Quell’isola che non c’è vive (solo) nei libri di Camilleri

Il siciliano immaginario parlato dal commissario Montalbano genera una Sicilia che esiste solo per il pubblico di Andrea Camilleri. È davvero l’isola che non c’è quella dei suoi libri, nessun siciliano – sebbene quella chimera sia fatta di mare e di cannoli – l’ha mai vissuta.

È una Sicilia di allegria, la sua, dunque impossibile in quella di ogni giorno dove incombe la cupa cappa dell’impasto barocco.

Non è che ingegno del suo mirabile zolfo perfino la casa sulla spiaggia a Puntasecca – sebbene sia un B&B – ed è ovviamente ancora più vera di quella reale quella sua Sicilia che si dispiega nelle pagine dei romanzi di Vigata.

La Fiat Tipo, una macchina che nessuno manco vorrebbe regalata, per quella felicità speciale di Camilleri – già solo perché la fa guidare a Salvo Montalbano – sembra bella più della Nike di Samotracia.

Certo, quel comprensorio di sontuosa bellezza, c’è per davvero. È il set ibleo dove con geniale intuizione Carlo Degli Esposti, il produttore tivù, ha ambientato la serie dei Montalbano. Per davvero – senza faticare troppo col casting – si trovano i tipi adatti al segno di viva letteratura imposto da Camilleri ma come l’America ha comunque avuto necessità di essere cantata da Bruce Springsteen, così la Sicilia è diventata pop con Catarella senza attendere la famosa riabilitazione elargita dall’intellighenzia.

È la riabilitazione toccata in sorte all’Opera dei Pupi – derivata dalla Chanson de Roland, oggi ai vertici dell’epica universale – o il ripristino nei meritati ranghi di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, reietti a lungo, e solo dopo un’eterna gavetta accolti da Pier Paolo Pasolini e dai fratelli Taviani.

Sicilianuzzi dell’immaginario, Ciccio e Franco: figli della fame, icone della smorfia affratellate alle maschere dei mostri di pietra esibiti a Villa Valguarnera, a Bagheria, sono gli inciampi dello sghignazzo riconoscibili nelle espressioni comiche dell’agente addetto al centralino del commissariato più amato dal grande pubblico – interpretato da Angelo Russo – come allo stesso modo Luca Zingaretti prima e Michele Riondino dopo, porgono al personaggio di Salvo giovane e Salvo vecchio le movenze e gli scatti dei paladini dell’Opra, perfetti come sono, perfino nella camminata a gambe arcuate, a replicare l’atteso compimento della giustizia. La letteratura italiana del Novecento è quella siciliana. Con Giovanni Verga, con Luigi Pirandello e con Leonardo Sciascia che non parlano mai al proprio recinto, ma piuttosto a Parigi, a Bonn e a Mosca, la Sicilia va a collocare se stessa in un contesto universale.

E quel che viene dopo, fino ai giorni nostri – con Gesualdo Bufalino, con la raffinata poesia di Lucio Piccolo e con Stefano D’Arrigo – sconfina nello sperimentalismo, dismettendo i cascami del bozzettismo di genere, incontrando l’uso e il consumo del pop.

L’uso e il consumo del successo del quale il solo Camilleri, da vero rabdomante, afferra il meccanismo della fabula facendo di quell’invenzione degli dei – solo questo è la Sicilia – un puro pretesto di vivo racconto.

Tale e quale Prometeo che ruba il fuoco ai numi per farne dono agli umani, così Camilleri che strappa all’Olimpo quella vampa di zolfo che è la Sicilia per farne un pretesto di ghiotta fantasia a disposizione del pubblico.

Tale e quale Tiresia, manco a dirlo, il cieco la cui luce ha avuto esito a Siracusa, un anno fa, con Camilleri che si siede al centro del Teatro Greco e di parola fa il Verbo di un destino dove tutto torna e di ogni istante ne fa l’eterno. In quel monologo dove la voce di Camilleri chiamava all’appello gli stessi Dei in qualcosa che non era solo uno spettacolo, ma un’idea di Sicilia svelata nel principio universale della luminosa poesia.

Tutta la Sicilia che lui ha fabbricato nell’immaginario è un fato affatturato di malie: la sua risata, per esempio, è tutto un ridere che sfascia e crea, ricrea e poi smonta ancora. Come il piccolo Krsna quando fabbrica il mondo, come il Triskele di Trinacria che esiste solo nel mito, nel solito caro sogno fatto in Sicilia.

La Procura d’accordo con Formigoni: si va verso i domiciliari

Roberto Formigoni va verso i domiciliari. Il sostituto procuratore generale di Milano, Nicola Balice, ha infatti dato parere favorevole alla istanza con cui la difesa di Roberto Formigoni aveva chiesto ai giudici della Sorveglianza che l’ex Governatore potesse espiare la pena in detenzione domiciliare perché ultrasettantenne. Formigoni deve scontare i 5 anni e 10 mesi inflitti in via definitiva per il caso Maugeri-San Raffaele sulla Sanità. Dallo scorso 22 febbraio, cioè da quando la sentenza è diventata definitiva dopo la pronuncia in Cassazione, l’ex leader Celeste si trova al carcere di Bollate (Milano). I legali difensori dell’ex governatore, gli avvocati Luigi Stortoni e Mario Brusa, hanno sollevato davanti ai giudici la questione della irretroattività della “spazzacorrotti”, la legge approvata pochi mesi fa che ha imposto una stretta sulle misure alternative al carcere per i condannati per corruzione. L’udienza, a cui Formigoni era presente, è durata circa tre ore. Adesso la decisione del collegio di Sorveglianza è attesa nei prossimi giorni.

In Parlamento arriva Viktor Bondarev, l’“eroe” della Cecenia

Matteo Salvini non andrà in aula alla Camera. In Parlamento, però, arrivano i russi. L’occasione è un incontro informale – in calendario da tempo, in realtà – tra le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato e una delegazione del Comitato per la Difesa e la Sicurezza del Consiglio della Federazione dell’Assemblea Federale della Federazione Russa. Nell’aula della quarta commissione, ieri – “strapiena come non mai”, raccontano i presenti – si siedono Viktor Bondarev (presidente del Comitato, che vanta – recita la biografia consegnata ai parlamentari – numerose onorificenze per i servizi resi alla patria nelle forze armate dell’Unione sovietica, per il coraggio dimostrato nell’assolvimento delle sue funzioni e come eroe della Federazione russa”), Aleksander Rakitin (che ha prestato servizio nei Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa), Sergey Arenin (prima a capo della direzione del ministero degli Affari interni della Federazione russa per la Regione di Saratov (anche lui vanta “diverse onorificenze per i servizi resi alla patria”). I deputati Pd, presenti all’incontro, hanno definito “sprezzante” l’atteggiamento dei colleghi ospiti. “Solo risatine” come risposte alle domande, dicono.

Turbativa d’asta il viceministro Garavaglia assolto a Milano

Il viceministro dell’Economia ed esponente della Lega, Massimo Garavaglia, ieri è stato assolto per non aver commesso il fatto nel processo milanese in cui era imputato per turbativa d’asta su una gara per il servizio di trasporto di persone dializzate del 2014, quando era assessore lombardo all’Economia. Garavaglia era imputato in concorso con altri, tra cui l’ex vicepresidente della Lombardia Mario Mantovani (anche a processo per corruzione e concussione per altri fatti e condannato ieri a 5 anni e 6 mesi), che sono stati condannati per quel capo di imputazione, per il quale, invece, il viceministro è stato assolto “per non aver commesso il fatto”. La Procura aveva chiesto per il politico una condanna a 2 anni. Per il pm l’attuale viceministro, nel giugno di 5 anni fa, quando era assessore, avrebbe dato, assieme a Mantovani, “specifiche disposizioni” e “l’input iniziale” per “vanificare gli esiti del bando” di una gara da 11 milioni di euro indetta “in forma aggregata” da tre Asl per il servizio trasporto dializzati. Secondo l’accusa, l’input del “comportamento illecito di Giorgio Scivoletto”, ex dg della Asl Milano 1, che si attivò per “boicottare” la gara a cui non aveva potuto partecipare la Croce Azzurra Ticina Onlus, “risale alla telefonata tra i due assessori (Mantovani lo era alla Sanità, ndr)” del 1 marzo 2014. Una tesi quella dell’accusa che, però, non ha retto nei confronti di Garavaglia. Incassata l’assoluzione Garavaglia ha commentato: “La verità rende liberi. Sono contento che tutto sia andato per il meglio. Non è stato un periodo semplice però va bene anche così”. Entusiasta anche il commento di Matteo Salvini: “Sono contento per Garavaglia, un viceministro dell’economia è fondamentale per dare gli italiani una manovra fondata sul taglio delle tasse. Evidentemente c’è da riformare questa giustizia”.

Il Copasir chiede chiarimenti agli 007. L’Aise minimizza: “Inverosimili le cifre”

Minimizza sull’affaire Savoini-Russia, Luciano Carta, il capo dei servizi segreti esteri (Aise), davanti al Copasir, il comitato parlamentare che vigila sull’intelligence. Un momento molto atteso che però – più che offrire risposte e spunti – si è caratterizzato per il ridimensionamento dei fatti da parte di Carta.

Il passaggio chiave della relazione del Generale, infatti, è quello che considera inverosimile una trattativa per la compravendita di petrolio (da cui ricavare i soldi da dirottare alla Lega e ai russi) per come la si conosce attraverso l’audio dell’incontro al Metropol diffuso da BuzzFeed. Questo perché il presunto quantitativo trattato al tavolo dell’hotel di Mosca sarebbe davvero eccessivo. Attenzione, però: Carta non parla dell’inverosimiglianza dell’intera operazione, ma afferma solo che i conti non tornano, perché la quantità di gasolio russo di cui si parla è troppo elevata per un’operazione del genere.

Un distinguo che può servire come giustificazione del fatto che i Servizi della questione non sembrano essersi occupati molto nei cinque mesi tra la prima rivelazione sull’Espresso della trattativa all’Hotel Metropol di Mosca e la divulgazione dell’audio con le parole del leghista Gianluca Savoini, presente a quell’incontro.

Un tempo le possibili ingerenze russe erano tra le principali preoccupazioni dei servizi segreti. Ora, con questi nuovi vertici nominati dal governo Conte con un notevole ruolo di Salvini, non sembra più così.

Ieri il Copasir si è riunito per quattro ore. L’audizione era prevista per parlare di Libia e Balcani, un’ora è stata dedicata a parlare delle intercettazioni al Metropol di Mosca. A sollecitare la questione sono stati alcuni membri del Copasir, che hanno chiesto approfondimenti sulla vicenda e sui rischi per la sicurezza nazionale. Ha iniziato Lorenzo Guerini, come presidente, e poi le domande le hanno fatte tutti i gruppi. Silenti i leghisti.

La discussione si è mantenuta su temi generali e lo stesso Carta non si è sottratto ad affrontare l’argomento pur non entrando nei dettagli: il direttore dell’Aise ha rimarcato come vi sia l’obbligo giuridico per l’intelligence di non interferire con l’autorità giudiziaria vista l’esistenza di un inchiesta da parte della Procura di Milano. Anche se l’indagine è partita solo dopo l’articolo dell’Espresso a febbraio.

Carta ha comunque inquadrato la vicenda all’interno della “minaccia ibrida” costituita dalla Russia per l’Italia e per l’Europa. E ha fornito un dettaglio: i tre italiani diventati noti alle cronache, ovvero Gianluca Savoini, Gianluca Meranda e Francesco Vannucci sono noti all’intelligence italiana da tempo, in quanto operano in territorio russo da anni. Se non una conferma dell’incontro, quantomeno quella dei profili ambigui dei tre protagonisti.

L’ex impiegato Mps, advisor della centrale a biomasse mai nata

Politica e affari, alle volte insieme. Stefano Vannucci, il terzo uomo all’Hotel Metropol, parte impiegato di provincia e finisce, per sua ammissione, intermediario tra la Lega e i rubli russi. Nel mezzo, sportelli bancari, consulenze private e la militanza nel centrosinistra, prima della collaborazione con lo studio legale di Gianluca Meranda, l’altro italiano dell’incontro a Mosca.

A Suvereto (Livorno), dove è nato e cresciuto, lo conoscono tutti, anche se dal paese se ne è andato tempo fa e ora torna solo per le visite alla madre. Ricordano quella carriera che inizia, come molte in Toscana, nel Monte dei Paschi di Siena: piccolo impiegato nella ancor più piccola filiale di Venturina, a sud di Livorno.

Nel frattempo c’è la politica. Vannucci milita nella sezione locale della Margherita e a inizio anni 2000 viene nominato vicecoordinatore del partito della provincia di Livorno, grazie anche ai suoi ottimi rapporti con Federico Gelli, uomo-sanità del Pd toscano e poi vicepresidente della Regione. Ma è nel 2004 che Vannucci si ferma appena prima del grande salto: con Giorgio Kutufà presidente della Provincia ambisce a un assessorato, ma Kutufà rifiuta e a quel punto lui se ne va dal partito sbattendo la porta. Oggi Kutufà parla di semplici “incomprensioni”, ma dal Pd livornese alzano il tiro: “Lui conosceva Vannucci e aveva capito che era una sorta di faccendiere: per quello si rifiutò di farlo assessore”.

La battaglia politica di Vannucci lo porta comunque fuori da ogni incarico istituzionale, mentre cambia anche la carriera lavorativa: non più impiegato bancario, ma consulente – advisor, si dice oggi – per le aziende. Nel centrosinistra rientra soltanto nel 2010 per una breve parentesi. Senza ruoli, ma con la preziosa rete di conoscenze pubbliche e private maturata negli anni.

È proprio tramite i buoni uffici del Pd che Vannucci si interessa a un progetto energetico nel territorio di Suvereto: una centrale a biomasse da costruire in località Forni. L’idea non piace per nulla ai residenti. Nascono comitati locali – tra cui Uniti per Suvereto, guidato dall’attuale vicesindaco di Piombino, Giuliano Parodi – che contestano l’impatto ambientale della centrale. Vannucci sta dall’altra parte della barricata, consulente della società SuvEnergy, costola del gruppo Trusendi nata per seguire il progetto. Il rapporto di lavoro dura tre anni, dal 2011 al 2013, fino a che la Provincia di Livorno e il Comune stroncano l’opera perché “sovradimensionata”, evidenziando anche come le culture di mais comprese nel nuovo progetto sarebbero state “incompatibili con la situazione idrica” della valle.

Giampaolo Pioli, allora sindaco di Suvereto, ricorda l’incontro con Vannucci: “Venne da me a presentare questo progetto qualificandosi come advisor, come consulente. Proponeva di recuperare un’azienda agricola rimettendola in produzione e affiancandole una centrale a biomassa. Ma più il progetto andava avanti e più si ridimensionava la parte agricola, mentre cresceva la portata della centrale. L’impatto ambientale era enorme e così abbiamo deciso di dire no”.

Così nel gennaio 2013 salta tutto e SuvEnergy viene smantellata, ma il tira e molla con le istituzioni ha comunque garantito parecchio lavoro a Vannucci. “Mi diceva sempre che aveva in mente grandi iniziative imprenditoriali – dice oggi di lui Federico Gelli – e che aveva ottimi rapporti con grandi aziende internazionali. Una cosa mi aveva colpito: se lasci un posto fisso in banca per andare nella libera professione, significa che qualcosa da fare ce l’hai”. Politica e affari, appunto.

Rubligate, Meranda indagato. Perquisito anche Vannucci

Accelera e non poco l’inchiesta milanese sui presunti fondi russi che sarebbero arrivati nelle casse della Lega di Matteo Salvini. Ieri, infatti, la Guardia di finanza su delega della Procura guidata da Francesco Greco ha perquisito gli altri due italiani che sarebbero stati presenti all’incontro del 18 ottobre nell’hotel Metropol di Mosca assieme all’ex portavoce del vicepremier, Gianluca Savoini, e a tre russi, uno dei quali molto vicino all’entourage di Vladimir Putin. Gli indagati così salgono a due. Oltre a Savoini, anche l’avvocato d’affari Gianluca Meranda. Allo stato non indagato, invece, il suo consulente bancario Francesco Vannucci. I due, nei giorni scorsi, hanno contattato direttamente gli organi di stampa svelando di essere loro gli accompagnatori di Savoini al tavolo con i russi per contrattare un carico di gasolio da 1,5 miliardi di dollari che sarebbe stato venduto da un’azienda russa e acquistato dall’Eni. Durante questa compravendita sarebbe stato pianificato un “discount” di circa il 10%, a sua volta ripartito in un 4% (65 milioni di dollari) che sarebbe andato alla Lega per finanziare le ultime europee e in un rimanente 6% finito nelle tasche di funzionari russi vicini al Cremlino.

L’accusa per i due italiani è di corruzione internazionale. L’indagine è stata aperta nel febbraio scorso in seguito a un articolo di stampa e ha avuto un’accelerazione dopo che la scorsa settimana il sito americano BuzzFeed ha pubblicato l’audio dell’incontro del 18 ottobre. Ieri, dunque, la prima discovery. I finanzieri accompagnati dal pm milanese Gaetano Ruta hanno perquisito l’abitazione romana dell’ex massone Meranda. Dopodiché si sono spostati in un piccolo deposito dove l’avvocato, sfrattato di recente dal suo studio perché non pagava l’affitto, tiene le carte. Gli scatoloni con i documenti sono stati trovati in un camion all’interno di un’autorimessa. I militari hanno poi consegnato a Meranda un avviso di garanzia. Contemporaneamente nel pomeriggio di ieri, altri quattro finanzieri si sono presentati davanti alla villetta poco fuori Suvereto in provincia di Livorno dove Francesco Vannucci, ex dipendente della banca Monte dei Paschi, ed ex politico locale prima della Margherita e poi del Pd, vive con l’anziana madre. Qui la perquisizione “presso terzi” è andata avanti per ore. Perquisiti i locali interni, ma anche il giardino, le due auto, una rimessa per gli attrezzi e addirittura i bidoni della spazzatura. Dopodiché, in serata, Vannucci è salito in auto con i finanzieri per andare a firmare il verbale di perquisizione. La confessione di Vannucci, chiamato nell’audio “nonno Francesco” risale a due giorni fa. Alle agenzie di stampa il professionista ha spiegato di essere stato presente all’incontro “in qualità di consulente bancario che collabora con l’avvocato Gianluca Meranda” e che “lo scopo dell’incontro era professionale e si è svolto nel rispetto dei canoni della deontologia commerciale”. A sua volta Meranda la scorsa settimana aveva scritto una lettera alla stampa dove scriveva: “La compravendita non si perfezionò”. Uno scenario che contrasta con le indagini degli inquirenti per i quali l’accordo “era molto concreto”. Anche perché parte del denaro sarebbe rimasto in Russia.

Dopo le confessioni dei due italiani, ieri gli inquirenti hanno confermato la loro identità e la loro presenza a quel tavolo. E se da un lato Meranda il 18 ottobre illustra ai russi il piano del cosiddetto “discount”, spiegando che la “pianificazione fatta dai nostri (…) politici è (…) uno sconto del 4%”, dall’altro il ruolo di Vannucci, per come lo si apprende dall’audio, non pare secondario e soprattutto è legato alla necessità di far arrivare al più presto il denaro alla Lega. Vannucci però non parla inglese e dunque le sue frasi vengono riportate da Meranda: “Francesco sta dicendo che la rapidità è della massima importanza perché le elezioni sono dietro l’angolo, quindi dice se possiamo iniziare molto velocemente, è meglio concentrare gli sforzi una volta per tutte e iniziare il prima possibile”. Nei giorni scorsi, la Finanza ha perquisito anche i luoghi di pertinenza dello stesso Savoini. In attesa, poi, della rogatoria in Russia, gli esperti di via Fabio Filzi stanno analizzando i conti dell’associazione Lombardia Russia di cui Savoini è presidente. E anche i flussi di denaro passati sotto forma di donazione. Viene, poi, ritenuto di “interesse” il fatto che il sito web dell’associazione con indirizzo all’interno della sede della Lega in via Bellerio, abbia subito un restyling dopo la notizia dell’inchiesta sui presunti fondi russi finiti alla Lega di Salvini.

E Conte folgorò il fondatore

Da burattino a burattinaio. Giuseppe Conte è stato denigrato per un anno da Repubblica: inesperto, incapace, burattino, teleguidato, pupazzo, replicante. Oggi non è più così. Per Eugenio Scalfari il premier è improvvisamente degno d’ammirevole attenzione: “Un giurista laureato con lode alla Sapienza di Roma”, “professore ordinario a Roma, a Sassari, Firenze… e alla Luiss Guido Carli.” Titoli che in verità aveva già, ma il Fondatore se ne accorge oggi. E vabbè. Le scoperte più importanti sono altre: “Conte non è più un pupazzo… il burattinaio è diventato lui…”, è come Aldo Moro che portò la Dc verso equilibri più avanzati: con Moro “la Dc si spostò… verso il centro sinistra alleandosi coi socialisti e perfino con i comunisti di Berlinguer”. “Valutando il Conte di oggi non è affatto escluso che ripeta le idee di Moro.” Insomma, il Fondatore s’è innamorato del premier e di una nuova alleanza (Zingaretti potrebbe favorirla nel “Paese che ha visto molte mutazioni maggioritarie”). Pd e 5stelle insieme: è quanto dice il Fatto da sempre; con qualche anno di ritardo ci arriva anche Scalfari. Preferiva Berlusconi a Di Maio, oggi auspica che il nuovo Moro avvicini Dem e pentastellati: un bel passo avanti. È il caso di ripetermi: “Amo la verità, ma perdono l’errore”. Benvenuto tra gli illuministi del Fatto, Eugenio.

La Camera indaga sul Pd Romano: è sessista?

Il caso non è chiuso. Perché ora il diverbio tra Andrea Romano del Pd e Francesca Businarolo del Movimento 5 Stelle finirà sotto la lente di ingrandimento dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio: il deputato dem, sulle barricate contro il provvedimento voluto da Matteo Salvini (che si rifiuta di riferire in aula sull’affare dei presunti fondi russi alla Lega), si sarebbe lasciato sfuggire una frase infelice sulla mancanza di equilibrio nel condurre i lavori di Businarolo perché in stato di gravidanza.

“Ho dovuto chiedere l’intervento dei commessi perché continuava ad insultare” ha raccontato l’interessata che ha chiesto e ottenuto l’intervento dei commessi per far allontanare Romano. Il quale però nega di aver mai pronunciate quelle parole, ma al massimo di aver replicato a chi lo richiamava nei toni. Ossia al presidente della Commissione Affari costituzionali, Giuseppe Brescia, che poi è il testimone chiave dell’incidente a sfondo sessista. “Brescia, mentre mi avvicinavo per protestare contro la conduzione dei lavori di Businarolo, mi ha fatto notare che è incinta e gli ho semplicemente risposto: è che c’entra?” ha detto Romano che ritiene che le sue parole siano state strumentalizzate ad arte per montare un caso. “La verità è che i 5 Stelle stanno proteggendo in ogni modo Salvini attraverso cortine fumogene come questa”.

Ad ogni modo l’episodio sarà oggetto di istruttoria: verrà acquisito il verbale, che però il deputato dem ha contestato in una lettera indirizzata a Businarolo e probabilmente anche le testimonianze. Ma inutile fare ricorso alla moviola, perché le telecamere presenti in Sala del Mappamondo non possono aver filmato la bagarre attorno al banco della presidenza. A fare notizia pure il parapiglia, di poco precedente tra una deputata del Pd, Enza Bruno Bossio, e la leghista Barbara Saltamartini. “La Saltamartini mi è saltata addosso e mi ha strappato il microfono”. “Nessuna aggressione” ha replicato la leghista nonostante le foto già pubblicate su Fb dai dem.

Al di là dei possibili provvedimenti dell’Ufficio di presidenza, il caso Romano-Businarolo ha trasformato la giornata politica di ieri in un ring. “Cosa merita un partito che attacca le donne in questo modo e che difende i suoi sindaci coinvolti in inchieste drammatiche, come quella degli affidamenti dei bambini di Bibbiano? Questo Pd rappresenta il peggio del nostro Paese, insieme a Berlusconi”, ha scritto su Facebook il capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, intervenendo sullo scontro che già nella tarda mattinata di ieri era deflagrato anche fuori da Montecitorio. Per trasferirsi prima al Senato, dove in Aula era in corso di approvazione il Codice rosso contro le violenze contro le donne. E poi ripiombare sui lavori di Montecitorio dove in un’aula colorata dai cartelli del Pd contro Salvini, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli scorgendo tra i banchi Andrea Romano ha interrotto il question time per stigmatizzare quanto accaduto in mattinata in Commissione. Cosa che ha scatenato definitivamente l’inferno. E riaperto una voragine tra M5S e Pd.

Il Codice Rosso ora è legge: il revenge porn è un reato

Èrimasto senza riscontro l’appello del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che aveva sperato che il Codice rosso potesse essere approvato dal Senato con il voto di tutti. E invece il provvedimento – che introduce nuovi reati come il revenge porn o i matrimoni forzati, come pure quello per contrastare lo sfregio del volto delle vittime di violenza con l’acido – è passato con i 197 voti a favore: nessun no, ma 47 sono stati gli astenuti, a partire dal Pd finito nel mirino di Matteo Salvini. Il ministro, mostrando la faccia feroce, ha tagliato corto: “Più sicurezza e protezione per le donne vittime di violenza: grazie al Codice Rosso, i magistrati dovranno ascoltarle entro tre giorni dalla denuncia. Altra promessa mantenuta dalla Lega. P.S. La sinistra non ha votato a favore, parlano parlano ma quando serve se ne fregano…”, ha scritto su Facebook segnando con il Post scriptum al vetriolo, un gol a porta vuota.

Più ecumenico il messaggio del ministro della pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno. “Credo che sia il massimo che si potesse fare a livello legislativo”, dice in sala stampa improvvisando un collegamento telefonico con Michelle Hunziker, da sempre impegnata con lei nella sensibilizzazione su temi quali stalking e violenza sulle donne nell’associazione “Doppia Difesa”: “Ci tenevo moltissimo a condividere con lei l’approvazione di questa legge che, come sapete, nasce tantissimo tempo fa”. Anche per Hunziker si tratta di una vittoria, anzi di “un miracolo: sono davvero emozionata e contenta perché è il segno che qualcosa sta davvero cambiando”.

Un miracolo che rinsalda i rapporti tra Lega e M5S plasticamente rappresentato dai ringraziamenti distribuiti equamente dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte ai ministri Bongiorno e Bonafede: “Non è la soluzione definitiva, e ne siamo consapevoli. Ma è un primo importante passo, che mi rende orgoglioso, nella direzione della rivoluzione culturale di cui il nostro Paese ha fortemente bisogno”, ha commentato il premier in una giornata assai positiva per la maggioranza, da giorni fibrillante per la vicenda dei presunti fondi russi alla Lega. La compattezza “gialloverde” sul Codice rosso ha marginalizzato le opposizioni, in particolare il Pd.

Anche l’assoluzione del viceministro del Carroccio Massimo Garavaglia (che era accusato a Milano di turbativa d’asta) è d’altra parte un’ottima notizia per Conte: di fatto chiude prima del tempo la finestra elettorale di luglio per andare alle urne a settembre.

Ma cosa prevedono le nuove norme approvate in via definitiva a Palazzo Madama? Il provvedimento contiene alcune modifiche al codice penale e al codice di procedura penale: 21 articoli in tutto in cui, come ha sottolineato la relatrice Elvira Evangelista del Movimento 5 Stelle si dà risposta “all’allarme sociale che è sotto gli occhi di tutti” su violenza di genere e domestica. E a quell’emergenza che si chiama femminicidio. A partire dalla previsione in base alla quale la polizia giudiziaria, sulla base delle segnalazioni pervenute, le trasmette immediatamente il pubblico ministero che, entro 72 ore, dovrà acquisire le informazioni sulla persona offesa o da chi ha presentato denuncia.

Altra novità, oltre alla previsione dei reati legati ai matrimoni forzati, al revenge porn e agli sfregi con l’acido, è quello legato alla violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Oltre all’ulteriore inasprimento delle pene per i delitti di violenza sessuale, il testo prevede novità anche di natura finanziaria: con l’incremento del fondo di rotazione previsto anche per gli orfani di crimini domestici, che aumenterà di 7 milioni di euro a decorrere dal 2020.