La mummia Oetzi, sicuri sia etero?

Manolita è convinta che la mummia ritrovata non fosse sola a scarpinare per le rocce del monte Similaun in Val Senales. È andata in fissa con Oetzi, il pastore errante dell’età del rame ritrovato l’autunno scorso grazie alle condizioni climatiche all’interno del ghiacciaio delle nostre Alpi. Credo che Manolita ne sia innamorata, ama la mummia. Sa tutto di lui. Età, circa 50 anni; vissuto circa 5300 anni fa; originario della zona di Bressanone; morte violenta, forse per una scheggia conficcata nella spalla; gruppo sanguigno 0; intolleranza al lattosio, che per un pastore non è un guaio da poco; circa 61 tatuaggi; esami radiologici hanno individuato artrosi in quei punti tatuati; sa pure cosa ha mangiato prima di rimanerci secco: speck di stambecco, qualche bacca e un po’ di riso. Manolita vuole che l’accompagni tra le Alpi scongelate alla ricerca di una signora Oetzi: la pastoressa. È sicura che deve trovarsi lì nei pressi, magari proprio a pochi passi da dove è stato ritrovato il marito. S’è presa a cuore il destino ultraterreno, molto ultra direi, di questa ipotetica coppia di pastori altoatesini ante litteram. E ci elucubra sopra storie molto fantasiose. Da allora non fa altro che sognare la mummia. Chi era? Cosa faceva? Quale era il suo giro di amici? Chissà forse era della Roma e sua moglie era una massaia tirolese. No, non aveva moglie era una mummia solitaria, un pastore altoatesino che viveva isolato, magari un eremita. Però i pastori si sa vivono in compagnia delle loro pecore, ma qui se non sbaglio non è stata ritrovata nessuna mummia pecoresca. Allora che vita faceva questo pastore? Chissà, forse aveva come assistente un pastorello, magari un compagno. Vuoi vedere che abbiamo scoperto la prima mummia omosessuale della storia?

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Rackete: l’antico odio maschile verso le Amazzoni

“Dopo la morte di Tanausis, mentre l’esercito guidato dai suoi successori era impegnato in una spedizione in terre lontane, una tribù vicina cercò di rapire alcune donne dei Goti come bottino. Ma le donne opposero una coraggiosa resistenza, come erano state istruite a fare dai loro mariti, e sgominarono il nemico che era piombato su di loro. Avendo vinto questa battaglia furono pervase da una grande audacia. Incoraggiandosi l’una con l’altra, le donne presero le armi e scelsero due delle più coraggiose, Lampeto e Marpesia, come loro capi. Quelle donne avevano dimostrato di essere in grado di difendere le proprie terre e di poter attaccare quelle degli altri” (Giordane, Getica 7.49–50). Giordane, storiografo germanico, allievo di Cassiodoro, così rappresentava, o vedeva, le donne nella sua storia dei Goti. La presenza delle donne nei racconti mitologici, nelle opere storiche, letterarie possiede sempre una caratura ideologica, poiché gli autori sono sempre maschi. Ed è una costante che continua ad attraversare i millenni fino ad oggi, come dimostra il caso Sea Watch, in cui la comandante Carola Rackete e il gip di Agrigento Alessandra Vella sono state il bersaglio di una tracimante piena di odio all’insegna del maschilismo: non mi riferisco tanto agli insulti, al turpiloquio nei loro confronti, quanto all’incitamento allo stupro, atto feroce del maschio vittorioso in guerra, tanto più esaltante e sublime se compiuto ai danni di donne indomite, orgogliose, consapevoli della loro funzione e dignità: Rackete e Vella non sono neoamazzoni a capo di eserciti femminili, ma solo donne capaci di leggere il mondo e applicare le leggi con occhi diversi.

In ginocchio dal Capitano: l’Italia che conta tifa Lega

Matteo Salvini non è un personaggio odiato o amato. È un personaggio che spacca. Un po’ più della metà degli italiani lo accetta senza discuterlo, al di fuori di ogni soglia critica. Un po’ meno della metà degli italiani lo respinge e vorrebbe non averlo come capo del Paese, che è il suo modo attuale di esercitare una carica che sarebbe più modesta. Tutto ciò dimostra che, comunque, Salvini è il personaggio più interessante del momento. E questo giudizio diventa inevitabile leggendo due testi su di lui, il libro I demoni di Salvini, di Claudio Gatti (Editore Chiarelettere) e il testo di Tomaso Montanari pubblicato su questo giornale (16 maggio).

Il senso del libro di Gatti è fare luce sul vasto spazio che circonda la vita e le opere di colui che adesso appare come vice primo ministro e ministro dell’Interno, ma in realtà è il comandante in capo. È importante vedere questo spazio (che è anche accurata costruzione nel tempo) perché ci dice che nulla è improvvisato come spesso è sembrato tipico nell’apparizione improvvisa di certi leader.

Ne I Demoni di Salvini Claudio Gatti sovrappone due mappe. Una è la carriere del personaggio, dalla prima apparizione ai giorni nostri. L’altra è la vasta ragnatela di rapporti che intanto si è andata creando intorno a Salvini in tre modi: l’iniziativa del protagonista che, veloce come un formichiere, ha sempre e subito creato forti rapporti con le controparti di volta in volta giudicate (con buon istinto, dal suo punto di vista) interessanti. Condizione richiesta il comune progetto di distruzione, comunque, di ciò che viene prima. La seconda è la disponibilità a stare, se necessario, sotto i nuovi legami, stabilendo subito una lealtà da antico seguace e obbediente cadetto. La terza è il coraggio: Salvini fa ciò che non può fare, dice quello che non può dire, presenta leggi che confliggono con tutto (dai codici ai trattati, alla Costituzione). E scopre che lo lasciano fare. Quando tanti giurano che fra poco ci sarà un alto e severo ammonimento e che l’intero corpo istituzionale del Paese dirà il proprio dissenso, e anzi, la cancellazione del detto o del fatto, Salvini scopre che nessuno ha niente da dire, meno che mai le alte istituzioni, e incassa le grida di Lampedusa che invocano stupro e galera per chi ha sfidato “la legge” (una raccolta di pregiudizi xenofobi approvata dal Parlamento, con il cortese tributo di voti e perdita di consenso degli alleati). Montanari ha scritto, in un testo di giudizio imblacabile, di avere finalmente trovato nel libro di Gatti la road map del successo ormai incontrastato del nuovo leader italiano. Io mi sento di aggiungere che questo svela il segreto, che non è un misterioso complotto. Semplicemente Salvini ha deciso di mettere in chiaro le sue intenzioni, a partire dal comando indiscusso di ogni vicenda italiana. L’Italia che conta (come si diceva una volta) ha aperto la porta e si è messa a disposizione. Tranne i giudici.

Facce di casta

 

Bocciati

DA TWITTARE RIGOROSAMENTE A STOMACO PIENO.

“Da ieri mattina, nel Centro di Permanenza per i Rimpatri di Pian Del Lago (Caltanissetta), 72 ‘ospiti’ (18 dei quali, tunisini, verranno rispediti a casa in giornata) stanno facendo lo sciopero della fame come segno di protesta contro il loro trattenimento presso la struttura… Peggio per loro se rifiutano di mangiare, vorrà dire che risparmiamo un po’ di soldi prima di espellerli”: questo tweet corredato da un emoticon cha manda il bacino, che supponiamo per lui fosse un bacione, è chiaramente opera del ministro Salvini. Tanto inopportuno sarcasmo è la dimostrazione di come le parole bastino e avanzino per trasformare l’intransigenza in strafottenza, e il pragmatismo in brutalità. C’è anche da aggiungere, però, che ad un uomo che fa cinque pasti al giorno, tutti rigorosamente documentati sui social, il concetto di digiuno deve apparire veramente incomprensibile.

2

 

UN PO’ TARDI?

Matteo Renzi, dopo che i buoi sono scappati tornati e poi scappati altre 6–7 volte, fa mea culpa sul tema immigrazione: “Non abbiamo sottovalutato la questione immigrazione: l’abbiamo sopravvalutata quando nel funesto 2017 abbiamo considerato qualche decina di barche che arrivava in un Paese di 60 milioni di abitanti, ‘una minaccia alla democrazia’”. Chissà se si è anche pentito di aver preso in prestito come slogan “Aiutiamoli a casa loro”.

4

 

Promossi

ALLARME UMANO.

“È bene che sappiate che se il Parlamento non fa una legge sull’eutanasia legale non è perché il Caporale Salvini lo impedisca (sta tutto il giorno su Facebook a inseguire Carola), ma perché Zingaretti e Di Maio non sono interessati e non si mettono d’accordo”: mentre tutti guardano sempre e solo alle paste del Capitano, nel frattempo c’è un mondo che va o vorrebbe andare avanti, e Marco Cappato periodicamente tenta di ricordarcelo. Come un allarme sveglia impostato sul telefono per non dimenticare un appuntamento importante, Cappato funge da promemoria umano alla causa dei diritti civili, per ricordarci che la questione ci riguarda personalmente, anche se siamo impegnati in altro.

8

 

MEMENTO DUBLINUM.

Se l’Italia esce a mani semivuote dalle nomine europee, almeno la presidenza del Parlamento resta a noi. Dopo Tajani, a dirigere l’unico organo elettivo dell’Ue è David Sassoli, del gruppo socialista: i risultati del voto nazionale, infatti, nelle nomine in Ue conta poco o nulla. Nel discorso d’insediamento l’europarlamentare democratico tocca il punto strutturale del tema migranti: “Il Consiglio europeo ha il dovere morale di discutere la proposta del Parlamento di riforma del regolamento di Dublino perché sapete quanta tensione si crei attorno alla non gestione della questione migratoria: i cittadini si chiedono l’Ue dov’è. L’Europa si deve attrezzare e i governi devono trasferire un po’ di potere all’Europa, devono collaborare di più”. Fosse anche solo utile a ricordare l’ipocrisia nel pontificare e poi lasciar tutto com’è, Sassoli presidente del Parlamento europeo sarebbe già un’ottima notizia.

7

Depressione verde: “Se la Terra muore non faccio più nulla”

Dimenticate vecchi drammi edipici o narcisismi obsoleti. Oggi, secondo gli psicoanalisti, l’ansia emergente sul lettino è soprattutto una: quella ecologica, causata dal pensiero della riduzione imminente delle risorse e della catastrofe globale. “Nei miei pazienti vedo un vero terrore, unito alla disperazione per un futuro che non c’è”, dice lo psicoterapeuta neozelandese Michael Apathy, mentre il collega inglese Jayen Rust ammette che “l’eco–ansia è cresciuta enormemente”. E sebbene il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (ancora) non riporti ancora una voce specifica per questa patologia, l’American Psychological Association, in un poderoso report del 2017 (“Mental Health and Changing Climate”) ha introdotto il termine “ecoansia”, inteso come una “malattia” che produrrebbe non solo altissimi livelli di stress, attacchi di panico, perdita di appetito e insonnia ma – anche – abuso di sostanze, terrore, rabbia, choc, aumento dei suicidi ma anche di violenza.

Insomma: entrare davvero in contatto con dati e report catastrofici può portare alla depressione, come ha raccontato Sam Johnston sulla BBC in un documentario sull’eco–ansia, confessando di “non dormire più”. Ancora peggio è andata a quei 110.000 che hanno scaricato e letto uno dei report più apocalittici che giri sul web, Deep Adaptation: A Map for Navigating Climate Tragedy del prof. Jem Bendell, che sul sito ha creato anche un gruppo di aiuto finalizzato ad affrontare quella che (a suo dire) è l’inevitabile fine.

Ma il problema è enorme: perché se anche il peggiore dei report fosse corretto, quali motivazioni trovare per alzarsi dal letto? Un esperimento fatto dal Dr. Jess Presson del Dipartimento di Psicologia di Warwick – pubblicato col titolo Climate Change Helplessness and the (De)moralization of Individual Energy Behavior – ha mostrato che coloro a cui venivano dati più elementi di speranza erano più inclini ad agire e persino ad adottare comportamenti ecologici. The Climate Psychology Alliance, invece, è un gruppo di professionisti che spiega alle persone come sostenere la tensione tra speranza e disperazione, mentre Linda Buzzel, esperta eco–terapeuta, sottolinea l’importanza di non restare isolati, di prendersi pause dalle informazioni, immergersi nelle foreste, sviluppare resilienza. In rete esiste poi The Good Grief Network, un gruppo che aiuta a combattere ansia e inazione con libri, video, poesie.

La psicologa ambientale Renee Lertzman, che ha coniato il termine di environmental melancholia, consiglia: “Non focalizzatevi su comportamenti ecologici in maniera ossessiva e non tentate di evangelizzare gli altri”. Di fronte agli scenari più gravi, dunque, occorre adottare, dicono gli esperti, un’attitudine positiva, proprio come si dovrebbe fare di fronte a una diagnosi di malattia terminale: percepire il giusto panico – come dice Greta Thunberg – per cominciare a reagire ed agire. L’unico modo per riprendersi la speranza.

Un’incredibile cronaca di mitologia: “Gli Dei tornano, i ricoverati restano”

Un passante in cerca di frescura, nella notte d’afa di giovedì scorso – 4 luglio 2019 – è stato trascinato in un’orgia panica. È successo a Leonforte, sul limitare della valle di Kore, nel cosiddetto Giardino delle Ninfe. L’uomo, D.R, di anni 36, ancora oggi ricoverato in una struttura sanitaria di prim’ordine, è attualmente preda di uno stato allucinatorio. Sottoposto alle terapie, il paziente ridonda nel fuori di sé e chiede di potere uscire quanto prima dall’ospedale per estirpare – così asserisce – la fitta gramigna della realtà che funesta, oltre il limitare dello stesso cielo, la pianura immensa dell’infinito nella verità ultima delle cose.

Di quel che gli è accaduto, D.R., ricorda distintamente di essere stato chiamato all’agone carnale proprio da naiadi. Alle prime e superficiali indagini, e dalle dichiarazioni dei testimoni, si evince che queste possano essere in qualche modo collegate alla vicina Gran Fonte dai ventiquattro cannoli, e dunque è facile immaginare siano vere e proprie Pegee immortali generate dalle sorgenti, irresistibili e prodighe di baci stordenti – come lo stesso D.R riferisce – svaporate all’apice della loro epifania, all’apparire del Satiro, padrone di quel vortice e niente affatto contento di farsi allungare le corna da un passante qualunque, in fuga dal caldo. Non c’è persona che non sia ebbra e D.R., sebbene abbia riportato escoriazioni – e gravi ferite perfettamente coerenti con i ripetuti colpi inferti dal suddetto Sileno col suo piede caprino – trasfigura nell’entusiasmo l’orribile e assurdo contatto avuto nella notte di giovedì reclamando dopo secoli d’oblio, il noûs, ovvero lo spirito della compiuta comprensione dell’esistenza.

Inutile dire che i medici, pur ferrati ciascuno nelle rispettive specializzazioni – essi sono neurologi, psichiatri e ortopedici – si siano immediatamente avvalsi della consulenza del dipartimento di filosofia teoretica presso la vicina Università di Catania.

“Gli Dei tornano, i ricoverati restano”. Questa, la decisione del primario. Una misura necessaria, questa, perché il misero ferito che l’autolettiga consegna loro all’alba di venerdì già nel momento del ricovero si svela come la parte buia della luna – The Dark Side of the Moon – dunque un qualcosa che c’è ma non si mostra.

Pochi fissati se ne occupano scientificamente di questa luna che non c’è – i cinesi sono riusciti ad allunarvi, seminandovi delle zucchine – ma “nessuno comunque la vede, è nascosta; così è per l’altra faccia della medaglia chiamata esistenza”. Ed è questo che si legge nel referto medico controfirmato dall’autorità di pubblica sicurezza. Una vicenda tutta di noûs che non è – si badi bene – l’interiorità. Neppure è il fuoco sacro del daimon di ciascuno, bensì il punto di mediazione tra la dismisura della bellezza e lo strazio del reale e quindi la prossimità del sentimento tragico. Quella delle versioni in greco da tradurre dove c’è il Sileno – sempre lui – che, insistentemente interrogato dal tracotante Re sul senso della vita, così risponde: “Meglio sarebbe non essere nati ma, venuti comunque al mondo, morire subito”.

Una vicenda tutta di noûs, in ogni modo, alla quale restituirsi subito come un’astuta serpe torna al proprio nido. È quel gorgo senza fondo che non conosce necessità nell’armonia, ma abbandono – amor fati – ed è perciò come bocca baciata che non conosce ventura. Fonte alla quale bere nell’infinito smisurarsi del vero.

La Settimana Incom

 

Bocciati

Morgan è più uguale degli altri.

Nuova puntata della “Saga dello sfrattato”. Marco Castoldi si è rivolto al ministro della Cultura Alberto Bonisoli, pur di restare a casa, perché lui è Morgan: “Ci dovrebbe essere una regola diversa per chi è cittadino, lavoratore in casa e artista, come me”. Capito? Se siete artisti e lavorate in casa, inutile pagare affitto o mutuo, tanto vale la ‘Regola Morgan’: “Tutelare la casa dove un artista crea significa dargli la possibilità di proliferare”. Da sempre, si sa, qualcuno è più eguale degli altri. Perciò va aiutato, ma a patto che “proliferi”. I magistrati non l’hanno capito e hanno ordinato lo sfratto, per via degli alimenti per le figlie non pagati. Bastava che le toghe chiedessero alla loro prole: “Magari hanno visto tutte le edizioni di X Factor, oppure film la cui colonna sonora è mia”, spiega Morgan. Invece i giudici, imprudenti, hanno applicato la legge. Il cantautore sta scrivendo una relazione per il ministro Bonisoli dal titolo: “Salvaguardia della casa dell’artista”. L’incipit è poetico: “La casa gialla era una villetta rossa in stile liberty, costruita negli anni ’20 …”. Per il diritto alla casa, il popolo è con Morgan: lo sostengono Vittorio Sgarbi e gli onorevoli Mario Pittoni (Lega Nord) e Gianfranco Rotondi (Forza Italia).

 

Simona Ventura si confessa.

Sfogliando la bacheca Facebook del settimanale Chi?, si giunge ad un video di Simona Ventura. Il viso tirato della conduttrice è in primo piano, una voce fuori campo chiede: “Ventura, confessi una cosa che non ha mai detto a nessuno”. Suspence … “Non ho mai detto a nessuno … che amo talmente i miei figli, tutti e 3, che per loro compio ogni sacrificio”. Boom. Tutti in edicola a comprare Chi?. “Grazie Simona Ventura, una donna veramente vera”.

 

Promossi

Paolo Sorrentino racconta.

“Per me non c’è nessuna differenza fra regia cinematografica e televisiva, non ho mai nemmeno imparato il linguaggio delle serie TV – spiega l’autore de La grande bellezza –. Ho avuto la fortuna di poterne fare una con la promessa che sarebbe stata un film lungo. Io so fare 3 o 4 cose e ritorno sempre a quelle”. Lui sarà pure monotono (non tutti se ne sono accorti) ma i fan smaniano per il ritorno del pontefice più scaltro di Machiavelli: The New Pope (dopo The young Pope) la seconda stagione della serie Tv firmata Sorrentino, con John Malkovich e Jude Law. Meno male che non ha studiato le regole della serialità, il regista, perché la prima stagione a molti è sembrata un capolavoro. Se si chiede a Sorrentino il segreto della sua opera, lui risponde annoiato, come se elencasse gli ingredienti noti di una vecchia ricetta. Il 3 luglio, al Cinema America di Roma, qualcuno domanda: “Paolo Sorrentino, come prepara la pizza?”. Lui: “Le cose più noiose della vita sono raccontare i sogni e le ricette”. Del resto, gli ingredienti di un buon racconto sono sempre gli stessi, come per la pizza.

Ministeri, Inps e grandi aziende: addetti alle pulizie senza paga

Si occupano dei servizi di pulizia per conto di ministeri, enti pubblici e grandi aziende private, ma da un po’ di tempo stanno ricevendo gli stipendi a singhiozzo, con ritardi anche di due o tre mesi. I 10 mila lavoratori della società ManitalIdea, praticamente una delle storiche leader del settore, e delle sue consorziate stanno vivendo un periodo molto complicato: molti di loro oggi saranno a Roma per un presidio, con il quale chiederanno di porre fine a questa incertezza che li costringe a vivere ogni mese nell’ansia di non sapere se e quando saranno pagati. Sono in maggioranza donne, con una buona quota di part–time, situazioni quindi di grande fragilità.

Tra i committenti si contano i ministeri dell’Istruzione, dello Sviluppo economico e della Difesa, ma anche l’Inps, l’Agenzia delle Entrate, Poste Italiane, Telecom, Fiat Chrysler e Iveco. Nonostante questa solida “clientela”, la società si trova a corto di liquidità. Quando i vertici dell’azienda hanno incontrato i sindacati, poco meno di un mese fa, hanno spiegato le ragioni della crisi: è la pubblica amministrazione che salda in ritardo i suoi debiti. Una motivazione che non ha convinto del tutto i rappresentanti dei lavoratori. “È vero – afferma Cinzia Bernardini della Filcams Cgil – alcuni enti non sono puntuali, ma sappiamo che gli appalti più importanti vengono pagati con regolarità. Piuttosto, ci chiediamo quali siano i risultati di alcuni investimenti fatti in questi anni. Per esempio quelli dell’acquisto della Olicar, società che lavora per gli ospedali e fa manutenzione dei servizi elettrogeni. La ManitalIdea l’ha rilevata da un fallimento. Inoltre, per diversificare, hanno di recente acquisito un vecchio castello che hanno ristrutturato e trasformato in un resort”. Il riferimento è al castello di Parella, in provincia di Torino, passato un paio di anni fa nelle mani di ManitalIdea che ne ha fatto un’attrazione turistica. I sindacati, insomma, si chiedono se alla base di queste difficoltà non vi siano anche operazioni con risultati al di sotto delle aspettative. Certo è che a fine aprile è arrivata una nuova tegola che ha aggravato tutto: l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha multato una serie di società, tra le quali ManitalIdea, accusate di partecipare a un cartello nell’ambito di una grande gara Consip da 2,7 miliardi di euro. La sanzione è stata di 33 milioni, pesante per un’impresa che già non riesce a versare gli stipendi alla data di scadenza.

Le prime avvisaglie erano arrivate nel 2017, quando i lavoratori hanno notato ritardi nel pagamento della quattordicesima. Poi in alcuni territori sono insorti i primi problemi nelle buste paga. I sindacati hanno in alcune occasioni accusato ManitalIdea di aver adottato un metodo: saldare i debiti con gli addetti solo a ridosso degli scioperi. Nella primavera di quest’anno la situazione è precipitata un po’ ovunque. Dopo le ultime mobilitazioni, la maggior parte ha avuto lo stipendio di maggio, ma c’è chi ancora aspetta quello di aprile. E soprattutto, tutti i lavoratori vogliono sapere quando potranno tornare ad avere date certe per i pagamenti di ogni mese.

Il Don non fa la predica: “La rivoluzione in rosa per abbattere i muri ”

Il prete siede al lunghissimo tavolo in basso, in fondo alla sala ad anfiteatro. È solo. Nessun maxischermo ne rimanda l’immagine, così che i più lontani non vedono gli occhi inquieti. Davanti, ad ascoltarlo, ha 170–180 persone di ogni età, giunte da ogni regione d’Italia. Week end di luglio lontani dal mare. Ma anche dalla città, Roma, raggiungibile in treno o con 45 minuti d’auto. La conference room, come è stata ribattezzata la sala, sta in un complesso denominato “Il Carmelo”, vicino a Ciampino, gestito dall’ordine dei carmelitani dell’Antica Osservanza. Isolato, in un deliquio di colori arrossati e di canti di uccelli.

Il prete parla parole di preoccupazione, riflette sul mondo che sta fuori senza dargli confini. Sostiene anzi che a erigere confini c’è il rischio di non capire. I muri attentano all’intelligenza. Una volta l’Europa ne aveva uno, ora ne ha diciassette. E le minacce che si stagliano all’orizzonte vanno capite, perché da qualunque angolazione le si guardi, sono grandi davvero: l’esaurimento della democrazia, la proliferazione delle guerre, una catastrofe ecologica. Messe in fila così appaiono predizioni messianiche.

Ma il prete le prende una per una, le spiega, ne agguanta e strofina i risvolti sociali e umanitari. Tutto appare sensato nel discorso che si fa ragionamento. Sul terzo rischio evoca la ormai celebre enciclica di papa Francesco, la “Laudato sii”. E invita ad accompagnare, “senza usarli”, gli adolescenti che hanno scelto di battersi per la salvezza del pianeta.

Alla sua sinistra sta una lunga croce incisa sulla parete di legno, alla sua destra un rustico dipinto di Madonna con Bambino. In mezzo lui, con quella sequenza di interrogativi ma anche di esortazioni rivolte alla platea: a impegnarsi di più, “proprio voi che già fate tanto”. Lo preoccupa la povertà, il numero dei bambini italiani che vivono in povertà assoluta, e in particolare la povertà educativa, con i suoi sbalzi spaventosi tra i territori. Sui territori bisogna starci, ammonisce. Perché può cambiare molto, se lo si fa.

Racconta come è cambiata Palermo, anche per questo; città dove la mafia c’è ancora ma non governa più. Racconta del parco giochi che sorgerà a Roma su una proprietà sottratta ai Casamonica. Racconta della battaglia in corso sull’uso del territorio a Ostia. Tratteggia i miglioramenti possibili, ogni volta nati da salti di responsabilità, dalla scelta di non arretrare per sempre. Ed è ora, dice, di ricominciare ad affrontare la questione della droga. Si torna a morirne e i giovani sono fragili (è l’aggettivo che usa di più), indifesi. “Davvero è una questione che può essere normalizzata?”, domanda indignato.

Il prete rifiuta “il paradigma tecnocratico” (di nuovo Francesco), disegna una rivoluzione culturale che rimetta al centro le persone, un nuovo umanesimo europeo che lavi il continente della disumanità che gli si è appiccicata sulla pelle. Spiega che i deliri di onnipotenza trionfano negli esseri senza cultura e che il populismo ha sempre sfruttato il popolo. Che solo l’ammissione della propria finitezza può rendere vivi, che una umanità che si creda immortale è fatta di morti viventi. Ed è proprio qui che sfodera la parabola di Giuditta, della donna che senza paura difende Israele con la spada. Ne ha in mente diverse, di giuditte. Da un po’ di tempo pensa che la forza rigenerata dell’umanità possa venir da loro. E le vicende attuali lo vanno rafforzando in questa idea. Carola come Rackete è il primo nome, la capitana vera che non si è sottratta (lei) al processo che la attendeva per avere agito secondo convinzione.

Alessandra come Vella è il secondo nome, quello della magistrata che ha riconosciuto i diritti del mare. Altri nomi gli premono alla bocca, ma non li dice. Sono quelli delle donne di ‘ndrangheta che sotto protezione rompono antiche fedeltà di granito avvelenato, una dopo l’altra. Come rinunciare in questo quadro a un accenno a Greta adolescente? Che arriva, infatti, insieme all’auspicio che avvenga una follia, che anche la natura diventi soggetto giuridico, così da potersi difendere: sé stessa, e noi con lei, perché “non possiamo più separare società e ambiente”. Parole preoccupate, di speranza, in una tensione tra mente e cuore che sorprende chi è ormai chino sul chiassoso film della politica. Voi mi chiederete a questo punto come si chiami questo prete che dice cose ispirate lontano dal mondo perché vadano per il mondo. Ma sciuperei tutto. Vi dirò solo il nome proprio, un nome assai comune: Luigi.

Dolci attese nel clima d’odio: “Incinta senza chiedere nulla: poco aiuto, parecchi insulti”

 

Gentile Selvaggia, vorrei raccontarle una delle tante esperienze “sociali” della mia gravidanza, ormai giunta quasi al termine. Mi reco alle Poste, prendo il mio numero e mi siedo. C’è una bella coda, ho le caviglie che sembrano due cotechini, ma mi siedo, mando un paio di messaggi e non oso dire nulla. Il tempo vola, per fortuna. Chiamano un numero prima del mio e, visto che non si presenta nessuno, inizio ad alzarmi. Il sistema però non fa uscire il mio numero, ma quello di un altro signore, che ha richiesto un altro servizio. Faccio per sedermi, ma mi vede l’impiegato di uno sportello e mi dice che ho l’assoluta priorità. Iniziano i classici commentini: “Se sapevo di passare prima mi mettevo un’anguria sotto la maglia. Dica anche lei che è incinta così passa avanti”. I commenti continuano con un bel volume. Il signore a cui “sono passata avanti”, dopo due secondi viene servito ad un altro sportello. Ma continua a brontolare, sempre con un bel tono di voce. A quel punto gli dico: “Guardi che sono stata seduta zitta ad aspettare il mio turno fino ad ora e non ho osato chiedere niente”. L’impiegato che lo sta servendo aggiunge: “Uno: la signora ha la priorità perché ha tutte le ragioni del mondo. Due: io non sono suo fratello, quindi non si rivolge con quel tono e mi da del lei. Tre: se non la smette chiamo subito la polizia”. Il simpaticone ha continuato a borbottare, quindi l’impiegato ha ribadito il concetto: “Le chiamo la polizia, veda di cambiare il tono e mi dia del lei, per favore”. Alla terza minaccia, con la direttrice già attaccata al telefono, inizia ad abbassare le orecchie. Ora, io sto bene, non oso mai chiedere di passare avanti, faccio sempre la fila e le poche volte in cui qualcuno si “accorge di me” (ho una pancia che sembra plurigemellare, nonostante il bimbo sia uno) si tratta per lo più delle commesse (o commessi) del supermercato o degli addetti al check–in in aeroporto, che mi dicono “venga pure qua”. Io però di commenti piccati quando mi fanno saltare una fila ne sento tanti. Mi domando se sia sempre stato così, o se in questo clima di imbarbarimento generale, anche una donna incinta sia considerata una da inserire nella “fascia debole che rompe i coglioni e ruba il posto agli italiani”, al pari degli immigrati. Grazie

Dany

Insomma, è finita che nel paese dei falsi invalidi, dei falsi certificati medici, dei cartellini timbrati per poi andare al mare, dei concorsi truccati, degli appalti truccati, dei falsi incidenti e perfino dei falsi mariti, la furbetta è una donna incinta a cui si concede la precedenza ad una fila alle poste. Poveri noi.

 

“Così ho scoperto mio marito a letto col prete”

Cara Selvaggia, ho letto con divertimento che quando eri ragazzina tua madre ascoltava “Radio parolaccia” e che nella segreteria di Radio radicale sentisti un tizio che insultava un vostro conoscente. Beh, mi piacerebbe raccontarti cosa mi è accaduto per colpa o grazie a Radio Parolaccia. Ero sposata da appena 2 anni con un bellissimo ragazzo che avevo convinto a non entrare in seminario grazie all’amore improvviso scoppiato tra di noi. Fu un dilemma doloroso, per lui: la vocazione era salda, diceva, ma non voleva perdermi, così mi sposò. Volevamo un figlio, eravamo felici. Lui faceva l’assicuratore e quando staccava andava spesso nell’oratorio dell’adolescenza, ad aiutare il sacerdote che l’aveva quasi convinto a farsi prete. Amava stare con i ragazzi, teneva un corso di minibasket, dava lezioni di catechismo. Io ero felice della sua fede e del suo altruismo: mai temuto suoi ripensamenti e anzi, a volte l’aiutavo all’oratorio. Vivevamo in una piccola cittadina del Centro Italia. Radio Parolaccia era iniziata da un po’: io mi divertivo ad ascoltarla ma i veri appassionati erano 2 miei cugini. Un giorno ricevo una telefonata: uno dei miei cugini dice che qualcuno in segreteria aveva fatto il nome e il cognome di mio marito, aggiungendo “è fidanzato con Don… lo sanno tutti! Tranne la moglie!”.Io resto tramortita dalla paura e dall’imbarazzo, ma non dico nulla a mio marito, che pare all’oscuro di tutto. Però comincio ad aspettarlo fuori dal lavoro, quando dice che andrà all’oratorio. Scopro che non va all’oratorio ma in una villetta fuori paese: è la casa del prete. Quando torna la sera gli chiedo come sia andata in oratorio e mente. Io esplodo, gli dico tutto, lui balbetta per un po’, nega, dice che mi ama ma alla fine, stremato dai miei pianti, ammette tutto. Ha una relazione con quel prete da anni, ha provato a interrompere la storia, voleva andare in seminario per “redimersi”, voleva ritrovare INSIEME A ME la retta via. Si sente sporco, sente di vivere nel peccato blablabla. Inutile dirti che Radio Parolaccia in quel momento ero io. Quante gliene ho dette. Quante. Insomma, alla fine dopo appena due anni di matrimonio ci siamo lasciati grazie a Radio Radicale. Lui poi so che tanti anni dopo ha deciso di vivere liberamente la sua omosessualità e pare conviva con un musicista di discreta fama. Io mi sono risposata, ma ancora oggi mi chiedo come sarebbe finita senza quella segreteria telefonica!

Angela

Sarebbe finita con l’amante di tuo marito che battezzava tuo figlio.

 

Inviate le vostre lettere a:

il Fatto Quotidiano
00184 Roma, via di Sant’Erasmo,2.
selvaggialucarelli @gmail.com