Prati e Caltagirone finalmente sposi: sì, ma soltanto in una canzone

Rassegniamoci: alla fascinazione per il monstrum non v’è mai fine. Vale per il caso “Pratiful” ciò che vale per ogni cosa in natura secondo Antoine-Laurent de Lavoisier: “Niente si crea o si distrugge, tutto si trasforma”. In virtù del tal postulato del chimico e biologo francese, il feuilletton che vede protagoniste Pamela Prati, Pamela Perricciolo ed Eliana Michelazzo muta forma.

Secondo le accreditate ricostruzioni finora documentate, la trama è presto detta: le tre donne avrebbero, ripetiamo “avrebbero” – il condizionale è d’obbligo, con tutte le minacce di querele che son volate a ogni apparizione – inscenato un presunto matrimonio della Prati con un inesistente e aitante uomo d’affari che risponderebbe al nome di Mark Caltagirone.

Dopo aver già tenuto incollati milioni di telespettatori con trasmissioni, interviste esclusive, testimonianze shock, confessioni lacrimose e attesissime telefonate in diretta, la vicenda diventa una canzone in uscita oggi: Buona Primavera (che deve il suo titolo al primo messaggio che la Prati sostiene di aver mandato a Mark, da dove poi ebbe inizio la loro relazione pericolosa). Il singolo è nato dalla collaborazione del sito di gossip Trash Italiano e Nuvole e Sole Produzioni. A cantarlo, una misteriosa vocalist Pàmela (nomen omen) affiancata da Elenoir Ferruzzi (icona GLBT: quella della Gif “Cattiva” e delle borse Carpisa).

Il commento? Prendiamo in prestito una delle boutade più celebri della roboante opinionista di Uomini e donne Tina Cipollari, che ha l’abitudine di uscire dallo studio della trasmissione al grido di “Business! Business! Business!”.

Mister Lonely Planet: “Più viaggi, meno figli. Così la Terra è salva”

Tony Wheeler ricorda bene il coltello puntato per rubargli lo zaino, nelle periferie di Bogotà in Colombia. O il frastuono della bomba esplosa a Belfast, Irlanda, nel 1979, mentre passeggiava senza meta. Rammenta pure la canna di una pistola, quella però non era rivolta a lui. Del resto, nel 2006 soggiornò piacevolmente in Iraq, mentre gli americani tentavano di pacificare con le armi un territorio bandito a tutti i turisti del mondo. Capita, se la tua professione è viaggiare.

Wheeler, americano di Detroit, è il fondatore di Lonely Planet, la guida turistica più famosa del mondo. Gli imprevisti però non gli hanno tolto il gusto della scoperta: Perché viaggiamo, in difesa di un atto vitale (edito da Edt) è l’appassionato elogio di un gesto connaturato all’animo umano. Non è una guida, il libro non contiene mappe e consigli pratici, ma è la riflessione sul senso profondo del viaggio e sui suoi effetti collaterali. Del resto, scrive Wheeler, “viaggi e turismo sono diventati la singola componente più ingente dell’economia mondiale, quasi il dieci per cento del Pil: un lavoratore su 12 nel mondo è collegato ai viaggi”.

Costi e benefici. Viaggiare fa bene alla Terra? Insomma, il primo problema sono le conseguenze indesiderate sull’ambiente. Più si viaggia più si inquina: innanzitutto spariranno paradisi costieri amati dai turisti, sommersi dall’innalzamento delle acque. Prendiamo ad esempio Dubai, negli Emirati Arabi. Sostiene Wheeler: “È una buona idea consumare energia per raffreddare artificialmente la sabbia rovente delle spiagge, sotto i delicati piedi dei visitatori, o per allestire una pista da sci al coperto quando la temperatura esterna è a 40 gradi?”. Non bastasse, lì spendono anche miliardi per realizzare isole artificiali a due metri sul livello del mare: quanto dureranno con il cambiamento climatico?

Destino ingrato anche per l’arcipelago della Maldive, nell’Oceano Indiano, rasente il livello dell’acqua. Eppure, in quei lidi, nessun timore per il riscaldamento globale: “Molte località dipendono ancora totalmente da elettricità prodotta da generatori alimentati da motori diesel”. C’è il risvolto della medaglia: il turismo porta denaro, e il benessere conduce al calo della natalità. Meno figli, meno inquinamento, ricorda Wheeler, che cita il caso esemplare del Kenya: il boom dei visitatori ha messo le ali all’economia e la media dei figli, per donna, è scesa da 8 (nel 1970) ai 4 di oggi. Qualcuno aggiungerebbe: meno prole, meno tasse nelle casse pubbliche, meno servizi per i cittadini. Ma il tema, di sicuro, non tocca i turisti.

Wheeler ne è sicuro: viaggiare fa bene, a chi parte e soprattutto a chi accoglie. “Il Paese che ospita diventa più ricco e sperabilmente più saggio”. Magari fosse un’equazione: l’Italia conta 60 milioni di abitanti e 50 milioni di turisti l’anno; di saggezza, non se ne vede molta. In compenso, qualcuno mette in dubbio i benefici del turismo. Soprattutto a Venezia. Wheeler ha la sua idea: “Un peccato se venisse trasformata in una Disneyland del mondo reale, ma se non la tenessero in vita i turisti, l’Italia certamente non lo farebbe. Non mi preoccupa l’idea che alcuni luoghi rischino di morire soffocati dall’amore”. Eppure, i residenti fuggono sommersi dai crocieristi. Si capisce: i prezzi sono alti e gli affitti delle abitazioni alle stelle, sospinti dai portafogli dei turisti.

È l’effetto presepe: mete di viaggi da sogno, un incubo viverci. Venezia non è l’unica località minacciata degli eccessi del turismo. Wheeler include Barcellona e Amsterdam. Però non teme che le culture locali possano soccombere: “La Francia ospita 80 milioni di visitatori l’anno, qualcuno dubita che la cultura francese non sia più forte che mai?”.

Tutti gli uomini di Lou, la famelica Salomé russa

Tre uomini, per lei, tentarono il suicidio: due ci morirono; il terzo no, e diventò suo marito. Lou von Salomé fu la più edotta sciupauomini del XIX secolo, famelica allumeuse di artisti e intellettuali, regina delle gattemorte nella scintillante Mitteleuropa.

Precocissima, fulminante fu la sua carriera di seduttrice seriale: nata nel 1861 sotto il segno dell’Acquario, in una famiglia di nobili russi di origini baltiche, Lou intortò per primo il suo precettore, Hendrik Gillot, rigido pastore evangelico, disposto a rompere il suo matrimonio pur di ottenere la mano dell’allieva. Ma niente: lei si negò, inaugurando una lunga serie di due di picche, cuori infranti, spasimanti sull’orlo di una crisi di nervi. Agli uomini (si) concedeva poco, tenendosi ben stretta la propria verginità: la perse a 36 anni, probabilmente con Rainer Maria Rilke, che aveva 14 anni meno di lei. Prima del poeta, però, aveva già fatto strage in mezzo continente.

Il suo talento per i triangoli amorosi – geometrico, precisissimo – si rivelò a poco più di vent’anni, nella Roma salottiera del 1882, in cui fu introdotta dalla scrittrice Malwida von Meysenbug, che la presentò a Paul Rée e Friedrich Nietzsche, amici e filosofi. E l’amore sbocciò, con l’uno e con l’altro, alternativamente in una santissima “Trinità”. Fu un amore platonico, si capisce: niente sesso, solo elucubrazioni. Il primo a essere scaricato fu proprio Nietzsche, che per lei spese parole lusinghiere – “Una fanciulla molto singolare… acuta come un’aquila e coraggiosa come un leone” –, salvo poi ricredersi, una volta cornuto e scornato (si era anche proposto di sposarla): “È una scimmietta magra, sporca e nauseabonda, con quel seno inesistente e quell’atrofia sessuale”, appuntò furibondo mentre abbozzava Così parlò Zarathustra. Con Rée la liaison durò di più, quasi un lustro di peregrinazioni e fughe e tormenti in mezza Europa: anch’egli le chiese la mano, ottenendo in cambio un secco diniego. Si lasciarono, lui fu ritrovato – cadavere – nel 1901, annegato nel fiume Inn, in Svizzera: un suicidio forse per amore di Lou.

Nel 1886, mentre finiva l’amore con Paul iniziava quello con Friedrich, non Nietzsche, ma Carl Andreas, un orientalista tedesco, l’unico che, dopo un tentato suicidio (sempre per amore di lei), riuscì a portarla all’altare, trasformandola in Lou Andreas-Salomé: “Un Faust in gonnella, poco interessata a gingillarsi con parole vuote. Quello che voleva era scoprire la forza nascosta che regge il mondo e ne guida la corsa: conoscerla, farla propria, amarla”, così la descrisse il marito nel libro My sister, my spose.

Pur longevo e finché morte non li separò, anche il matrimonio non fu mai consumato; la donna aveva altro per la testa: viaggiare e flirtare. La sua più famosa passione da adultera fu per il poeta Rainer Maria Rilke, un giovane toy-boy 21enne per lei già 36enne: si conobbero in vacanza a Wolfratshausen, in Baviera, nel 1897, e rimasero insieme per quattro anni, viaggiando molto, amoreggiando anche. Fin carnalmente. Dopodiché le déluge: “Fosti il sublime che mi ha benedetto. E diventasti l’abisso che mi ha inghiottito”, scrisse lui nel 1910. Perse la donna, ma almeno ritrovò la poesia. Lei, invece, perse solo la verginità. O forse no: l’altro principale indiziato della deflorazione è Friedrich (il terzo della storia) Pineles, medico viennese, con il quale Lou avviò una relazione intermittente, as usual, concedendo però le proprie grazie. I due si lasciarono proprio per un incidente di percorso, quando, nel 1902, lei abortì accidentalmente dopo essere rimasta incinta.

Donna di fascino, Salomé non fu solo mantide, ma anche raffinata intellettuale: istruita, ciarliera, mondana, ispirò molti artisti e scrittori del tempo. Soltanto il vecchio Lev Tolstoj la trattò con indifferenza e scarso ardore; viceversa incantato fu il lubrico drammaturgo tedesco Frank Wedekind, l’ennesimo lumacone, rifiutato dopo le sue esplicite avance in una camera d’albergo: con un pizzico di malizia, il teatrante si vendicò con Lulù, la tragedia di una femme fatale spregiudicata e libertina. La vera Lou, però, occultò sempre, scientemente, il suo temperamento lascivo e la sua doppia vita di lesbica occasionale e festini da una notte e via, “la migliore cosa del mondo, che procura soddisfazioni divine e ci rigenera ogni volta”. Salomé teneva troppo alla propria immagine di donna altera e algida, nobile e fredda, e a letto ritrosetta; la reputazione era tutto per lei: a parte i succitati, i suoi spasimanti furono perlopiù uomini mediocri o sconosciuti, abilmente sottaciuti poiché la signora se ne “vergognava”. Tra i meno noti fidanzati ci furono il filosofo Hermann Ebbinghaus, il sociologo Ferdinand Tönnies e lo psichiatra Viktor Tausk, un altro che morì suicida anche per motivi sentimentali, anche per colpa di Salomé. Conobbe Tausk durante gli studi di psicoanalisi, lei che riuscì persino a diventare pupilla di Sigmund Freud: il maestro rimase folgorato dall’allieva, omaggiata con l’anello d’oro destinato ai discepoli prediletti. Lei lo stuzzicava: “Immorale come sono, ricavo sempre il massimo piacere dai miei peccati”. Ma il dottore non ci cascò del tutto: “L’amavo molto ma, stranamente, senza un’ombra di attrazione sessuale”.

Lou nel frattempo diventò psicoanalista, non disdegnando nemmeno la scrittura: tra le sue opere, alcune – come Erotica e L’umano come donna – diventarono bestseller dell’epoca; altre furono importanti da un punto di vista storiografico, più che letterario (vedi la biografia dell’ex sodale Nietzsche). Nonostante la nutritissima collezione di morosi, Salomé restò insieme solo con uno: suo marito, al cui fianco morì nel 1937, poco prima di compiere 76 anni sotto il segno dell’Acquario: “Sono eternamente fedele ai ricordi, non agli uomini”. Ma – che beffa – è proprio per questi, gli uomini, che verrà ricordata.

Cartoline da Pompei: benvenuti in Italia

Sherlock per la sua prima investigazione è stato a Pompei. Da domenica, ogni giorno in edicola una puntata del viaggio: oggi, la sua lente è sul degrado.

 

“Sia risparmiata violenza cieca e brutale che minaccia di distruggere Pompei, monumento sacro dell’umanità civile”, scriveva il Soprintendente di Pompei Amedeo Maiuri, all’alba del 25 agosto 1943, dopo i primi bombardamenti delle forze alleate sulla città. Ma non esistono solo le bombe a distruggere la bellezza di Pompei. Basta farsi un giro, come ha fatto il nostro fotografo Giovanni Izzo, per la città dei morti.

P.S. La prima grande scoperta di Maiuri, appena insediato, fu un grande bronzo risalente ai più puri modelli dell’arte attica del V sec. a.C.. Il bronzo si trovava lontano dal triclinium, avvolto in panni, segno che qualcuno, con amore, aveva pensato di metterlo al riparo da possibili danni. Cosa direbbe oggi Maiuri?

“Morabito è stato aiutato dalle guardie per l’evasione”

A 17 giorni dalla fuga del boss della ’ndrangheta dal carcere centrale di Montevideo, le autorità uruguaiane hanno ammesso che di fatto le indagini finora svolte non hanno dato risultati. Lo riferisce La Red21 di Montevideo. Rispondendo a domande di parlamentari, il ministro dell’Interno uruguaiano Eduardo Bonomi ha indicato che “si presume che la fuga di Morabito abbia avuto un carattere doloso”, nel senso che vi può essere stata complicità da parte del personale carcerario, che è stato sottoposto “a varie procedure amministrative”. Il boss calabrese della cocaina, che era in attesa di estradizione in Italia, è fuggito dalla sua cella intorno alla mezzanotte del 23 giugno insieme a tre altri reclusi, catturati dalla polizia nei giorni successivi. Di Morabito, invece, si sono perse completamente le tracce e non si esclude che possa essersi trasferito nel vicino Brasile. Bonomi si è presentato ieri insieme al capo della polizia nazionale, Mario Layera, davanti alla Commissione di sicurezza del Senato per rispondere a domande sulla fuga e sullo stato delle indagini. L’unico elemento emerso durante questa riunione è che gli inquirenti seguono la pista della partecipazione di personale del carcere nell’evasione.

La Famiglia: la rivolta di figlie e mogli dei boss

Il marito di A. era uno dei tanti predestinati della ’ndrangheta. Il nonno era stato capocrimine, aveva infatti ottenuto, nella sua lunga carriera, i massimi gradi previsti dall’organizzazione criminale calabrese. Ancora minorenne, il marito di Alba ebbe modo di farsi notare, svolgendo con grande devozione e determinazione attività d’intimidazione, “recupero crediti” legati al pizzo e allo spaccio. Quando capí che la droga era l’attività piú redditizia, riuscí a conquistare una fetta di mercato non indifferente. Il suo giro, fra Australia, Germania e Italia, gli ha fatto guadagnare tanti soldi e tanto onore agli occhi dell’intera “Società”. Quando mensilmente arrivava il rifornimento, lo nascondeva per brevi periodi in un appartamento intestato ad Alba.

È anche per questo che la signora A. è stata arrestata, però non sa quanti chili di stupefacenti muoveva il marito e neanche a quanto ammontava il fatturato annuo. Il suo ruolo di donna, in una famiglia di ’ndrangheta, è gradualmente cambiato con il tempo e con le esigenze della “famiglia”.

Orfana di madre sin da piccola, Alba è cresciuta con il padre, un contadino innamorato della sua terra e asservito alle logiche mafiose locali. Il fratello, di un paio d’anni piú grande, non ha mai voluto seguire le orme del padre, intenzionato sin da giovanissimo a fare il businessman. I soldi gli sono sempre piaciuti, macchinone, bella vita. Un tipo eccentrico: quando cominciò a farsi strada nel crimine, i vertici decisero che sarebbe stato meglio se si fosse trasferito altrove, meglio all’estero, dove avrebbe potuto curare i loro interessi e allo stesso tempo avrebbe evitato di mettersi in mostra in un ambiente nel quale si preferisce un profilo basso, proprio per evitare le attenzioni delle forze dell’ordine.

Da giovane sposina a mamma, a criminale, il passo di A. è stato brevissimo. L’intestazione di quell’appartamento nel quale il marito nascondeva la droga le sta costando un processo e Alba ritiene sia un prezzo troppo alto da pagare. Spiega che il tutto è avvenuto senza il suo esplicito benestare, che certe decisioni ti cascano addosso senza avere la possibilità di dire la tua, e ribadisce la sua totale estraneità al traffico di stupefacenti. In sede d’interrogatorio le viene ricordato che in quell’appartamento è stata sequestrata una significativa partita di droga. Se non bastasse, ci sono anche le intercettazioni, dalle quali si apprende, dalla viva voce di A., a chi e quanto bisognava dare dei soldi raccolti col pizzo. Alba rifiuta l’accusa e si difende ribadendo di non aver mai saputo che il marito usasse quella casa a lei intestata per nascondere qualche partita di droga. Di certo non erano confidenze che il marito era solito farle. Sul pizzo vale lo stesso discorso. Quando ti dicono di fare una cosa, devi farla: non si aprono discussioni.

In un certo senso hanno ragione entrambi. Che questa giovane donna abbia disatteso la legge, come dice il pubblico ministero, è indubbio, ma vale la pena di soffermarci a riflettere su quello che dice Alba, al di là delle responsabilità penali che lei rifiuta. Qui ci interessa esaminare il concetto di libero arbitrio, del tutto sconosciuto alla ’ndrangheta. Un codice comportamentale, un sistema pedagogico, che svuota il senso dell’“individualità” al fine di nutrire solo e sempre i “valori della Santa”. Le inchieste giudiziarie sono solo lo sfondo delle singole storie raccontate, l’obiettivo è esplorare soprattutto la cultura domestica della mafia calabrese di oggi.

Cosa avviene fra le mura di una famiglia di ’ndrangheta? Quali sono i rapporti e i valori di riferimento di un nucleo di consanguinei che, prima ancora di sentirsi famiglia sono un’associazione criminale?

L’autrice è giornalista Rai

“Solo fuori dal carcere ho saputo: il mio Cocò uno scudo per papà”

Pubblichiamo un estratto dell’intervista in carcere, a Castrovillari (Cosenza), di Emilia Brandi ad Antonia Maria Iannicelli, madre del piccolo Cocò Campolongo, ucciso il 16 gennaio 2014 a Cassano Ionio, carbonizzato in auto col nonno. Andrà in onda stasera, alle 23.45, su Rai1 nel programma “Cose nostre”.

 

Cassano è un paesino molto difficile, la vita è difficile. Sto scontando una pena di dieci anni per spaccio di droga. Sono la mamma del piccolo Cocò.

Cassano è una piazza di spaccio importante, ci sono molti ragazzi che fanno questo lavoro. Mettono anche i bambini a fare questa cosa, fiumi e fiumi di droga. La mia infanzia era tranquilla, andavo a scuola… all’inizio non capivo perché papà non si trovava spesso in casa, ci ha cresciuto mamma. Quando venivo a trovare mio padre in carcere ci diceva che faceva lo chef qui in carcere. I ragazzi di scuola dove andavo mi dicevano che avevo un papà in carcere, allora chiedevo a mamma come mai… e mamma mi ha spiegato. Poi sono cresciuta e ho capito quello che c’era attorno alla mia famiglia.

 

L’arresto nel 2006 ad appena 14 anni

Come sono arrivata a quel posto ho preso questa borsa. L’avevo nascosta nel mio giubbotto. Tutti i carabinieri mi hanno circondata: mi chiedevano dove avevo messo quella borsa… negavo, dicevo “non sono andata io”, “non l’ho presa io”, “non so niente”. Quando poi trovano questa borsa mi portano in una cella. Con Nicola Campolongo ci siamo conosciuti alla scuola media. Poi ci fidanzammo. Quando è successo quel casino mi ha aspettato. Tre anni dopo sono ritornata a Cassano. A 17 anni ero incinta della prima figlia. Con Nicola facciamo progetti di vita senza voler problemi con la legge. Eravamo una famiglia felice. Ma poi i soldi erano pochi… due figli piccoli, non potevamo tirare avanti e allora decidemmo di buttarci di nuovo in questa situazione, nella droga: il cognome mi agevolava. La gestivamo io e mio marito, solo noi due, non facevo parte di nessuna associazione.

 

L’arresto per mafia e droga il 10 giugno 2011

Quel giorno alle 4.30 del mattino bussano alla porta. Avevo piccole dosi nel seno. Apriamo la porta e troviamo tutti quei carabinieri. Chiedo di poter andare in bagno, le butto ma una carabiniera se ne accorge. Entro in carcere, condannata a dieci anni, il 4 gennaio 2012 con Cocò, aveva solo tre anni. Piangeva, stava male, non mangiava. Voleva aprire la finestra… Cercavo di calmarlo. Aveva l’incubo che la sera ci chiudevano la cella. Cercavo di addormentarlo prima delle 20.30 quando chiudevano. Lui gridava.

 

L’affidamento al nonno e la terribile scoperta

Poi affidano tutti e tre i miei figli a mio padre. Per me papà era cambiato. Cocò era molto legato a mio padre, io cercavo di spiegargli che era il nonno e che suo papà era a lavorare lontano. “Voglio stare con nonno”. Era il 18 gennaio 2014: eravamo in cella io, mia mamma e mia suocera. Stavo guardando il tg regionale. L’ultima notizia di cronaca: “La scomparsa di Iannicelli Giuseppe”, della donna marocchina che frequentava… non avevo sentito se ci fosse un bambino con lui. Mi fanno telefonare alle 9 da mia sorella. “Cocò dov’è? È con te? No, ce l’ha papà”. Mi dicevano vedrai che tornano a casa. La mattina del 19 gennaio accendo la tv… le altre detenute mi dicono che non ne funziona nessuna. “E io come devo fare, voglio vedere…”. Hanno fatto bene a non farmi vedere… Ho sentito mia suocera dire: “Sono stati sparati”. Non ci ho capito niente. Sono svenuta. L’ho saputo dal giornale quando sono uscita per il funerale che papà si portava mio figlio come scudo. Non potrò mai perdonare gli assassini di mio figlio. La ’ndrangheta è spietata, non guarda in faccia a nessuno, non ha guardato in faccia a mio figlio: aveva solo tre anni. Adesso a me manca un anno per uscire dal carcere. Ho pagato tutto a caro prezzo e sono stanca davvero.

La Michelin gli leva una stella, lo chef Veyrat rinuncia alle altre due

La furia dello chef Marc Veyrat si abbatte sugli esperti della guida Michelin, che a gennaio gli avevano tolto una delle 3 stelle: il celebre cuoco francese della Maison des Bois a Manigod, in Savoia, annuncia di rinunciare anche alle altre due, di essere depresso da 6 mesi e tratta gli esperti della Michelin da “dilettanti” e “impostori”. “Ho deciso di disfarmi delle mie due stelle – ha detto al settimanale Le Point – mi ritiro dalla Guida Michelin”. Sessantanove anni, tre volte laureato con il massimo riconoscimento, scrive in una lettera: “Come osate prendere in ostaggio la salute dei vostri cuochi?”, chiedendo anche gli scontrini che provano le visite al suo ristorante.

L’Homo Sapiens “europeo” è più vecchio di 150 mila anni

Il più antico Homo Sapiens non africano è stato scoperto in Europa: i suoi resti hanno 210 mila anni, secondo uno studio pubblicato dalla rivista Nature. Dunque si anticipa di oltre 150 mila anni l’arrivo della nostra specie in Europa. Apidima 1, come è stato chiamato dagli scienziati l’esemplare scoperto in Grecia nella grotta omonima (l’altro esemplare, Apidima 2, era un Neanderthal), è “più vecchio di tutte le altre specie di Sapiens ritrovate fuori dall’Africa”, ha spiegato Katerina Harvati, dell’Università di Tubinga. Dall’Africa, quindi, i Sapiens si spostarono per ondate successive. I primi esemplari rinvenuti in Asia datano a 90 mila anni fa.

Vox rimanda la Comunità di Madrid alle elezioni

Conto alla rovescia per le nuove elezioni nella Comunità di Madrid, dopo che ieri è andato fallito il primo tentativo di accordo tra il “tripartito” di destra per l’investitura della Popolare Isabel Díaz Ayuso. Dopo un lungo tira e molla, infatti, tra Pp, il partito populista di centro Ciudadanos e l’ultradestra di Vox su accordi programmatici, a pesare è stato proprio il veto del partito di Santiago Abascal (in foto) che si è tirato indietro e ha monopolizzato il dibattito in Assemblea. Ora, se niente cambia e se Vox non decide di tornare sui suoi passi e votare per la Ayuso, l’aula avrà due mesi di tempo, fino al 10 settembre per scongiurare tra petizioni del Pp e aggiustamenti dell’accordo da parte di Ciudadanos il ritorno alle urne.

Ma questo è solo un assaggio di ciò che l’ingresso del partito nazionalista Vox – seppur in misura esigua, alla Comunità di Madrid ha ottenuto solo 12 seggi su 137 – significhi al momento di formare una compagine in grado di governare. Un’altra conferma – a due settimane del voto di fiducia al governo del socialista Pedro Sanchez – che il “tripartito” debba molto alla comparsa dell’ultradestra che continua a guidare il gioco del blocco. Un segnale, anche, di ciò che potrebbe succedere durante il voto alle Corti del 22 luglio, in cui determinante per la fiducia ai socialisti sarà l’astensione dei Popolari o di Ciudadanos, troppo impegnati a contendersi lo scettro di capi-opposizione per decidere di lasciare il via libera a Sanchez. Al premier incaricato potrebbe restare ancora la scelta di assecondare invece la sinistra di Podemos concedendo al partito di Pablo Iglesias qualche ministero, assicurandosi così il voto di fiducia. Ipotesi questa che – stando ai sondaggi pubblicati ieri dall’Istituto di Statistica – resta la preferita degli elettori, il 26,4 per cento dei quali è a favore di un governo di forze progressiste, anzichè monocolore.