Il programma di analisi costi-benefici promosso con molto vigore dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli non aveva solo l’obiettivo di supportare (non di sostituire) le scelte politiche sul tema delle grandi opere in Italia: aveva anche quello, forse persino più importante, di promuovere la trasparenza e il dibattito democratico su tali scelte. Nel caso del costosissimo ed impattante (dal punto di vista ambientale) progetto della linea ferroviaria ad alta velocità Brescia-Padova (8,5 miliardi di euro, tutti a carico dei contribuenti) di dibattito democratico non si è vista neppure l’ombra. Addirittura, prima che l’analisi fosse resa pubblica, il progetto è stato dichiarato ottimo e fattibile. Nessuno osi metterlo in dubbio.
Politicamente questa sconfessione di un obiettivo fondamentale – la trasparenza nel dibattito pubblico – non è nemmeno stata sufficiente: il ministero ha deciso di smentire se stesso, dichiarando, contro l’evidenza dei numeri, che “comunque costa troppo fermarla”. Eppure i dati raccolti indicano che i benefici sociali del progetto sono talmente inferiori ai suoi costi, che anche considerando lo scenario più pessimistico per i costi di rescissione dei contratti (1,2 miliardi di euro), convenga alla collettività cancellarlo. Infatti 2,384 miliardi di euro è la perdita di benessere che genera il progetto. I costi di recessione da pagare sono al massimo, come detto, 1,2 miliardi, quindi non facendo il progetto la collettività risparmierebbe 1,184 miliardi di euro.
L’unica ipotesi possibile per questa decisione è che il ministero abbia assunto contemporaneamente uno scenario pessimistico per i costi di rescissione e lo scenario iper-ottimistico di traffico, che gli autori dell’analisi costi-benefici hanno dichiarato espressamente non verosimile. Ma questa ipotesi sfida l’onestà intellettuale di chiunque.
In questa storia è anche mancato il coraggio civile di ricordare all’opinione pubblica due verità scomode: la prima è che l’appalto per il Tav Brescia-Padova è stato affidato senza gara al Consorzio Cepav 2 nel 1991, poco prima che scattasse l’obbligo europeo di mettere in gara gli appalti (i motivi sono misteriosi); la seconda è che lo Stato ha incredibilmente deciso di auto-multarsi nel caso non avesse realizzato l’opera o avesse deciso di affidarla a un soggetto diverso. Anche questo per motivi misteriosi. O forse non misteriosi, facendo ipotesi malevoli, e ricordando che si era in piena tangentopoli. Al di là dell’incredibile scelta vale la pena di notare oggi che un contenzioso legale con il costruttore sulle penali da pagare sembra davvero poco verosimile, in quanto Cepav 2 fa capo, se pur indirettamente, alla mano pubblica (Eni e Cassa Depositi e Prestiti), che dovrebbe fare causa a se stessa. Le penali, peraltro, tecnicamente sono un trasferimento, non un costo sociale vero e proprio. Ma certo dire oggi un “sì” entusiasta ad un’opera, contemporaneamente ricordandone all’opinione pubblica le origini così poco edificanti, faceva probabilmente perdere qualche consenso ulteriore.
Perché dunque è mancato il coraggio di dire chiaramente che la politica decideva per l’ennesima volta contro la logica economica, e si è dovuto assistere a una così poco onorevole travisamento dei numeri? Proviamo dunque a formulare qualche a fare ipotesi, per capire i motivi. Sempre, si intende, con estrema malevolenza.
La prima spiegazione della rinuncia ad argomentare con considerazioni politiche questa scelta, può essere ovviamente dovuta alla difficoltà tecnica di tale argomentazione, giudicata evidentemente insuperabile. L’analisi infatti è molto prudente e articolata, al punto di escludere tra i costi sociali dell’opera, quelli ambientali “di cantiere”, spesso non trascurabili. Di certo questi non sono ritenuti trascurabili dall’opinione pubblica locale di orientamento pentastellato, contraria all’opera. Né sono stati usati i soliti “mantra” di visioni strategiche buone a giustificare ogni sorta di spreco dei soldi dei contribuenti. Anche perché in questo esercizio di abilità il ministro precedente, Graziano Delrio e i suoi tecnici sono risultati insuperabili. Gara persa in partenza.
Una seconda spiegazione può essere ricercata nella sopravvenuta debolezza politica del M5S rispetto alla Lega, o anche una debolezza personale del ministro all’interno del suo stesso Movimento, ma questa dimensione è davvero insondabile dall’esterno.
Si affaccia poi una spiegazione forse ancora meno esplicitabile all’opinione pubblica: una spartizione geografico-elettorale di quei soldi. Non a caso il Movimento 5 Stelle ha recentemente plaudito, senza smentite, alla spesa di 12 miliardi di euro per le ferrovie siciliane, destinate con ogni probabilità a rimanere comunque deserte per banali ragioni di traffico e demografiche. Nessuna analisi è in vista per tale fiume di soldi, a cui vanno aggiunti altri miliardi per la linea Napoli-Bari, altra grande opera per la quale non sono previste analisi, nonostante esistano solidi dubbi sulla sua sensatezza socio-economica.
In sintesi: al Nord il ministero dice di sì anche contro le indicazioni delle analisi socioeconomiche, al Sud le analisi, per paura di sorprese, nemmeno verranno fatte. Dati i bacini elettorali in gioco, non suona questo uno scenario molto verosimile? Soldi di tutti noi per catturare voti: una non nobile tradizione italiana, e non solo italiana, che continua.