Tiene incollati davanti alle edicole intere generazioni di bambini dal 1954. Figlia del boom economico, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la casa editrice Panini rischia di passare nelle mani degli americani. A dare la notizia è stata la Gazzetta di Modena, città dov’è nata la storia dei fratelli Panini. Giuseppe, Benito, Umberto e Franco. Aprirono prima un chiosco nel ’45 in corso Duomo, poi l’Agenzia distribuzione giornali che gestirono fino al 1988. Giuseppe Panini era un appassionato di enigmistica, inventava cruciverba e il suo pseudonimo era “paladino”. Negli anni ’70, in suo onore, fu creato come testimonial il leggendario “Pipino il paladino”.
Le figurine simbolo del baratto più genuino, tra i banchi di scuola un tempo, ora anche sui social, stanno per essere rilevate da una società statunitense, che ha da poco preso i contatti con i vertici del gruppo per fare un’offerta miliardaria. Oggi il pacchetto azionario è nelle mani dell’amministratore delegato, l’italo-argentino Aldo Hugo Sallustro, e della famiglia bolognese Baroni. L’impero vale un miliardo.
Quella delle figurine è una passione tramandata di padre in figlio. Emblema del made in Italy che ha resistito persino alla rivoluzione digitale, fatturando mediamente 550 milioni di euro l’anno. I bilanci aumentano in concomitanza con i Mondiali e gli Europei. Lo scorso anno, infatti, si stima abbia raggiunto tra i 700 e i 750 milioni di fatturato, 563 nel 2017. Il grande business della Panini era già visibile negli anni della gestione a conduzione familiare, con guadagni sui 100 miliardi di lire. Nel 1988 l’azienda fu rilevata dal Gruppo Maxwell. Quattro anni dopo da Bain Gallo Cuneo e dalla De Agostini. L’oculata gestione la riportò ai fasti iniziali. In seguito la comprò l’americana Marvel, che lasciò la gestione nelle mani degli italiani. Seguì l’operazione finanziaria di Vittorio Merloni e di Aldo Hugo Sallustro. Così la Panini tornò ad essere italiana e, dalla storica sede modenese di viale Emilio Po, il gruppo si espanse in tutto il mondo, vantando filiali in Europa, negli Usa e in Sud America. Leader mondiale nel settore delle figurine adesive e delle trading cards, oggi la società traduce e pubblica in Italia 7mila fumetti, tra cui Topolino e i supereroi Marvel. Produce 6 miliardi di figurine l’anno, 30 collezioni in Italia e 400 nel mondo. Conta oltre mille dipendenti, di cui 450 solo a Modena.
C’è chi ancora cerca la prima edizione dell’album Calciatori, quella in cui in copertina c’era Nils Liedholm, all’epoca centrocampista del Milan, anno 1961. O chi vorrebbe la prima figurina stampata, quella di Bruno Bolchi, capitano dell’Inter, o Mexico 70, il primo album dedicato ai Mondiali, quando in palio c’era l’ultima Coppa Rimet, sostituita nel 1974 dalla Coppa del mondo. Lo sanno bene gli oltre 1,2 milioni di collezionisti. C’è chi sul web è disposto a pagare anche 1500 euro per una figurina, come l’introvabile portiere dell’Atalanta Pizzaballa (1963). La fortuna dell’impero Panini fa gola a tanti e i proprietari un tentativo di cercare acquirenti lo avevano già fatto cinque anni fa, attraverso l’istituto bancario Nomura. All’epoca si fece avanti una società cinese. Ma la trattativa fallì. Gli americani ora sembrano i favoriti, anche perché il cuore dell’azienda non verrebbe mutato. Resterà in quel di Modena, dove il genio dei fratelli Panini prese vita ispirandosi alle figurine parigine, le prime che nel 1861 raffigurarono l’Esposizione Universale.