Sarà pure una “scorrettezza istituzionale”, come dice giustamente il premier Giuseppe Conte, quella del suo vicepremier Matteo Salvini che convoca i sindacati al Viminale per parlare della manovra economica. E magari annunciare urbi et orbi l’intenzione di varare una pace fiscale bis, in pratica un altro condono, a chiari fini mediatici e propagandistici. Una scorrettezza aggravata per di più dalla presenza dell’ex sottosegretario Armando Siri, costretto a dimettersi all’inizio di maggio per il suo coinvolgimento in un’inchiesta per corruzione, invitato all’incontro come un Savoini qualsiasi e già riabilitato sul campo dal suo Capitano nelle vesti di consigliere economico della Lega.
Ma ancor peggio di Salvini, se possibile, hanno fatto i sindacati accettando un invito del genere, oltretutto in una location come il Viminale, sede del ministero dell’Interno che poco o nulla ha a che fare con la legge di Bilancio. Almeno su questa scelta logistica avrebbero potuto eccepire qualcosa, se non altro per un minimo di rispetto nei confronti del presidente del Consiglio, dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, del ministro dell’Economia Giovanni Tria e insomma di tutto questo sgangherato governo giallo-verde, per la verità sempre più verde di rabbia e di rancore. Ma tant’è: la realpolitik della Triplice, per dire la ragion di Stato sindacale, deve aver prevalso sul senso di opportunità e – appunto – sul galateo istituzionale.
Con questa irrimediabile “gaffe”, la Cgil, la Cisl e la Uil si sono assunte la grave responsabilità di scavalcare la gerarchia politica e di accreditare come interlocutore privilegiato un ministro dell’Interno che assomiglia ormai a un ministro di Polizia: tanto preoccupato di accaparrarsi consensi con la “linea dura” sull’immigrazione quanto insensibile alle emergenze reali dei femminicidi e delle stragi del sabato sera. Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo hanno accettato così, consapevolmente o meno, di partecipare a una sceneggiata pre-elettorale orchestrata dal truce ministro dell’Interno; capo di un partito che in questo Parlamento ha appena il 17%; ha vinto le elezioni europee in Italia ma le ha perse in Europa e pretende ora di spendere questo “tesoretto” al tavolo da gioco delle prossime politiche. Dimenticando, fra l’altro, la parabola di un altro Matteo che in poco tempo stravinse le Europee e poi straperse clamorosamente il referendum costituzionale e soprattutto le successive elezioni nazionali.
Che cosa hanno ottenuto in concreto i sindacati con questa messa in scena, sotto la regia del ministro che ormai sfida quotidianamente l’Europa, le Ong e quel tanto che resta della solidarietà sociale? Qualsiasi risultato avessero raggiunto, al di là della rappresentazione mediatica, rischiano di pagarne le conseguenze e di farle pagare ai lavoratori che rappresentano. Auguriamoci che almeno per loro, per gli operai, per gli impiegati e per i pensionati, lo show del Viminale non si trasformi in un flop.