Altantia, Toto, Lotito e Avianca: come previsto sono queste le aziende che alle 18 di ieri, alla scadenza del termine per le presentazioni delle manifestazione di interesse per Alitalia hanno inviato le lettere a Mediobanca, advisor di Ferrovie dello Stato. “Voglio essere l’ultimo ministro che si occupa di Alitalia. Torniamo a farla volare in tutto il mondo, a testa alta”, ha commentato il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio in un post su Facebook, invitando Fs a scegliere “quella più ambiziosa”.
“Faccia la saldatrice” “Io sono avvocato, lei?”
“Le consiglio di inviare il cv come saldatrice”. “Io sono avvocato, lei? Mandi il cv a suo cugino, quello dei vaccini”. A insultarsi via Twitter sono state ieri la vicepresidente del Senato Paola Taverna (M5S) e l’ex ministro dem Maria Elena Boschi. Taverna – criticando un post in cui Boschi citava la ricerca di saldatori da parte di Fincantieri per attaccare il reddito di cittadinanza – ha scritto: “Ci stiamo occupando del taglio di 345 Parlamentari. Invii il cv come saldatrice”. “Io faccio l’avvocato. Lei non so”, ha risposto Boschi.
“Noi portammo la Lega nel mondo di Putin”. Così Matteo finì russo
Tre leghisti con mogli russe, interessi russi, passioni russe. Questa è l’Associazione lombarda che venera Mosca e alleva la Lega di Matteo Salvini dai primi vagiti: “Noi abbiamo messo in contatto il Carroccio di Salvini col mondo russo”, scolpisce tre anni fa, in quel di Lugano, l’analista informatico Gianmatteo Ferrari, militante leghista, segretario nonché fondatore del gruppo filorusso, assieme a Gianluca Savoini e Claudio D’Amico. Il “Savo” è polivalente, fa affari, convegni, interviste, scorta Salvini nei viaggi a Mosca, disegna le alleanze sovraniste europee per accorciare le distanze col regno di Vladimir Putin, tratta commesse di petrolio per presunti finanziamenti alla Lega, adesso è indagato per corruzione.
D’Amico è un politico, ex deputato leghista, socio di Savoini in Orion, una società con sede a Mosca che fa mediazione commerciale fra le aziende e, soprattutto, è consigliere per le attività strategiche internazionali del vicepremier Salvini. In virtù di un antico sodalizio, è D’Amico che, il 4 luglio, reperisce un posto a Savoini per il Forum al ministero degli esteri con il premier Conte e l’ospite Putin e poi per la cena di Stato a Villa Madama. Una perfetta simbiosi, però D’Amico riduce i conflitti, perché la Orion, assicura, è ormai “inattiva e in chiusura”. E qui servono un po’ di date.
Il 13 dicembre 2013, il secessionista Salvini è incoronato capo del Carroccio, un partito smunto dopo l’epoca di Umberto Bossi. Il 5 febbraio 2014, per ideologia o per strategia, in giubilo per la Crimea che verrà annessa a Mosca, Savoini e colleghi aprono l’Associazione con domicilio in un angolo del quartier generale leghista di via Bellerio a Milano.
Il 10 ottobre 2014, Savoini, D’Amico e Ferrari, la cosiddetta delegazione del Carroccio, accompagnano Salvini a Mosca e in Crimea per cinque giorni: conferenza stampa, incontri con Aleksei Pushkov, il presidente della Commissione esteri del parlamento e Oleg Saveliev, il ministro che sorveglia la Repubblica autonoma di Simferopoli.
Allora la vostra Associazione che supporto ha fornito al Carroccio di Salvini? Argomenta Ferrari: “Noi siamo un’associazione culturale. Ogni Paese ha la sua cultura. Nella vita, nel business, nella politica. Noi aiutiamo le persone a capire gli usi, le tradizioni, i costumi russi. A creare legami umani solidi. In Cina, per esempio, dare il biglietto da visita con una mano è considerato offensivo. Devi porgerlo con due mani e chinare la testa. Questo facciamo. Niente di clamoroso o segreto. Niente di male”.
Il “Savo” consegna la Lega a Mosca, ispira la svolta a destra, ne forma il carattere nazionalista. L’opera di Savoini raggiunge l’apoteosi il 6 marzo 2017 con la firma di un contratto per “la tutela dell’interesse reciproco” tra il Carroccio e Russia Unita, il partito di Putin. Savoini ha ricevuto un mandato, tempo fa, e l’ha assolto sempre con dedizione. Il 24 novembre 2018, l’ex portavoce di Salvini va in Germania a un congresso di Alternativa per la Germania (AfD), il movimento di estrema destra, per riflettere sul futuro dell’Europa più lontana dai migranti e più vicina alla Russia. Viene accolto con più di un’ovazione perché rappresenta la Lega, dal filmato si nota che apprezza riascoltare il suo discorso recitato in tedesco dall’interprete, annuisce fiero mentre dice le cose più dure, porta i calorosi saluti di Salvini.
Inviato speciale in Germania, Savoini utilizza gli stessi argomenti del Metropol – era il 18 ottobre 2018 – e disegna una internazionale sovranista con l’ariete Matteo per annientare i burocrati di Bruxelles. I tedeschi applaudono.
Il guaio del ministro dell’Interno è lampante: è vietato ripudiare il “Savo”.
Per Savoini e altri compari, gli Stati Uniti non hanno creduto alla piroetta diplomatica di Salvini, che s’è convertito alla tradizione atlantica l’autunno scorso, di ritorno dall’ennesima visita a Mosca e dopo la convocazione dell’ambasciatore americano. Il passato è ostinato. E Matteo lo sa.
Chi si rivede, il renziano Nastasi a Firenze Nardella nega, poi conferma la nomina
“Ho intenzione di restare io presidente del Maggio Fiorentino. Non ho preso in considerazione l’idea di nominare Salvo Nastasi”. Così ha dichiarato al cronista venerdì Dario Nardella, sindaco di Firenze. Smentendo categoricamente le voci che il Fatto gli riportava. Invece era tutto vero. E infatti ieri Nardella ha smentito se stesso rivelando che ai vertici del Maggio arriva Nastasi, recordman delle poltrone, amatissimo da Matteo Renzi. “Il sindaco Nardella – ha comunicato ieri sera il Comune – ha deciso di proporre al Consiglio la conferma di Cristiano Chiarot come Sovrintendente del Teatro per la successiva nomina da parte del Ministro per i beni culturali. Nardella ha inoltre deciso di esercitare la personale prerogativa di nominare alla carica di Presidente, quale suo delegato, Salvatore Nastasi, già capo di gabinetto del Mibac e direttore generale dello spettacolo dal vivo, nonché Commissario straordinario del Teatro. Nardella ha già ottenuto sia da Nastasi che da Chiarot la piena disponibilità”.
Ma cosa ha spinto Nardella a negare l’evidenza con il giornalista, dopo che da giorni in città si parlava di Nastasi? Prima di tutto, il timore di entrare in rotta di collisione con i sindacati. Come ha spiegato Paola Galgani che guida la Cgil fiorentina: “Noi abbiamo apprezzato il lavoro di Chiarot. Non ha fatto miracoli, né poteva, ma ha fatto il possibile date le difficilissimi condizioni del Maggio e ha curato i rapporti con i sindacati e i lavoratori. Oltre al radicamento sul territorio”. Ora il timore è che l’arrivo di Nastasi porti Chiarot alle dimissioni.
Ma c’è altro, e forse per questo Nardella ha negato l’evidenza: Nastasi è uno dei simboli del renzismo. Quel mondo che non abbandona il potere anche oggi che è stato sconfitto. Fu lui a introdurre Maria Elena Boschi all’epoca del referendum costituzionale che segnò la fine del governo Renzi. All’epoca si trattava di portare il verbo del “sì” nei salotti della Capitale. Il mondo da cui Nastasi proviene grazie anche alle sue parentele illustri: è genero di Gianni Minoli e di Matilde Bernabei. Nastasi si affaccia con i governi di centrodestra al mondo dell’alta burocrazia, ma resta in sella durante la parentesi di Romano Prodi. Poca visibilità, tanto potere. Salvatore (Salvo per gli amici) Nastasi inanella una lunga serie di incarichi: è commissario straordinario delle fondazioni dell’Arena di Verona, del San Carlo di Napoli e del Maggio Fiorentino. All’epoca dei governi di centrodestra diventa capo di Gabinetto del ministro della Cultura. Ma con il Pd, in nome di quello spoil system all’italiana in cui qualcuno piace a destra e a sinistra, Nastasi prende il volo: diventa tra l’altro commissario per il recupero di Bagnoli (una poltrona su cui premono interessi enormi dei grandi signori del cemento) e ottiene l’ambita posizione di vicesegretario di Palazzo Chigi. Renzi lo sognava addirittura sindaco di Napoli. Non andò così, perché il leader democratico finì a gambe all’aria. Nastasi no. Intanto diventa vicepresidente della Siae. Poi, un paio di settimane fa, Nardella lo nomina suo consigliere speciale. Montano le polemiche, ma il sindaco non si ferma. Anzi, raddoppia. A Firenze il renzismo resiste.
La sfida di Di Maio a Salvini “Risponda al Parlamento”
Non nomina mai il petrolio russo ma leggendo il post tutti capiscono che Luigi Di Maio ha dato una sberla a Matteo Salvini: “Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione. Peraltro quando si ha la certezza di essere strumentalizzati, l’Aula diventa anche un’occasione per dire la propria, difendersi e rispondere per le rime alle accuse, se considerate ingiuste”, ha scritto sui Facebook il vicepremier M5s. Anche lui si sfila e lascia solo Matteo Salvini, che da giorni cerca invano di creare qualche metro di distanza tra sé e Gianluca Savoini, ex giornalista della Padania, ex portavoce di Salvini medesimo, presidente dell’associazione Lombardia-Russia e protagonista della conversazione che inguaia la Lega, quella del 18 ottobre scorso all’hotel Metropol di Mosca la cui registrazione è finita sul sito americano Buzzfeed: il leghista e altri due italiani discutono con tre russi dell’acquisto di una partita di petrolio da parte di una società identificata nell’Eni (che però smentisce) e di una spartizione che avrebbe portato alla Lega 65 milioni di dollari. Una trattativa mai conclusa, a quanto pare. La Procura di Milano ipotizza il reato di corruzione internazionale per il presidente di Lombardia-Russia.
Salvini l’aveva già scaricato Palazzo Chigi, facendo sapere che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte “non conosce personalmente” Savoini e che l’invito per quest’ultimo al forum e alla cena con Vladimir Putin del 4 luglio “è stato sollecitato dal sig. Claudio D’Amico, consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale del VicePresidente Salvini”, come anticipato dal Fatto e confermato nella gelida nota di ieri. Conte ha ribadito che ha “fiducia” in Salvini ricordando che “dobbiamo trasparenza e io per quanto mi riguarda l’ho resa”.
La Lega tace. Salvini ieri non è tornato sulla vicenda russa. Venerdì però, dopo l’ironia su rubli e vodka, di fronte alle richieste dell’opposizione di spiegare il caso in Parlamento, aveva detto: “Non vado in Aula a parlare di supposizioni e fantasie”. Nulla di più sulle smentite incassate negli ultimi giorni, a ogni sua dichiarazione seguivano le foto con Savoini con Salvini a Mosca e altrove e le frasi in cui il leader leghista lo definiva “mio rappresentante”. Anche la rete stavolta non crede al Capitano. Il Pd chiede le dimissioni, si parla di sfiducia individuale. E l’inchiesta milanese accelera: Savoini sarà sentito oggi come indagato. I pm ascolteranno anche Gianluca Meranda, l’avvocato massone che ha dichiarato di essere il secondo italiano dell’audio di Buzzfeed. Il segreto sul terzo, indicato come “Francesco”, non durerà molto.
“Basta soldi pubblici al Consorzio del Mose”
Sul Mose è scoppiata la guerra. Tra organi dello Stato che cercano di portare a compimento la più grande e costosa (5 miliardi e mezzo di euro) opera idraulica concepita per la salvaguardia della città e della Laguna dall’acqua alta. Il sistema di dighe mobili è, per i detrattori, una specie di malato terminale, per i suoi fautori l’unica salvezza possibile dalle acque alte per Venezia. Di sicuro è stato un’immensa greppia per le tangenti a cui ha messo un freno, dopo gli arresti del 2014, l’Autorità nazionale anticorruzione con i commissari straordinari del Consorzio Venezia Nuova, già all’origine del saccheggio di risorse pubbliche, con la complicità dei vertici del Magistrato alle Acque.
La guerraè tra Roberto Linetti, provveditore per le opere pubbliche del Triveneto (che ha raccolto le competenze del disciolto Magistrato) e i commissari straordinari del Consorzio, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola. Sullo sfondo, l’imminente arrivo di un commissario sblocca-cantieri.
Il committente, per conto del ministero delle Infrastrutture, è il Provveditorato. L’esecutore è il Consorzio, ormai orfano delle società Condotte, Mantovani e Fincosit, che lo gestirono all’epoca delle vacche grasse. Da tempo i commissari chiedono a Linetti i soldi necessari per la fase di avviamento del Mose. E fioccano le accuse di ostruzionismo. Adesso il provveditore ha risposto con una lettera di fuoco che mette in discussione le stesse ragioni del commissariamento da parte dell’Anticorruzione, definisce il Consorzio una “scatola vuota”, incapace di completare il Mose e lancia un ultimatum ai commissari ad “adempiere all’obbligazione contrattuale di presentazione del piano di avviamento”.
Linetti definisce “impresentabile e irricevibile” la richiesta di finanziamenti, sostenendo che la funzione primaria del commissariamento era la “completa realizzazione” dell’opera. Invece, cinque anni dopo il Consorzio avrebbe dimostrato “l’impossibilità di adempimento di dette obbligazioni”. Un verdetto di incapacità verso i commissari. Linetti ricorda che il Mose è stato finanziato per 5 milioni 493 milioni di euro e che sono stati stanziati 100 milioni per l’avviamento. Eppure, “si registra un più che preoccupante stallo dei lavori”, i finanziamenti “rischiano di andare in economia di bilancio perché non impiegati secondo le scadenze previste”, mentre “l’affidatario del contratto commissariato, un consorzio stabile di imprese, è oggi una scatola vuota”. Secondo Linetti, il venire meno delle grandi imprese (coinvolte nello scandalo), ha come “gravissima conseguenza… la diminuzione della garanzia per responsabilità per non corretta esecuzione e/o per l’eventuale malfunzionamento del Mose”. Siccome si manifestano già criticità (come le grandi cerniere da rifare perché corrose dalla ruggine) Linetti ritiene “pregiudicata la possibilità che ripristini e riparazioni (per errori progettuali, carenze di cure, ritardi…) possano essere in concreto pagati dai responsabili”. In una parola, se il Mose non funzionerà o funzionerà male, nessuno pagherà.
Linetti accusa le piccole imprese di non “gestire la dimensione dei cantieri”, poi addossa alla gestione commissariale la mancata ultimazione entro il 2018 e la fase di avviamento non ancora iniziata. Anzi: “Le previsioni e i tempi di realizzazione si sono rivelati errati”. Per questo Linetti chiede al ministro Toninelli e a Raffaele Cantone dell’Anac se il regime di commissariamento “possa risultare effettivamente idoneo a conseguire il risultato di regolare esecuzione del contratto”.
Dura la replica di Giuseppe Fiengo, uno dei commissari, che allude al coinvolgimento del Magistrato alle Acque nello scandalo Mose: “Qualcuno dimentica che i corrotti erano loro e il Consorzio. Tendono a resistere e a lasciare tutto come prima. Spediremo a breve una durissima risposta alla lettera del Provveditore. Il Mose sarà finito, il governo ha manifestato questa volontà”.
Ma mi faccia il piacere
Sostituzione di persona. “Se evitiamo la procedura d’infrazione è perchè i nostri progetti di fatturazione elettronica e fisco digitale hanno portato altri 2,9 miliardi di euro salvando l’Italia” (Maria Elena Boschi, deputata Pd, 7.7). Delle due l’una: o per tre anni la Commissione Ue non se n’era accorta e poi l’ha scoperto giusto in extremis; oppure la Boschi si crede Conte. In ogni caso, c’è qualcuno da far visitare da uno bravo.
Creduloni. “Da ieri, nel Centro di Permanenza per i Rimpatri di Pian Del Lago, 72 ‘ospiti’ stanno facendo lo sciopero della fame in segno di protesta contro il loro trattenimento presso la struttura… Peggio per loro, vorrà dire che risparmiamo un po’ di soldi prima di espellerli” (Matteo Salvini, Lega, ministro dell’Interno, Twitter, 4.7). Il guaio è che alla frottola delle espulsioni immediate ci avevano creduto persino loro.
Fu(r)bini. “Mi permetto una domanda ai coraggiosi ‘colleghi’ (virgolette d’obbligo) del Fatto: avete fatto controllare ai vostri amici se io sono in regola con le bollette della luce?” (Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della sera, cancellato nel lontano 2005 dall’Ordine dei giornalisti per morosità, Twitter, 10.7). Tesoro, le tue virgolette sono la nostra medaglia.
Lo stratega. “Del resto fui io a ottenere, con lo storico accordo di Pratica di Mare 2003, che la Russia si associasse all’Alleanza Atlantica ponendo fine a mezzo secolo di guerra fredda” (Silvio Berlusconi, presidente FI, intervistato da Alessandro Sallusti, il Giornale, 7.7). E niente, non c’è verso di trovare qualcuno che gli spieghi che la Russia non è mai entrata nella Nato.
Resipiscenza operosa. “Allarme ignoranza” (titolo di prima pagina, il Giornale, 11.7). Ah ecco, con comodo se n’è accorto persino Sallusti.
Lo storico. “L’Italia può e deve essere protagonista di una nuova stagione di multilateralismo sincero e concreto, perché non abbiamo una tradizione coloniale, non abbiamo sganciato bombe su nessuno e non abbiamo messo il cappio al collo di nessuna economia” (Manlio Di Stefano, M5S, sottosegretario agli Esteri, 5.7). Un caro saluto dalla Libia e dall’Etiopia.
Che due marò. “Qualcuno ha tradito i due marò italiani” (Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri di Monti, Libero, 9.7). Furono i due pescatori indiani, suicidandosi apposta per far ricadere la colpa sui nostri marò.
S lurp/1. “Fiat ha 120 anni: come sta e cosa rappresenta?”, “Cosa vi distingue?”, “Eredità del passato e nuove sfide legate insieme, nel segno del cambiamento”, “Quanto conta l’equilibrio fra radici italiane e alleanze globali?”, “Nel suo recente intervento all’Amma, a Torino, ha tracciato un parallelo tra le origini di Fiat e quanto sta avvenendo ora nel settore auto. Perchè?”, “E poi c’è Pacifica Waymo. Le auto che si guidano da sole quanto cambieranno le nostre vite?”, “”Quali le conseguenze di tale impegno sull’innovazione?”, “In che senso?”, “Che cosa ha trasformato l’auto da un prodotto del Novecento in una frontiera del cambiamento tecnologico?”, “Che ruolo hanno i robot nel vostro sistema produttivo?”, “L’intelligenza artificiale che impatto è destinata a avere?”, “Perchè l’auto continua a incarnare, come a fine Ottocento, la trasformazione tecnologica?”, “Come sta ambiando l’azienda dal di dentro?” (le migliori domande di Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, gruppo Fca-De Benedetti, a John Elkann, presidente del gruppo Fca, 11.7). Non bastassero le domande, ecco una risposta a caso di padron John: “La Pacifica è l’unica auto autonoma al mondo al momento funzionante, come ha documentato in esclusiva La Stampa poche settimane fa”. Magda tu mi adori? E allora vedi che la cosa è reciproca?
Slurp/2. “Salvini è un superfemminista. Crede nella parità tra uomo e donna al punto che tratta le donne alla pari, nel bene e nel male. Chiamando Carola ‘sbruffoncella’ l’ha elevata a interlocutrice politica, insomma le ha fatto un regalo” (Annalisa Chirico, Libero, 11.7). Lo dice sempre, lui, che la donna è la migliore amica dell’uomo.
Il titolo della settimana/1. “Soldi da Mosca, lite M5S-Lega” (il Messaggero, 11.7). Ah, ecco cos’è: non l’ennesimo scandalo della Lega, ma una lite con i 5Stelle. Chissà che ci credevamo.
Il titolo della settimana/2. “L’affaire russo fa litigare gli alleati. ‘La Lega chiese rubli’. ‘Quereliamo’” (Corriere della sera, 11.7). Querelate chi chiese rubli o chi non ve li ammollò?
Il titolo della settimana/3. “La sinistra nasconde i rubli. Il Pd attacca ma dimentica che Mosca ha sempre finanziato il Pd” (il Giornale, 12.7). Per non parlare della battaglia di Zama.
Il ministro sfugge: “Non vado in Aula a parlare di fantasie”
Il capo della Lega non ha alcuna voglia di rispondere in Parlamento sul caso Russia: “Vado in Aula a parlare di quello che succede realmente, non di supposizioni e fantasie”. Così ieri, in un comizio a Ferrara, Matteo Salvini ha ribadito di non voler riferire alle Camera su Gianluca Savoini e la sua trattativa con misteriori referenti russi a Mosca. Ma per Salvini non c’è nulla di serio nella vicenda e dal palco, nella città appena strappata al Pd, lo ripete a suo modo: “Stanno cercando soldi in Russia, in Lussemburgo, nel Circolo Polare Artico… State attenti stasera tornando a casa che non ci siano dei rubli sotto il cuscino delle vostra camera. Però questo mi dice che stiamo lavorando nella direzione giusta”. Prova a scherzare, il ministro dell’Interno, ma fa anche la faccia feroce quando parla del futuro prossimo dell’esecutivo: “Vi do la mia parola d’onore: io starò al governo solo e soltanto se posso fare qualcosa che serve all’Italia e agli italiani. Se uno deve tirare a campare, andavano bene i Monti e i Renzi: noi abbiamo le idee chiare”.
Csm, alta tensione alla Procura generale: Fuzio lascia subito
“Nonostante la vicinanza della gran parte dei magistrati dell’Ufficio, non sussistono le condizioni interne per garantire la piena funzionalità dell’Ufficio della Procura generale nel rispetto dei criteri organizzativi”. Il procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, getta la spugna. Doveva restare in servizio sino al 20 novembre, per permettere al Csm di nominare il suo successore, e invece lascerà il 21 luglio. Fuzio aveva comunicato il 4 luglio al presidente Sergio Mattarella la decisione di andare in anticipo in pensione dopo la pubblicazione dell’intercettazione di un colloquio tra lui e il pm romano Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione e al centro dello scandalo che ha travolto il Csm. Per quella conversazione anche Fuzio è finito sotto inchiesta per rivelazione del segreto d’ufficio, benché sostenga di non aver svelato a Palamara nulla che già non sapesse. La tensione all’interno della Procura generale era alta, di qui la scelta di Fuzio di lasciare. Il procuratore generale peraltro ha promosso l’azione disciplinare nei confronti di tutte le toghe coinvolte nel caso Palamara e chiesto e ottenuto, per quest’ultimo, la sospensione da funzioni e stipendio.
Gli incarichi del re delle tangenti di FI al leghista di Banca Intesa Russia
La Lega non c’è, eppure si vede. Il paradosso appare più concreto di quello che si possa pensare. L’ambito è quello della maxi-inchiesta sulle tangenti in Lombardia. L’indagine se da un lato ha terremotato buona parte di Forza Italia, dall’altro sta ricostruendo a posteriori i legami tra la Lega e Nino Caianiello, il presunto mullah delle mazzette nonché ex coordinatore provinciale di FI a Varese. L’ultimo protagonista sullo scacchiere investigativo è Andrea Mascetti (non indagato), con un passato nel Msi, avvocato d’affari, già nel consiglio federale della Lega, con cariche in Banca Intesa Russia, fondazione Cariplo e Italgas. Nonché citato come persona da contattare nel dialogo del 18 ottobre scorso all’hotel Metropol, quando va in scena l’affare del petrolio e i soldi da rigirare alla Lega. Mascetti ha anche incarichi nelle partecipate, alcune di Gallarate e anche in Regione Lombardia. Viene più volte citato da Caianiello, i due si incontrano in diverse occasioni. Per stessa ammissione di Caianiello, “Mascetti è l’uomo di Giancarlo Giorgetti”, il numero due del Carroccio nonché sottosegretario di Stato, i cui legami politici sono fortemente radicati a Varese. A parlare di questo avvocato, tra i più fidati professionisti di Matteo Salvini, è Laura Bordonaro nel suo ultimo verbale davanti al pm Luigi Furno.
Bordonaro è stata una delle persone più vicine a Nino Caianiello. Già presidente del Cda di Accam, una partecipata del Comune di Gallarate, l’ex manager pubblica con ambizioni politiche (oggi indagata dalla Dda) conosce affari e segreti di molti protagonisti dell’indagine. Su Mascetti mette a verbale: “Finanzia la Lega attraverso alcune sue associazioni, tra queste Terra Insubre”, di cui Mascetti è stato il fondatore. In Procura, la Bordonaro, oltre a chiarire il sistema delle retrocessioni a favore di Caianiello in cambio degli incarichi, disegna per la prima volta il sistema Lega, quello che, come dicevamo, non c’è, eppure si vede. Non c’è perché la Procura non ha individuato condotte penalmente rilevanti. Si vede, perché il sistema emerge dalle carte delle indagini e dai verbali della Bordonaro e di Alberto Bilardo, altro dirigente pubblico di Gallarate vicino a Caianiello. Il “finanziamento alla Lega”, così come spiegato dalla Bordonaro, avrebbe il suo incipit proprio dalla capacità di Mascetti di incamerare consulenze e incarichi. Secondo l’indagata, molti incarichi vengono (allo stato legittimamente) indirizzati verso Mascetti e persone a lui vicine. Da qui, secondo la Bordonaro, il passaggio successivo è quello di finanziare il Carroccio attraverso associazioni che fanno riferimento allo stesso Mascetti. Questo il quadro definito davanti al pm che al momento non valuta ipotesi penali.
L’ex manager racconta poi degli stretti rapporti con Caianiello, mediati da un altro leghista doc, quel Matteo Bianchi già coordinatore provinciale e oggi parlamentare. Bianchi e Caianiello sono in stretto contatto. I due si vedono spesso nel bar-ambulatorio di Gallarate. Bordonaro poi ricorda che fu Caianiello a presentarle Mascetti. I due arrivarono a casa della donna. Con loro anche Matteo Bianchi. In più, viene spiegato nel verbale, Caianiello e Mascetti hanno lavorato insieme per le Amministrative del 2019. Anche Bilardo fa il nome di Mascetti come trait d’union tra la Lega e l’entourage di Caianiello. Lo descrive come persona molto influente e ascoltata dai vertici del Carroccio, Giorgetti su tutti. Il legame con Caianiello è talmente stretto che, secondo Bordonaro e Bilardo, sarà lo stesso Caianiello a caldeggiare la nomina di Mascetti all’interno dell’Odv (Organismo di vigilanza) di una partecipata. Del resto è tanto ascoltato che Caianiello lo informa anche del piano (fallito) per fare avere una consulenza all’ex socio di studio del presidente della Regione Attilio Fontana (l’incarico dato a Luca Marsico costa oggi a Fontana l’accusa di abuso d’ufficio). Ma non c’è solo Mascetti. Tra gli uomini più influenti di Varese c’è Claudio Milanese (non indagato), imprenditore dei rifiuti, amico di Giorgetti. La Bordonaro ricorda che nel 2018 si trovava a Rimini. Quella, secondo la Procura, fu l’occasione per l’ennesimo accordo corruttivo ordito da Caianiello. Mentre erano a tavola, entrò Milanese. Caianiello e altri si alzarano per salutarlo dopodiché si spostarono fuori. Quando lei uscì per presentarsi, il gruppo smise di parlare.