“I leghisti a Mosca con Matteo a caccia di affari pericolosi”

Questa è una data che fa storia, è una data che illumina le trame sul petrolio al Metropol. L’11 ottobre 2014, in quel di Mosca, viene rifondata la Lega Nord. Quel giorno una delegazione capitata da Gianluca Savoini e Claudio D’Amico consegna il Carroccio ai russi di Vladimir Putin e al vizio degli affari con l’ostensione di Matteo Salvini. Il portavoce Savoini e il deputato D’Amico, fondatori di un’associazione culturale lombarda che venera la Russia e pure soci nel regno di Putin di un’azienda di consulenza commerciale, sono reduci da una missione in Crimea, compiacenti osservatori del referendum popolare che sottrae la regione a Kiev e la annette a Mosca.

I leghisti sbrigano le pratiche politiche, i barbosi bilaterali con referenti di piccolo calibro, rendono omaggio alla sacra Duma e poi vanno a cena con gli imprenditori italiani che, per mestiere, sanno procacciare i rubli. Così Vittorio Torrembini accoglie Savoini, D’Amico e uno spaesato Salvini: “Ho una sensazione: Salvini non guida il gruppo”. Torrembini è console onorario del distretto di Lipetsk, già presidente di Confindustria Russia, capo di Gim Unimpresa, un cartello che riunisce multinazionali del taglio di Banca Intesa, Campari, Enel: “Io capisco subito le intenzioni di Savoini e colleghi. Vogliono usare il credito politico per fare affari. Vanno oltre i limiti. Io rappresento le imprese e non posso fungere da filiale moscovita del Carroccio. Alcuni miei amici hanno comprato la tessera dell’Associazione lombarda, hanno pagato l’obolo, poi si sono accorti che erano inutili e dilettanti. Io sono contrario a mescolare politica e affari. Gli imprenditori devono aprire le società, non i surrogati dei partiti”. Rubli al Carroccio: “Io non ho le prove, ma da più parti si parla di contatti con gli oligarchi. E il Cremlino precisa che non sono mele del suo cesto”, chiosa Torrembini. Il riferimento, non esplicito, è al miliardario Konstantin Malofeev, sanzionato dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. A Mosca per lo svezzamento internazionale di Salvini non manca Ernesto Ferlenghi, dirigente di Eni, successore di Torrembini in Confindustria Russia, appena assurto al vertice del forum dialogo italo-russo, una struttura plasmata dagli amici Silvio Berlusconi e Vladimir Putin per irrobustire le relazioni economiche. Ancora Torrembini: “A me l’approccio di Savoini e compagni non piace, non li sento più dall’estate del 2015. I rapporti tra la Lega e Confindustria Russia diventano più organici attraverso Fabrizio Candoni. Ferlenghi intuisce la crescita di Salvini, cavalca il cavallo, finché organizza il 17 ottobre 2018 un’assemblea industriale a Mosca, una sorta di spettacolo del Carroccio col ministro dell’Interno”.

Il 18 ottobre è il fatidico giovedì di Savoini che tratta una commessa di petrolio nel salone dell’hotel Metropol per mascherare un presunto finanziamento di 65 milioni di euro al Carroccio con l’ausilio di Eni, mentre Salvini addenta un panino in aeroporto e decolla per l’Italia. Il succitato Candoni s’intesta un merito: “Io ho sconsigliato a Matteo di andare al Metropol”. Era ignaro di argomenti e convenuti, però sapeva degli impegni di Savoini: “Voci, tante voci dopo l’assemblea. Dal punto di vista lombrosiano Savoini è pericoloso. Salvini si muove con centinaia di persone, è complicato interloquire, non saprei dire se ha percepito il mio segnale. Gli ho riferito: dove c’è Savoini, non andare”. Candoni mette ordine: “Ho visto Salvini l’ultima volta il 21 aprile a Pinzolo. C’è un’inchiesta, se mi chiamano sono pronto a parlare ai magistrati con tutti i dettagli”.

Candoni esce di scena, entra Ferlenghi. Per la visita di Putin in Italia (4 luglio), dopo un anno delle dimissioni annunciate a Palazzo Chigi, Luisa Todini lascia la presidenza del forum italo-russo. Il premier Conte, a cui spetta la designazione, raccoglie le indicazioni dei leghisti. L’ex deputato D’Amico, consigliere di Salvini a Palazzo Chigi, fa il nome di Ferlenghi, e assieme, D’Amico e Ferlenghi, fanno pressioni sul cerimoniale per consentire a Savoini di partecipare al forum con Conte e Putin e di cenare a Villa Madama con lo zar. È il cerchio che si chiude. O la botola che si apre.

Savoini non risponde ai pm. Il premier al vice: “Chiarisci”

Poco più di un’ora. Tanto è durato ieri l’interrogatorio di Gianluca Savoini, il presidente dell’associazione Lombardia Russia, indagato dalla Procura di Milano per corruzione internazionale in relazione a presunti fondi russi arrivati alla Lega all’interno di una compravendita di petrolio. Un’ora, in sostanza, per non rispondere alle domande dei pm. Savoini, dunque, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

La giornata di ieri in Procura si è aperta con un lungo vertice mattutino tra il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e i sostituti Gaetano Ruta e Sergio Spadaro. Subito dopo si è presentato il legale d’ufficio di Savoini, congedato in pochi minuti visto che l’uomo per gli affari a Mosca della Lega ha nominato un avvocato di fiducia. Savoini, che è accusato di aver pianificato l’affare russo con una presunta retrocessione di 65 milioni di dollari per finanziare il Carroccio durante le ultime elezioni europee, è stato sentito negli uffici della Guardia di finanza in via Fabio Filzi.

Ieri era atteso anche l’avvocato Gianluca Meranda. Si tratta del legale di affari di origine calabrese che due giorni fa ha inviato una lettera alla stampa rivelando di essere stato presente all’incontro del 18 ottobre scorso ai tavolini dell’hotel Metropol di Mosca. Con buona probabilità, infatti, è lui “Ita 2” del dialogo pubblicato dal sito americano BuzzFeed lo scorso giovedì. A quell’incontro erano presenti sei persone, tre italiani e tre russi. Uno dei russi è certamente Ylia Yakunin, manager moscovita molto vicino all’avvocato Vladimir Pligin, tra le figure più vicine a Putin. E “Ita 2” (Meranda?) è la figura più intraprendente a quell’incontro. Tanto che sarà proprio lui a illustrare ai russi il progetto per far arrivare i soldi alla lega. Dirà: “L’idea come concepita dai nostri ragazzi politici è che con uno sconto del 4 per cento 250.000 più 250.000 al mese per un anno, possono sostenere una campagna”. E ancora: “Il 4% a noi è sufficiente. Hanno fatto i loro piani con un 4 netto, quindi se ora dici che lo sconto è del 10 per cento, direi che il 6 per cento è vostro. Ok?”. Resta invece ignota l’identità di Francesco, soprannominato “il nonno” che però in Russia non significa anziano ma persona molto rispettata. L’indagine, dunque, prosegue a ritmo serrato nonostante il riserbo massimo. Il fascicolo è stato aperto lo scorso febbraio in seguito a un articolo di stampa. In mano ai pm, l’audio è, poi, arrivato ben prima che BuzzFeed lo rendesse pubblico. Sulla base di questo, dal quale emerge un presunto accordo corruttivo per retrocedere alla Lega i 65 milioni di euro e far arrivare una cifra simile a funzionari pubblici di Mosca, la Procura di Milano ha incardinato un’accusa per corruzione internazionale che allo stato vede un solo indagato, ovvero Savoini. In mano ai pm però ci sono altri nomi da sentire e che allo stato non sono indagati. Oltre a Meranda certamente Claudio D’Amico, ex parlamentare, incaricato da Salvini di mantenere i rapporti d’affari con la Russia. Oltre a loro, Fabrizio Candoni, fondatore di Confindustria Russia. Candoni in un’intervista alla stampa ha spiegato di aver sconsigliato a Salvini di partecipare all’incontro. Lo stesso Salvini, secondo l’Espresso il giorno prima, il 17 ottobre, incontrò il vicepremier russo negli uffici dell’avvocato Pligin.

In attesa che l’inchiesta deflagri, la battaglia politica è già a livelli di guardia. Ieri, infatti, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha spiegato: “Dobbiamo trasparenza ai cittadini. Quindi tutte le occasioni e tutte le sedi, in primis il Parlamento, sono le sedi giuste per onorare queste linee guida”. A chi gli ha domandato se Matteo Salvini debba riferire in aula sulla vicenda, risponde: “Perché no?”.

La richiesta di chiarimenti di Conte, a quanto si apprende, riguarda in particolare il vertice bilaterale tra Matteo Salvini e il ministro dell’Interno russo Vladimir Kolokoltsev del luglio scorso: più che alle cene e ai convegni, è in quella sede “riservata” che la presenza di Savoini appare quanto meno inopportuna, considerando l’altissimo accreditamento istituzionale che ne consegue.

Dal canto suo, il vicepremier leghista insiste nel dire che non ha alcuna intenzione di riferire in Parlamento: “Non mi turba l’atteggiamento di Conte, se uno ha la coscienza pulita, è una vicenda così surreale che non sto neanche spendendo energie per cercare di capire cosa dire: non c’è niente da dire”. Oggi, la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, che la scorsa settimana bollò come “pettegolezzo” lo scandalo russo, incontrerà il segretario del Pd Nicola Zingaretti e il capogruppo Andrea Marcucci, i quali chiedono che Salvini venga a spiegare in aula che cosa è successo. E in serata arriva anche l’attacco frontale di Alessandro Di Battista: “Salvini è un bugiardo e la sua difesa sul caso Savoini è ridicola”.

Un milione di telefoni, 10 di trasporti: quanto costa Montecitorio

Oltre un milione per spese telefoniche, più di 10 milioni per costi di viaggio. Sono solo alcune delle voci del bilancio di previsione del 2019 della Camera, secondo cui il costo totale del funzionamento dell’aula sarà di 959,5 milioni, in calo di circa l’1% rispetto alle previsioni 2018. Il rendiconto è parecchio dettagliato: le spese di telefonia fissa sono stimate in 400 mila euro, con 330 mila per la mobile e 425 mila per la connessione Internet. Il conto totale (1,15 milioni) è cresciuto del 5,48% rispetto all’anno precedente. Oltre 2 milioni vengono invece utilizzati per “servizi di ristorazione”, includendo mensa e buvette vicino all’aula. Crolla il prezzo di lettere e raccomandate (-33,33%), che passa dai 150 mila euro del 2018 ai 100 mila attuali, mentre resta invece invariato il costo della fornitura di gas, elettricità e acqua (4 milioni e 650 mila euro). La voce più consistente è però quella relativa ai trasporti degli onorevoli: 10 milioni e 700 mila euro per aerei, treni, autostrade e traghetti, in linea con quanto speso nel 2018.

Nuovo Parlamento post-taglio: trionfo della destra salviniana

Resta ancora una sola lettura alla Camera e poi, salvo un improbabile ricorso al referendum confermativo, la riduzione del numero dei parlamentari sarà una realtà. I deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.

Nei mesi scorsi è stata poi approvata in via definitiva una legge dall’eloquente titolo: “Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari”. Una volta entrata in vigore la modifica costituzionale, si potrà andare a votare con l’attuale legge elettorale, “Rosatellum”, salvo che si trovi un accordo su di un nuovo testo.

Non è quindi un puro esercizio teorico, provare a simulare il risultato in termini di seggi attribuiti alle coalizioni e ai partiti, prendendo come punto di riferimento l’andamento delle elezioni europee del maggio scorso.

La quota proporzionale (253 alla Camera comprendendo gli 8 eletti all’estero e 126 al Senato con i 4 eletti all’estero) è stata, dunque ripartita sulla base dei risultati delle Europee 2019, ferma restando la soglia di sbarramento nazionale del 3% e con una piccola forzatura nella simulazione del Senato, per la diversa età dell’elettorato attivo.

Per quanto riguarda, invece, i collegi uninominali (147 alla Camera e 74 al Senato) sono stati attribuiti alle coalizioni di centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia), di centrosinistra (Pd e alleati minori) e Movimento 5 Stelle sulla base di una stima soggettiva il più possibile equilibrata.

Il “dimagrimento” alla Camera (il 37% circa) non ha effetti distorsivi, perché l’attribuzione dei seggi avviene su base nazionale e quindi si riduce proporzionalmente per tutti. Al Senato, invece, i seggi sono distribuiti a livello regionale, con la conseguenza di un innalzamento in molte regioni della soglia di sbarramento implicita, a vantaggio dei partiti maggiori.

È giusto ricordare, in estrema sintesi, che le elezioni europee 2019 hanno visto il trionfo della Lega e la netta sconfitta del M5S, con un piccolo progresso della lista unitaria del Pd sulle Politiche 2018, un brusco arretramento di Forza Italia e un’avanzata di Fratelli d’Italia, oltre al risultato di +Europa superiore, seppur di poco al 3%. Il mix tra questi risultati a livello di ogni regione, la riduzione dei parlamentari e la legge elettorale in vigore, il “Rosatellum”, ci restituisce un Parlamento assai differente da quello uscito dalle urne solo un anno fa, con il centrodestra ampiamente sopra la soglia della maggioranza assoluta sia alla Camera sia al Senato, con Forza Italia che però dimezza la sua rappresentanza in entrambe le Camere.

A pagare il prezzo più salato è, quasi per paradosso, il Movimento 5 Stelle, strenuo sostenitore della riforma costituzionale per la riduzione del numero di parlamentari, che passerebbe al Senato da 111 senatori a 28 e alla Camera da 227 deputati a 54.

Più contenuta, ma pur sempre significativa, la contrazione di seggi in casa Pd e alleati (40 senatori contro 69 e 78 deputati contro 119).

C’è quindi più di un motivo di riflessione per la definizione delle strategie di breve e medio periodo per tutti i principali attori della scena politica italiana (nessuno escluso).

 

Scontri con gli agenti, 4 anni al leader di Fn Giuliano Castellino

È stato condannato a 4 anni. E ha reagito mostrando ai magistrati e ai presenti in aula il saluto romano. Giuliano Castellino, il leader del partito di estrema destra Forza Nuova, era a processo per essersi opposto, nel settembre 2017, allo sgombero di una casa popolare occupata che era stata legittimamente assegnata a una famiglia eritrea, nel quartiere romano di Trullo. Da lì la lite con le forze dell’ordine, culminata con il lancio di sampietrini verso gli agenti in via Giovanni Porzio. Per quei fatti Castellino e altri quattro militanti di Forza Nuova sono stati condannati ieri dalla seconda sezione penale di Roma. I giudici hanno inflitto 4 anni di carcere a Castellino e altre tre condanne comprese tra i 4 anni e i 3 anni e 4 mesi. Le accuse dei pm di Roma, a seconda delle posizioni, sono di violenza, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale per gli scontri con la polizia. Dopo la lettura della sentenza, Castellino ha alzato il braccio destro e ha fatto il saluto romano, rivolgendosi poi verso alcuni militanti presenti in aula che hanno risposto con lo stesso gesto.

M49 è in fuga. E se fosse finito in Lussemburgo?

Bello come un orso, forte come un orso. E poi è un orso. Di più. È il Papillon degli orsi, uno capace di scappare da un recinto elettrificato a 7 mila volt, alto alcuni metri, davanti al quale (non al quale orso, al quale recinto) il governatore del Trentino, Maurizio Fugatti (Lega), si è fatto immortalare per dire che non è un orso normale, ma una specie di orso superman.

Dunque il Fugatti, che aveva fatto catturare l’orso e lo aveva fatto trasferire in quella specie di centro di accoglienza per orsi col filo spinato elettrico contro il parere del ministero dell’Ambiente, ora si ritrova con un orso scappato (senza radiocollare, tra l’altro) e ha dato ordine di sparare a vista. Non possiamo accoglierli tutti (nemmeno gli orsi). Legittima difesa. Grave turbamento. Eccetera eccetera. Ah, delizioso dettaglio nel dramma della caccia di armati a un disarmato: l’orso si chiama M49, e ora fate voi, ma pensare che un governatore leghista dia ordine di abbattere qualcuno che si chiama M49 è uno scherzo davvero sorprendente. Non mi intendo di nomi da orsi (ero rimasto a Yoghi) ed è probabile che M non stia per “milioni”, ma insomma, di tutti i numeri che ci sono, proprio un fuggiasco che si chiama M49… Lui rischia la fucilata, ma noi la metafora l’abbiamo presa in pieno.

Bastano i titoli di cronaca per strappare il sorriso storto: “La Lega a caccia di M49”, oppure “M49, sparare a vista”, o “M49, dov’è finito?”. Ah, saperlo (e non vale solo per l’orso).

L’ordinanza che permette l’abbattimento sembra un ordine dei marines, e ci si immagina il bosco di quelle parti come teatro di squadre Swat che cercano nel buio, con mirini laser, il clandestino che ha lasciato il centro. Probabilmente è tutto più rustico, ma più o meno ci siamo, una caccia è sempre una caccia.

Però, però… Dal ministero dell’Ambiente è arrivata alla Provincia di Trento una diffida: M49 non deve essere abbattuto. Anche gli animalisti dicono che catturarlo è stato un errore, che ora sarà più impaurito, che togliergli il radiocollare è stato un altro errore e che, insomma, M49 rischia di pagare per errori non suoi. Così M49 rischia di diventare un altro attrito, l’ennesimo, tra 5 Stelle e Lega, nuovo motivo di lite.

A ben vedere, sembra che ci sia più scontro per M49 che per i 49 milioni spariti da via Bellerio, che passarono via come acqua fresca (pagabile in ottant’anni di comode rate).

Ora, non resta che fare il tifo per M49. Non solo perché tra un governatore leghista (ma anche non leghista) e un orso preferiamo l’orso, ma anche perché è giusto che le metafore facciano il loro corso, vadano fino in fondo, la dicano tutta. Ora abbiamo la Lega che insegue per i boschi M49, che non si trova. Dove sarà finito? Nei boschi vicini? In conti cifrati all’estero? Lussemburgo? Mosca? Che figura, però: Putin sarebbe comparso tra le fronde, supermacho a torso nudo, freddo come un killer per giustiziare il fuggiasco dissidente M49. I leghisti trentini se lo sono fatti scappare sotto il naso e ora tengono il dito sul grilletto contro il parere del ministero. Non c’è più il vecchio Bossi che tuonava “le pallottole costano 300 lire”, adesso c’è questo qui dei bacioni, forte coi debole e debole coi forti. Corri, M49, corri!

L’Ue elegge Ursula: anche Lega e M5S in corsa per votarla

Sia i voti degli europeisti, sia degli anti-europeisti: oggi nel Parlamento europeo di Strasburgo a Ursula von der Leyen candidata presidente della Commissione europea, indicata dal Consiglio, potrebbe arrivare il sì di delegazioni con opposte visioni ed esigenze. Un risultato decisamente meno buono di come potrebbe sembrare: a quel punto, sarebbe condizionata da tutte le parti.

La situazione italiana si avvia a essere paradossale, visto che la quasi ex ministra della Difesa tedesca (ha annunciato le dimissioni) potrebbe essere votata da tutte le delegazioni, tranne Fratelli d’Italia. Il Pd, con Roberto Gualtieri, ieri ha dichiarato il suo voto a favore. Il sì di Forza Italia non è mai stato in discussione. I Cinque Stelle hanno fatto sapere – attraverso Fabio Massimo Castaldo – che “stanno valutando”, ma in realtà sono pronti a dire di sì e puntano a essere determinanti (di voti ne hanno 14): Castaldo ha infatti ricordato che le aperture sul salario minimo da parte della tedesca “sono state sicuramente importanti” e il M5S “le ha apprezzate”.

La Lega non si esprime ufficialmente, anche perché la candidata – dopo “l’affare russo” – non ha voluto incontrarli ufficialmente. Ma i contatti informali sono in corso e, anche grazie al voto segreto, il Carroccio potrebbe dire di sì, con l’obiettivo di condizionarla (di voti ne ha 28) e di conquistarsi un portafoglio di peso. L’assegnazione all’Italia del commissario alla Concorrenza, posto strategico dell’esecutivo europeo, sembra un’ipotesi difficile. Sullo sfondo resterebbero due opzioni B: l’Industria e l’Agricoltura. Opzioni per le quali Giorgetti automaticamente cadrebbe, ma ieri il leader leghista ha rilanciato il “suo” sottosegretario di Palazzo Chigi: “Per la Lega resta il nome migliore”. Dunque, ieri fonti della Lega hanno annunciato un possibile sì, viste le aperture sulla riforma del Regolamento di Dublino. Quel che è certo è che la candidata non ha chiesto nulla alla Lega: potrebbe trovarsi in imbarazzo, oltre a rischiare di perdere il sostegno di altri gruppi.

Data la delicatezza della questione anche per il fronte italiano, ieri il premier Conte ha avuto ieri un colloquio sul voto con Angela Merkel.

Il pallottoliere a Strasburgo ieri ha indicato per la Von der Leyen una quota di voti intorno ai 420 (gliene servono almeno 374 su 747). La candidata, in prima battuta, si è preoccupata di garantirsi il sostegno di Socialisti e Alde, cui ha mandato due lettere. Ai Socialisti ha indicato le sue priorità, dalla neutralità climatica al rispetto dello stato di diritto, oltre a fare aperture sulla flessibilità e sulle iniziative legislative per la dimensione sociale, a partire dal salario minino e dall’impegno a proporre una indennità europea di disoccupazione. Il gruppo, però, è spaccato: diranno sì il Pd e il Pse di Pedro Sánchez, potrebbero dire no tedeschi, inglesi, olandesi, austriaci e belgi.

Ai liberali, la candidata ha promesso “una conferenza sul futuro dell’Europa da avviare nel 2020, per due anni”. Per loro, un punto fondamentale per decidere se sostenerla. Anche se l’Alde, visto che uno dei grandi sponsor della candidatura della tedesca è il presidente francese Macron, è orientato a dire sì dal primo momento.

Per quel che riguarda il Ppe, Ursula dovrebbe avere i voti di tutti: anche quelli degli ungheresi di Orbán, visto che il gruppo Visegrad la sostiene convintamente. Per arrivare ai sovranisti. Il gruppo Identità e democrazia potrebbe spaccarsi: anche se la Lega dirà sì, gli eurodeputati del Rassemblement National non possono dare il loro contributo per far passare una candidata di Macron. E poi, dovrebbero arrivare anche i voti dei Polacchi del Pis, che fanno parte dei Conservatori. Insomma, di tutto un po’. Pescando anche tra i “nazionalisti dei partiti di governo di Ungheria, Polonia e Italia”, sottoline il Financial Times, chiedendosi però a quel punto quanto la tedesca potrebbe “spingere su una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia avendo avuto i voti della Lega” o sulla difesa dello stato di diritto verso Budapest e Varsavia.

Massoni, audio e pugnalate: guida ragionata al caso Rubli

Certi di fare cosa gradita ai nostri lettori, ecco una piccola guida per orientarsi nell’affaire Lega-Russia. Dal possibile titolo: all’inseguimento dei rubli verdi.

Audio Quanti ce ne sono ancora in giro? E chi li ha prodotti? E chi li ha diffusi? E perché? Sulla ghiotta vicenda si confrontano (almeno) tre partiti. C’è chi prende di petto Matteo Salvini e sostiene che trattasi di grave scandalo “che offende l’Italia e la nostra collocazione internazionale” (Zingaretti, Gentiloni, Letta). C’è chi minimizza derubricando il tutto a iniziativa personale (di Gianluca Savoini), in un clima da pochade (vedi Gossip). Per La Verità, al contrario, esiste un vero e proprio agguato ordito dagli amici di Macron (si parla di “ombra francese”) ai danni del vicepremier leghista. Maurizio Belpietro s’interroga allusivo sui giornalisti dell’Espresso, che per primi parlarono di questa storia: “Davvero ascoltarono dal tavolo di fianco la conversazione tra Savoini e i suoi misteriosi emissari?”. E, “sono in grado di dimostrare di non essere stati loro a registrare il colloquio e a consegnarlo alla Procura milanese?”. “Come Belpietro sa ogni buon giornalista non rivela mai le sue fonti”, replica secco il direttore del settimanale, Marco Damilano. Infine: chi diavolo è Francesco, il terzo uomo (italiano) seduto con gli emissari russi al Metropol, accanto a Savoini e all’avvocato Gianluca Meranda (vedi Massoneria)?

Borghezio Mario “Gianluca Savoini, un soldato leghista. Resterò sempre suo amico perché abbiamo la stessa ossatura dottrinale. Salvini lo scarica? Fa parte del gioco”. Quando si dice: il bacio della morte.

Cherchez la femme “Mi sembra strano che si dia un appuntamento al Metropol, in quell’albergo non porti nemmeno l’amante se non vuoi farlo sapere al mondo” (Fabrizio Candoni, ex Confindustria Russia). “Tre leghisti con mogli russe, interessi russi, passioni russe” (Il Fatto). Alexandre Dumas (padre) fa dire a un suo personaggio che “c’è una donna in ogni caso e appena mi portano un rapporto, io dico: cherchez la femme”. La giovane interprete russa Irina Osipova afferma che con lei Savoini si è sempre comportato da gentiluomo. “Avevo 25 anni e si fece vivo su Facebook. Ci misi un po’ a capire se gli interessassi io o il mio paese. Vista la sua età non interessava lui a me”. Tutto a posto anche perché Irina rivela che Savoini ha una moglie russa, “una bella donna più alta di lui”. Qualche ruggine insomma sopravvive: “Si era offeso perché non lo avevo citato in un’intervista, ma una persona che conta non se la prende”. Niente a che vedere (così sembra) con Enzo, lo sfigato di Carlo Verdone (Un sacco bello) che partiva per fare conquiste in Polonia con la valigia zeppa di biro e calze di nylon. Claudio D’Amico, personaggio chiave della sottotrama Mosca-Sesto San Giovanni (dove è assessore) tiene invece a precisare di essersi “separato da Svetlana” (la moglie bielorussa). Ne prendiamo atto.

Conte Giuseppe Salvini si sente “pugnalato alle spalle” dal premier (Il Messaggero) che tuttavia replica: “Perché negare l’evidenza?”. Lo scazzo riguarda la nota di Palazzo Chigi sull’invito di Savoini alla cena di Villa Madama con Putin. Presenza “sollecitata dal signor Claudio D’Amico, consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale del vicepresidente Salvini”. Una precisazione puntuta. Forse troppo per il “vicepresidente” (peraltro avvertito dal premier prima della precisazione). La cosa, naturalmente, non può finire qui. Il “pugnalatore” ieri molto si è irritato (“Scorrettezza istituzionale. Manovra? Decido io”) per il vertice con i sindacati convocato da Salvini (con l’indagato Siri) al Viminale. Tornano spifferi di possibile crisi anche se per votare a settembre il patatrac dovrebbe avvenire entro il 20 luglio, dopodomani o giù di lì. Di sicuro, prepariamoci a un autunno di fuoco.

Dio, Patria, Famiglia Hanno barbe solenni, predicano l’antiglobalismo, sostengono la famiglia “tradizionale” ma soprattutto combattono i gay e il mondo LGBT. Zubarev e Komov erano presenti al congresso leghista del 2013 e al convegno di Verona sulla famiglia. Sensibilità condivise dal cosiddetto “oligarca ortodosso” Konstantin Malofeev, che vede in Putin un’incarnazione e un nuovo zar. Il più famoso è Aleksandr Dugin, battezzato il “Rasputin di Putin”, autore di un’intervista a Salvini su Tzar Grad Tv (bacino d’utenza di 45 milioni di persone). È possibile che il santo rosario esibito dal Capitano sul palco di Milano, e l’invocazione ai sei patroni d’Europa (compresi i santi Cirillo e Metodio) siano il frutto di una conversione autentica all’ortodossia cristiana e non frutto del vile denaro.

Giuda minore In un terrificante articolo di Libero così viene apostrofato Luigi Di Maio, definito anche “analfabeta, e perciò più protervo”. La colpa: avere sollecitato la presenza di Salvini in Parlamento per chiarire la vicenda (“Imita il Pd, è ora di finirla con il M5S”). Con i rapporti tra i due contraenti di governo in forte difficoltà, a Montecitorio e dintorni ci si chiede: se arrivano nuovi audio che succede? Commento di un elettore salviniano colto al volo: con degli amici così i nemici non servono.

Gossip Espressione riesumata dalla presidente del Senato, Elisabetta Casellati per stoppare la convocazione di Salvini sollecitata dell’opposizione. Si minimizza derubricando il possibile scambio rubli-gasolio come pettegolezzo, chiacchiera, diceria. Come ai tempi del bunga bunga di Berlusconi, anche Salvini si aggrappa all’improbabile ciambella gossippara, mentre il mare si fa grosso. Un tempo il famoso marito scoperto dalla moglie a letto con l’amante farfugliava: cara non è come tu pensi. Oggi può serenamente precisare: cara non ci badare è solo gossip. Da Ruby ai rubli.

Massoneria Con l’avvocato Meranda, ritratto con grembiulino d’ordinanza, fa il suo solenne e immancabile ingresso. Non la Gran Loggia, si fa notare, bensì il Grand’Oriente di osservanza francese L’autodenuncia di Meranda (“al Metropol c’ero anch’io”) porta acqua al complotto anti-Salvini (vedi Macron).

Matteo e gli amici Avere negato l’evidenza dello stretto rapporto con Savoini (immortalato da una caterva di foto insieme) suscita sconcerto anche tra i fan di Salvini. Colpisce la manifesta imprudenza dimostrata dall’uomo di governo. “Finché fai la fiera della salamella ci sta, se sei vicepresidente del Consiglio non ci puoi andare perché ti ci porta Savoini” (Candoni). “Quando si è al governo bisogna diventare ancora più cauti: devi stare attento non solo agli amici ma anche agli amici degli amici” (Edward Luttwak). La pacchia è finita.

Strategie in salsa leghista “Rubli o non rubli, i legami tra la Lega e Mosca sono molto stretti e documentati” (Angelo Panebianco). “Macché complotto, gli Usa si fidano di Salvini” (Luttwak). La famosa, lungimirante, italica politica del piede in due staffe. Poi però qualcuno si arrabbia.

Vertice sull’Ilva, scontro tra Mittal e il vicepremier

Si è conclusocon un nulla di fatto il vertice di ieri sul’Ilva al ministero dello Sviluppo economico tra Luigi Di Maio, le sigle sindacali e Arcelor Mittal. L’incontro era stato fissato dopo lo sciopero a oltranza indetto dai lavoratori per la morte del gruista Cosimo Massari. Nessun passo in avanti rispetto all’immunità penale. Infruttuoso anche il confronto sulla sicurezza e la cassa integrazione. I proprietari dell’ex-Ilva hanno espresso la necessità di “un impegno da parte di tutti”, lamentando che “nell’ultima settimana, lo spirito collaborativo e il senso comune di intenti sono stati assenti”. “Nessuno a questo tavolo vuole chiudere l’azienda – ha risposto Luigi Di Maio – c’è un morto e un sequestro della magistratura, non si possono accusare governo e sindacati per questo”. “Un incontro insoddisfacente”, lo ha definito Marco Bentivogli della Fim-Cisl. Nel frattempo è salito a 9 il numero degli indagati per la tragedia dello scorso 10 luglio. Sotto inchiesta è finito anche il gestore dell’attività produttiva Stefan Michel Van Campe. Le accuse iniziali di rimozione e omissione dolosa di cautele e lesioni personali colpose, con il ritrovamento del cadavere, rischiano di diventare omicidio colposo.

Autonomia, Chigi convoca nuovo vertice per venerdì

Nuovo round sull’autonomia. Ieri il premier Giuseppe Conte ha convocato una nuova riunione del tavolo di governo per il prossimo venerdì 19 luglio alle 13. Lo hanno fatto sapere ieri fonti di governo. L’ultima riunione si era chiusa con uno scontro trai ministri del M5s e quelli della Lega sul tema della scuola. Le distanze sulle bozze di intesa siglate dal ministro per le Autonomie Erika Stefani (Lega) sono ancora elevate a partire proprio dall’istruzione, che Veneto e Lombardia vorrebbero avere per intero, addirittura con la possibilità di decidere sugli stipendi (una sorta di ritorno delle gabbie salariali). Altro punto di scontro è sull’assenza di un meccanismo perequativo che eprmetta di dirottare il maggior gettito nelle tre regioni (compresa l’Emilia-Romagna) per le altre più in difficoltà. Intanto ieri il premier ha incontrato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, sui temi della sanità e dell’autonomia differenziata. Sul secondo ha illustrato i contenuti di un documento inviato alla Stefani per i quali la regione “dichiara la piena disponibilità per una battaglia dell’efficienza ma nel quadro dell’Unita nazionale e di una tutela degli interessi delle comunità meridionali come previsto dalla Carta”.