Il “Patto per la scienza” chiede rigore sui soldi Airc

Alla scienza italiana servono regole di comportamento. È quanto chiede ai vertici dell’Airc (l’associazione italiana per la ricerca sul cancro) il “Patto trasversale per la scienza”, l’associazione di cittadini e di scienziati di cui primo socio onorario è il professor Silvio Garattini (in foto). Dopo che il Fatto Quotidiano ha dato notizia dell’inchiesta della Procura di Milano sulle frodi scientifiche che sarebbero state commesse da alcuni illustri ricercatori, il “Patto per la scienza” ha diffuso una lettera aperta.

Eccone qualche brano: “Alcuni fra i massimi esponenti della ricerca oncologica nazionale sono stati coinvolti in un’indagine che, secondo l’accusa, ha dimostrato la presenza di immagini manipolate o comunque alterate nei loro lavori. Quello che è venuto alla ribalta deve far riflettere. La scienza progredisce grazie alla continua verifica dei risultati e alla correzione di eventuali errori. Il ricercatore che non ammette i propri errori e non li corregge diviene il peggiore nemico della scienza e mina alle basi il rapporto di fiducia fra il cittadino e gli enti di ricerca. Ci rivolgiamo ai vertici di Airc perché prendano immediatamente una posizione pubblica rispetto all’indagine della Procura di Milano e in tempi rapidi si dotino, sull’esempio di altre agenzie di finanziamento italiane ed estere, di procedure che garantiscano sulla bontà della selezione per l’assegnazione dei fondi, che vigilino sulla qualità della ricerca prodotta e che limitino il rischio di condotte scientifiche scorrette. Ne va della reputazione delle tante associazioni e fondazioni che, come Airc, meritoriamente raccolgono fondi per sostenere la ricerca. Lo dobbiamo ai tanti concittadini che con le loro donazioni permettono il finanziamento della ricerca, ma ne va, più in generale, della reputazione della scienza”. In due paginette la risposta di Airc: le nostre procedure sono corrette; abbiamo chiesto spiegazioni ai ricercatori sotto indagine.

“Non c’è stato alcun plagio e le riviste Usa lo hanno accertato”

Il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas, è forse il più noto tra gli scienziati indagati dalla Procura di Milano con l’accusa di aver manipolato le immagini delle loro ricerche, pubblicate su prestigiose riviste scientifiche internazionali. Gli altri indagati sono Pier Paolo Di Fiore (Ifom), Pier Giuseppe Pelicci (Ieo), Marco Pierotti, Maria Angela Greco, Elena Tamburini e Silvana Pilotti (Istituto dei tumori). Come raccontato dal Fatto Quotidiano il 30 giugno, i pm milanesi hanno accertato le manipolazioni, anche se hanno poi chiesto l’archiviazione del caso, denunciando la mancanza in Italia di una legge che permetta di colpire le frodi scientifiche. Ora toccherà al giudice delle indagini preliminari Sofia Fioretta decidere se archiviare o no.

Intanto Mantovani spiega al Fatto la sua posizione: “Sì, ritengo doveroso precisare alcuni punti a beneficio dei lettori del giornale, fra cui alcuni miei cari amici”, dice il direttore scientifico dell’Humanitas. “L’indagine, per quanto mi riguarda, si riferisce a due lavori scientifici pubblicati su Journal of Leukocyte Biology e su Proceedings of the National Academy of Sciences Usa (Pnas), che ho coordinato. I risultati di questi miei studi sono stati poi ampiamente confermati. Tuttavia, quando nel 2016 sono venuto a conoscenza delle indagini in corso, ho ritenuto mio dovere segnalare alle riviste i problemi sollevati dall’autorità giudiziaria”: il professore ha mandato una lettera alle due riviste, le ha informate dell’inchiesta, ha spiegato i motivi tecnici che avrebbero provocato le anomalie delle immagini contestate dalla Procura e si è dichiarato pronto a pubblicare una correzione. “Entrambe le riviste hanno giudicato irrilevanti le questioni nel merito, a dimostrazione del corretto operato e dell’assenza di plagio, auto-plagio o falso”, garantisce il professore. “Sono pronto a dimostrarlo a chiunque. Il comportamento mio e del mio gruppo è sempre stato improntato a trasparenza e rendicontabilità. Condivido quanto detto al Fatto dalla senatrice Elena Cattaneo: chi fa ricerca ha il dovere di garantire trasparenza e rendicontabilità. Valori a cui mi sono sempre attenuto”.

Mantovani spiega anche che le ricerche in questione “non hanno nulla a che vedere con la ricerca sul cancro: non sono quindi riconducibili a finanziamenti legati a questo settore. Si tratta di scoperte rilevanti, ma in campi diversi: nel caso di D6, l’identificazione della funzione di questo gene per la protezione del feto”. Il professore rifiuta anche l’accusa che i pm Francesco Cajani e Paolo Filippini nella loro richiesta d’archiviazione rivolgono all’Airc, l’associazione italiana per la ricerca sul cancro, che distribuisce fondi per gli studi sui tumori: sono “evidenti”, scrivono i pm, i “conflitti d’interesse all’interno di Airc, la cui commissione consultiva scientifica decide sulla destinazione dei finanziamenti (raccolti in prevalenza con il meccanismo del 5 per mille) a favore di studi scientifici condotti dagli stessi componenti”. Tutto in famiglia. “Ma la commissione consultiva strategica di cui facevo parte”, ribatte Mantovani, “aveva carattere puramente consultivo e non ha mai né gestito né attribuito fondi, che in Airc vengono distribuiti sulla base di una valutazione internazionale e di un comitato tecnico-scientifico di cui all’epoca dei fatti non facevo parte. Comunque”, conclude Mantovani, “rimango fiducioso nell’operato della magistratura”. A favore di Mantovani (ma non degli altri ricercatori sotto indagine) si sono espressi, sulle loro pagine Facebook, due importanti scienziati italiani, Guido Silvestri e Roberto Burioni.

Tutti gli imbrogli per i soldi della ricerca sul cancro

Non ci sono soltanto i casi messi sotto inchiesta dalla Procura di Milano, che ha indagato sette professori di importanti (e meritorie) istituzioni per la ricerca sul cancro. Le frodi scientifiche in Italia sono molte di più. Così almeno sostengono le segnalazioni che arrivano a Pubpeer, la piattaforma web americana che denuncia gli imbrogli nella ricerca e le documentazioni scientifiche taroccate (https://pubpeer.com). Secondo uno dei collaboratori del sito – che opera con il nickname “Tarenna Pallidula” per evitare di essere emarginato dai baroni della ricerca – “le manipolazioni effettuate da illustri ricercatori italiani per poter pubblicare lavori su importanti riviste scientifiche sono non l’eccezione, ma la norma”. Le manipolazioni servono a pubblicare. Le pubblicazioni servono ad aumentare il “valore” scientifico degli autori, misurato da un parametro che si chiama H-index. L’H-index serve per ottenere fondi per nuove ricerche, da parte dell’Airc (l’associazione italiana per la ricerca sul cancro), ma anche dei ministeri della Salute e della Ricerca. Hanno pubblicato immagini manipolate, secondo Pubpeer, ben 44 dei 62 componenti del comitato tecnico-scientifico dell’Airc. Il professor Riccardo Vigneri, componente del consiglio di indirizzo di Airc, è citato da Pubpeer per manipolazioni otto volte, di cui quattro insieme al figlio Paolo, fruitore di finanziamenti Airc, citato da solo altre cinque volte.

L’inchiesta della Procura di Milano è partita da una indagine giudiziaria di alcuni anni fa che riguardava il professor Alfredo Fusco dell’Università di Napoli, citato da Pubpeer per aver manipolato ben 129 pubblicazioni. La sua allieva Francesca Carlomagno, che siede nel comitato tecnico-scientifico di Airc, è citata 11 volte su Pubpeer. Il professor Carlo Croce secondo il sito americano risulta autore di 128 pubblicazioni manipolate. Il professor Ruggero De Maria, ex componente del comitato tecnico-scientifico di Airc, è citato su Pubpeer decine di volte. Il suo collaboratore Giorgio Stassi siede oggi nel comitato tecnico-scientifico e su Pubpeer è citato 16 volte. Sua moglie, la professoressa Matilde Todaro, compare 11 volte su Pubpeer e ottiene regolarmente finanziamenti da Airc. È presente su Pubpeer, con due lavori manipolati, anche la professoressa Anna Mondino, attuale donna immagine sul sito web Airc. Il tema della ricerca scientifica, specialmente quella sul cancro, è delicatissimo, perché coinvolge le speranze di tanti pazienti, riguarda finanziamenti ingenti, pubblici e privati, ed esige, per essere trattato, di competenze specialistiche.

Tornado all’Ilva, una gru finisce in mare: disperso un operaio

Un macabro copione già vissuto. Una triste storia che si ripete nella speranza di un esito diverso da quello del 28 novembre 2012. Quel giorno infatti una tromba d’aria fece precipitare in mare una gru dell’Ilva: è successo ancora, ieri pomeriggio. Erano le 19 quando la grande gru con la quale viene prelevato il carbone dalle navi che arrivano in porto è stata abbattuta dalle raffiche di vento che hanno messo in pochi minuti una intera città in ginocchio. In una nota ArcelorMittal ha confermato “la caduta di una gru operante sul quarto sporgente dello stabilimento” e ha aggiunto che “al momento una persona risulta dispersa”. Mentre andiamo in stampa sono in corso le ricerche per ritrovare l’operaio che stava manovrando il mezzo. La speranza è che l’incidente non abbia il drammatico epilogo di sette anni fa quando Francesco Zaccaria precipitò in mare perdendo la vita. Per la sua morte e quella di altri due operai caduti negli ultimi mesi del 2012 la procura affermò che “la mancata attuazione di un modello organizzativo e gestionale adeguato” era da considerarsi una “concausa non trascurabile” dei tre incidenti mortali.

“Sono la foto di un Paese non democratico”

“È il risultato di un disastro costruito nel tempo”. Marco Rossi Doria, maestro di strada, esperto di politiche educative e sociali, già sottosegretario all’Istruzione dal 2011 al 2014, non è stupito dei numeri devastanti usciti ieri.

I dati Invalsi mostrano un divario netto tra il Nord e il Sud. A cosa è dovuto?

Purtroppo confermano tendenze già note. Si tratta di disuguaglianze precoci, a inizio della vita. Il fatto che i figli dei poveri non abbiano speranza di emanciparsi attraverso lo studio è terribile. Lo segnaliamo da tempo, mala politica non ascolta. Abbiamo intere generazioni, intere aree del Paese che non raggiungono le competenze necessarie per poter esercitare la cittadinanza, accedere a un mercato legale del lavoro e uscire dalla povertà ereditata dai genitori. Una società così non è democratica.

Le prove invalsi sono contestate dai docenti. Secondo lei sono attendibili?

Sono utilissime, perché con una metodologia di carattere internazionale ci danno non solo una fotografia attuale e l’andamento del Paese. Se non ci fossero, ognuno potrebbe dire la sua. Certo, si possono fare critiche su come vengono somministrate le prove. Infatti alcune di queste sono servite per migliorare le prove stesse. Resta il fatto che, su numeri così grandi, le prove ci consegnano un’evidenza approvata dalla comunità scientifica.

Cosa si può fare per ridurre le disuguaglianze?

C’è già stata una cabina di regia contro la dispersione scolastica, che ha detto cosa fare. Bisogna “dare di più a chi parte con meno”, come diceva don Milani. Questo vale per il Sud ma anche per il Nord, perché il divario riguarda tutte le zone povere. Occorre intervenire in età molto precoce con gli asili nido, sostenere le famiglie più deboli, fare delle alleanze educative tra i servizi pubblici territoriali, finanziate e controllate, che abbiano almeno dieci anni di tempo per lavorare, istituire il tempo pieno nella scuola primaria e nella scuola media nei quartieri difficili e migliorare la formazione professionale soprattutto nel Mezzogiorno.

Cosa ne impedisce la realizzazione?

Il problema è politico, nel senso etimologico del termine. Una società che esclude i poveri dalla possibilità di conoscere immiserisce il paese. Il giorno dopo la pubblicazione di dati così preoccupanti, tutti fanno delle belle dichiarazioni. Ma sono gli insegnanti, gli operatori sociali e i parroci di periferia che lavorano senza alcun tipo di sostegno. L’azione al Sud è stata indebolita in due modi: con la lunga stagione del centrodestra, quando la Lega ha preteso di drenare fondi dal Sud verso il Nord, durante i governi Berlusconi, e con l’incompetenza delle politiche educative e sociali dei governi regionali, compresi quelli di centrosinistra, che hanno dilapidato i finanziamenti. Non dimentichiamo che Tremonti e la Gelmini hanno fatto tagli lineari per 7,8 miliardi all’istruzione pubblica, che non sono mai stati recuperati pienamente. È tutto il Parlamento che deve fare per una volta un’azione che vada al di là degli schieramenti.

Il ministro dell’Istruzione è favorevole alla regionalizzazione delle scuole, che peraltro Veneto e Lombardia chiedono con l’autonomia.

Se questo governo si macchia di un regionalismo iniquo, vuol dire che di fronte a questa macroscopica diversità esistente vuole immiserire ulteriormente i bambini e i ragazzi del Sud. La ricaduta sarà devastante perché i Comuni non avranno il minimo per fare gli asili e le scuole materne. Gli enti locali non avranno i fondi per tenere aperte le scuole. Il sostegno ai genitori nei quartieri difficili mancherà del tutto. I dati sono destinati a peggiorare, perché si vogliono drenare ancora risorse verso il Nord: sarà un disastro.

Dati Invalsi, sprofondo Sud. L’istruzione a due velocità

La questione meridionale torna prepotentemente a farsi sentire. Lo dicono i risultati delle prove Invalsi, relativi al 92% degli studenti, presentati ieri alla Camera. L’Italia è divisa in modo netto, con fratture che si acuiscono con l’aumento dei gradi di istruzione. È da un decennio che si dibatte sulla validità di queste prove. Il filologo Luciano Canfora nel 2013 le definì “una mostruosità”, che favorisce l’apprendimento mnemonico a discapito dello spirito critico. Ancora oggi non mancano polemiche. In ultimo la sospensione di tre insegnanti a Nuoro, per non aver sottoposto gli studenti alle prove di addestramento.

Che il metodo piaccia o no, i risultati sono drammatici. Solo in seconda elementare gli alunni non presentano particolari differenze tra loro, tranne che per la matematica. A partire dalla quinta, invece, si fanno più visibili. Da un lato Calabria, Campania e Sicilia e parte della Sardegna, dove si osserva un numero elevato di alunni con livelli molto bassi. Dall’altro il resto del Paese. Di positivo c’è un miglioramento del Sud in inglese. A partire dalla scuola media, dove le prove Invalsi si svolgono al computer, le disuguaglianze aumentano. Rispetto al 2018 ci sono leggeri miglioramenti per l’Italiano, ma il 40% degli studenti in Campania, Sicilia e Sardegna e il 50% in Calabria sono al di sotto della media nazionale (il 34%): è la percentuale di chi ha difficoltà a comprendere un testo. “Per la matematica la situazione è ancora più preoccupante”, si legge nel rapporto. A livello nazionale il 40% non raggiunge i traguardi previsti dal programma, con picchi oltre il 50% e il 60% nelle regioni meridionali citate. Per la prova di ascolto di inglese, complessivamente risultano preparati 6 studenti su 10. “I restanti – commenta Roberto Ricci, responsabile dell’area prove Invalsi – è come se accedessero alla scuola superiore avendo saltato le medie”.

Passando ai risultati relativi agli studenti della scuola secondaria di secondo grado, a livello nazionale più del 60% risulta preparato in italiano e più del 50% in matematica.

La polarizzazione degli esiti tra le Nord e Sud, ad eccezione di Abruzzo e Molise, si fa ancora più evidente. Nel caso degli studenti di seconda superiore, al Sud il 40% è al di sotto della media in italiano, con picchi che raggiungono il 47% in Calabria e Sardegna. Per la matematica il divario è ancora più netto. Quest’anno per la prima volta le prove Invalsi sono state introdotte anche nelle classi di quinta superiore, pur non rappresentando un requisito di ammissione alla maturità. Le ha sostenute il 96% degli studenti. Il dato più preoccupante è relativo alla lingua inglese. Nelle prove di ascolto, soltanto il 35% raggiunge il B2, richiesto dall’Ue. Percentuali importanti al di sotto della media riguardano anche l’italiano e la matematica. Soprattutto nel Mezzogiorno. “Le differenze all’interno del Paese – avverte l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – vanificano l’uguaglianza di opportunità formativa per tutti”.

L’immagine è quella di un’Italia dove la ricchezza premia. Appartenere a uno status socio-economico alto favorisce, secondo gli esperti, il raggiungimento dei traguardi. Restano indietro, invece, i figli dei più poveri. Le disuguaglianze sono evidenti anche all’interno delle stesse città, tra le scuole. E, persino, tra le classi dello stesso istituto. Per l’Invalsi occorre “un forte impegno per migliorare i risultati di apprendimento”. Per il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, vi sono “innegabili motivi di preoccupazione”. “Se non si interviene sulle disuguaglianze profonde – avverte la Fcl Cgil – continueremo ad avere sempre gli stessi risultati. Il ministro potrebbe trasformare la preoccupazione in iniziativa politica”.

Carlo Freccero: “Che cattiveria, risponderò solo nel mio libro”

“Se dovessi rispondere, la mia replica sarebbe piena di cattiveria per far fronte alle cattiverie delle considerazioni di Luttazzi. Non mi va, non mi piace giungere a questo punto, e nemmeno è questo il tempo. Spiegherò i miei rapporti con Daniele nel libro che scriverò su questa mia ultima esperienza in Rai”. Carlo Freccero cala il sipario e consuma il divorzio dal nome che doveva essere il segno di una direzione ferocemente controcorrente e anarchica. Ecco a voi Daniele Luttazzi, richiamato dopo un esilio di 16 anni. Il comico più fastidioso per la tv pubblica, più spigoloso e meno pop, il più problematico, per via della sua totale sconnessione col sistema politico che governa e sorveglia la tv di Stato.
Questione di soldi? Le indiscrezioni riferiscono di una richiesta, da parte dell’autore satirico, di 110 mila euro a puntata. Troppo per la Rai? Alcuni lo dicono.
Questione allora di contenuti? Sicuramente sì. La soluzione ipotizzata (coprire con un nero le parti eventualmente censurate prima della messa in onda, così da rendere pubbliche e intrinsecamente satiriche anche le azioni di sbianchettatura) sarà parsa troppo avanzata, e magari troppo favorevole all’autore. Luttazzi avrebbe infatti accettato di far visionare (ed eventualmente censurare) il talk show solo a queste condizioni. Certo è che Freccero, accettando la direzione di Rai2 nel tempo in cui leghismo e sovranismo sono parsi divenire parametri politici e culturali di riferimento, annunciò una sovversione del principio dell’etichettatura così tanto imprescindibile in Rai. La convocazione di Luttazzi doveva appunto “scandalizzare” e superare il confine del possibile. Idea che oggi, invece, si dimostra impossibile.

“Apologia del conformismo: perché sono fuori da Rai2”

Lo scorso gennaio, in conferenza stampa, il neo-direttore di Rai2 Carlo Freccero esprime il desiderio di avere un mio programma nel suo nuovo palinsesto. […] Il giorno dopo, tutti i giornali titolano sul mio probabile ritorno in Rai, a 18 anni dalla chiusura di Satyricon. Immediata la contraerea. […] Ad aprile vengo convocato da Freccero. […] Oltre al direttore e al suo staff (Di Iorio, Cappa), ci sono due manager della Ballandi, la produzione esterna chiamata da Freccero e a me gradita (era quella di Satyricon). Freccero esordisce esprimendo la sua esigenza di “controllo editoriale”, perché non vuole rischi (e qui fa il gesto delle manette). Allora gli ricordo due cose:

1) 16 anni di processi vinti dimostrano abbondantemente che faccio satira secondo i criteri stabiliti dalla legge (satira continente e non diffamatoria);

2) definirmi “rischioso” significa essere complice del bullismo di chi mi fece cause pretestuose per tapparmi la bocca. Inoltre è un’apologia del conformismo.

Poiché controllare la satira è una forma di censura, propongo una soluzione che salvaguardi il diritto Rai di decidere cosa trasmettere, e il mio diritto costituzionale di fare la satira che voglio: consegnerò la registrazione della puntata il giorno prima della messa in onda, Freccero potrà decidere quali parti tagliare, e al loro posto metterò un riquadro nero con la scritta “materiale satirico giudicato non idoneo alla messa in onda”. Freccero guarda i suoi e sorride: l’ostacolo è rimosso. […] L’incontro finisce. […] Non faccio in tempo ad arrivare a casa, che l’agenzia Agi dà la notizia dell’incontro, con un’intervista a Freccero ricca di dettagli.

A maggio, Freccero sollecita un nuovo rendez-vous. Ci incontriamo nello studio del mio avvocato. Sono presenti il vice Di Iorio e un altro vice, Lavatore, un funzionario di lungo corso che Freccero presenta come “la Rai”. Freccero ribadisce la sua esigenza di “controllo editoriale”. Espongo a Lavatore, la mia soluzione dello schermo nero con didascalia. Lavatore sostiene che non è possibile: quando accidentalmente fu trasmesso un nero per 30 secondi, i responsabili vennero multati. Gli faccio presente che questo non sarebbe un nero accidentale, ma satirico: la censura deve essere vista, quando c’è. Allora Lavatore propone che la durata del nero non sia pari alla durata del materiale rimosso, ma sufficiente a far leggere la scritta. Freccero aggiunge che la scritta potrebbe contenere anche un’informazione sul tema del materiale rimosso. Va bene. Freccero aggiunge: “Comunque, sono preoccupazioni eccessive. Ti ho forse mai censurato a Satyricon?” Rispondo: “No, ma poi per 16 anni mi sono trovato la Rai come controparte nei processi”. Freccero annuisce. […] A questo punto, Lavatore introduce due novità: la produzione sarà interna (Rai), non più esterna (Ballandi); e il programma si registrerà a Torino. […] Sottolineo che si tratta di un talk show, e gli ospiti gravitano su Milano e Roma. Freccero si impegna a trovare uno studio Rai a Roma.

Non resta che un tema: il conquibus. […] Il mio avvocato aveva inviato a Ballandi una email con una somma (riguardante quattro voci: conduzione, testi, format e diritto d’immagine) che corrispondeva al mio compenso di 12 anni fa a La7. Freccero sostiene di non saperne niente. Il mio avvocato dà a Lavatore e a Freccero una fotocopia della email. Lavatore dice subito che la cifra è eccessiva, e che non ha mai visto compensi così in Rai. Allora chiedo quale proposta economica mi faccia la Rai. Lavatore e Freccero dicono che non è competenza loro, c’è un ufficio preposto (A voi vi ha chiamato, l’ufficio preposto? A me no. Chissà chi lo attiva, l’ufficio preposto). Passato qualche giorno, i contenuti di quella email sono pubblicati da Repubblica, in un articolo secondo cui il mio rientro in Rai si fa difficile a causa della mia “richiesta economica eccessiva”. Il tutto utilizzando il solito condizionale paraculo (“Luttazzi avrebbe chiesto”). Chissà chi l’ha passata, quella email, a Repubblica. […]

A metà giugno, apprendo dai giornali: “Luttazzi, salvo imprevisti clamorosi, sarà out dal prossimo palinsesto”. E due giorni fa, Freccero dichiara che le trattative con me si sono interrotte per tre motivi:

1) “Il poco tempo a disposizione, in 4-5 mesi non si possono fare miracoli” (Miracoli? A maggio già si poteva concludere l’accordo, se davvero avessero voluto);

2) “La richiesta economica elevata” (Lo ripeto per i finti tonti: NON C’È STATA ALCUNA TRATTATIVA ECONOMICA CON LA RAI);

3) ”La satira di Luttazzi si basa su potere e sesso, che mi stanno bene, e sulla religione: in questa epoca pre-moderna ho ritenuto che quest’ultimo fosse un tema troppo difficile da affrontare” (Oooh, ecco il vero motivo; e in ogni epoca, anche premoderna, questa si chiama censura). […]

In una intervista di qualche settimana fa, Freccero si è divertito a spiegare che, a differenza di Debord, lui usa il situazionismo in favore dello spettacolo, non contro di esso. S’è fatto reazionario. Si professa addirittura sovranista (cioè fascista 2.0, come la Le Pen). Non mi resta che affidare all’icasticità di un gesto l’espressione del mio giudizio in merito. Complimenti a tutti (Non lo dico io, lo dice l’ufficio preposto). […]

https://danieleluttazzi.wordpress.com/

Sos spazzatura, i pm aprono un fascicolo sulla mancata raccolta

La Procura di Roma accende un faro sulla crisi rifiuti nella Capitale. Un maxi-fascicolo di indagine, al momento contro ignoti, è stato avviato alla luce di una serie di esposti arrivati in piazzale Clodio da parte di comuni cittadini e associazioni sulla mancata raccolta delle ultime settimane. Al momento, nel procedimento coordinato dal procuratore aggiunto Nunzia D’Elia, si ipotizzano violazioni del codice dell’ambiente sulla gestione dei rifiuti così come contenuto nel decreto legislativo n. 152 del 2006. Ieri, intanto, la sindaca Virginia Raggi è ritornata sull’argomento: “Sul fronte dei rifiuti tra lunedì e martedì tutti gli impianti hanno aperto, Ama sta lavorando al massimo, quindi nel più breve tempo possibile la città sarà pulita”. Anche il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, dopo le tensioni dei giorni precedenti, è più distensivo: “L’ordinanza regionale che ho sottoscritto funziona. Grazie alla collaborazione di tutti: del Comune, di Ama, del management, dei lavoratori che stanno lavorando a pieno ritmo e delle aziende che stanno raccogliendo i rifiuti, ospitando il materiale prodotto. Io sono contento di questo spirito di collaborazione che ha aiutato Roma a uscire da una situazione di difficoltà”.

“Per la raccolta differenziata a Roma ho fatto più di tutti”

 

Caro direttore,

ti scrivo dagli Usa dove ogni mattina, prima di iniziare il mio lavoro accademico e ospedaliero leggo, tra le altre, la prima pagina de Il Fatto Quotidiano. Il 9 luglio sono rimasto colpito dal tuo articolo in cui hai scritto che venni costretto a chiudere la discarica più grande d’Europa (in realtà, Malagrotta era nel 2013 la più grande del mondo) dall’Unione europea, da indagini giudiziarie e da pressioni popolari.

Io non ho mai ricevuto alcuna comunicazione giudiziaria relativa a Malagrotta, né atti dall’Ue e personalmente promossi, piuttosto che subire, azioni popolari nella campagna elettorale del 2013 in cui promisi la chiusura di Malagrotta (che in base della direttiva Ue avrebbe dovuto essere eseguita entro il 31 dicembre 2007). La chiusi in 90 giorni nonostante vaste opposizioni basate anche sul fatto che il suo proprietario, l’avvocato Manlio Cerroni, aveva ottenuto un aumento significativo della volumetria (nonostante la direttiva). Presi la decisione da solo e quando lo feci, la sera del 30 settembre 2013, nessuno mi rispose al telefono né a Palazzo Chigi, né alla Regione Lazio.

La seconda affermazione da cui sono stato colpito è stata ripetuta di frequente: Marino chiuse Malagrotta senza un piano alternativo. In realtà, avevo ben definito un piano alternativo e individuato i fondi. Ad esempio, acquistai un nuovo tritovagliatore. Venne definito dai media “il giocattolo di Marino” e l’opposizione del M5S affermò che non lo avrebbe utilizzato. Oggi è a Ostia ed è utilizzato al massimo regime per la crisi in atto (senza di esso ci sarebbero ogni giorno altre 300 tonnellate abbandonate sul suolo di Roma). Ma soprattutto feci approvare la realizzazione di nuovi Ecodistretti iniziando con un biodigestore per la produzione di gas dai rifiuti umidi (come i rifiuti alimentari) che a Roma ammontano a quasi 500.000 tonnellate/anno. Con essi si sarebbe trasformato un problema in ricchezza. Mi sorprese che quei progetti vennero cancellati dalle amministrazioni straordinarie e ordinarie che hanno seguito la mia, senza sostituirli con null’altro che l’affermazione più volte ripetuta che Marino chiuse Malagrotta senza un piano. Se un concetto falso viene ripetuto molte volte, diventa vero nell’immaginario collettivo.

Infine, hai scritto che trovai la differenziata al 31% e durante il periodo di governo Marino e Raggi ha raggiunto il 45%. Nel luglio 2013 si insedia la giunta Marino, allontanata a fine 2015. La percentuale di raccolta differenziata crebbe dal 31,1 % (bilancio Ama 2013) al 41,2% (bilancio Ama 2015). Nei due anni dell’amministrazione Marino, la raccolta differenziata a Roma è cresciuta dello stesso valore percentuale dei 9 anni precedenti.

A Milano l’implementazione del porta a porta, su 1.300.000 abitanti, avviene nel periodo 1992-2000 (dal 7% al 28,2%), con introduzione della raccolta separata della frazione organica nel triennio 2012-2014 e con una media di circa 110.000 abitanti intercettati per anno. A Torino, su 400.000 abitanti, avviene nel periodo 2003-2013 con una media di 40.000 abitanti intercettati per anno. A Bologna. su 200.0000 abitanti, avviene tra il 2008 e il quadriennio 2011-2014 anche qui con una media di 40.000 abitanti intercettati per anno. A Roma il sistema di raccolta porta a porta viene implementato su 925.000 abitanti dalla metà del 2013 alla fine del 2015. In altre parole, durante l’amministrazione Marino, vengono intercettati 370.000 abitanti medi/anno: un unicum nel panorama nazionale.

Con il 41,2 % di raccolta differenziata del 2015, l’Amaproietta Roma tra le capitali europee più virtuose, peraltro, quest’ultime, dotate di ben altri impianti: viene pressoché eguagliata Berlino al 42% e distanziate sia Londra al 34% che Vienna al 35%. Madrid e Parigi si collocano rispettivamente al 17% ed al 13%. Sfortunatamente, però, la raccolta differenziata a Roma rallenta con le successive amministrazioni. Nel 2016 passa dal 41,2% al 42,88%: solo 1,7% di incremento. Nel 2017, dal 42,88% al 44,33%: solo il 3,4% in più.

 

Caro Marino, ti ringrazio per le precisazioni. Ma c’è un equivoco di fondo: io non ho mai scritto che tu abbia chiuso la discarica di Malagrotta perché tu fossi indagato dalla magistratura (lo era semmai il proprietario Manlio Cerroni). Ho scritto invece che facesti bene ad adottare quel provvedimento, atteso da anni e sollecitato da una procedura d’infrazione Ue. Il guaio è che Roma tuttoggi ricade sotto il Piano Rifiuti regionale della Polverini (2012: pre-chiusura della discarica), perché le due giunte Zingaretti non ne hanno mai varato uno nuovo, che sopperisse alla mancanza di un impianto di smaltimento nella Capitale. Perciò, a Roma, il ciclo dei rifiuti non si chiude dal lontano 2013. Quanto alla differenziata, è naturale che nella fase iniziale (Alemanno-Marino) sia aumentata, da zero, più di quanto non sia potuto avvenire in seguito. Anche se l’attuale 45% è ancora insoddisfacente.