Le banche hanno chiuso i rubinetti all’ex Ilva e così il governo di Mario Draghi dirotta i fondi destinati alle bonifiche per mandare avanti la produzione. È inserita nel decreto Milleproroghe la norma che ha fatto infuriare i tarantini e che rischia di mandare all’aria il piano ambientale, già particolarmente annacquato negli ultimi dieci anni. L’articolo 21 prevede infatti che i fondi sequestrati nei paradisi fiscali alla famiglia Riva dalla Procura di Milano e inizialmente destinati a “risanamento e bonifica ambientale” ora debbano invece essere dirottati per il “finanziamento degli interventi e progetti”. Un ampliamento delle possibilità che di fatto neutralizza i limiti inizialmente imposti all’utilizzo di quei fondi.
La verità, come Il Fatto ha raccontato il 20 dicembre, è che nell’ex Ilva di Taranto non ci sono più soldi: la situazione finanziaria è critica. Come svelato da fonti interne, gli impegni già presi da Acciaierie d’Italia per trasformare la fabbrica dei veleni in un’acciaieria green è di circa 1 miliardo: i 400 milioni versati dallo Stato per il suo ingresso in società sono stati bruciati in poco più di due mesi e più o meno la stessa cosa accadrebbe se Invitalia versasse gli altri 600 milioni previsti per ottenere il 60% delle quote (la seconda parte dei fondi statali è prevista comunque a metà del 2022 e l’acciaieria rischia di non arrivare viva all’appuntamento).
La norma del Milleproroghe libera insomma 575 milioni di euro per Acciaierie d’Italia – joint venture tra il colosso ArcelorMittal e la pubblica Invitalia – è superiore ai 450 milioni che, secondo le fonti del Fatto, erano le linee di credito di cui l’azienda aveva bisogno per sopravvivere. Attualmente, come detto, le banche non si fidano dell’ex Ilva e concedono linee di credito a scadenza quasi immediata. L’intervento dello Stato, insomma, era l’unica ancora di salvezza. Ed è evidentemente per questo che il governo ha deciso di intervenire scippando i soldi alle bonifiche.
Va detto che non tutti l’hanno presa bene. Dopo la denuncia di Angelo Bonelli di Europa Verde (“un golpe contro la salute”, ha detto riferendosi anche ai tentativi dell’azienda di modificare le stime sul danno sanitario), il senatore e vicepresidente del M5S Mario Turco ha presentato un emendamento per sopprimere la norma e chiesto a tutte le forze politiche di “sostenerlo nei fatti in Parlamento e ripristinare i fondi per le bonifiche”: “La sottrazione di 575 milioni di euro per il territorio e per la comunità di Taranto è semplicemente inammissibile oltre che inaccettabile”. Ma l’irritazione riguarda un po’ tutti i partiti: esponenti pugliesi di Pd, gruppo Misto, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno attaccato il governo. Anche il sindacato Usb ha definito il dirottamento dei fondi un atto gravissimo perché “va a indebolire anche la posizione dei lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria, ai quali sarebbero stati affidati i lavori di bonifica nel caso in cui tutto fosse andato come previsto”.
Si tratta infatti di 2300 operai che nel passaggio ad ArcelorMittal non sono entrati nei ranghi del nuovo padrone dell’acciaio e che, dopo un periodo di cassa integrazione e formazione, sarebbero dovuti rientrare in azienda per occuparsi delle bonifiche: “Tutta questa storia – ha aggiunto Franco Rizzo di Usb Taranto – ha l’amaro sapore di una presa in giro”.
Non è detto che parlamentari e sindacati preoccupino il governo, che però sa benissimo di dover avere il via libera della Commissione Ue: Bruxelles, in occasione dell’accordo tra magistrati e famiglia Riva, aveva dato il suo ok, ma specificando che quei fondi dovessero essere utilizzati solo per le bonifiche e non per il potenziamento degli impianti. Quest’ultima ipotesi, infatti, agli occhi dell’Ue avrebbe trasformato quella somma in aiuti di Stato. L’ultimo comma sull’ex Ilva inserito nel dl Milleproroghe chiarisce che “l’efficacia delle disposizioni” è “subordinata all’autorizzazione della Commissione europea”. All’Europa, insomma, spetta l’ultima parola. E a questa sono aggrappate le speranze dei tarantini. Ancora una volta.