si legge. Nel 2016 sono stati corrisposti permessi gratuiti pari a circa 65 milioni di tonnellate di CO². “Considerando che i proventi delle aste e i relativi interessi sono trasferiti su un conto della Tesoreria dello Stato e in seguito attribuiti ai capitoli di spesa per la lotta ai cambiamenti climatici, l’assegnazione gratuita comporta non solo un mancato gettito (si stimano 340 milioni di euro) ma anche una criticità per la copertura dei necessari investimenti per la mitigazione e l’adattamento”. Tra le agevolazioni, è stato inserito anche il sussidio implicito che deriva dal più favorevole trattamento fiscale del gasolio rispetto alla benzina. “In Italia notevolmente inferiore rispetto a quella della benzina e ciò non trova giustificazioni in termini ambientali”. Il gettito complessivo dell’accisa sul gasolio, senza conteggiare i maggiori rimborsi a favore degli autotrasportatori, salirebbe da 17 a circa 22 miliardi di euro nel 2017, con un gettito perduto di circa 5 miliardi. È stato incluso anche un focus sulle royalties per l’estrazione di greggio e gas naturale: “Determinati quantitativi della produzione annuale dei giacimenti sono esenti dal pagamento dell’aliquota di prodotto… agevolazione che costituisce senza dubbio un sussidio”.
Trasporti. Un’ampia parte riguarda invece i sussidi del mondo dei trasporti che potrebbero danneggiare l’ambiente. Tra questi, degli insospettabili. Le agevolazioni fiscali per i dipendenti nell’uso di auto aziendali che incoraggerebbe l’acquisto di auto di elevata cilindrata e quindi elevate emissioni. Bene, invece le agevolazioni fiscali per l’acquisto degli abbonamenti al trasporto pubblico locale.
Matteo, il russo del Kansas City e Putin, noto autolesionista
Dice: i rubli. Dice: la Russia. Dice: la Lega. Dice: i rubli, la Russia, la Lega. La meravigliosa storia dell’hotel Metropol – con l’amico di Salvini che sta a una tavola con un paio di buiaccari che discutono con tre tizi russi un affare che, fosse vero, non potrebbero mai concludere – dice assai sul Capitano e il suo entourage, sull’immortale Totò della fontana di Trevi e sull’invito sprecato di Croce agli italiani a dedicarsi alla storia. Macché, manco alla cronaca. Dice Mario Monti: la politica estera italiana è stata “stravolta” forse su indicazione di una “potenza ostile all’Ue”. E del Metropol parla persino Merkel (“serve chiarezza”), la quale sta simpaticamente costruendo con Vladimir Putin il gasdotto Nord Stream 2. Ora, noi abbiamo simpatie per la Russia da decenni non sospetti, quindi non ci dispiacerebbe nemmeno poi tanto che… Solo che non c’è leader più atlantico – o servo degli Usa più smaccato, se preferite – del Salvini di governo: dal gasdotto Tap agli F35, dal golpe in Venezuela alle sanzioni all’Iran, dallo stop al 5G cinese all’incredibile schiacciamento su Israele in Medioriente. Tutte scelte, sia detto en passant, che in larghissima parte condivide coi meglio “democratici” d’Europa. Senza contare che, parole a parte, l’Italia non ha mai chiesto di interrompere le sanzioni alla Russia. Riassumendo, Putin paga Salvini e quello però fa il servo degli americani. Ma forse siete di quelli che credono che Trump l’ha eletto Putin: nel qual caso potete tornare a prendere in giro quelli che credono alle scie chimiche sentendovi superiori.
Putin e rubli a parte, il vero modello di Salvini è Breznev
Del Rubligate di Matteo Salvini, oltre ai dettagli, conta la musica di fondo. Va ascoltata con attenzione per capire le cose importanti, a cominciare dalla memoria che evoca. Il 1° maggio 1981 il dittatore cileno Augusto Pinochet proibì qualsiasi manifestazione “che possa essere usata per dividere o fomentare l’odio tra i lavoratori”. La festa del lavoro fu celebrata solo da lui, l’uomo che il governo italiano chiamava rispettosamente “presidente”: “Non siamo nemici della libertà ma siamo invece nemici di una liberalità ingenua e suicida”, disse, riaffermando la volontà di costruire “un sindacalismo libero, autonomo e spoliticizzato”, diverso dagli “agenti attivi della lotta di classe”.
Viene automatico pensare a Pinochet quando leggiamo che lunedì scorso 43 sigle padronali e sindacali, capitanate da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, si sono fatte convocare dal ministro dell’Interno. Salvini le riceve al Viminale ma in veste di capopartito, facendosi trovare affiancato da due parlamentari leghisti non membri del governo, uno dei quali, Armando Siri, cacciato dall’esecutivo poche settimane fa perché indagato per corruzione. I tecnici si accapigliano sui mille dettagli delle mille varianti di flat tax di cui Salvini e i suoi blaterano da mesi. Ma alla fine passa solo il messaggio che la democrazia è un impiccio da riformare. Alla dialettica impresa-lavoro si è sostituito il dialogo tra il governo e un indistinto “mondo produttivo” che implica per le forze sociali l’omaggio al capo. Questa è la musica di fondo e tra le file dell’orchestra si possono scorgere anche i leader di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil intenti a eseguire con disciplina ma senza onore lo spartito scritto da Salvini.
E non sarà dunque un caso che al ministro dell’Interno piaccia tanto la Russia, rubli a parte. Vladimir Putin è come Leonid Breznev, e del regime comunista in cui ha fatto carriera non condanna la mancanza di democrazia ma la corruzione. Salvini (come Pinochet e Breznev e oggi Putin e i suoi alleati M5S) parla con fastidio della democrazia, esercizio un po’ più complesso del “chi prende i voti comanda”. Il mito dell’uomo forte ci accompagna sempre come una musica di fondo alla quale siamo così abituati da non sentirla più.
Per capire tutto questo la memoria aiuta. Torniamo al maggio 1981. Mentre Pinochet festeggia il suo Primo maggio da fascista, Breznev va in Georgia e l’Ansa, agenzia ufficiale italiana (non la Pravda), così dà rispettosamente conto della trasferta: “A conferma del suo buon stato di salute, il leader sovietico Leonid Breznev continua a mantenere intensa la sua attività pubblica: oggi è partito in aereo da Mosca per Tbilisi. Anche all’arrivo a Tbilisi Breznev ha dimostrato di essere in perfetta forma. È sceso dalla scaletta dell’aereo senza incertezza, ha baciato sulla bocca i massimi dirigenti della Georgia e quelli delle altre Repubbliche sovietiche, convenuti a Tbilisi per le celebrazioni”. Nell’occasione il giornale Zaria Vostoka ha pubblicato i versi dedicati al leader dal coraggioso poeta Huta Berulava: “Credevamo e sapevamo che per lei sarebbe venuta l’ora di un decollo inaudito”. Infatti un anno dopo decollò verso l’aldilà, pur essendo “in perfetta forma”.
Anche Sergei Lavrov, ministro degli Esteri di Putin, è un poeta e qualche anno fa ha pubblicato una raccolta di versi. Titolo della prima poesia: “Migranti non è parola russa”. Forse per questo il 17 ottobre scorso Salvini, a Mosca col sodale Savoini diretto al Metropol, dichiarò, rubli a parte: “In Russia mi sento a casa, in certa Europa no”. Vedete che tutto si tiene. Poi a chi dice che vogliono smontare la democrazia toccano gli insulti social. Già visto anche questo.
Marta ha il cuore diviso: più che ascoltare Gesù è preoccupata di pulire
In quel tempo, mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Luca 10,38-42).
Gesù è accolto, come spesso accade, e ospitato familiarmente, con i suoi, in casa delle sue care amiche Marta e Maria. Qui il Maestro ha un insegnamento autorevole da offrire: la Parola stessa di Dio. Se domenica scorsa ci ha fatto comprendere chi è il prossimo: Va’ e anche tu fa’ così (Lc 10,37), oggi riafferma, secondo Tradizione, il perno del credente: ascoltare la Parola di Dio. A questa, delle due, soprattutto Maria presta attenzione devota.
La voce del Padre nella Trasfigurazione lo ha presentato così: Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo! (Lc 9,35). Maria di Betania ci viene descritta nell’atto di stare seduta ai piedi di Gesù, tutta assorta, discepola attenta e insaziabile, che ascolta il Maestro, l’amico, il profeta posto nel mezzo della loro casa.
La sorella Marta, invece, distolta dai molti servizi, si lamenta e vorrebbe vederla accanto a sé, attiva, operosa e indaffarata! È proprio l’agitazione che la distrae e non le permette di capire di che cosa ha bisogno Gesù, che cosa stia a cuore a Lui.
Bisogna notare che Luca descrive l’agire di Marta usando il verbo servire (diakoneìn, e non doulèin usato per i servi) e ricordiamoci che Gesù è venuto “per servire e non per essere servito”. Questo verbo è di fondamentale importanza per la vita cristiana: è la regola di vita. Del resto, le due sorelle hanno posto comunque il Signore al centro della loro cordiale premura: Marta servendolo, Maria ascoltandolo.
Forse, il servire e l’ascoltare possono essere antagonisti? Assolutamente no! È Marta a farsi avanti ponendo la questione al Signore: Non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti. La preoccupazione di Marta si sposta da Gesù alle sue tante faccende necessarie per accoglierlo: il cuore di lei si divide. È ciò che al discepolo non deve accadere: Gesù è il perno dell’esistenza del cristiano.
L’ascolto della Parola di Dio ci aiuta a mettere al centro della nostra vita Gesù Cristo. Egli origina e unifica la molteplicità dell’agire, costruisce la comunione di vita che fa del Signore l’unica e sola cosa necessaria.
Marta, nella sua riconoscente generosità, vorrebbe corrispondere al dono del Signore con qualcosa di “suo”, vorrebbe produrre dei beni per Lui. L’ascolto della Parola di Dio, invece, rende Maria vigilante. Il Signore va accolto perché è Lui che fa cose per noi, da Lui riceviamo sempre e tutto. Qualcosa di “nostro” può riuscire unicamente sulla sua parola. Pietro pesca abbondantemente quando getta le reti su invito di Gesù e dopo aver faticato invano tutta la notte. Abramo e Sara sono diventati fecondi dopo aver accolto i Tre misteriosi personaggi presso le querce di Mamre. Anche tutta la grandezza della Madre di Dio sta nella sua risposta (Lc 1,38) all’angelo Gabriele: Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola.
* Arcivescovo emerito di Camerino – San Severino Marche
La politica al tempo dei sondaggi
I sondaggi hanno circondato i partiti di quel misterioso apparato che cinge ogni impresa nel mondo della produzione: la Borsa. Da almeno tre decenni ogni mossa imprenditoriale è legata a un numero che appare nei listini di Borsa e nelle chiusure di ogni giornata.
Da molto tempo, ormai, gli esperti hanno notato che non è la performance di impresa a essere premiata o punita dalla valutazione in Borsa (soggetta a sbandamenti e rovesciamenti improvvisi che richiedono, ciascuno, l’interpretazione di vari esperti perché a occhio nudo non si capiscono); piuttosto è l’impresa che si regola secondo il responso della Borsa, e cambia all’improvviso strategie di investimento, produzione, persino immagine, a seconda dei premi e delle punizioni ricevute dalla valutazione “dei mercati” (come si usa dire).
Per esempio, licenziare non è più qualcosa che avviene per ragioni interne all’impresa (rapporti non più convenienti fra investimenti, produzione, ricavi): avviene perché nei “mercati” soffia un violento vento contro la cosiddetta “mano d’opera”, che viene considerata “una palla al piede” e vista con favore quando decresce. E ciò indipendentemente dalle circostanze reali, e persino quando chiusure e licenziamenti portano un danno evidente e tagliano il futuro.
L’intero mondo delle strategie aziendali, da un lato, e del lavoro, dall’altro, sono stati squassati dal vento furioso del “licenziare sempre, assumere mai” (il contrario esatto del pensiero e del successo di Adriano Olivetti negli anni 60) che domina un mondo segnato da disuguaglianze immense. Tutto è avvenuto quando l’uomo di Borsa ha preso il sopravvento sul manager di impresa.
I partiti? Sono nella morsa dello stesso fenomeno. Sono immersi nella fanghiglia dei sondaggi. Sono i sondaggi a decidere dove va un partito, non il partito a comportarsi in modo da meritare quei sondaggi. Certo, vi è uno spunto, casuale o di ben calcolata astuzia, che dà inizio alla corsa. Ma l’impressione è che a un certo punto l’effetto “palla di neve” che diventa valanga comincia a prodursi troppo rapidamente. Tanto da spingere il partito in questione a calcare la mano, poi a replicare, infine a riprodurre in formato gigante ciò che sta portando i numeri sempre più favorevoli dei sondaggi.
L’impressione, come nel rapporto fra risultati d’azienda e numeri di Borsa, è che vi sia una sequenza logica: più fai bene per un certo mercato, più cresci di valore. E si fa strada la persuasione che non ci sia un limite. Ma, come mostrano molte avventure imprenditoriali da un lato e molte vicende politiche dall’altro, un limite c’è, e si tratta di vedere a carico di chi.
Per esempio, nelle ultime elezioni presidenziali americane, la candidata democratica è affondata nei propri sondaggi, largamente favorevoli e – si è scoperto dopo – inaffidabili. Per esempio la maggioranza degli esperti turchi non si aspettava la vittoria del sindaco rivale e ribelle del potentissimo Erdogan (Ekrem Imamoglu, ndr) e la conquista della città di Istanbul da parte del votatissimo avversario di un despota. Se vogliamo parlare dell’Italia dei nostri giorni e della strana vicenda dei sondaggi che vengono trattati come se fossero voti, e dunque dettano la politica, occorrerà notare che Salvini ha cominciato a dare segni di sbandamento, incoerenza, paura, confusione, dopo l’evento russo.
Tutto ciò, certo, non ha toccato “la Borsa” (“i sondaggi”). Non adesso. E forse non la scalfirà neanche dopo. Ma il leader è stato spostato in un’area più squilibrata della sua tifoseria, che ama in lui prontezza e fermezza. Il danno, se c’è stato un danno, è stata l’immagine, molto offuscata dal leader che ha insistito di non sapere, sui congiurati del Russiagate, nonostante la grande quantità di materiale visivo disponibile presso tutti i media.
I sondaggi, come le Borse, hanno le loro stranezze. Dipendono solo in parte dai fatti che tutti vediamo e giudichiamo alla luce del sole. E così ci sono giorni di trionfo di Borsa che, per ogni altro verso, a tutti sembrano tragici, e salti negativi e positivi di sondaggi che non sembrano ispirarsi a eventi reali conosciuti, valutati e discussi dai cittadini. L’altra cosa che non sai, tanto in Borsa quanto nei sondaggi, è quando paghi. Gli errori o presunti errori dei Cinque Stelle sono venuti all’incasso molto presto, e con grande pesantezza. Ma è tutto oro quello che splende al culmine altissimo dei sondaggi della Lega? È a lunga durata?
Mail box
Per ridurre i parlamentari non serve un referendum
Leggo sul Fatto – a proposito del taglio del numero dei parlamentari – che siccome la modifica non raggiungerà in seconda lettura la maggioranza dei due terzi dei voti di entrambe le Camere, per divenire effettiva dovrà essere sottoposta a referendum costituzionale. Non è così. Il comma 2 dell’art. 138 della Costituzione dice solo che entro tre mesi dalla data dell’ultima votazione può essere richiesto il referendum da 1/5 dei membri di ciascuna Camera, oppure da 500 mila elettori, oppure da cinque consigli regionali. In caso contrario la legge costituzionale diviene definitiva.
Carlo Boni
Caro C.B., ha ragione.
M. Trav.
DIRITTO DI REPLICA
Nelle scorse settimane non si è verificato alcun problema impiantistico o ai nastri trasportatori dello stabilimento di tritovagliatura e imballaggio dei rifiuti di Caivano. Il sovraccarico presso l’impianto è stato determinato unicamente da un aumento del quantitativo dei rifiuti conferiti. Inoltre, il contratto sottoscritto da A2A per la gestione dello stabilimento di Caivano e del termovalorizzatore di Acerra prevede esclusivamente l’obbligo della conduzione e manutenzione degli impianti. Il Gruppo non ha quindi alcun ruolo o responsabilità nella programmazione dei flussi dei rifiuti in uscita o in ingresso.
Ufficio stampa A2A
Il dottor Valter Lavitola ha letto l’articolo su Il Fatto Quotidiano del 19 luglio, “Silvio padrone dell’Avanti? A rischio le concessioni tv”. È assolutamente necessario precisare che lo stesso sostiene che non ha alcun rapporto, né interesse coincidente con Sergio De Gregorio, né ha mai voluto e vuole procurare danno ad alcuno e men che meno a Silvio Berlusconi.
Mai Lavitola ha parlato e neppure pensato a un “incrocio tra carta stampata e televisioni” e lungi da lui il permettersi di effettuare simili congetture di cui ne disconosce la paternità. Lavitola ormai da anni insieme a una cooperativa di giovani ha avviato un piccolo ristorante con 10 tavoli che dà a tutti loro ampie soddisfazioni. Il vecchio mondo dei palazzi non gli appartiene più e non è minimamente interessato a quel tipo di realtà.
Avv. Andrea Bussa
Fornendo il resoconto, frammentario e fuorviante di un convegno svoltosi alla Camera dei deputati, sulle violazione dei diritti dei bambini e delle loro famiglie riemerse, da ultimo, nell’inchiesta della Procura di Reggio Emilia, Il Fatto Quotidiano ha preso posizione il 19 luglio 2019, alla pagina 19, con firme di Sarah Buono e Maria Cristina Fraddosio, affermando che una vicenda riguardante “una decina di bambini” verrebbe amplificata per sostenere tesi riferibili a partiti politici o a posizioni ideologiche o addirittura discriminatorie. Inoltre, il sito di informazione Imola Oggi, cui va il merito dell’organizzazione dell’evento, viene tacciato di pubblicare ‘bufale’. I sottoscritti, moderatore e relatori nel convegno, esprimono dissenso e rivendicano la propria posizione di tecnici, i quali, in modo riconosciuto nei rispettivi settori di appartenenza, esercitano le proprie professioni al più elevato livello, secondo la più limpida attendibilità, mai posta in dubbio da chicchessia, e soprattutto in modo scevro da alcun condizionamento o pregiudizio politico, ideologico O religioso. Si vogliono qui prendere le distanze da chiunque intenda insabbiare o sminuire una vicenda di ingiustizia diffusa, di cui sono vittime bambini e famiglie per lo più deboli e povere e di cui sono responsabili enti solo nominalmente non lucrativi e magistrati impreparati o disonesti. Il sistema emerso a Bibbiano non solo rispecchia una diffusa e quotidiana violazione dei diritti umani che riguarda centinaia di migliaia di bambini in Italia, come più volte rilevato e censurato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; ma risulterebbe raccapricciante anche se riguardasse un bambino solo e qualunque fosse il colore dell’eventuale tessera di partito dei suoi familiari o di coloro che avessero il coraggio di difenderlo. Ridurre questo inquietante contesto ad argomento di polemica politica o ideologica significa favorire la l’ormai noto e documentato sistema che produce guadagno sulla pelle dei bambini e a favore di cooperative ed enti religiosi.
Armando Manocchia, Alessandro Meluzzi, Francesco Miraglia, Francesco Morcavallo e Vincenza Palmieri
Non intendiamo sminuire né insabbiare nulla, neanche le nostre perplessità di fronte alle generalizzazioni che abbiamo ascoltato durante il convegno a partire da un’inchiesta su fatti avvenuti in una parte del territorio della provincia di Reggio Emilia. Di quell’inchiesta il Fatto Quotidiano ha dato ampiamente conto. Imola Oggi si presenta come una testata giornalistica e non lo è, più volte ha pubblicato notizie che si sono rivelate inesatte, il suo sedicente direttore non è iscritto all’Albo dei giornalisti: sorprende che sia stato invitato a moderare un dibattito alla Camera dei deputati e che, addirittura, i giornalisti dovessero accreditarsi per Montecitorio scrivendo a Imolaoggi.it.
S.B. – M.C.F.
È il premier moderato Conte l’ultimo nemico del leghista
“Quattro punti distaccano Matteo Salvini da Giuseppe Conte nell’indice di gradimento tra gli elettori. La popolarità del presidente del Consiglio cresce di 6 punti rispetto a giugno e arriva al 58 per cento rimanendo davanti ai due vicepremier”.
Sondaggio Ipsos, “Corriere della Sera”, 20 luglio
“Salvini, nel mirino c’è il premier Conte: il problema è lui”.
“Repubblica”, 20 luglio
Matteo Salvini, a cui con i tanti difetti non manca il fiuto politico, ha “messo nel mirino” il premier Conte per un paio di motivi soprattutto. Numero uno: la crescente popolarità tra gli italiani di un avvocato fino a 15 mesi fa sconosciuto ai più e che oggi si permette di staccare di quattro lunghezze l’acclamato Capitano. Numero due: la brillante operazione europea dei Cinque Stelle (pienamente condivisa con Conte), diventati ago della bilancia nella elezione della neo presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Con la Lega che si è messa da sola fuori gioco, riuscendo nel miracolo di rendere politicamente ininfluente la larga maggioranza di voti conquistati il 26 maggio scorso. Dunque, per Salvini il “problema” non è il solo Conte ma il sistema istituzionale dei poteri al centro del quale si muove il capo del governo gialloverde. Che a Roma agisce in piena collaborazione con i ministri “tecnici” dell’Economia, Giovanni Tria, della Difesa, Elisabetta Trenta, degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. In sintonia con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E ora anche in asse con le due donne della nuova Europa: la Von der Leyen e il numero uno della Bce, Christine Lagarde. Entrambe moderate di centrodestra, non sappiamo se guarderanno alle politiche economiche di Roma con sguardo più benevolo rispetto ai predecessori. Tuttavia, le due signore, “verosimilmente, ricopriranno il ruolo di guardiane dell’ortodossia liberale occidentale e dell’unità europea, acerrime nemiche dell’estrema destra, del razzismo e del sovranismo” (Alan Friedman, “La Stampa”). Davvero, un dito nell’occhio per Salvini e per la sua squadra, composta dagli apprendisti stregoni esperti in valute parallele, e dalla schiera di misogini e omofobi che con la scusa dei “valori tradizionali” (vedi congresso di Verona) tirano la volata all’estrema destra dei filo-Putin e dei filo-rubli (vedi riunioni e traffici vari all’hotel Metropol di Mosca). La crescente popolarità di Conte sembra pure il riflesso di un bisogno di stabilità piuttosto diffuso nel ceto medio riflessivo. Un’Italia che oggi come ieri chiede il cambiamento ma senza avventure, per citare un vecchio slogan democristiano. Ecco, con i suoi modi garbati, e un po’ dorotei, Giuseppe Conte ricorda lo stile dell’antico ceto politico dei Fanfani, dei Forlani e dei Moro (a quest’ultimo legato dalle comuni radici pugliesi). Nel chiederci come mai, malgrado i litigi quotidiani, l’indice di gradimento del governo si attesti oggi al 54,9 per cento, sopra i dati di fine giugno, occorre appunto misurare l’effetto Conte, combinato con il peso delle massime istituzioni che agiscono a Bruxelles e Strasburgo in stretto contatto con Palazzo Chigi. Quando dice che “il problema è lui” (e non sicuramente l’anemica opposizione del Pd), Salvini prefigura il probabile, prossimo confronto-scontro tra due Italie. Quella intollerante e muscolare che grida la pacchia è finita. E quella altrettanto numerosa (se non di più), solidale ed europea, che nutre fiducia nelle donne e negli uomini che non hanno bisogno di insultare per farsi comprendere.
Il signore della giustizia
Mani Pulite. Come è iniziata ed è andata a finire l’inchiesta Nasce a Milano, tra il 1992 e il 1994, da un pool di magistrati guidati da Francesco Saverio Borrelli: Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Gerardo D’ambrosio. Una squadra arricchita da Ilda Boccassini, Tiziana Parenti, Paolo Ielo, Armando Spataro e Francesco Greco.
L’INIZIO: L’ARRESTO DI MARIO CHIESA È il 17 febbraio 1992: l’imprenditore Luca Magni si presenta a Milano nell’ufficio di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente del Psi. Magni, titolare di un’impresa di pulizie, ha in tasca 14 milioni di lire come tangente su un appalto da 140 milioni. Con una penna-microspia e una telecamera-valigetta registra il passaggio della “busta” con 7 milioni. Chiesa verrà arrestato, mentre tenta di liberarsi di un’altra tangente, gettando i soldi nel wc. “on le mani nella marmellata”, dirà Di Pietro.
LE ELEZIONI TERREMOTO L’arresto in flagrante di un tangentomane – un “mariuolo isolato” per i partiti – non fa bene alla campagna elettorale. Le elezioni del ‘92 vedranno il boom degli astenuti (17,4%) e della Lega nel Nord, il Caf-l’alleanza Craxi-Andreotti-
Forlani ne uscirà fortemente ridimensionato.
L’EFFETTO-DOMINO
Gli sviluppi dell’inchiesta intanto producono un cortocircuito: Chiesa parla, sapendo che alcuni imprenditori collaborano, e altri imprenditori, sapendo che Chiesa sta confessando, si presentano in Procura. Verbale dopo verbale, si disegna la mappa delle mazzette: ha inizio per i giornali “Tangentopoli”. Tra il 1992 e il 1994, 1.300 dichiarazioni di colpevolezza (con una percentuale di assoluzione fra il 5-6%). A parte gli scomparsi, quasi tutti gli indagati di quegli anni, comunque siano finiti i loro processi, sono rimasti o tornati rapidamente nella vita pubblica.