Gli italiani informati a metà, ma il 55% ne ha idea negativa

Secondo le nostre rilevazioni, il 55 per cento degli italiani che ha seguito il caso valuta negativamente il ruolo della Lega nel Russiagate. Non solo: anche tra gli elettori leghisti c’è un 10 per cento che si è fatto una cattiva idea della vicenda, dunque parliamo di un 3 o 4 per cento rispetto al loro 37-38, anche se non è affatto detto che chi ha un’opinione negativa del caso poi decida di cambiare partito. In ogni caso, il consenso non funziona mai come un telecomando, non basta un clic per cambiare. Dipenderà molto da come evolverà il caso, nel lungo periodo potrebbero esserci sviluppi diversi – soprattutto se venissero coinvolte aziende italiane – come può invece darsi che tra un mese gli elettori se ne dimentichino perché non ci sono stati aggiornamenti rilevanti. Al momento ci risulta che circa la metà degli italiani abbia comunque sentito parlare dello scandalo, anche se non tutti ne hanno un’idea completa o hanno maturato un giudizio. Di contraccolpi immediati per la Lega non ce ne sono stati anche perché gran parte degli elettori, non solo leghisti, ragionano ormai con logiche da tifosi, per cui soprattutto quando non capiscono ancora bene cosa stia succedendo tendono a difendere la propria parte politica.

Nessun effetto, per ora la Lega è riuscita a minimizzare i fatti

Non so prevedere se da qui in avanti lo scandalo russo avrà ripercussioni sul consenso della Lega. Dipenderà molto da come si evolverà anche l’inchiesta giudiziaria, perché finora Salvini ha potuto impostare un racconto che ha minimizzato i fatti senza far percepire l’importanza della faccenda alle persone e deviando l’attenzione sui temi economici, come dimostra l’incontro con i sindacati al Viminale.

Salvini sa che gli argomenti di vita quotidiana, soprattutto quelli legati alle tasse e ai lavoratori, interessano molto di più le persone rispetto ad altri temi politici che pure potrebbero rivelarsi gravi. Anche per questo motivo, almeno per il momento, non c’è nessuna variazione nei consensi della Lega rispetto a due settimane fa, tenendo anche presente che oggi c’è un 24 per cento di elettori che vota il Carroccio non come voto d’opinione, ma per appartenenza. Il resto è consenso più “liquido”, ma non possiamo pensare che le persone vivano a pane e informazione politica. Già in condizioni normali c’è una metà della popolazione che si disinteressa a questi temi, ma questa situazione si amplifica se si devono fare rilevazioni relative ai fine settimana dei mesi estivi.

Attentato a Salvini: l’inchiesta lo smentisce

I nazifascisti volevano uccidere il vicepremier Matteo Salvini. Vero? No. L’ennesimo annuncio del capo del Viminale viene smentito ancora una volta. Ricapitoliamo: due giorni fa, la Digos di Torino coordinata dal dottor Carlo Ambra esegue tre fermi. Nel mirino un gruppo di estremisti di destra, tutti radicati in Lombardia tra Pavia e Gallarate che, secondo l’accusa, trafficavano armi da guerra e che, stando alla ricostruzione della Procura, in passato avrebbero combattuto nel Donbass, alcuni di loro per i filorussi e altri vicini ai nazionalisti ucraini. Le armi erano tante e sofisticate. Di più: gli uomini dell’antiterrorismo hanno trovato anche un missile aria-aria perfettamente funzionante e in grado di abbattere un aereo. L’arma, in uso all’esercito del Qatar è stata individuata nel capannone di un indagato tra le province di Voghera e Pavia.

Torniamo a Salvini. Ieri il vicepremier, da Genova, ha spiegato che l’indagine della Procura di Torino è nata dopo un alert sulla preparazione di un attentato contro la sua stessa persona. Nello specifico, Salvini ha spiegato: “L’ho segnalata io. Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno. I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita. Sono contento sia servito a scoprire l’arsenale di qualche demente”. E ancora: “Penso di non aver mai fatto niente di male agli ucraini, ma abbiamo inoltrato la segnalazione e non era un mitomane. Non conosco filo-nazisti. E sono contento quando beccano filo-nazisti, filo-comunisti o filo chiunque”. Questo lo stato dell’arte poco prima delle due del pomeriggio di ieri. Neonazisti e nazionalisti che attentano alla vita di Salvini. A leggerla così la frase sembra quasi uno scherzo, anche alla luce dei presunti fondi russi destinati alle casse del Carroccio così come emergono dall’audio registrato ai tavolini dell’hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre scorso e resi pubblici dal sito americano BuzzFeed. Di quel presunto accordo il capocordata, secondo la Procura di Milano che indaga per corruzione internazionale, era Gianluca Savoini, l’uomo della Lega per gli affari a Mosca. Uno dalle idee ben oltre l’estrema destra. Vicino al filosofo russo Aleksandr Dugin, pensatore di idee fasciste e anti-atlantiche. Eppure Salvini ha sostenuto l’attentato contro di lui. Tempo poche ore e matematica è arrivata la smentita da fonti investigative che hanno condotto l’indagine sui neofascisti lombardi. In sostanza, si spiega, che non fu Salvini a far partire l’indagine, ma un ex agente del Kgb (il servizio segreto russo) a segnalare un presunto progetto di attentato al vicepremier leghista. Uno spunto che però, spiega sempre la fonte dell’antiterrorismo, non ha trovato alcun minimo riscontro. Al contrario il monitoraggio di cinque italiani, ex miliziani, alcuni considerati vicini al Battaglione Azov, ha portato alla scoperta del tentativo di vendita di un missile aria-aria Matra.

Nel frattempo, gli sviluppi investigativi dopo la scoperta di due giorni fa, ieri hanno portato a un altro indagato. Si tratta di un uomo di Bologna che Fabio Del Bergiolo, 60enne di Gallarate, ex funzionario doganale, già candidato al Senato per Forza Nuova, secondo la ricostruzione degli inquirenti, incontrò in una fiera internazionale a Norimberga per ottenere dei contatti tra i combattenti in Donbass e vendere il missile. Intercettato, Del Bergiolo definisce i migranti “scimmie” e “invasori”. I fermi sono scattati dopo la notizia di una vendita del missile con foto messe su Whatsapp.

“Francesco” si fa avanti: il giallo del terzo uomo

C’è una corsa a farsi identificare nell’affaire russo che coinvolge la Lega. Dopo l’avvocato Gianluca Meranda, ieri si è fatto avanti un terzo uomo presente all’incontro nella hall dell’hotel di Mosca in cui avrebbe preso vita una trattativa sul petrolio, poi sfumata, che avrebbe dovuto portare fondi russi al partito del ministro dell’Interno. Si tratta di tale Francesco Vannucci, classe 1956, originario di Suvereto un paese di 3 mila anime in provincia di Livorno.

Come Meranda che mandò una lettera a Repubblica, anche Vannucci ha deciso di non presentarsi ai magistrati che stanno indagando, ma si consegna alla stampa. Ieri pomeriggio contatto quindi sia l’Ansa che l’AdnKronos. “Èro presente in qualità di consulente esperto bancario che da anni collabora con l’avvocato Gianluca Meranda – è il messaggio che scrive all’AdnKronos – Lo scopo dell’incontro era prettamente professionale e si è svolto nel rispetto dei canoni della deontologia commerciale”. Poi aggiunge: “Sono profondamente dispiaciuto di essere indicato in modo a volte ironico, a volte opaco, con lo pseudonimo di ‘nonno Francesco’ – continua nella sua mail all’agenzia di stampa –. Confido nella serietà della magistratura italiana nel capire le chiare dinamiche di questa vicenda”.

Qualche dettaglio in più su chi sia Vannucci, ieri, lo ha fornito il Tirreno: carriera bancaria iniziata come dipendente del Monte dei Paschi di Siena, ha fatto parte del sindacato bancari della Cisl e anche alla Cgil, prima di darsi alla libera professione come advisor finanziario. “In politica – scrive il quotidiano toscano – ha mosso i suoi primi passi all’epoca della Margherita di cui è stato anche vice coordinatore per la provincia di Livorno. Un percorso burrascoso, concluso nel 2006 con l’addio dopo una lite furibonda con i vertici livornesi”. Il suo nome figurerebbe anche Pd locale nel 2010, poi non ci sono altri riscontri sul suo impegno politico.

Ma sarà davvero lui l’uomo presente all’incontro del 18 ottobre a Mosca, il cui audio è stato reso pubblico dal sito americano BuzzFeed?

Ieri una smentita è arrivata dai piani alti della procura di Milano che sul caso ha aperto un fascicolo per corruzione internazionale, in cui risulta iscritto il presidente dell’associazione Lombardia-Russia Gianluca Savoini. Tuttavia gli investigatori invitano alla cautela e non escludono che Vannucci ieri abbia detto la verità.

Una conferma nel frattempo è arrivata ieri alle agenzie: Meranda ha infatti confermato l’identità di Vannucci, sottolineando: “Se la nota dice che è lui il terzo italiano, non posso smentirla”. Il suo collaboratore poi contatto dice: “Mi ha dato il vostro numero un avvocato, confermo quello che ho scritto e questo è tutto quello che ho da dire ora”.

Adesso quindi la palla passa alla magistratura. Così come per l’avvocato Meranda, anche Vannucci dovrebbe essere prima identificato e poi – dopo le necessarie verifiche per capire se fosse davvero tra le sei persone (c’erano anche tre russi) che hanno preso parte all’incontro – convocato (non si sa se anche lui come persona informata sui fatti o indagato) nei prossimi giorni. Con nuove audizioni e accertamenti si potrebbe capire di più su quanto accaduto nello storico albergo non molto distante dalla piazza Rossa.

Salvini denuncia attentato – ma l’inchiesta lo smentisce

Inazifascisti volevano uccidere il vicepremier Matteo Salvini. Vero? No. L’ennesimo annuncio del capo del Viminale viene smentito ancora una volta. Ricapitoliamo: due giorni fa, la Digos di Torino coordinata dal dottor Carlo Ambra esegue tre fermi. Nel mirino un gruppo di estremisti di destra, tutti radicati in Lombardia tra Pavia e Gallarate che, secondo l’accusa, trafficavano armi da guerra e che, stando alla ricostruzione della Procura, in passato avrebbero combattuto nel Donbass, alcuni di loro per i filorussi e altri vicini ai nazionalisti ucraini. Le armi erano tante e sofisticate. Di più: gli uomini dell’antiterrorismo hanno trovato anche un missile aria-aria perfettamente funzionante e in grado di abbattere un aereo. L’arma, in uso all’esercito del Qatar è stata individuata nel capannone di un indagato tra le province di Voghera e Pavia.

Torniamo a Salvini. Ieri il vicepremier, da Genova, ha spiegato che l’indagine della Procura di Torino è nata dopo un alert sulla preparazione di un attentato contro la sua stessa persona. Nello specifico, Salvini ha spiegato: “L’ho segnalata io. Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno. I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita. Sono contento sia servito a scoprire l’arsenale di qualche demente”. E ancora: “Penso di non aver mai fatto niente di male agli ucraini, ma abbiamo inoltrato la segnalazione e non era un mitomane. Non conosco filo-nazisti. E sono contento quando beccano filo-nazisti, filo-comunisti o filo chiunque”. Questo lo stato dell’arte poco prima delle due del pomeriggio di ieri. Neonazisti e nazionalisti che attentano alla vita di Salvini. A leggerla così la frase sembra quasi uno scherzo, anche alla luce dei presunti fondi russi destinati alle casse del Carroccio così come emergono dall’audio registrato ai tavolini dell’hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre scorso e resi pubblici dal sito americano BuzzFeed. Di quel presunto accordo il capocordata, secondo la Procura di Milano che indaga per corruzione internazionale, era Gianluca Savoini, l’uomo della Lega per gli affari a Mosca. Uno dalle idee ben oltre l’estrema destra. Vicino al filosofo russo Aleksandr Dugin, pensatore di idee fasciste e anti-atlantiche. Eppure Salvini ha sostenuto l’attentato contro di lui. Tempo poche ore e matematica è arrivata la smentita da fonti investigative che hanno condotto l’indagine sui neofascisti lombardi. In sostanza, si spiega, che non fu Salvini a far partire l’indagine, ma un ex agente del Kgb (il servizio segreto russo) a segnalare un presunto progetto di attentato al vicepremier leghista. Uno spunto che però, spiega sempre la fonte dell’antiterrorismo, non ha trovato alcun minimo riscontro. Al contrario il monitoraggio di cinque italiani, ex miliziani, alcuni considerati vicini al Battaglione Azov, ha portato alla scoperta del tentativo di vendita di un missile aria-aria Matra.

Nel frattempo, gli sviluppi investigativi dopo la scoperta di due giorni fa, ieri hanno portato a un altro indagato. Si tratta di un uomo di Bologna che Fabio Del Bergiolo, 60enne di Gallarate, ex funzionario doganale, già candidato al Senato per Forza Nuova, secondo la ricostruzione degli inquirenti, incontrò in una fiera internazionale a Norimberga per ottenere dei contatti tra i combattenti in Donbass e vendere il missile. Intercettato, Del Bergiolo definisce i migranti “scimmie” e “invasori”. I fermi sono scattati dopo la notizia di una vendita del missile con foto messe su Whatsapp.

De Vito, entro venerdì arriva la decisione dei probiviri M5S

Il capo politico Di Maio aveva annunciato la sua espulsione seduta stante. A distanza di mesi, Marcello De Vito è ancora dentro il Movimento 5 Stelle, ma a giorni, entro venerdì, arriverà la decisione dei probiviri. Presidente del Consiglio comunale, uomo forte del M5S a Roma (vicino a Roberta Lombardi), De Vito era stato arrestato lo scorso marzo con l’accusa di corruzione nell’inchiesta sullo stadio della Roma e si trova ora ai domiciliari. Non risulta però ancora espulso, anche perché essendo sottoposto a misura cautelare non ha potuto ricevere né rispondere alle notifiche che gli erano state inviate. Lo spiega su Facebook il M5S, dopo che negli ultimi giorni si era riacceso il dibattito sulla sua posizione,, viste le indiscrezioni che lo davano intenzionato a resistere nelle sue cariche (è stato solo sospeso dalla guida dell’assemblea capitolina). Ma il Movimento chiarisce la situazione: “Per tutti quelli che ‘De Vito non è stato ancora espulso’: la stessa mattina in cui è stato sottoposto a misura cautelare, è stato aperto il provvedimento disciplinare, rispettando alla lettera lo Statuto”. “Abbiamo potuto notificare l’avvio il 9 luglio, trascorsi i dieci giorni i Probiviri emaneranno i provvedimenti disciplinari”.

Dopo acceso dibattito la legge Sirchia entrerà in vigore alla Camera

I tre divanetti, disposti a ferro di cavallo, affacciano sull’ingresso delle commissioni Lavoro e Bilancio, nel lungo corridoio al quarto piano di Palazzo Montecitorio. Li circonda un parapetto alto nemmeno un metro. Sul muro campeggia un segnale luminoso: “Vietato fumare”. Ma basta premere un interruttore perché la magia si compia. La scritta da rossa si fa verde, due ventole lassù cominciano a girare e quei quattro metri quadri s’illuminano: “Area fumatori”. È lo sfogatoio dei deputati col vizio, l’oasi che li esenta dallo scendere qualche piano di scale per accendersi l’agognata sigaretta. L’aria indoor è salubre come in aperta campagna: l’ha certificato l’Istituto superiore di Sanità. Eppure da settembre, la pacchia è finita: lì, non si fuma più.

Non è stata una decisione facile. Ma il collegio dei questori ha messo agli atti l’istruttoria sull’onorevole tabacco. Che da quando è in vigore la legge Sirchia – la bellezza di 17 anni fa – a palazzo avevano fatto un po’ come gli pareva, forti delle “misure alternative” concesse dall’ordinamento della Camera quando i divieti di legge si scontrano con i vincoli architettonici di un immobile come Montecitorio e devono essere resi compatibili “con il regolare svolgimento delle attività istituzionali”. Si può abbandonare la sessione di Bilancio se viene voglia d’accendersene una?

Così, sotto il nume tutelare dell’Iss che ogni anno certifica la qualità dell’aria, s’è aggiustato il divieto di fumo all’uso dei deputati. I due salottini con l’interruttore magico, il cortile (che d’inverno è riscaldato), il corridoio alle spalle della Sala del Mappamondo e poi la sala Verde, uno spazio perpendicolare al Transatlantico, l’unico in cui è stato possibile garantire il rispetto delle norme di legge. Che poi sono due: segregazione con pareti divisorie a tutta altezza e installazione di porte a chiusura automatica. Ma poi ci sono i viziosi più dissoluti, che hanno scovato nel corridoio dietro l’emiciclo – l’aula vera e propria – il loro luogo di perdizione. E una cicca dopo l’altra l’hanno trasformato in un refugium peccatorum. Ci sono state lettere (l’ultima a novembre), segnalazioni, perfino una denuncia in diretta web: “Noi donne ogni volta che dobbiamo andare al bagno ci intossichiamo!”, tuonava la 5Stelle Arianna Spessotto, già nella scorsa legislatura. L’allarme anti-incendio è correttamente installato. Ma ora arriverà “la specifica cartellonistica”, un dissuasore acustico e, per evitare che qualcuno provi a diradare la nebbia con una ventata di ponentino, i sigilli alle finestre.

E mo’ ve vojo vedè, sembra sogghignare perfino il bellunese Federico d’Incà, che da questore ha dovuto relazionare in ufficio di Presidenza sull’affaire nicotina. Per carità lui, che non fuma, le ragioni dei tabagisti le ha pure prese in considerazione. In estate partiranno i lavori per chiudere con delle vetrate a tutta altezza una parte del corridoio del Mappamondo. E nel palazzo dei Gruppi – dove al momento si fuma: ufficialmente in tre dei sei piani, abusivamente sui pianerottoli degli ammezzati – ha disposto che il cortile venga arredato “in modo da consentirne la fruizione anche nei mesi invernali”. Eppure si è trovato di fronte l’inconsueta opposizione del Pd Ettore Rosato – non fumatore nemmeno lui – perché “i ritmi dell’attività parlamentare a volte sono molto intensi” e non gli pare “opportuno”, si legge nel resoconto della seduta, che chi “ha esigenza di fumare debba ogni volta uscire dal palazzo”.

La vicepresidente Maria Edera Spadoni (fumatrice, M5S) chiede conferma ai questori del fatto che Rosato stia esagerando: “Si potrà continuare a fumare nelle aree esterne senza dover uscire dal palazzo?”. Silvana Comaroli della Lega chiede “flessibilità” per chi ha diritto a “soddisfare le proprie necessità, senza doversi allontanare troppo”. E pure il collega del Carroccio Marzio Liuni è convinto servano “pause che spezzino il ritmo talvolta serrato dei lavori parlamentari”. Anna Rita Tateo, leghista, sbotta più o meno così: “Almeno ripristinate l’area fumatori che c’era sopra l’emiciclo, così ci si può andare senza essere costretti a non partecipare al voto”.

Dopo un paio d’ore di questo tenore, il presidente della Camera Roberto Fico azzarda l’indicibile: “Io credo che il deputato, tra l’esigenza di fumare e il dovere di partecipare alle votazioni, debba sempre considerare prioritario il secondo”. Ai colleghi, attoniti, è caduta la sigaretta dalle dita.

Il Capitano poco coraggioso non riferisce in Parlamento

Matteo Salvini è in fuga. Non nei sondaggi, stavolta, ma dalle domande. Dopo aver aggirato quelle della stampa, ora pretende di ignorare anche quelle del Parlamento. Al termine di una giornata in cui praticamente tutti i partiti gli hanno chiesto di riferire in aula sull’imbarazzante questione russa, il capo della Lega ha fatto sapere che no, non ha nessuna intenzione di dare spiegazioni di fronte ai colleghi parlamentari. Al termine della conferenza dei capigruppo di Montecitorio, le agenzie di stampa battono questa notizia: “Ancora non è arrivata la disponibilità del ministro dell’Interno Matteo Salvini a fare un’informativa alla Camera sui presunti finanziamenti russi alla Lega, così come chiesto da Pd, LeU e +Europa del gruppo Misto”. D’altro canto, Salvini è il “capitano” della disintermediazione: non ha bisogno dei giornali e nemmeno delle istituzioni; gli interessa solo il “popolo” e per quello basta una diretta Facebook.

Il rifiuto di Salvini ha fatto esplodere la protesta delle opposizioni: il Pd, guidato da Graziano Delrio, ha chiesto anche di ascoltare il premier Giuseppe Conte al Senato e dopo il rifiuto del leghista ha occupato l’aula della commissione Affari costituzionali che stava lavorando al decreto sicurezza bis, facendone sospendere i lavori. Ma l’affaire rubli non smette di produrre tensioni nemmeno all’interno della maggioranza. Per Luigi Di Maio è un arma di contrattacco: “Mi dà noia che Salvini incontri i sindacati per sviare da una questione molto più grande, che è quella di un vice primo ministro che secondo me deve andare a riferire in Parlamento sulla questione Russia”. Stesso concetto espresso anche dal presidente della Camera, Roberto Fico: “Portare il dibattito all’interno del Parlamento è sempre la strada più giusta e di questo ho già informato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro”.

Il caso oggi potrebbe già approdare al Copasir, dove uno dei consiglieri di opposizione ha annunciato (anonimamente) che “ci saranno domande sul caso Russia, perché l’audizione (del generale Luciano Carta, direttore dell’Aise, ndr) è ad ampio spettro”. Ipotesi già contestata dalla Lega: “L’argomento dell’incontro non c’entra nulla con la Russia”. E Salvini? Prima si nasconde dietro una dichiarazione beffarda: “In Parlamento ci vado bisettimanalmente, è il mio lavoro. E durante il question time rispondo sempre a tutto quello che mi chidedono”.

Poi si eclissa e sceglie il silenzio. I suoi capigruppo fanno presente che non è disponibile a riferire in Parlamento. Il ministro ha molto da fare: stamattina alle 11 visita un “gattile” di Roma. Questione di priorità.

I migranti occupano la Basilica di S. Nicola. “Chiediamo diritti”

Sessanta braccianti impiegati nei campi del Foggiano, ieri mattina hanno occupato pacificamente la Basilica di San Nicola, uno dei luoghi più simbolici di Bari e della Puglia, per chiedere attenzione da parte delle istituzioni sul tema dello sfruttamento dei lavoratori e sulla loro emergenza abitativa: “Siamo noi a raccogliere i prodotti di questa terra, non chiediamo carità ma diritti per tutti e tutte a prescindere dalla nazionalità e dal colore della pelle”, la richiesta della manifestazione, organizzata dal coordinamento Usb di Foggia. I braccianti sono arrivati in bus da Borgo Mezzanone, San Severo, Manfredonia, Cerignola, Lucera. Dagli stessi campi dove lunedì, mentre andavano a lavorare, due lavoratori originari di Senegal e Guinea Bissau, sono stati colpiti e feriti da pietre lanciate da sconosciuti a bordo di un’auto. Un episodio di apparente matrice razzista che si somma alle condizioni di lavoro già ai limiti dello sfruttamento: di qui la richiesta di più tutele, anche contrattuali, e di garanzie sul rilascio dei permessi di soggiorno in tempi certi. La protesta è durata un paio d’ore e si è conclusa con l’incontro con l’arcivescovo di Bari-Bitonto, monsignor Francesco Cacucci, e il governatore Michele Emiliano.

Viminale e Invitalia: “Aiuti alle imprese di chi denuncia”

Aiutare i testimoni di giustizia nel reinserimento lavorativo, rilanciando le imprese che hanno subito un danno dalla scelta di collaborare contro la mafia. È l’obiettivo del protocollo d’intesa tra ministero dell’Interno e Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa), firmato ieri a Palazzo San Macuto, durante l’incontro “La testimonianza di giustizia, contrasto alle mafie: dalla solitudine alla condivisione”, alla presenza del sottosegretario Luigi Gaetti e Domenico Arcuri, ad dell’agenzia. All’incontro hanno partecipato il presidente della Camera, Roberto Fico, quello della Commissione Antimafia, Nicola Morra, il procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho e Vittorio Rizzi, vicedirettore della Pubblica Sicurezza. Attraverso i referenti dei testimoni di giustizia nominati dal ministero, Invitalia avrà il compito di tradurre l’idea imprenditoriale in un progetto concreto e favorire le condizioni per la realizzazione dell’impresa, mantenendo l’assoluta riservatezza dei titolari. “L’obiettivo è spingere più cittadini alla denuncia. Occorre garantire non solo l’incolumità ma anche l’immutata conservazione dei diritti”, ha spiegato Gaetti.