Il colloquio si è tenuto nell’appartamento del Presidente, quello che si sceglie per gli incontri riservati. Venti minuti o poco più, in cui il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha spiegato a Sergio Mattarella che rinuncia al posto da commissario europeo. E forse anche a qualcosa di più. È il governo che adesso rischia. Tant’è che il Quirinale si mette in allerta. E non esclude di ricevere già oggi la visita del ministro dell’Interno. Un appuntamento che, secondo fonti 5 Stelle, sarebbe già fissato per questa mattina e che invece in serata Matteo Salvini smentisce.
Succede tutto in un pomeriggio, precipitoso come non si era visto mai, alla vigilia della fatidica scadenza del 20 luglio che era stata indicata, seppure a torto, come il termine ultimo per andare a votare a settembre. E non è un caso che i Cinque Stelle, ancora a sera, siano storditi, annebbiati, increduli.
C’è preoccupazione per una “situazione grave”, certo, e già si immaginano la diretta Facebook con cui Matteo Salvini comunicherà al mondo, prima che a loro, l’apertura della crisi. Ma c’è pure la malcelata convinzione che possa essere l’ennesimo “bluff”, una “straordinaria messa in scena” costruita per metterli ancora di più con le spalle al muro, a cominciare dalla partita sulle autonomie, che oggi ha in calendario l’ennesimo vertice senza decisioni.
Non ci credono, non ci vogliono credere che Salvini possa davvero scegliere di andare a votare. Perché “un conto è se arrivano nuovi sviluppi giudiziari mentre sei al governo, un altro se ti colpiscono mentre sei in campagna elettorale. Non può rischiare così”. Si aggrappano alla “tempesta giudiziaria” sul Rubli-gate per scongiurare lo spettro delle elezioni anticipate. Che loro, sia chiaro, non vogliono. E che invece saranno l’unica soluzione praticabile se davvero la Lega dovesse staccare la spina al governo Conte: il Colle vuole un governo regolarmente in carica per approvare la legge di Bilancio 2020. E altre maggioranze disponibili a portare avanti la legislatura, al momento, non se ne vedono.
Il problema, per i Cinque Stelle, è quale altra strada abbiano di fronte. La indicava bene il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, ieri in commissione Affari costituzionali: “Dai, dai, approviamo che poi c’è la crisi”, scherzava durante l’esame del decreto Sicurezza bis. Ma non deve aver colto l’ironia il capogruppo del Movimento alla Camera, Francesco D’Uva, che invece rivendicava serio: “L’approvazione del nostro emendamento sulla confisca delle navi è la migliore risposta a chi parla di crisi”.
Continuano a battere sul tasto della “responsabilità”: quella mantenuta da loro, che “vanno avanti” nonostante la Lega stia giocando “sporco e su più tavoli” e li abbia “pugnalati alle spalle” nel voto per la commissione europea (i leghisti hanno votato in difformità rispetto agli alleati). Ma la “responsabilità” è anche quella che Salvini si assume se fa venire giù tutto.
Vivono come un “ricatto” l’ira dei leghisti sul voto grillino a Ursula von der Leyen. E citano il caso opposto, che si è verificato ieri al Parlamento europeo con la risoluzione sulle nuove sanzioni al Venezuela: la Lega ha votato con Pd, Forza Italia, Merkel e Macron, come i 5 Stelle hanno fatto nell’elezione della presidente della Commissione. “Noi invece ci siamo ci siamo astenuti. E ora?”, domandano dal Movimento, come a dire che non è da questi episodi che si giudica la tenuta dell’alleanza giallo-verde. La realtà è che a Palazzo Chigi si è tornati al clima pre-Europee: Salvini non parla più né con Conte né con Di Maio. Anche se non salirà oggi al Quirinale, sono tutti certi ormai che con il Colle bisognerà parlare presto.