L’evasione fiscale, che divora ogni anno almeno un quinto delle entrate erariali, viene combattuta dallo Stato con gentilezza e poca persuasione. Tanto che “i livelli di evasione sono rimasti nel corso degli anni particolarmente elevati rispetto a quelli esistenti nei principali Paesi europei, mentre l’effetto generato dalla normativa e dall’azione dell’amministrazione non è ancora riuscito a modificare la condotta di quella parte di contribuenti ove più si concentrano le irregolarità”. Inoltre “le aspettative di future sanatorie, le criticità in cui versa l’amministrazione, le difficoltà esistenti nella riscossione dei crediti pubblici, sono tutti elementi che incidono sul corretto funzionamento del sistema il quale – è bene sottolinearlo – continua a fondarsi sul principio dell’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali”.
A tracciare il quadro, tra l’impietoso e il paradossale, è la Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2018 stesa dai magistrati della Corte dei Conti e presentata nei giorni scorsi. Delle 549 pagine del primo volume della Relazione, 110 sono dedicate a un’analisi dell’attività dell’amministrazione finanziaria, condannata con pochi mezzi a districarsi nell’applicazione di un vero e proprio ginepraio di condoni e di centinaia di regimi speciali che costituisce il corpus del nostro sistema tributario.
La pressione fiscale aumenta ma non per tutti. Nel 2018 le entrate tributarie costituivano l’84,7% degli introiti finali accertati, con un incremento dello 0,4% rispetto al 2017 e un Pil fermo al palo. Tra le imposte principali segnano un incremento l’Irpef (+5,8%) e l’Iva (+4,6%). Al contrario risulta in flessione l’apporto richiesto alle società. L’accertato Ires è, infatti, in calo del 6,4% a seguito del taglio dell’aliquota previsto con una legge del 2015. Più volte in passato la suprema magistratura contabile ha rilevato l’esigenza di una più articolata e coordinata strategia, basata sull’uso intenso della tecnologia per favorire e semplificare l’adempimento e supportare l’azione di controllo dell’amministrazione. Che continua a calare. Il dato di consuntivo del 2018 segna introiti per 5,5 miliardi di euro, in notevole flessione rispetto al risultato degli anni precedenti (-23,8% sui 7,3 miliardi del 2017 e -9% rispetto ai 6,1 miliardi del 2016) nonché da quelli conseguiti nelle annualità 2014 e 2015. La flessione, secondo la Corte, è attribuibile a diversi fattori, tra i quali anche il crescente ricorso all’istituto del ravvedimento operoso, che consente ai contribuenti di emendare le dichiarazioni anche successivamente alla conclusione dei controlli prima della notifica dell’accertamento, beneficiando di significative riduzioni delle somme dovute.
Va considerato, inoltre, che il 2018 è stato caratterizzato dall’attesa per la preannunciata definizione, particolarmente agevolata, dei verbali di constatazione consegnati fino al 24 ottobre 2018. Anche il numero degli accertamenti ordinari (ne sono stati fatti poco meno di 263 mila) risulta in picchiata rispetto all’anno precedente (-11,5%). Dopo la drastica flessione del 2016 (quando il numero degli accertamenti ordinari non aveva raggiunto i 200 mila), ci si allontana nuovamente dai livelli ante 2016 (in media poco più di 310 mila accertamenti all’anno). All’interno di questa tipologia di controlli, gli accertamenti da studi di settore diminuiscono ulteriormente (-28,3%) passando da 2.529 nel 2017 a 1.814 nel 2018. In forte flessione (-19,9%) anche il numero degli accertamenti parziali automatizzati, che passa da 266.443 nel 2017 a 251.907 nel 2018. Sono valori sensibilmente lontani da quelli raggiunti negli anni anteriori al 2016.
I magistrati contabili rinnovano l’auspicio di un’evoluzione degli strumenti a disposizione dell’Agenzia delle Entrate per acquisire e incrociare le informazioni di rilievo fiscale prima della presentazione delle dichiarazioni. Si pensa in primis all’acquisizione dei dati relativi alle fatture, ai corrispettivi e ai flussi finanziari. La loro conoscenza è ritenuta dai magistrati contabili di “rilievo strategico per una effettiva riduzione dei fenomeni evasivi di massa”. Quanto alla maggiore imposta evasa accertata, il risultato del 2018, 17,4 miliardi di euro, risulta in sensibile costante flessione rispetto al quadriennio precedente (negli anni 2014 e 2015 la maggiore imposta aveva superato i 20 miliardi di euro). Anche nel 2018 si rileva l’elevata concentrazione dei controlli effettuati nelle fasce di minore importo: su un totale complessivo di 558.800 controlli, ben 283.338, pari al 50,7% del totale, hanno dato luogo a un recupero (potenziale) di maggiore imposta ricompreso tra 0 e 1.549 euro. Peggiora anche il rapporto tra la frequenza dei controlli sostanziali eseguiti e la numerosità dei contribuenti. Le probabilità di essere sottoposti a un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate continuano a restare praticamente inesistenti: nel 2018 solo il 2,4% del totale dei soggetti considerati ha ricevuto una visita del fisco.