Giovanni Toti ha lanciato definitivamente la sua personale opa su Forza Italia. Ieri il governatore ha presentato il suo programma, che prevede una riforma in 16 punti delle regole statutarie del partito. Il punto più interessante dal punto di vista storico è la definizione del nuovo ruolo di Silvio Berlusconi. Il fondatore, presidente e da sempre padrone del partito viene riempito di cariche simboliche ma di fatto prive di centralità politica: “Il presidente del partito Silvio Berlusconi – si legge nel documento – cui la carta dei valori riconosce il titolo di Fondatore, Presidente a vita e Garante politico del movimento, proclama gli eletti sulla base dei risultati certificati dalle Commissioni”. Il tavolo sulla riforma dello statuto, che coinvolge i principali dirigenti forzisti, si è svolto in clima “collaborativo” – si fa sapere – ma non è riuscito a risolvere le differenze di vedute sul tema delle primarie. Lo stesso Toti si è espresso al riguardo, tirando in ballo un possibile leader del prossimo schieramento moderato, l’imprenditore Urbano Cairo: “Non ho idea se Cairo voglia sul serio scendere in politica – ha detto Toti –. Se così fosse, se si candidasse, sarei felicissimo di sfidarlo alle primarie”.
Il re delle frequenze laziali arruolato da Salvini
C’è una famiglia di piccoli Berlusconi pontini che sta facendo shopping sulle frequenze televisive di mezza Italia. Ironia della sorte, il rampollo è uno dei baluardi di riferimento nella Lega di Salvini del Lazio. Marco Sciscione da Terracina è il responsabile regionale per le Telecomunicazioni del Carroccio, uno molto vicino alla falange romana del partito e ai suoi due uomini di punta: il deputato Francesco Zicchieri e il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon.
Marco è figlio di Giancarlo Sciscione, a sua volta legato a Renata Polverini e alla destra sociale che fino a qualche anno fa era egemone a Roma (con Alemanno) e nel Lazio (con l’ex sindacalista, poi governatrice). Oggi Gianfranco è presidente del consiglio comunale della città pontina.
Gli Sciscione sono attivi – sempre più attivi – nel mercato dell’editoria e delle frequenze televisive (che comprano e rivendono con una certa disinvoltura). Il loro nome è legato al gruppo Gold Tv, che manda in onda una lunga serie di canali nazionali e regionali, a cominciare dall’omonima – e ormai storica – rete romana.
L’impero Sciscione però è in continuo aggiornamento. L’ultimo affare – un “colpaccio” secondo il giudizio benevolo di alcune testate di settore – è l’acquisto di un altro canale televisivo digitale con copertura nazionale: HSE24, una rete dedicata allo shopping e al cosiddetto lifestyle. Un “altro grande colpo degli attivissimi player romani del digitale televisivo terrestre – si legge sul sito specializzato newslinet.it – che hanno colonizzato coi loro prodotti gran parte del blocco 60 del primo arco di numerazione LCN”. Pochi mesi prima, a marzo, gli Sciscione avevano messo le mani anche su Telesubalpina. Per capirci: ora la family è proprietaria di tutte le posizioni dal numero 60 al 65 del digitale terrestre italiano.
Il salto di qualità mediatico del gruppo (guidato da Marco e dal fratello Giovanni) risale però all’estate 2018, con l’acquisto dello storico marchio televisivo (toscano) di Italia 7, salvato dal fallimento con un’offerta da poco meno di un milione di euro. Un’operazione con una doppia regia politica: quella del sottosegretario Durigon e di Giovanni Galli, ex portiere del Milan e candidato di centrodestra nelle elezioni fiorentine del 2009 (che lanciarono l’astro di un certo Matteo Renzi). Nel Pd locale molti si sono preoccupati per l’intervento degli Sciscione, che avrebbe prevedibilmente spostato verso destra l’asse del canale tv.
Marco, quadro locale leghista e editore del gruppo, è amico fraterno di Zicchieri, il deputato leghista cui Salvini di fatto ha affidato il ruolo di plenipotenziario nel Lazio. Zicchieri voleva inserire Sciscione nelle liste delle Europee ma l’operazione è fallita.
Intanto però l’influenza di Sciscione è destinata a crescere: l’impero televisivo del giovane politico laziale è una risorsa preziosa per la Lega. “Il Capitano” qui è sempre più popolare. Lo scorso settembre è venuto a battezzare i salviniani locali nella prima festa regionale del partito, a Latina. Un evento trasmesso anche in televisione, sul canale 63 del digitale terrestre. Indovinate chi sono i proprietari?
Ecco in onda “TeleToti”: tv privata, soldi pubblici
Centocinquantamila euro della Regione alla tv privata dell’ex senatore montiano. Giovanni Toti si butta nell’arena politica nazionale, lancia il suo “L’Italia in crescita” e sotto la lente di ingrandimento dell’opposizione finisce un finanziamento votato dalla maggioranza guidata da Toti alla televisione privata ligure Primocanale; senza un bando di gara o un’indagine di mercato, ma con una procedura di adesione a proposta. Proprio nei giorni in cui la tv privata dedica ampio spazio all’operato del governatore ligure e sul cliccatissimo sito compare una pagina su Toti aperta dal logo del movimento appena inaugurato.
Ecco il punto: “Su Primocanale notiamo una sovraesposizione di Toti”, spiega Andrea Melis, consigliere regionale M5S. E chiede: “La Regione ha appena deliberato un finanziamento importante all’emittente. Non ci sarà certo un collegamento, ma chiediamo al Governatore di fare chiarezza su tutti i passaggi, di fornire tutti gli elementi della vicenda. E di dirci se il suo movimento o lui personalmente abbiano pagato, e quanto, gli spazi offerti dall’emittente. Dobbiamo anche capire se alle altre forze politiche sia offerta la stessa visibilità sulla principale emittente privata ligure”.
Ma partiamo dal finanziamento. Il 14 giugno scorso prende il via “Viaggio in Liguria”, un programma televisivo che si articola in ventotto puntate trasmesse da venticinque comuni della Liguria. In tutto saranno duecento ore che saranno trasmesse da Primocanale, tv privata che fa riferimento a Maurizio Rossi, ex senatore eletto nel 2013 con Scelta Civica per l’Italia. Un imprenditore molto attivo, in tanti in Liguria ricordano la sua cena con invitati sceltissimi e ospite d’onore l’allora premier Matteo Renzi. Una televisione, va detto, che come molti organi di informazione ligure era già stata scelta – ne scrisse il Fatto – per la trasmissione di spot istituzionali (pagati dalle Aziende Sanitarie Locali) da centinaia di migliaia di euro con le passate legislature di centrosinistra. Alla prima puntata – trasmessa dalla centralissima piazza De Ferrari, dove ha sede la Regione – partecipa Toti. Sul camion che accompagna il tour si notano due loghi: Primocanale e la Regione Liguria che hanno coprodotto l’iniziativa.
Il costo complessivo dell’operazione è di 311mila euro, di cui 166mila messi dalla televisione e 150mila arrivati dalla Regione.
Come si è arrivati a individuare proprio Primocanale (emittente leader in Liguria e quindi decisiva nella formazione dell’opinione pubblica)? Come si diceva non c’è stata gara, né indagine di mercato. Si è deciso di adottare una procedura di adesione a proposta. Spiegano gli uffici regionali: “Non è stato presentato nessun altro progetto”. Ma com’è stato possibile investire denaro pubblico per sostenere un’iniziativa privata? “Si tratta – hanno spiegato gli uffici regionali – di un più complesso progetto di promozione istituzionale, valorizzazione del territorio e animazione, rivolta ai residenti ma anche ai turisti”.
L’operazione è stata resa possibile anche dall’iniziativa con cui la maggioranza di centrodestra nel 2017 ha modificato la legge del 1986. A suscitare i dubbi dell’opposizione, come si è detto, non è stato però soltanto il finanziamento. C’è stata anche la copertura offerta al lancio del movimento di Toti. Sulla tv sono stati mandati in onda spazi televisivi dove parlavano i fan del governatore. E c’è poi quella pagina internet aperta da un banner con lo stemma del movimento.
Qualcuno, come Melis, si è chiesto allora se si trattasse di informazione o spazi elettorali a pagamento e, in questo caso, chi li avesse pagati.
Il cronista lo ha chiesto a Toti. Per il governatore rispondono i suoi collaboratori per la comunicazione: “Noi non abbiamo pagato niente. Zero euro”. Rossi conferma: “Da Toti e il suo movimento non abbiamo ricevuto soldi”. Allora perché quegli spazi su tv e sito? “Abbiamo fatto lo stesso per altri, come per la convention di Casaleggio a Ivrea. Faremmo lo stesso per il Pd”.
Le regole di Carfagna: “Primarie Forza Italia, chi vota si iscrive”
“L’idea è quella di collegare la scelta di votare alle primarie con l’adesione al partito: vogliamo trasformare questa fase in un grande dibattito sui contenuti che muova le persone, così da attirare nuovamente chi si è allontanato da Forza Italia, ma anche nuovi potenziali elettori”. Così la coordinatrice nazionale di Forza Italia, Mara Carfagna, al termine della prima riunione del tavolo delle regole. “Deve essere un percorso popolare, coinvolgente e che ascolti e raccolga le esigenze delle persone. In questo modo – aggiunge la vicepresidente della Camera – chi andrà a votare alle primarie si iscriverà convintamente a Forza Italia. Penso che questo modello dia anche valore alle scelte dei moltissimi militanti e dirigenti già iscritti e troppo spesso poco ascoltati dal partito. Rimane la necessità di non limitare il discorso alle regole e ai congressi, perché Forza Italia deve ritornare nel cuore degli italiani. Il percorso di democrazia interna è importante, ma dobbiamo usarlo anche per aggiornare la nostra proposta politica”.
I segreti del “Metropol” con le cimici tra i fiori
I corridoi verde pastello, i muri gialli, le passatoie blu. E le cimici. Nel grande, leggendario Metropol di Mosca, nel luogo esatto in cui la Rivoluzione d’Ottobre scelse di farsi ritrarre e il compagno Lenin di tenere il discorso di insediamento del Soviet, tutto era consegnato alle virtù e ai vizi della storia e delle sue trame che sempre la stringono in un fil di ferro.
Lenin, com’è noto, parlò sul palco della sala delle colazioni, dove oggi un’arpista rivela il suo talento ai soggiornanti: siano essi turisti, uomini d’affari o spie (e comunque, per questa notte: camera doppia standard a 221 euro, c’è ancora disponibilità). Non abbiamo la certezza che Gianluca Savoini abbia letto Bulgakov, che del Metropol parla nel Maestro e Margherita, né sappiamo quali suggestioni abbia provato, nel caso le abbia provate, scorrendo Il Dottor Zivago zeppo di allusioni all’enorme e storico edificio moscovita. Avesse voluto restringere l’orizzonte letterario e rifarsi ai racconti più recenti avrebbe ricordato Mauro Della Porta Raffo, per di più lombardo di Varese, che riferì come la signora chiamata a sorvegliare la buona salute delle piante in vaso che segnano il perimetro della hall, dei corridoi e di ogni altro anfratto del 5 stelle, a voce alta ogni sera ammoniva le cameriere: “Non annaffiate i fiori altrimenti i microfoni si rovinano”. Noi non sappiamo se la custode delle cimici sia ancora in servizio, e purtroppo non possiamo garantire se esse abbiano davvero contribuito, sotto l’ombrello di ortensie meravigliose o gerani putiniani, al corredo vocale della storia contemporanea.
Per gli scettici è previsto un tour domenicale di due ore, a pagamento perché la Russia affronta la modernità grazie ai rubli e su di essa fonda le sue credenziali, che permette di visitare ogni cosa, anche l’ascensore tutto vetri, il primo di Mosca, e infine terminare con un gustosissimo brunch. Anche i turisti, gli uomini d’affari e gli eventuali spioni hanno goduto e godono del grande talento dello chef di casa: al Metropol si mangia benissimo, blinis e caviale, borsh e pesce.
La coniugazione di un lusso sempre sorvegliato e comunque piuttosto vistoso con la centralità della posizione, che apre alla piazza della Rivoluzione e ha di fianco il Bolshoj, hanno destinato l’albergo a testimone dei passaggi più delicati della politica internazionale. Nella sala Boyarsky Mao Zedong ha sottoscritto il primo trattato commerciale tra Cina e l’Urss, nelle suite hanno dormito Mitterand e Obama, e anche Lenin e pure Stalin.
I grandi e i grandissimi. Ed è probabile che Matteo Salvini abbia soggiornato lì nelle varie escursioni moscovite, con colbacco o senza. C’è un Salvini junior e uno senior, ma sempre con Savoini a fare da apripista, legatissimo all’idea che con Putin bisogna trattare affari, che la Padania ha con la Russia una particolare vocazione alla fatturazione milionaria da difendere. Savoini è un habitué del Metropol, e da habitué doveva tenere presente che l’unica controindicazione, la sola vera uscita di sicurezza fosse quella di parlare il meno possibile, o di interloquire con rispettosa vaghezza deviando l’argine del discorso verso destinazioni innocue.
Gli avremmo suggerito di parlare del lago di Varese, di attardarsi sulla capacità dei pescatori, guidati per anni dal padre di Giancarlo Giorgetti, di raccogliere dalle acque una quantità enorme di pesce gatto, pietanza prelibata per i senegalesi con la cui comunità si è instaurato un bel rapporto mercantile. Savoini avrebbe così girato al largo dalle questioni più politicamente scabrose illustrando, in un innocente quadro di cronaca parallela, la capacità leghista di fare affari senza guardare al colore della pelle, figurarsi al resto.
La Casellati assolve la Lega “Soldi russi? Pettegolezzi”
Non c’è tempo “per i pettegolezzi”. La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati liquida così le polemiche sull’inchiesta per corruzione internazionale in cui è coinvolta la Lega. Neanche le ultime novità rivelate da Buzzfeed meritano, secondo la Casellati, un chiarimento di Matteo Salvini in Aula. E così ieri la seduta al Senato è diventata motivo di scontro tra la presidente e i parlamentari Pd, che ora la accusano di “non essere super partes” e di avere un comportamento “oltre la decenza”.
A innescare la lite è il dem Alan Ferrari, che ricorda l’esistenza di tre interrogazioni riguardo ai rapporti tra la Lega e la Russia e la necessità di pretendere notizie in Senato da Salvini: “Qual è il perimetro dell’attività dei partiti politici alla luce di fatti così gravi? Abbiamo o no il diritto di chiedere la posizione politica del Governo su questo?”.
Nessuna delle interrogazioni, però, è stata finora ammessa. E non lo sarà neanche in futuro: “Il Senato non può essere il luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici”, chiosa la Casellati tra gli applausi, oltre che dei leghisti, dei senatori del Movimento 5 Stelle. Ma è per altro la stessa presidente ad ammettere una certa difficoltà a restare neutrale: “Per cortesia. Io ho lasciato parlare pur non condividendo nulla di quel che ha detto il senatore Ferrari”. Parole anomale per chi guida la seduta e che danno spago allo sfogo dei senatori Pd: “L’impressione – attacca Andrea Marcucci – è che la presidente ci voglia impedire di parlare, di approfondire su quello che un partito di maggioranza e il partito del vicepremier sta combinando, anche con rilevanza penale”.
E ancora: “Questo è il luogo della democrazia, della trasparenze, dell’informazione e della discussione”. La Casellati, però, non cambia idea. Tanto che nella replica ai dem minimizza: “È inammissibile che noi possiamo ridurre questa assemblea alta a discorsi che emergono da cosiddette inchieste giornalistiche. Qui non siamo in un luogo dove possiamo discutere liberamente di questioni che non hanno nessun fondamento probatorio. Qui dobbiamo parlare di fatti che abbiano una giustificazione”. E non, quindi, dell’inchiesta sulla Lega e della posizione del ministro dell’Interno rispetto a Gianluca Savoini, intercettato in un hotel di Mosca mentre trattava con interlocutori russi: “Quando i fatti avranno una rilevanza penale – taglia corto la Casellati – saranno discussi, punto”. E pensare che proprio la Casellati era senatrice di Forza Italia quando, nel 2011, il Senato si occupò di ben altri “pettegolezzi” e il suo gruppo votò per confermare la versione di Silvio Berlusconi, secondo cui il Cav aveva fatto liberare Ruby dalla Questura di Milano perché la credeva nipote di Mubarak. Circostanze di cui per altro la Casellati dava conto in alcune apparizioni in tv.
Ma mentre la presidente oggi parla di “interrogazioni inammissibili” che contengono “supposizioni”, il centrosinistra lamenta un utilizzo fazioso del Senato. Marcucci è furioso: “La gestione Casellati è di parte. Se Salvini non ha niente da nascondere venga a riferire, impedirlo è un comportamento oltre la decenza”.
E a proposito di trasparenza, il M5S rilancia l’idea di una commissione parlamentare: “Votiamo sì a una commissione d’inchiesta sui finanziamenti a tutti i partiti, associazioni e fondazioni collegate”. Intanto però ci pensa il centrodestra a andare in soccorso della Casellati. Da Forza Italia Maurizio Gasparri cita le nuove norme “più stringenti” relative all’ammissibilità delle interrogazioni: “È incredibile la mancanza di memoria e la strumentalità degli esponenti del Pd”. E così anche Ignazio La Russa di FdI: “Il comportamento del presidente non solo è sempre stato aderente al regolamento, ma anche coerente con tutti i partiti”.
“Le parole del leghista mettono l’incolumità di Rackete a rischio”
“Il discorso d’odio di Salvini è pericoloso perché espone concretamente questa giovane donna a un rischio per la propria incolumità e al rischio di una esacerbazione e replica continua di messaggi diffamatori nei suoi confronti”. Così l’avvocato Salvo Tesoriero, legale della ong Sea Watch, in merito alla denuncia contro il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che sarà presentata oggi in procura a Roma dai legali della capitana Carola Rackete. La comandante della nave Sea Watch 3 accusa il ministro dell’Interno di “diffamazione e istigazione a delinquere” e chiede che gli account social del leader della Lega vengano sequestrati per “istigazione all’odio”. Accuse e richieste che il vicepremier rispedisce al mittente: “La comunista tedesca ha chiesto alla Procura di chiudere le mie pagine Facebook e Twitter. Non c’è limite al ridicolo. Quindi posso usare solo Instagram?”. La difesa della capitana punta il dito contro affermazioni come “sbruffoncella”, “fuorilegge”, “delinquente”, autrice di un atto “criminale”, “complice dei trafficanti di esseri umani”. Espressioni che, scrive Rackete nella denuncia, “veicolano sentimenti viscerali di odio, denigrazione, delegittimazione e persino di deumanizzazione”.
Bossi vende la villa di Gemonio, simbolo degli anni con B.
Il fondatoredella Lega Nord Umberto Bossi ha messo in vendita la sua villa di Gemonio (in provincia di Varese), per anni sede delle riunioni di partito e teatro dei vertici con gli alleati del governo Berlusconi. L’abitazione, in stile Liberty, è disposta su quattro livelli e ha una piscina con vista panoramica sulle montagne.
All’interno un camino del Settecento, cinque camere, quattro bagni e una grande veranda, per un totale di 400 metri quadri. Il prezzo fissato è di 430 mila euro, già scontato del 10 per cento rispetto alla richiesta iniziale di 480 mila euro. “La storica e rinomata villa di inizio ‘900 – si legge nell’annuncio – si pone in un contesto tranquillo elegante e caratterizzato da ampie aree di verde pubblico e privato”. La villa è oggi in vendita su un noto portale immobiliare con l’intermediazione dell’agenzia Sognocasa di Caronno Pertusella. Il Senatur aveva acquistato la residenza alla fine degli anni 80 e ne aveva affidato il restauro all’architetto Giuseppe Leoni, personaggio a sua volta legato alla prima Lega.
Le interviste contraddittorie: “Si è parlato soltanto di affari”. “Si è discusso di politica”
Se la sua linea difensiva fosse a mezzo stampa, allora dovrebbe iniziare a preoccuparsi sul serio. Sui giornali in edicola ieri Gianluca Savoini, il lobbista salviniano con la passione per la Russia, dà infatti la sua versione a colleghi di redazioni diverse, cercando a fatica di mantenere un denominatore comune nelle risposte. Il risultato, però, non è granché. Almeno per lui. È facile accorgersene mettendo vicine le varie dichiarazioni: Savoini finisce per contraddirsi anche sulle domande più semplici. Di sicuro mischia le carte. Su Repubblica, per esempio, gli chiedono se riconosca la sua voce, se è davvero lui quello che parla nell’intercettazione audio diffusa dal sito americano Buzzfeed. Risposta: “E io che ne so, chi se lo ricorda? Guardi che oggi non ci vuole molto a manomettere un file, a manomettere la voce”. Dunque non ricorda, ma più probabilmente non è lui: “È malafede, una porcheria”. Eppure, sempre Savoini, sulla Stampa dimostra invece di ricordare piuttosto bene: “Ero con persone che avevo incontrato poche ore prima al convegno organizzato dalla Confindustria alla quale era presente anche Matteo Salvini”. Lo stesso convegno che però, sul Corriere della Sera, Savoini dice esserci stato “il giorno prima”, tanto è vero che poi era andato “a dormire al Metropole”.
Passi la confusione sulle date, ma restano buchi enormi sulla narrazione dei fatti. Sul Messaggero, invece, Savoini ha incredibilmente di nuovo la memoria, persino sui temi al centro dell’incontro: “Si è parlato solo di affari. Mi imbatto in alcuni imprenditori italiani e russi e cominciamo a parlare di petrolio, di depuratori, di vigne in Toscana e in Piemonte che alcuni russi sarebbero intenzionati a comprare. La politica non c’entra un bel niente”. Forse. Perché poi, colpo di scena, sulla Stampa Savoini conferma che di politica si è parlato eccome.
Domanda: “Nella registrazione – quella che su Repubblica Savoini sospettava esser stata manomessa, ndr – lei esalta Salvini come il Trump italiano, dice che i movimenti sovranisti cambieranno l’Europa. Insomma, cerca di convincere i suoi interlocutori russi a puntare sul leader leghista…”. Risposta: “E allora? Sì, ho espresso giudizi politici su Salvini. Quindi? è un reato?”. No, ma di certo è una contraddizione.
E ancora, sempre sulla Stampa: “Appena uno parla bene della Lega ed esalta il ruolo di Salvini anche a livello europeo viene messo alla gogna”. Ricapitolando: sul Messaggero “si è parlato solo di affari”, sulla Stampa l’argomento è invece il Salvini grande statista europeo, anche perché – come si apprende dalla stessa intervista – Savoini sostiene che “gli imprenditori parlavano di affari, facevano previsioni, citavano percentuali”, ma queste sono tutte cose di cui lui “non capisce nulla”. Altro che vigne in Toscana.
Ed ecco che all’improvviso, sempre sulla Stampa, Savoini cambia versione: questa volta si trovava a Mosca “per incontrare persone legate ai musei”, che “volevano organizzare una mostra di quadri”, attività in comune “tra il Bolshoi e la Scala di Milano”.
Dunque nessun riferimento a Eni e a Banca Intesa, pare. Figurarsi, solo cultura. Di altissimo livello. Poi però su Repubblica è lo stesso Gianluca Savoini a confermare che i suoi interlocutori gli hanno domandato di Andrea Mascetti, legato proprio a Intesa: “Mi hanno chiesto se lo conoscevo e ho risposto di sì”. Alla faccia dell’audio tarocco e di Savoini che non riconosce la sua voce.
“Luca e Francesco? Non so nulla”: Salvini al buio. Da 4 mesi
Il ministro Salvini non era a conoscenza di quell’incontro, né sa chi siano gli altri interlocutori seduti a quel tavolo di cui ha letto i nomi nelle trascrizioni (tali Luca e Francesco). In ogni caso nessuno ha parlato a nome e per conto di Salvini”. È questa la risposta che il ministro dell’Interno, nonché vicepremier, nonché segretario della Lega Matteo Salvini, ha dato al Fatto attraverso il suo staff della comunicazione. Il vicepremier quindi nulla sapeva, e nulla sa, del dialogo già anticipato dall’Espresso, il 21 febbraio scorso, poi divulgato in formato audio dal sito Buzzfeed due giorni fa. Riepiloghiamo: il 18 ottobre 2018 un suo fedelissimo, Gianluca Savoini, in compagnia di due uomini, tali “Luca” e “Francesco”, avrebbe trattato con alcuni russi per far arrivare milioni di dollari al Carroccio. Il tutto attraverso un affare sul petrolio che avrebbe potuto coinvolgere banche austriache e porti olandesi.
Il dialogo avviene a Mosca, il 18 ottobre 2018, nell’hotel Metropol, proprio mentre Salvini è in Russia. Il giorno prima ha partecipato al convegno di Confindustria Russia esordendo, peraltro, con le seguenti lungimiranti parole: “Ci troviamo in un albergo a ragionare di un’assurdità: ogni volta che torno in Italia, sappiatelo, c’è qualche giornale che si diletta a scrivere che Salvini va in Russia perché i russi lo pagano”.
Salvini evidentemente non immagina che il suo fido Savoini – il quale, in maniera altrettanto evidente, non deve averlo informato – in poco meno di 24 ore si troverà seduto nella hall dell’hotel Metropol; che s’intratterrà con due russi e due italiani, tali “Luca” e “Francesco” appunto, per discutere di milioni di euro che sarebbero giunti attraverso una partita di giro legata al petrolio.
Può capitare. Anche il più fedele della cerchia può essere pronto a nascondere qualcosa.
Quel che non dovrebbe capitare, però, è di ricevere la risposta che Salvini affida al suo staff.
La Procura di Milano, sulla vicenda – già a partire dall’inchiesta dell’Espresso e con più vigore dopo la pubblicazione degli audio di Buzzfeed – ha aperto un fascicolo per corruzione internazionale. Di un indagato sappiamo il nome: è proprio il fido Gianluca Savoini. Gli altri due – per quel che risulta al Fatto – non sono ancora ufficialmente identificati. Restano i “tali” e al momento ignoti “Luca” e “Francesco”.
In qualità di ministro dell’Interno, Salvini avrebbe potuto farsi dire chi sono, magari dal suo stesso fido Savoini. Dimostrando al Paese che lui personalmente, e il dicastero che rappresenta, dinanzi a questioni così delicate, non aspetta un minuto a fare la sua parte. Magari depositando i due nomi in procura.
In qualità di segretario della Lega – proprio perché, come tiene a precisare, nessuno dei presenti a quell’incontro era titolato a parlare per il Carroccio – avrebbe potuto farsi dire i nomi e chiarire che nulla hanno a che vedere con il suo partito e i suoi elettori. E non da ieri, avrebbe potuto farlo. Ma sin dal febbraio scorso, quando l’Espresso ha pubblicato il suo scoop.
Invece il ministro dell’Interno e segretario della Lega, in circa 5 mesi, è riuscito a non sapere nulla. E allora i casi sono due.
Il primo: non è in grado di controllare gente che, a partire dal fido Savoini, gli crea grattacapi tali da far partire un’inchiesta per corruzione internazionale. Il secondo: non ha sentito la benché minima curiosità e non s’è proprio informato.
Poiché escludiamo che abbia mentito, nella sua risposta al Fatto, non restano che le due ipotesi precedenti: nessuna delle due ci restituisce l’immagine di un leader all’altezza del ruolo politico e istituzionale che riveste. Ma è ancora in tempo: potrebbe informarsi, se è in grado di farlo, e poi rivelare pubblicamente i nomi di “Luca” e “Francesco”.
Nel frattempo non resta che verificare le voci. Come quella che il “Luca” in questione sia Luca Morisi, per esempio, ovvero l’uomo che sta dietro la macchina della comunicazione leghista. “Non sono io”, risponde Morisi interpellato dal Fatto, “non ero a Mosca, né in questo hotel, né altrove”. Ne prendiamo atto e non abbiamo motivo di dubitarne. Tra gli uomini vicini a Salvini, che secondo alcuni, avrebbe potuto sapere qualcosa di questa vicenda, c’è l’europarlamentare Massimo Casanova, imprenditore e proprietario del Papeete Beach, spiaggia di Milano Marittima. Casanova era presente in Russia in quei giorni: “Sono andato a Mosca a titolo personale, come imprenditore – è la risposta che ci fa pervenire – per partecipare a un convegno di Confindustria insieme con 300 o 400 imprenditori. Ci sono andato ovviamente a mie spese. Ma non ho preso parte, né ero assolutamente a conoscenza, dell’incontro riportato dai giornali in questi giorni”.