Le intese sulla cosiddetta “autonomia differenziata” per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono il primo banco di prova per governo e maggioranza dopo la quasi crisi di giovedì e il vertice di ieri a Palazzo Chigi dimostra che, al momento, la nuova posizione “attiva” e direttamente politica di Giuseppe Conte tiene alla dimostrazione muscolare di Matteo Salvini: i 5 Stelle rivendicano lo stop alla regionalizzazione della scuola, chiesta in particolare dalle giunte lombarda e veneta, ma resta sul tavolo la questione delle questioni: i soldi. Sul punto – se le regioni più ricche potranno trattenere per sé più soldi rispetto a ora e quanti – un compromesso è difficile: qualcuno dovrà perdere.
Gli interessati, al momento, non hanno preso benissimo l’ennesimo rinvio alla settimana prossima e il cedimento sull’istruzione: “Ho dei dubbi sul fatto che all’interno del Consiglio dei ministri siano tutti d’accordo su quel che si sta decidendo, per cui non comprendo tutti questi festeggiamenti. Conte può dire quel che vuole, ma non può parlare per noi: sta tentando di fare una bozza da proporci e diremo noi se ci va bene o no. La misura è colma”. In ogni caso, dice il presidente veneto, sui fondi non si tratta: “Ferme le 23 materie (su cui il Veneto ha chiesto l’autonomia, ndr), c’è un punto fondamentale: la norma finanziaria. Noi non vogliamo intaccare l’unità nazionale, non vogliamo affamare chi va peggio di noi, ma fare in modo che i virtuosi siano premiati”.
Se Zaia è irritato, il collega lombardo Attilio Fontana è fuori dalla grazia di dio: “Abbiamo perso un anno in chiacchiere. Aspettiamo di vedere il testo definitivo, ma se le premesse sono queste non sono disponibile a sottoscrivere l’intesa”. E non è solo una questione di tempi. Il sistema Lombardia, fin dagli anni di Formigoni, è assai generoso con gli istituti privati e ora vuole la “sua” scuola: “E invece anche sull’istruzione – dice Fontana – si è dimostrato di far prevalere logiche sindacal-corporative alle esigenze dei nostri studenti”. Tecnicamente parlando, infatti, dalle bozze di intesa sarebbe stato stralciato l’articolo che prevedeva l’assunzione regionale dei docenti e la possibilità per quelli già assunti di passare al contratto regionale, magari più generoso di quello statale nei territori più ricchi: una eventualità che avrebbe spaccato il sistema e, ovviamente, malvista dai sindacati di categoria.
I governatori non hanno gradito neanche i toni del premier: “L’autonomia si sta realizzando – ha detto – ma senza che questo possa recare danno alle altre Regioni: non vogliamo un’Italia frammentata. I governatori non avranno tutto quel che hanno chiesto, ma ci sta: è un negoziato…”. Più in generale, rispondendo a una domanda, Conte la mette così: “Lo Stato cede delle competenze alle Regioni, che debba cederle tutte può essere un suo auspicio, ma non è il mio. Se delego tutte le funzioni quale strategia nazionale posso perseguire? La mia linea è cedere quelle competenze che possono essere efficacemente svolte a livello regionale, ma certe cose, come le infrastrutture o la Protezione civile, ho bisogno che siano a livello nazionale”.
La ministra titolare del dossier Erika Stefani, leghista e veneta, la racconta invece in questo modo: “Su sanità, ambiente, sviluppo economico sono state accolte le richieste delle Regioni. Una svolta per il territorio, per i cittadini e per le imprese. L’autonomia funziona però se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso”. La partita dei soldi, insomma, è ormai quasi tutta la partita. Il meccanismo infilato nelle bozze finora è davvero un enorme favore alle Regioni ricche (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna fanno il 40% del Pil): lo Stato, infatti, assieme alle funzioni trasferisce anche un pezzo di imposte statali per “pagarle”. Problema: fissata la cifra sotto cui non si può scendere, l’extragettito finisce in tasca alle Regioni autonome.
L’Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che, guardando alla dinamica della sola Iva, la Lombardia tra 2013 e 2017 avrebbe avuto 500 milioni in più (e, ovviamente, qualcuno 500 milioni in meno). Questo sistema, peraltro, è a forte rischio di incostituzionalità non prevedendo alcuna perequazione coi territori meno ricchi, una cosa prevista persino dalla legge sul federalismo fiscale del 2009.