De Bustis e l’operazione maltese della Pop Bari

Sarà un’assemblea burrascosa, quella della Banca Popolare di Bari, domenica prossima. Perché i soci azionisti hanno visto i loro titoli scendere da 9,5 euro (il valore a cui sono stati collocati all’ultimo aumento di capitale) a poco più di 2 euro. Perché i bilanci sono negativi e il rosso è di oltre 420 milioni. Perché la Procura di Bari ha in corso inchieste che stanno facendo emergere tutto il repertorio della cattiva gestione già visto nelle banche venete e nelle altre “saltate” negli ultimi anni: fidi milionari assegnati senza garanzie, prestiti concessi purché una parte fosse usata per comprare azioni della banca, valore delle azioni gonfiato, titoli a rischio venduti a ignari pensionati, bilanci aggiustati, crediti deteriorati nascosti, comunicazioni alle autorità di vigilanza “abbellite”.

Non è ancora emersa l’ultima operazione fatta nel tentativo di salvare la banca, con un oscuro fondo maltese e una sponda in Lussemburgo. Protagonista: Vincenzo De Bustis, banchiere che un tempo aveva la patente di dalemiano, regista in passato di operazioni discusse come quella di Banca 121, poi a Montepaschi e infine a Deutsche Bank. Arriva alla guida della Popolare di Bari come direttore generale, chiamato dal padre-padrone dell’istituto, Marco Jacobini. Ne esce nel 2016, per essere poi richiamato, a fine 2018, come “consigliere con deleghe”. È l’unico che potrebbe spiegare ai soci la grande operazione maltese. Parte nel dicembre 2018, quando De Bustis, appena tornato in banca, avvia le trattative per emettere un titolo (uno strumento di rafforzamento del capitale chiamato Additional Tier 1, At1) per portare a casa almeno 30 milioni di euro. A sottoscriverlo si candida una società maltese, la Muse Ventures Ltd. Dai registri delle società dell’isola risulta diretta e rappresentata da un finanziere italiano residente a Londra, Gianluigi Torzi. La Muse è nata nell’ottobre 2017 e ha un capitale di soli 1.200 euro. A fine 2018, De Bustis informa dell’operazione il consiglio d’amministrazione della banca, dandola per fatta. Ma l’istituto di credito coinvolto nell’emissione dei titoli, Bnp Paribas, rileva problemi di compliance, cioè di trasparenza e rispetto delle regole, e di Alm, ossia di gestione dei rischi finanziari. Così blocca il regolamento dell’operazione. Comincia ad apparire evidente, anche dentro la Popolare di Bari, “la sproporzione tra i mezzi propri del sottoscrittore” (la Muse) “e l’importo della sottoscrizione dei titoli At1”.

A inizio gennaio 2019, De Bustis rassicura il cda: è tutto regolare. Intanto emerge un’altra operazione, sempre promossa dal “consigliere con deleghe” Vincenzo De Bustis: la Popolare di Bari s’impegna a sottoscrivere quote di un fondo lussemburghese, Naxos Sif Capital Plus, per 51 milioni di euro. Qualcuno dentro la banca comincia a sospettare, ma senza evidenze, che si tratti di un’operazione circolare, in cui la banca stessa finanzi in Lussemburgo, con 51 milioni, il fondo di Malta che prometteva di portarne 30 a Bari.

Il meccanismo s’inceppa. Muse non sgancia un euro, in compenso Naxos fa causa alla Popolare di Bari per 51 milioni. Si muove il Servizio antiriciclaggio interno alla banca. Rileva che “l’anagrafica e l’identificazione della società in discorso”, cioè la maltese Muse, “risultano incomplete, essendo carenti le informazioni relative al titolare effettivo e al codice fiscale”. Dopo qualche approfondimento, emerge che l’amministratore di Muse, Gianluigi Torzi, insieme al padre Enrico, è nelle liste nere. È presente “nelle liste mondiali di bad press (WorldCheck) per diverse indagini a suo carico avviate dalle Procure di Roma e Larino per reati di falsa fatturazione e truffa”. Risulta che anche la Procura di Milano abbia chiesto informazioni e documentazione su di lui. Risultato: l’operazione con questo personaggio è classificata “ad alto rischio” e con “evidenza antiriciclaggio negativa”. L’ufficio antiriciclaggio della banca fa partire una segnalazione all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia.

Chissà se De Bustis sarà in grado di spiegare tutto ciò agli azionisti, domenica prossima.

Aziende inquinano nella Terra dei fuochi, interviene l’Esercito

Cinque sequestri di attività sono stati eseguiti a Marcianise (Caserta) e Caivano (Napoli) nell’ambito dei controlli delle forze dell’ordine ad attività commerciali e imprenditoriali con sede nei comuni della cosiddetta “Terra dei Fuochi”, finalizzati a verificare il rispetto della normativa ambientale.

Gli interventi sono stati eseguiti su disposizione dell’incaricato per il contrasto del fenomeno dei roghi nella Regione Campania dal gruppo interforze dell’esercito, polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizie locali oltre all’utilizzo di speciali droni per controllare gli obiettivi. A Marcianise sono stati sequestrati un impianto di autodemolizioni con un’area attigua di circa duemila metri quadrati e oltre 100 veicoli depositati. Sequestrata anche una tensostruttura abusiva di 800 metri quadrati adibita allo stoccaggio di materiale tessile. Riscontrate illegalità nella gestione degli scarti delle lavorazioni e nella tracciabilità dei rifiuti. A Caivano è stato invece denunciato il proprietario di un capannone con piazzale dove veniva stoccato una quantità elevata di materiale ferroso.

Palermo, il sindaco: “Ecco altri atleti del lancio munnizza”

Continua la campagna social cominciata qualche giorno fa del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, contro gli “sporcaccioni”. Nelle ultime ore il primo cittadino ha postato foto e video di alcuni cittadini sorpresi ad abbandonare ingombranti per strada. “Ecco due atleti del lancio della munnizza” scrive Orlando con tanto di foto che ritrae due cittadini in via Altofonte e in viale Michelangelo. “Altre due belle segnalazioni all’autorità giudiziaria… A proposito: l’assicurazione della macchina non è opzionale”, aggiunge il primo cittadino Orlando, che sui social posta anche un video in cui si vedono due uomini prelevare da un furgone bianco grossi sacchi di immondizia e depositarli nei cassonetti. “Ecco altri due che pensano di poterla fare franca. Anche per loro una bella denuncia penale”, scrive ancora il sindaco impegnato in questa attività da vigilante anti-monnezzari, che annuncia: “Fra qualche giorno un bel report pubblico sulla lotta all’abbandono illecito degli ingombranti e… qualche novità interessante”.

La differenziata ha mandato in tilt Cagliari

Cumuli di sacchetti maleodoranti, materassi, passeggini abbandonati, imballaggi. Nelle discariche improvvisate in ogni angolo della città c’è di tutto, e col caldo torrido degli ultimi giorni i miasmi non fanno che aumentare, peggiorando l’umore dei cittadini. E la colpa, paradossalmente, è proprio della raccolta differenziata.

In città, a Cagliari, è ancora emergenza rifiuti nonostante le promesse del neo insediato sindaco di centrodestra Paolo Truzzu, che sulle pecche del sistema di raccolta inaugurato dalla precedente amministrazione Zedda ha vinto (di misura) le elezioni comunali lo scorso 16 giugno e ora si ritrova la grana fra le mani.

Colpa di una raccolta differenziata partita in fretta e male, dicono alcuni, ma anche dell’inciviltà di cittadini poco avvezzi alle regole. Il sindaco ci ha fatto una campagna sopra, adesso dovrà però anche risolvere il problema, dopo le promesse di tirare a lucido la città. In cima all’agenda ci sono un intervento di pulizia straordinaria e l’installazione di telecamere di videosorveglianza nelle aree più a rischio: quelle periferiche o più disagiate, come via Dolcetta o il quartiere Sant’Elia, ma anche le zone popolari al centro della città come is Mirrionis. Edilizia anni 60, file di palazzoni senza servizi e talvolta senza ascensore, situazioni di degrado a cui si è aggiunto l’impatto difficile con il nuovo sistema del “porta a porta”: il Comune ha fornito dei “mastelli”, mal digeriti dai furbetti resti al tracciamento e al pagamento della tassa sui rifiuti. Ma il problema non riguarda solo le periferie popolari, e non solo gli evasori. Anche nelle residenze storiche arrampicate sulle terrazze di un quartiere “bene” come Castello si riscontrano disagi, là dove vivono anziani che faticano a portar giù gli ingombri dell’umido e dei materiali sfusi. E in generale i cittadini sono poco abituati alla consegna dei rifiuti a giorni alterni, in orari prestabiliti. Così spesso i sacchi si accumulano per strada.

Per questo Truzzu punta a rivedere l’attuale sistema di raccolta differenziata, da integrare o sostituire caso per caso con le isole ecologiche in ogni quartiere. Parola d’ordine: “Semplificare la vita dei cittadini”, perché “solo così si può migliorare la raccolta”, anche se la differenziata “non è in discussione” (o così almeno assicura lui).

Sulla partita dei rifiuti in città Paolo Truzzu aveva impostato il refrain della sua campagna elettorale, poco più di un mese fa, cavalcando il malcontento dei cittadini sulla differenziata targata Zedda. In un clima sempre più incandescente non erano mancati i sospetti lanciati dagli avversari del centrosinistra, che avevano agitato addirittura la tesi del complotto e dei rifiuti portati in strada apposta per influenzare le urne. Le elezioni sono passate, la spazzatura no.

Stop inceneritore: a Napoli torna l’incubo “monnezza”

Un paio di guasti insignificanti, qualche centinaia di tonnellate in strada hanno fatto suonare l’allarme: Napoli e la Campania vedono alle porte la più grande emergenza rifiuti dell’ultimo decennio. Rischia di succedere fra poco più di un mese quando l’inceneritore di Acerra, tra i più grandi d’Europa, principale se non unico impianto di smaltimento regionale, chiuderà per 45 giorni. E allora ci saranno circa 80 mila tonnellate di rifiuti da gestire.

I bidoni stracolmi, i sacchi buttati per terra, la puzza in città: immagini già viste. Stavolta parlare di emergenza sarebbe eccessivo, almeno per il momento: nelle scorse settimane gli impianti di trattamento di Caivano e Giugliano sono andati in sovraccarico, per un problema ai nastri trasportatori. I camion si accumulavano in file chilometriche davanti ai cancelli, la spazzatura veniva smaltita e ritirata con frequenza minore. Circa 200-300 tonnellate sono rimaste in strada, soprattutto in alcuni quartieri periferici. Nulla di drammatico, specie se a confronto di quanto succedeva negli anni neri di Napoli, quando l’emergenza era cronica, le tonnellate non smaltite migliaia e la città veniva fastidiosamente associata alla monnezza nell’immaginario collettivo. Il sindaco Luigi de Magistris ci ha messo subito una pezza, riaprendo un vecchio sito di stoccaggio temporaneo. I brutti ricordi però hanno risvegliato una domanda angosciante: se sono bastati un paio di guasti a mandare in tilt il sistema, cosa succederà a settembre quando chiuderà il mega inceneritore di Acerra?

Il ciclo dei rifiuti di Napoli (che da sola con la provincia produce oltre 2 mila tonnellate al giorno), uscito dalla storica crisi tra anni ’90 e 2000, è come un malato in convalescenza: si basa quasi interamente sul termovalorizzatore di Acerra, che smaltisce oltre il 50% del fabbisogno, il resto per la maggior parte viene inviato all’estero (la Campania è la Regione che esporta di più, a prezzi sempre più alti). Anche se il vicegovernatore Fulvio Bonavicola assicura che “la chiusura non sarà l’apocalisse”, è fin troppo facile capire che creerà dei problemi.

Lo stop sarà dal 30 agosto al 12 ottobre per un intervento di ristrutturazione programmato da tempo: 45 giorni, sperando che il periodo non si allunghi. Rischia di essere un tempo comunque infinito per la Campania. Secondo le stime, ci saranno circa 80 mila tonnellate da smaltire (senza contare che anche alla riapertura di Acerra non potranno essere bruciate tutte insieme, ci sarà un corposo arretrato).

A2A, la società che gestisce l’inceneritore, non ha fornito soluzioni alternativa, così la proposta della Regione è essenzialmente accumulare i sacchi dove diano meno fastidio, in attesa che il termovalorizzatore si riaccenda. Il governatore Vincenzo De Luca ha chiesto al territorio dei siti di stoccaggio temporanei, dovrebbero essere sette in totale. Il primo è quello già attivato a Napoli nelle scorse settimane: a San Giovanni Teduccio, periferia est, in un’area aperta nel 2004 dall’allora sindaca Rosa Russo Iervolino, utilizzata sistematicamente per far fronte alle varie emergenze e già sotto inchiesta per smaltimento di rifiuti tossici. Lo schema rischia di ripetersi un po’ ovunque.

Dirottare i rifiuti in zone periferiche, già devastate dal punto di vista ambientale: è quello che temono i residenti e le associazioni locali, in subbuglio da settimane. A San Giovanni per scelte simili hanno perso il mare balneabile: la popolazione è infuriata. In rivolta sono un po’ tutti i Comuni in predicato di accogliere i nuovi siti. A Giugliano il sindaco Antonio Pozziello prepara l’insurrezione istituzionale: “Non permetteremo di portare qui i rifiuti, faremo di tutto per evitarlo”. Lo stesso vale per Acerra. De Luca predica la calma, promette che i siti saranno temporanei (“Non si trasformeranno in discariche perenni, è un mio impegno”), prova a spostare l’attenzione: “La Terra dei fuochi oggi è altrove, oltre Roma e Roma compresa”. Intanto però ieri l’associazione “No Biocidio” ha invaso il palazzo della Regione Campania con finti sacchi di spazzatura per protesta contro il piano regionale, e il M5S invoca lo stato di crisi. La vera emergenza deve ancora iniziare.

La mala dei rifiuti accerchia la Sicilia tra affari e veleni

Caltanissetta i comuni della provincia da tre giorni non hanno più un posto in cui conferire i rifiuti, da quando è stata chiusa la discarica Timpazzo: e dopo il “no” a un nuovo impianto nel capoluogo, per la provincia è Serradifalco “l’alternativa zero”, come si legge nei documenti, ma i cittadini del comitato No Discarica sono insorti contro il nuovo centro previsto a pochi passi dal vecchio impianto mai bonificato in una zona ritenuta ad alto rischio idrogeologico. E il clima si è fatto teso fin dal mese scorso, con l’invio di una busta con tre proiettili al sindaco del paese Leonardo Burgio. A Siracusa il guasto a un “tamburo” di 12 metri che separa i rifiuti per dimensioni ha condotto il mese scorso alla chiusura della discarica di contrada Coda Volpe, a Lentini, che accoglie l’indifferenziato di oltre 240 Comuni della Sicilia orientale, scatenando le consuete scene di ogni estate: autocompattatori in coda e blocco della raccolta.

Dopo vent’anni addio al commissariamento

Per la prima volta dopo vent’anni, la Sicilia esce dal regime commissariale (non prorogato) grazie a un 31,3 per cento di raccolta differenziata (comunque lontana di oltre 20 punti dalla media nazionale) ma clientele, sprechi, abusi e infiltrazioni criminali non accennano a diminuire, accanto alle promesse da Pinocchio della politica: “Entro il festino di Santa Rosalia tutte le strade saranno pulite e l’emergenza rifiuti rientrerà”, aveva giurato l’assessore all’Ambiente di Palermo, Giusto Catania, ma nessuno gli ha creduto e i cumuli di rifiuti oggi per le strade, eterna immagine dell’“offerta turistica” palermitana, stanno a dimostrare come ad impossibilia nemo tenetur, nessuno è tenuto alle cose impossibili.

Al punto che a Palermo il sindaco Leoluca Orlando è stato costretto a rimuovere il comandante dei vigili urbani, Gabriele Marchese, per l’inefficienza nei controlli sull’abbandono dei rifiuti che stanno sommergendo la città. Ma il funzionario ha difeso i suoi uomini contrattaccando con un esposto in Procura: “Sono stati seguiti gli autocompattori ed è stato accertato e verificato che alcuni cassonetti vengono lasciati pieni – ha dichiarato il capo dei vigili rimosso – forse perché così si formano le discariche che vengono ripulite con costi maggiori e in regime di straordinario?”. Il riferimento è a quella di Bellolampo, bloccata da quattro incendi in un mese che la commissione regionale antimafia ritiene sospetti: la costruzione della settima vasca è ancora lontana, la sesta è già satura e dal 22 luglio oltre mille tonnellate di rifiuti palermitani (e di 55 paesi della provincia) approderanno nelle discariche di Lentini, Catania e Siculiana: costo, 10 milioni di euro. L’emergenza si è ormai allargata a tutta l’isola stretta nella morsa dei rifiuti accastati nelle strade che il caldo torrido trasforma in concreti rischi sanitari.

Il sindaco di Siracusa, Francesco Italiano, ha dovuto firmare un’ordinanza che obbligava i cittadini a trattenere per 24 ore “la frazione indifferenziata di rifiuto urbano”, e a Messina Giuseppe Lombardo, presidente di Messina Servizi Bene Comune, ha invitato gli utenti a “limitare al minimo indispensabile i conferimenti dei rifiuti indifferenziati”. Ma il caos è soprattutto amministrativo: “Non c’è un segmento della gestione dei rifiuti che sia allineato giuridicamente e tecnicamente alle direttive europee e quindi alla legislazione nazionale. In sostanza, siamo in Sicilia fuori sistema”, diceva tre anni fa il docente universitario Aurelio Angelini, fino a poco tempo fa consulente del governatore Nello Musumeci, e oggi l’incertezza prosegue: il piano rifiuti siciliano è stato bocciato ai primi di giugno dal ministero del- l’Ambiente che l’ha definito “incongruente” e persino incomprensibile: sotto accusa frasi sgrammaticate come “occhiutamente”, “coevamente”, “satisfattivi”, o frutto di lessico creativo, come “mercato sviluppistico”, definito “ignoto in letteratura”.

La palla lasciata ai tribunali

Intanto la confusione normativa si ripercuote sulle decisioni dei giudici: il Tar di Catania ha recentemente annullato la gara d’appalto per la raccolta rifiuti del Comune di Siracusa dopo il ricorso di una delle ditte perdenti. Ed è il secondo annullamento dopo il bando settennale, sempre per la raccolta dei rifiuti. E se per i cittadini è un salasso continuo (ad Agrigento il sindaco Lillo Firetto ha annunciato un aumento dei prezzi a causa della decisione della Regione Siciliana di conferire i rifiuti della provincia nella discarica di Trapani, con un aumento di circa 80 euro a tonnellata ancora una volta scaricato sulle spalle dei cittadini), per le organizzazioni criminali è un business che prosegue con fortissimi rischi di inquinamento ambientale: due mesi fa sono stati arrestati due impiegati della società Energeticambiente srl, che cura il servizio di gestione integrata dei rifiuti per Alcamo e altri Comuni della provincia di Trapani. Sono accusati di traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale per avere sversato liquami in un’area di Partinico, originariamente destinata ad autoparco della stessa società. La società ha acquisito un ramo d’azienda della Aimeri Ambiente, di proprietà di Pier Paolo Pizzimbone, ex pupillo di Marcello Dell’Utri: con il fratello aveva fondato nel 2005 “il circolo di Imperia”, a sostegno del senatore poi condannato per mafia, nel 2007 aveva inaugurato 33 circoli della Libertà in Liguria e l’anno dopo si era candidato, senza successo, alle elezioni politiche nella circoscrizione Sicilia 2.

(ha collaborato Alan David Scifo)

Furbetti del cartellino all’ospedale Cardarelli Oltre 60 indagati

Medici,infermieri, un sindacalista, centralinisti, un consigliere comunale (all’epoca dei fatti): sono una sessantina i dipendenti “furbetti del cartellino” dell’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli, la più grande struttura sanitaria pubblica del Sud Italia, a cui la Procura di Napoli ha notificato un avviso di conclusione indagini ipotizzando il reato di truffa continuata in concorso. C’era persino un ragazzino di 13 anni, figlio di una dipendente, che su ordine della madre “timbrava” il badge facendola risultare in servizio. Un uomo, all’epoca dei fatti anche consigliere comunale in un popoloso centro del napoletano, ha timbrato per oltre trenta volte per conto di colleghi nel giro di appena due mesi.

Gli investigatori della Polizia hanno sistemato una telecamera nei pressi del dispositivo di rilevazione delle presenze di uno solo dei numerosi ingressi del Cardarelli, immortalando innumerevoli episodi di illeciti, precedenti all’entrata in vigore, nei mesi scorsi, della rilevazione delle presenze attraverso impronte digitali. In virtù della Legge Brunetta sui dipendenti pubblici, in caso di condanna, gli indagati rischiano fino al licenziamento in tronco.

“L’affido? Bimbi dati ai gay…”. Il convegno delle polemiche

Il caso di Bibbiano arriva alla Camera con toni che lasciano perplessi. L’indagine della Procura di Reggio Emilia è stata oggetto del convegno “Angeli e demoni: un omicidio non dei corpi ma delle anime”. L’inchiesta su una decina di bambini sottratti alle famiglie sulla base di dichiarazioni e relazioni manipolate, per poi essere affidati ad amici e conoscenti, e il ruolo di uno degli indagati, psicoterapeuta e direttore della onlus ‘Hansel e Gretel’ di Torino, sono serviti a mettere d’accordo da un lato Fratelli d’Italia e dall’altro professionisti che gravitano attorno alle iniziative di Scientology, la setta religiosa americana da anni al centro di polemiche per il condizionamento dei suoi adepti.

“È nato in pochi giorni il convegno”, ha detto la deputata Maria Teresa Bellucci di Fratelli d’Italia, membro della Commissione per l’infanzia. Pochi giorni per mettere assieme quelli che la leader di Fdi, Giorgia Meloni, nei saluti inviati per messaggio, ha definito “relatori eccellenti”. Difficile dire se a organizzarlo sia stata Bellucci o Armando Manocchia, direttore del discusso imolaoggi.it, sito web spesso accusato di diffondere bufale, e moderatore dell’incontro. L’evento è stato pubblicizzato anche da Paolo Roat, responsabile nazionale minori del Comitato dei cittadini per i diritti umani (Ccdu), una onlus che si definisce indipendente, ma è la diramazione italiana di un’associazione di Scientology. Tre dei quattro relatori sono volti noti nelle iniziative del Ccdu. Vincenza Palmieri, presidente dell’Istituto nazionale di pedagogia familiare, è uno di loro. La Palmieri, come Paolo Roat e il presidente del Ccdu, Roberto Cestari, risultano anche aver seguito diversi corsi di Scientology.

La prima a intervenire è l’onorevole Bellucci: “Ci sono 50 mila bambini allontanati. Non abbiamo un registro all’anagrafe. Il 60% dei minori viene dato in affido oltre i 24 mesi”, ha detto, ricordando il caso della comunità del Forteto, che già a fine anni ‘70 finì nella bufera giudiziaria assieme a chi la gestiva, il “profeta” Rodolfo Fiesoli. Secondo l’ex giudice del Tribunale per i minori di Bologna, Francesco Morcavallo, presente agli eventi del Ccdu, “c’è mezza magistratura italiana che pone un acritico timbro e determina gli allontanamenti. Il sistema è viziato”. “Serve maggiore attenzione nella nomina dei presidenti dei tribunali”, dice facendo riferimento a presunti casi di minori allontanati per dei disegni o perché affetti da patologie psichiche e poi “rincoglioniti con gli psicofarmaci”.

Ed eccoci a uno dei leitmotiv del convegno. Da un lato il ripristino della famiglia tradizionale. Dall’altro la demonizzazione della psichiatria, tesi cara a Scientology (e del Ccdu). Un altro dei relatori, onnipresente agli eventi del Ccdu è l’avvocato Francesco Miraglia. Durante il convegno di ieri ha detto che oltre a Bibbiano, ci sono casi analoghi a Venezia. Casi che dice di denunciare dal 2004. Ha parlato di minori allontanati perché – secondo gli psicologi – avrebbero “atteggiamenti omosessuali o madri troppo amorevoli”. Sull’omosessualità si è soffermato anche Alessandro Meluzzi, psichiatra ed ex deputato forzista. Secondo lui “dietro tutto questo c’è un disegno che ha dei padri e delle madri”. “Un progetto mondiale”, lo ha definito.

Con toni coloriti ha tuonato contro “una certa psichiatria stalinista”. Non risparmiando pure gli psicologi. Richiamando le parole di colui che ha definito il suo maestro – il defunto ex-sacerdote Pierino Gelmini, che dopo essere stato accusato di truffa e abusi sessuali lasciò il sacerdozio – ha detto: “La più puttana delle madri è meglio di una psicologa”. E poi giù con la lista dei colpevoli: “La colpa è di una politica che vede nella famiglia un pericolo, che toglie i figli ai poveri per darli ai ricchi magari omosessuali”, dice tra gli applausi. “Non c’è psicologo che tenga, dinanzi alla legge del sangue. Dobbiamo ripartire dalla battaglia per la famiglia naturale”. I presenti annuiscono convinti. L’ultimo intervento tocca a Vincenza Palmieri: “Siamo di fronte a un sistema clientelare, mafioso, che costa un sacco di soldi”. E giù con la polemica contro gli psicofarmaci, le perizie, i neuropsichiatri, gli psicologi: “Come un tempo sono stati aperti i manicomi, adesso vogliono aprire i luoghi dove i bambini vengono catturati e reclusi”.

“Dividevamo la stessa ragazza (senza saperlo)”

“Luciano era un uomo del Sud, un punto di riferimento; faceva parte di quella ristretta cerchia di artisti ‘dentro’, perbene, modesti, non traffichini. E ha pure pagato lo scotto di non essere ruffiano”. Appena resa nota la notizia della morte di Luciano De Crescenzo, prima di recarsi – con Marisa Laurito – al Policlinico Gemelli, dove da tempo era ricoverato lo scrittore, Renzo Arbore risponde a più telefoni contemporaneamente: tutti lo cercano, tutti gli chiedono com’era, quella profonda amicizia. “Fino a qualche giorno fa, quando lo andavo a trovare, gli facevo ascoltare le canzoni napoletane dal mio iPad”.

Arbore, ricorda quando e come vi siete conosciuti?

L’ho conosciuto a casa sua, mentre litigava con il computer. Era un ingegnere dell’Ibm molto stimato e, mentre noi non sapevamo neanche cosa fosse, lui già dialogava con le macchine. Spesso capitava di vederlo accigliato o proprio incavolato, ma alla fine vinceva: aveva la meglio sul computer. Non solo era bravo, ma era un grande sperimentatore. Ed eccelleva in tutto

Parla della letteratura, del cinema, del teatro?

Anche. Ricordiamoci che Luciano ha venduto 18 milioni di libri in venti Paesi del mondo. Nel suo ufficio ci sono le sue copertine attaccate persino sul soffitto. Ma mi riferisco a tutte le sue passioni. Se si dedicava alla motonautica, vinceva ogni anno la Napoli-Capri. E poi aveva una precisione incredibile: sa che era stato il cronometrista della vittoria di Livio Berruti? Ha ottenuto grandi risultati in ogni attività, e si è tirato indietro molte invidie.

Ma con lei ha mai litigato?

Mai. Era impossibile discutere. Aveva in sé la quiete, la bontà, l’affettuosità del napoletano tipico. E pensi che abbiamo condiviso una ragazza…

Sta scherzando?

No, no. Solo che non lo sapevamo. Lei diceva a me di dover andare a trovare l’amico Luciano a Napoli, e a lui di dover venire a Sorrento dall’amico Renzo. Abbiamo capito dopo che non era amicizia, diciamo che voleva bene a tutti e due…

Quindi ne avete riso?

Come sempre, come quando abbiamo lavorato insieme in due miei film (“FF. SS.” e “Il Pap’occhio”, ndr), divertendoci come goliardi. Luciano, che faceva parte dell’Ugi, era un principe della goliardia napoletana, che a quei tempi produceva grandi intellettuali.

De Crescenzo faceva parte e ha saputo raccontare una Napoli che, secondo lei, esiste ancora?

Sono fiero che ci sia ancora quella parte di Napoli e della napoletanità. La cronaca si occupa sempre della “malattia” della città, ma ci sono tante persone “sane”. È la Napoli del sorriso, dell’accoglienza, della simpatia. Con Luciano abbiamo sofferto molto e a lungo, quando ci accorgevamo di tornare a Roma con le pive nel sacco. Ma poi, per fortuna, la situazione è migliorata. E lui ha celebrato fino all’ultimo le sue origini. Faceva parte di una generazione importantissima di intellettuali, come Raffaele La Capria o come la napoletana “acquisita” Lina Wertmüller.

Un uomo d’altri tempi, insomma.

Una perdita incolmabile per la cultura. Adesso tutti lo ricorderanno, eppure in vita era guardato da molti con sospetto.

Luciano, uomo d’amore e “simpatizzante filosofo”

“Prufessò, permettete un pensiero poetico?”. “Voi siete morto e a noi ci dispiace assai, vuol dire che resteremo in compagnia solo di gente triste”. Forse a Luciano De Crescenzo, piacerebbe essere ricordato così, con la domanda di Luigino ’o poeta (l’attore Gerardo Scala), personaggio dei suoi due film su Bellavista. E lui, il Professore, risponderebbe con la sua proverbiale verve ironica. “Non vi amareggiate, perché spesso fa più male la paura di morire che la morte”. È morto ieri a 91 anni, l’ingegnere-filosofo, uno degli ultimi miti della napoletanità dolce e positiva. Che vita straordinaria, la sua, sempre vissuta sul filo di una delle sue mille passioni, la filosofia. Napoletano del quartiere San Ferdinando, zona Santa Lucia, da giovane fa il guantaio nel laboratorio paterno. E studia tanto. All’Università Federico II di Napoli è iscritto alla Facoltà di Ingegneria idraulica e gode degli insegnamenti del matematico napoletano Renato Caccioppoli. Laurea a pienissimi voti, ma fortuna poca.

Al punto che il professor Bellavista giovane è costretto a fare mille mestieri. Venditore di tappeti e finanche cronometrista alle Olimpiadi di Roma del 1960. La sorte lo porta a Milano, alla Ibm, a occuparsi di computer. Sotto la Madonnina, De Crescenzo matura l’idea che “si è sempre meridionali di qualcuno”. E allora lascia il posto sicuro (“a un certo punto mi ero annoiato”) per seguire due, forse tre, dieci, cento… no, meglio evitare il conto delle sue innumerevoli passioni. Scrivere: romanzi, racconti, soggetti cinematografici, programmi tv, girare film, recitare, cantare.

Insomma tutte le cose che può fare e immaginare “un uomo d’amore”, figura centrale della filosofia del Professore, contrapposto all’“uomo di libertà”, che ama vivere da solo perché non vuole essere scocciato. De Crescenzo scrittore è un terremoto positivo per l’asfittico mercato editoriale italiano. Lo dicono i dati: 50 libri scritti, tradotti in 20 lingue, 18 milioni di copie vendute nel mondo, sette in Italia. Da Così parlò Bellavista ai libri di divulgazione filosofica (Storia della filosofia greca, Zeus, i miti dell’amore… e tanti altri) che nel 1994 gli fanno guadagnare la cittadinanza onoraria della città di Atene.

“Non sono un filosofo, ma solo un simpatizzante”, Luciano non si prendeva mai troppo sul serio. Anche i suoi film, Così parlò Bellavista e 32 dicembre, ebbero un buon successo di pubblico e di critica. Ma è l’amicizia con Renzo Arbore a lanciarlo nel mondo della tv, quella ironica e dissacrante di Indietro tutta e Quelli della notte. Non mancano gli aneddoti, le vacanze a Capri e gli scherzi.

I due, raccontò anni fa De Crescenzo, si conobbero sotto il Vesuvio una sera a cena, e parlando parlando (proprio come in uno dei loro film) scoprirono di avere la stessa fidanzata. “La vita – diceva il Professore quando parlava di Arbore – si divide in tre momenti: rivoluzione, riflessione, televisione: si nasce con l’idea di cambiare il mondo e si finisce col cambiare canale. Renzo ha rivoluzionato la televisione”. Dal canto suo, Arbore raccontava un episodio della vita privata del suo amico Luciano.

Immaginate un appartamento napoletano pieno di sole, De Crescenzo è in bagno e si sta facendo la barba, sua moglie gli dice che è stanca, vuole lasciarlo, andar via. È sul ciglio della porta, sta per uscire. “Aspetta un momento, che mo’ scendo pure io, il tempo di mettere una camicia”.

Filosofia della vita, napoletanità allo stato puro. Luciano De Crescenzo amava la sua Napoli, anche se non si nascondeva i difetti e i mille problemi della sua città, ma “Napoli è ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere”, diceva sempre. Partenope c’è tutta nel film FF SS – cioè che mi hai portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene. Ricordate la scena di Arbore e De Crescenzo fermi a un semaforo? Litigano su San Gennaro.

Non fa miracoli, dice lo scettico Renzo, poi si spalanca una finestra (è la casa di Federico Fellini) e il vento fa volare i fogli di un soggetto cinematografico del Maestro. Che i due raccolgono, il miracolo è avvenuto e la parte rossa del semaforo diventa ampolla e ribolle del sangue del santo. Solo due grandissimi amici possono girare una scena così.

E solo un filosofo che non si prende troppo sul serio, perché sa che le cose della vita sono effimere, può far filosofeggiare il suo Luigino ’o poeta sulla libertà con queste parole. “A libertà, a libertà, pur ’o pappavall l’adda pruvà”.

Addio, professore.