Insulti social: Rackete vs Salvini. Che succede se lei querela tutti

Salvini e mezza Italia la volevano in galera. Ma ora è Carola Rackete a meditare se spedire in tribunale gli italiani. La querela per il Capitano leghista è pronta. Il reato? Diffamazione e istigazione a delinquere, ha annunciato Carola. Salvini è spavaldo: “Non mi fanno paura i mafiosi, figurarsi una ricca e viziata comunista tedesca!”. Come per il caso della nave Diciotti: poi il vicepremier ha scansato il processo grazie al voto dei Senatori.

Tutti contro Carola. Dopo l’attracco “spericolato” al porto di Lampedusa con 40 migranti a bordo, urtando la motovedetta della Guardia di Finanza, sulla comandante tedesca si è abbattuta una tempesta d’insulti social. Salvini ha aggiunto il carico da 90, su Facebook: “fuorilegge”, “delinquente”, “criminale; gli epiteti ricorrenti per qualificare Carola. Lei però è solo indagata. I suoi avvocati consigliano le vie legali anche per i leoni da tastiera. Carola non ha ancora deciso, ma al momento giusto dovrà scegliere: dimenticare le offese o querelare tutti? Sui social, un fotomontaggio recita: “Dopo 14 giorni che ti prendi pisellate da 43 Mao Mao, decidi di sbarcare a Lampedusa ….”. Il resto, lo lasciamo alla fantasia. Selvaggia Lucarelli, su Twitter, ha stigmatizzato il delirio: “Donne che se la ridono condividendo ‘sta roba. Ho esaurito le parole”. Il meme era apparso sulla bacheca Facebook di una giovane madre, cui la gogna è tornata indietro, come un boomerang, e con gli interessi: “Ti sarebbe piaciuto essere al posto di Carola, tranquilla cessa immonda che pur di non scoparti si sarebbero fatti tutti rimpatriare”, si legge sul suo profilo. Oppure: “Magari ti querelino così ti passa la voglia”. È lo stesso auspicio di Alessandro Milan, giornalista di Radio 24, che cinguetta su Twitter: “Spero che Carola quereli e si goda lauti guadagni”.

Diffamazione online. Internet non è una galassia senza regole. L’articolo 595 del codice penale (3 commi) vale anche sul web: “Chiunque, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro”. La pena aumenta, se chi diffama descrive un fatto preciso. Un conto è l’insulto, ma la bufala è peggio. Ad esempio, sul web circola un meme su Carola: “È già stata in galera per possesso di cocaina e carte di credito rubate”. Tutto falso, perciò raddoppiano galera e sanzione economica. Vale il comma 2 dell’articolo 595: “Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione è fino a 2 anni, la multa fino a 2.065 euro”. La l’offesa digitale dura più della pietra. Quindi scatta l’altra aggravante, il comma 3: “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da 6 mesi a 3 anni o della multa non inferiore a 516 euro”. Rischia grosso, chi scambia Facebook o Twitter per il far west. La Cassazione lo ha ribadito con la sentenza n. 24431 del 2015: diffamare via social è ancora più grave, perché gli insulti si diffondono rapidamente, senza scampo, ad una platea senza confini.

Nessuna paura. Gli internauti però non temono sanzioni. “Non se si condivide su Facebook un post di una testata giornalistica”, dice Marica (nome di fantasia). Sulla sua bacheca campeggia il meme di Carola condannata per cocaina: “L’ho letto su mag24.es”. Come la falsa notizia sulla patente nautica, di cui la Capitana sarebbe sprovvista. Peccato che la fonte non sia una testata giornalistica, ma un blog anonimo. Marica non crede alla storia dei profughi che rischiano la vita: “I clandestini palestrati, grassi e con cellulare e occhiali da sole fuggivano da un villaggio vacanze?”. Sul suo profilo, Marica si scaglia contro il giudice Alessandra Vella, colpevole di aver scarcerato Rackete, la sera del 2 luglio. Per evitare la gogna, la toga ha subito cancellato il profilo Facebook. Ma il linciaggio è scattato, implacabile. Matteo Salvini, del resto, era stato lapidario, all’indomani della liberazione di Carola: “Mi vergogno per i magistrati. La ricca fuorilegge, la comandante criminale, la rispediamo in Germania”. Gli insulti hanno travolto anche il Pd. Nicola Zingaretti, su Facebook, annuncia querele: “Ora basta. Gli attacchi sul web stanno diventando DIFFAMAZIONE”. Celebre il fotomontaggio sull’abbuffata a bordo della Sea Watch, con Graziano Delrio, Nicola Fratoianni, Matteo Orfini e Riccardo Magi a banchettare con ogni ben di Dio. Opera di un deputato leghista. “Solo uno scherzo”, si è difeso su Facebook Alex Bazzaro: “Lo scopo umoristico era chiaro”. Sicuro: chi non ha riso alla battuta?

Prova a prendermi. L’ironia è una giustificazione in voga, perché allontana la condanna. “Vero, la satira è sacrosanta – dice l’avvocato Caterina Malavenda – ma deve essere desumibile dal messaggio e dal contesto”. A volte, i diffamatori social si nascondono dietro nomi di fantasia: “Sì, ma basta risalire all’indirizzo ip e al suo titolare, per identificare l’autore: poi si può querelare”. C’è sempre l’alibi dell’hacker: “Ma va dimostrato con una perizia in tribunale”. Carola, il Pd e il giudice Vella possono adire le vie legali. Ma anche alcuni diffamatori sono stati bersagliati d’insulti. E se querelassero pure loro? I tribunali chiuderebbero bottega, visto l’andazzo da trivio. Molte offese, tuttavia, sono comuni: “La Cassazione ha già stabilito che ‘cretino’ non è un insulto e qualche giudice ha sdoganato il termine ‘coglione”, dice l’avvocato Malavenda. Giù con le offese allora: più si usano, meno si rischia.

La direzione degli scavi: “Bonifiche effettuate”

Cosa minaccia Pompei? Nel sottosuolo del sito archeologico tra i più famosi al mondo si nasconde un pericolo, un rischio che gli esperti conoscono, ma che non è facile disinnescare: lo abbiamo iniziato a raccontare ieri, nella prima puntata della grande inchiesta esclusiva del nostro “Sherlock”.

Sarebbero almeno 10 gli ordigni inesplosi, tutti localizzati nell’area del Parco archeologico ancora da scavare (le Regiones I-III-IV-V-IX). Il 24 agosto 1943 è il giorno in cui le forze Alleate sganciarono su Pompei 165 bombe, in nove incursioni aeree. Fatalità, l’eruzione che nell’antichità avrebbe devastato Pompei e le altre città sotto il Vesuvio avvenne proprio il 24 agosto, del 79 d.C.. Il nostro “Sherlock” per la prima volta ha reso noti documenti esclusivi conservati all’Aerofototeca nazionale: strisciate aeree e rapporti ufficiali in cui si documentano – con le immagini prodotte dagli Alleati per scopi di ricognizione durante la “Campagna d’Italia” del 1943-1945 – le 165 bombe sganciate su Pompei. Nel corso degli anni, 96 ordigni sono stati localizzati, in base ai rilievi dei danni provocati su strade, ville, muri del sito archeologico. Ma le altre 70 bombe cadute dove si trovano? E quante sono quelle non ancora esplose?

Tante le reazioni ieri alla pubblicazione della “notizia-bomba”, ripresa dai siti di giornali stranieri come il Guardian. Anche la direzione del Parco archeologico di Pompei ha rilasciato nella giornata di ieri una nota, per chiarire come l’area dei nuovi scavi di Pompei sia stata “bonificata dagli ordigni bellici del 1943, secondo legge”, e per sottolineare “pertanto l’assenza di rischi per i turisti”. “Presso i nuovi scavi della Regio V – spiega la direzione del Parco – rientranti nel vasto progetto di messa in sicurezza dei fronti di scavo (perimetro che circonda l’area non scavata) previsti dal progetto Grande Pompei, le attività di indagine sono soggette a una rigida procedura di progettazione e controllo”.

Nella nostra inchiesta non si parla però dell’“area dei nuovi scavi Regio V”. Si fa bensì riferimento, con precisione, alla zona non scavata, quella alle spalle dei fronti di scavo, nelle RegionesI-III-IV-V-IX: un’area non aperta al pubblico, come più volte sottolineato.

Il nostro “Sherlock” ha lavorato su documenti ufficiali e diverse fonti. Alcune di queste chiaramente citate nel testo, altre lasciate anonime, trattandosi in anche di persone impegnate a vario titolo nello stesso Parco archeologico: fonti afferenti tanto al mondo dell’archeologia quanto a quello delle università occupate nella mappatura degli ordigni in situ. E, visto che Sherlock torna sempre sul luogo del delitto, durante tutta la prossima settimana continueremo col nostro viaggio a Pompei. Questa era solo la prima puntata.

Alex e Alan Kurdi, sbarcano i migranti

I 46 migranti a bordo del veliero Alex sono sbarcati ieri notte a Lampedusa. Erano stati salvati giovedì scorso dalla ong italiana Mediterranea, mentre viaggiavano su un gommone a 70 miglia dalle coste libiche, con a bordo anche 11 donne, di cui tre incinte e una in gravi condizioni, e bambini in fasce.

In poco meno di una settimana si tratta della seconda ong a violare il decreto Sicurezza bis e le limitazioni di navigazione in acque italiane imposte dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Come già successo per la Sea Watch 3, anche il veliero Alex, di circa 18 metri, ha virato verso Lampedusa, facendosi beffa dei proclami del Viminale. Scortata dalle motovedette di Guardia costiera e Finanza, ha attraccando al molo Favarolo.

“Le persone sono state trasferite al centro di accoglienza di Lampedusa, – spiega Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea, al Fatto – mi auguro che possano accedere alla procedura di asilo, ma per il momento non abbiamo informazioni in merito”.

Al termine dello sbarco, le Fiamme Gialle hanno perquisito per circa quattro ore il veliero. La documentazione sarà trasmessa alla Procura di Agrigento, che nel frattempo ha notificato il sequestro probatorio della barca a vela e iscritto nel registro degli indagati il capitano Tommaso Stella, 46 anni, skipper milanese. È accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione degli articoli 1099 e 1100 del codice di navigazione, ovvero disobbedienza e resistenza o violenza a nave da guerra.

Secondo indiscrezioni sarebbe indagato anche il capo-missione Erasmo Palazzotto, deputato palermitano di Sinistra Italiana. Nei prossimi giorni toccherà al prefetto di Agrigento Dario Caputo pronunciarci sulla sanzione amministrativa da assegnare alla Mediterranea, secondo quanto previsto dal decreto Sicurezza bis.

A circa 80 miglia di distanza da Lampedusa, invece, staziona al porto di Malta la Alan Kurdi, nave della ong tedesca Sea Eye che lo scorso venerdì mattina aveva salvato 65 migranti sempre a largo della Libia. In un primo momento, anche la ong tedesca aveva annunciato di non essere “intimidita” dalle limitazioni imposte dal Ministro Salvini, puntando con decisione verso l’Italia. Sabato però era stata intercettata da una motovedetta della Guardia di finanza che le vietava l’accesso nelle acque italiane. Dopo essere rimasta alcune ore lungo la fascia internazionale in attesa di istruzioni, ha deciso di cambiare rotto dirigendosi a Malta, visto “lo stato di emergenza a bordo”. In un primo momento il governo maltese aveva negato lo sbarco e solo dopo una lunga trattativa tra i paesi dell’Ue il primo ministro Joseph Muscatha permesso l’entrata in porto. “A seguito delle discussioni con la Commissione europea e il governo della Germania, – ha commentato Muscat – il governo di Malta trasferirà i 65 immigrati a bordo Alan Kurdi nel porto maltese attraverso le sue forze armate. Tutte le persone soccorse saranno subito ricollocate in altri Stati membri dell’Ue”.

Salvini bacia a occhi aperti, come Arena in “Scusate il ritardo”

Independence Day – All’ambasciata Usa si festeggia il Quattro luglio e i gialloverdi accorrono per abboffarsi di salsicce: scortato da lady Verdini, il ministro dell’Interno preferisce l’amore e i suoi smack rievocano il quesito di “Tonino” (Lello Arena) a Vincenzo (Massimo Troisi): “Tu Vincè quando baci, baci con gli occhi aperti o chiusi?”

Contro Di Battista e Fico: Di Maio riapre il conflitto

Il capo dei Cinque Stelle sul palco parla di futuro, ma ha la testa rivolta all’indietro e il cuore colmo di rabbia. Scomunica “la nostalgia” e quasi lo urla: “Andiamo avanti”. Però pensa ancora ai conti da regolare, vede nemici e imboscate, e forse “ha la sindrome dell’assedio” come malignava ieri sera un veterano. Quindi infierisce per la milionesima volta su Alessandro Di Battista, “quello che va in giro a presentare libri”, e rifila stoccate indirette ma chiarissime a Roberto Fico.

Perché Luigi Di Maio promette una rotta, una nuova pelle per i Cinque Stelle tramortiti dalle Europee del 26 maggio, ma adesso è concentrato soprattutto su altro, sul risentimento per chi percepisce come fuori linea. “Sono il più incazzato di tutti per come è andata alle Europee” scandisce nel video pubblicato dal fattoquotidiano.it, resoconto dell’assemblea con gli attivisti del Movimento di Milano di venerdì scorso al Teatro Menotti, una delle tappe “del giro di ascolto” sui territori in vista della riorganizzazione del M5S. Riunione difficile, perché la base milanese è “ostica”, piena di iscritti della prima ora. Per di più in una città dove il Movimento non ha mai sfondato, anche se è quella dei Casaleggio. E poi gli attivisti sono irritati anche per una ferita recente, il veto all’uso del simbolo del Movimento per il Gay Pride milanese dello scorso giugno. Normale allora che dalla platea urlino al vicepremier: “Coerenza”. Ma Di Maio vuole altro: “Non ho mai visto una forza politica che più si chiude tra i puri e più va avanti. Non condivido tutto questo clima di nostalgia: torniamo, ma dove? Andiamo avanti”. E quando parla di “puri”, il capo morde innanzitutto Fico, il presidente della Camera che teme l’implosione del Movimento e per questo invoca una fisionomia e un percorso politico chiari. Lo stesso che pochi giorni fa, quando il M5S ha espulso la senatrice Paola Nugnes, lo ha scritto dritto: “Lei farà sempre parte del Movimento”. E il capo non ha affatto gradito. Anche da lì arriva il riferimento ai “puri”. L’ennesimo indizio d’insofferenza per Fico, vicino al quale Di Maio siederà mercoledì mattina alla Camera, per la presentazione della relazione annuale dell’Inps (dovrebbe esserci anche il premier Conte). Ma il vicepremier di nemici ne ha diversi. Tre giorni fa al Corriere della Sera aveva giurato che Di Battista “è una figura importante nel Movimento e tutti speriamo che torni a dare una mano concreta”. Ma nelle stesse ore agli attivisti milanesi sibilava altro: “Scusate se mi incazzo se quelli che non sono venuti sul palco con me poi, il giorno dopo le Europee, stavano, e stanno ancora, in giro per l’Italia a presentare libri. Questo mi fa incazzare molto”.

E alla base c’è sempre quella ferita: “Mi volete dare la colpa del risultato delle Europee? Va benissimo. Ma la campagna elettorale me la sono fatta da solo”. Insomma Di Maio non ha perdonato il passo di lato di Di Battista, a cui aveva offerto anche una candidatura come capolista. Così insiste: “Negli ultimi sei anni ho dedicato ogni ora della mia vita a questa storia. A differenza di altri che hanno fatto scelte legittime e che invidio non mi sono mai sottratto”. Indica la differenza, con l’ex deputato romano che ieri lo ha (ri)scritto: “Virginia Raggi, siamo tutti con te”. Mentre Di Maio da tempo non spende una parola per la sindaca di Roma.

Vuole smarcarsi, dai rapporti e dai dogmi: “Siamo cresciuti con la consapevolezza che andando al governo si poteva fare tutto, ma è arrivato il momento di fare i conti con la realtà”. Tradotto, certe rinunce come il sì al Tap erano obbligate: “Quando dicevamo no al gasdotto non c’erano le leggi che si sono fatte poi”. E chissà quando ne arriveranno altre, per esempio sul Tav. Perché Di Maio vuole un M5S pragmatico, e chi se ne importa della purezza. Poi, certo, arriverà la riorganizzazione del Movimento, partendo “con 80 referenti regionali”, ma “non ci farà prendere più voti, è solo un punto di partenza”. Per arrivare dove, il capo non lo dice. E forse non lo sa.

Ma mi faccia il piacere

Capitan Findus. “Orfini, lei era bordo quando la capitana Carola ha scartato, forzando il blocco: in quel momento cosa ha pensato? Questa ragazza sta esagerando?”. “In quel momento ho pensato: sei fossi io al suo posto, agirei esattamente come lei” (intervista di Matteo Orfini a La Stampa, 30.6). Solo che, diversamente da lei, si sarebbe schiantato sulla banchina.

Rosicamento di infrazione. “C’è tanto entusiasmo, motteggia l’ineffabile Conte, premier ombra del governo legastellato, mentre vaga ramingo nei cortili del palazzo Justus Lipsius in cerca di un qualunque alleato disposto ad ascoltare la suicida posizione italiana” (Massimo Giannini, Repubblica, 2.7). “Conti, l’Europa grazia l’Italia. Sto alla procedura sul debito” (La Stampa, 4.7). Commissione Ue grazia l’Italia: niente procedura d’infrazione” (il Giornale, 4.7). “L’Italia incassa lo stop alla procedura d’infrazione. Ma lo scontro con l’Ue è solo rinviato: sarà un autunno caldo” (Repubblica, 4.7). Ragazzi, andata maluccio, eh?

Senti chi pirla. “Con il governo del cambiamento è tornata l’Italietta di Crispi. Un Paese di circoli ristretti e di clientele” (Marco Fiollini, ex leader Udc, editorialista dell’Espresso, 7.7). Ha parlato l’ex segretario di Totò Cuffaro.

L’elettore-tipo. “Cinquantenne riminese in trasferta nel Nord Italia prenota seduta sadomaso, ma finisce al pronto soccorso. Ossa a pezzi, lividi e 40 giorni di prognosi” (Huffington Post, 4.7). Il classico scarto fra la campagna elettorale e il dopo.

Il badante. “Oggi alla riunione di gruppo del PPE mi sono seduto vicino al più giovane parlamentare europeo, Alex Bernhuber!” (Silvio Berlusconi, Facebook, 1.7). Dev’essere quello che gli cambia il pannolone.

Nostradamus. “Nomine Ue, la notte di Timmermans. Il Ppe si spacca sull’elezione del socialista alla Commissione, poi la Merkel supera le resistenze. Weber in corsa per l’Europarlamento” (Il Messaggero, 1.7). Ma certo, come no.

Enti inutili. “Sassoli (Pd) europresidente. Dopo Tajani, un altro giornalista italiano” (il Giornale, 4.7). Per dire quanto conta il Parlamento europeo.

L’ospedale più pazzo del mondo. “Alfano sarà a capo degli ospedali. Diventa presidente del gruppo San Donato” (Libero, 6.7). Già transennati i cimiteri.

Chi ricatta chi. “Il ricatto ai Benetton del M5S” (Il Foglio, 2.7). Diavolo di un Toninelli: ha buttato giù il ponte Morandi per ricattare i Benetton.

Colpa di Virginia. “Gravi colpe di Raggi” (Pinuccia Montanari, assessore all’Ambiente del Comune di Roma fino a sette mesi fa, Corriere della sera, 4.7). Soprattutto quella di averla scelta.

La garanzia. “Se persino i sindacati dicono no al salario minimo di 9 euro” (Livio Caputo, il Giornale, 1.7). E’ la prova definitiva che il salario minimo a 9 euro è sacrosanto.

Dovere di cronaca. “Le prigioni di Carola”, “E la capitana recupera la scarpa: ‘Ora voglio andare a correre’”, “Appena libera, Carola ha chiesto tre cose: la scarpa destra da jogging, la possibilità di chiamare sua sorella in Germania, un po’ di calma attorno a sé. Già dopo l’arresto aveva avvertito lo staff di Sea-Watch di aver bisogno di quella scarpa, probabilmente andata perduta durante il marasma tra venerdì e sabato… Ora l’ha recuperata e si allena nei pressi dell’ennesima casa-rifugio. Dice chi la conosce che correre sia il suo modo per scaricare la tensione. E la Capitana deve averne accumulata assai… ‘Forse dovrei emigrare in Australia’, ha scherzato con Giorgia Linardi, la portavoce di Sea-Watch Italia. Poi si è messa le scarpe, ed è corsa via” (Fabio Tonacci, Repubblica, 3 e 4 .7). Sea-Slurp.

I titoli della settimana/1. “’Sì, in Aula col sandalo’. ‘No, serve più decoro’. I due partiti delle donne in Parlamento. Così si sono divise sull’abbigliamento” (Corriere della sera, 4.7), “’Onorevoli scostumate’. La disfida delle scollature” (Repubblica, 4.7). Finalmente un po’ di attenzione ai veri problemi del Paese.

I titoli della settimana/2. “A Milano una ragazza disabile è stata rapinata da un uomo senza una mano e una donna senza una gamba” (SkyTg24, 28.6). Questo sì che si chiama fair play sportivo.

I titoli della settimana/2. “Progetto scellerato per ‘uccidere’ Salvini” (Pietro Senaldi, Libero, 6.7). Sparando cazzate.

I titoli della settimana/3. “Governo scomparso. CIALTRONISSIMI” (il Giornale, 2.7). Ogni tanto Sallusti e i suoi boys usano lo pseudonimo.

Orestiadi di Gibellina: il teatro contemporaneo viene dal passato

Il ricordo dell’allunaggio, l’omaggio a Pina Bausch, la memoria di Borsellino: sono alcuni dei momenti significativi di uno degli eventi culturali più longevi della Sicilia, il Festival internazionale delle Orestiadi, in corso a Gibellina fino all’11 agosto e giunto alla sua 38esima edizione.

Protagonista è il teatro di narrazione che – dopo le Storie dell’altro mondo, notte di racconti, miti, favole e allunaggi andata in scena venerdì con la partecipazione straordinaria di Luigi Lo Cascio e dopo Carapace, lo spettacolo di e con Roy Paci – stasera prende corpo con lo spettacolo di Claudio Fava, Il mio nome è Caino, interpretato da Ninni Bruschetta.

“Le storie sono l’anima di questa nuova edizione delle Orestiadi, storie di terra e di luna, di ieri e di oggi, miti e racconti tra favola e cronaca, sul cui sfondo c’è un Paese, l’Italia, che guarda ancora con stupore la luna”, ha dichiarato il direttore artistico del festival Alfio Scudieri. Tra i prossimi eventi, il nuovo spettacolo di Marco Baliani Una notte sbagliata (regia di Maria Maglietta), il ritorno di Mistero Buffo – che Dario Fo portò proprio qui, cinquant’anni fa, tra le baracche dei terremotati – in una nuova edizione interpretata da Ugo Dighero e poi ancora, in ricordo di Paolo Borsellino, Le parole rubate di Gery Palazzotto e Salvo Palazzolo; in scena, Gigi Borruso.

Il 20 luglio ci sarà la prima nazionale de Le esequie della luna, in occasione dei cinquant’anni dal primo sbarco, dal testo di Lucio Piccolo con Silvia Ajelli e la regia di Rosario Tedesco, mentre il 21 andrà in scena il progetto dei Fanny & Alexander ispirato a L’amica geniale di Elena Ferrante (Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, di e con Chiara Lagani e Fiorenza Menni).

L’ultimo weekend di luglio è segnato dal ritorno a Gibellina di Marco Paolini, con Nel tempo degli dei: il calzolaio di Ulisse, regia di Gabriele Vacis, mentre il 10 agosto andrà in scena un omaggio a Pina Bausch, Pina, con le musiche di Gianni Gebbia: e proprio per raccontare i trent’anni di uno spettacolo che ha segnato la storia della danza contemporanea (Palermo Palermo della Bausch), sempre ad agosto sarà inaugurata Da Palermo a Palermo”: 1989/2019, mostra fotografica di Piero Tauro.

L’11 agosto la chiusura sarà dedicata ancora una volta alla luna: il Cretto accoglierà Il Lunario: osservatorio poetico per amanti della luna, con la partecipazione straordinaria di Rocco Papaleo e con la Sicilian Improvisers Orchestra. Anche quest’anno le produzioni artistiche – nate da un percorso di collaborazione con le istituzioni culturali e teatrali della Regione – si svolgeranno in tutti i luoghi simbolo delle Orestiadi, e tutti gli spazi del Baglio di Stefano e del Grande Cretto di Burri verranno usati per la messa in scena.

“Le Orestiadi”, ha commentato sempre Scudieri, “si confermano spazio creativo all’interno del quale immaginare percorsi artistici nel segno dei diversi linguaggi del contemporaneo: arti visive, musica, teatro e narrazione. Per noi il contemporaneo è un linguaggio ‘popolare’ a cui possono accedere tutti”.

“Ho tre inediti scritti con Pino: prima o poi inciderò un disco”

“Era un’anima in trappola. Un outsider. Vagava dentro le sue stesse canzoni, non le eseguiva mai due volte nello stesso modo. E io mi identifico in lui”. Sarah Jane Morris si è gettata anima e corpo nella missione di “offrire una seconda chance”, spiega, all’immenso John Martyn, il cantautore scozzese scomparso a soli 61 anni nel 2009, che tre o quattro decenni fa regalava al mondo il suo estro infelice, inquieto, irredimibile: i suoi album spaziavano senza confini dal folk al soul, sfiorando il jazz, con magmatica creatività.

“In pochi lo conoscono, oggi. Per questo ho realizzato Sweet Little Mystery: non è solo un disco di sue composizioni che ho reinventato assieme al chitarrista Tony Rémy, ma anche un’operazione teatrale. Abbiamo intervistato molte delle persone che conoscevano John, confezionando un documentario che presenteremo in agosto al Festival di Edimburgo e nei teatri inglesi in autunno: forse sarà della partita anche il leggendario bassista Danny Thompson, che giorni fa ha suonato con noi al raduno per Martyn ad Hackforth. Il nostro è un vero show di musica e immagini, diretto da Mark Thomas. Come bis mostreremo una performance di John sulla sua Big Muff, girata tanti anni fa a Hastings Beach”.

Sarah Jane sarà in concerto giovedì alla Casa del Jazz a Roma, “ma a fine anno sarebbe bello portare in Italia lo spettacolo completo, ovviamente tradotto”. Sullo schermo comparirà anche Beverley Martyn, la moglie di John. “Quando divorziarono lui andò in pezzi, non si riprese mai più. Stava registrando Grace and Danger con Phil Collins, che attraversava la stessa tempesta coniugale. Si sostenevano a vicenda. Beverley era una ragazza irresistibile: prima di conoscere Martyn era stata la fidanzata di Paul Simon, fece innamorare Bob Dylan, e anche Jimmy Page le ronzava intorno. Era una prolifica interprete, suonò al mitico Monterey Pop. Con John formavano anche una coppia artistica, soprattutto nei primi tempi. Lui scandagliava la tenebra, lei voleva sapere solo dell’amore, come in I don’t wanna know about evil”.

Sarah Jane incontrò John un giorno nello studio dove entrambi registravano: “Arrivò talmente strafatto che dovettero portarlo a braccia. Ma il giorno dopo suonò una splendida session. Nessuno ci avrebbe scommesso un penny”. Martyn era l’idolo di Sarah Jane sin da quando era una ragazzina, “e ascoltavo anche Hendrix o Janis Joplin. Ma non avevo intenzione di diventare un’artista. Finché a 17 anni mio padre andò in prigione, la mia famiglia si disintegrò, perdemmo la casa. Andai al college per iscrivermi, ero disperata. Sulla soglia vidi un uomo che mi chiese cosa avessi, e glielo raccontai. Con noncuranza mi disse: ‘Devi fare drammaturgia. Sei stata alienata, studia Brecht, ti salverà’. E così fu: quell’uomo era Gordon Dalls, una delle massime autorità brechtiane in Inghilterra. La musica di Kurt Weill parlava alla mia anima: divenni la cantante di una band politica, gli Happy End”. Poi subito l’Italia, la seconda patria: “A vent’anni mi unii a una rock band fiorentina, i Panama. Guadagnai un ingaggio al Piper, feci da opening a Gianna Nannini. E da lì il successo pop-soul con i Communards, il Festivalbar, trasmissioni tv di gran qualità come Doc. Vinsi Sanremo nel ’91 con Cocciante e la nostra Se stiamo insieme. Riccardo è un uomo minuto con una voce insospettabilmente potente. Al momento della premiazione Grace Jones, che era arrivata seconda in coppia con Renato Zero mi spinse di lato per guadagnare il centro della scena… Ma il mio autore italiano preferito è De André: cantai un paio di suoi brani in un tributo a Genova con la Pfm, e prima o poi registrerò La canzone di Marinella”.

Il suo amico speciale è stato Pino Daniele: “Quando venne a Londra al Barbican duettammo su Alleria, che reincisi nel mio Cello Songs. Ci eravamo conosciuti a uno special di Mtv: lì mi innamorai della magia della sua chitarra acustica. Mi invitò a casa sua, restai a Napoli una settimana e componemmo tre pezzi. Purtroppo la casa discografica mise il veto alla pubblicazione, e ora non possiedo neppure una copia di quei nastri. Ho parlato con il figlio, è pronto a sbloccare la situazione, spero proprio di poter rendere omaggio a suo padre. Io e Pino ci eravamo ripromessi di scrivere altri brani, ci eravamo dati appuntamento da lui in Toscana. Ma non facemmo in tempo. Anche lui, come John, è uno dei nostri angeli caduti”.

“Sono stato con la Turner e ho salvato Mal dai Servizi. Nella vita ci vuole culo…”

Tutto nasce da un gesto intimo. Racconta Adriano Aragozzini: “Anni 60, Gino Paoli rilascia un’intervista: rarissimo. La giornalista domanda: ‘Cosa fa prima di un concerto?’. E lui: ‘Una sega’. Vengo a saperlo, e quando lo incontro gli pongo lo stesso quesito. Scoppia a ridere, diventiamo amici, e poco dopo mi chiede di seguirlo come manager. Accetto”.

Adriano Aragozzini è così. Visionario, arrembante, goliardico e spregiudicato; amato, temuto, detestato, per certi toni un Howard Hughes nostrano, anche lui appassionato di aerei (“ne ho posseduto uno”), di donne (“sono stato con Tina Turner, ma anche con Miss Mondo”), di imprese e fughe clamorose (“in Argentina con la Lollobrigida abbiamo rischiato di brutto”). Per molti lui è Sanremo, eppure ha guidato il Festival per cinque edizioni e dal 1989, ma lo ha rivoluzionato (“ho tolto il playback”). Quando racconta si diverte, e quando si diverte ride, con tutto il corpo, fino a sollevare i piedi da terra e raggiungere una posizione quasi fetale. Diventa serio solo al nominare Gianni Morandi: “Non ho alcuna stima di lui, è il peggio”.

Ma come, Gianni Morandi?

La gente non sa, io gli sono stato vicino per molti anni: lo conosco bene. Però una volta in Giappone ci ha causato una risata da sentirsi male.

Dica…

Con Fidenco e altri eravamo in un posto con piscine di acqua bollente. Impossibile bagnarsi se non con moderazione. Arriva lui, inconsapevole, e con i suoi modi grossolani si tuffa. Silenzio generale squarciato dalle sue urla di dolore: ha impiegato minuti prima di riacquistare una respirazione normale (pensa). Mentre Dalla è stato un grandissimo, ma l’ho rifiutato.

Errorissimo.

Purtroppo mi sono fidato dell’apparenza, e quando ho visto questo tipo basso, peloso, e un po’ pelato, l’ho derubricato a flop. Stesso errore con Renato Zero.

E due.

Mi venne a trovare in ufficio su indicazione di Patty Pravo. Mi trovai davanti un ragazzone vestito di nero, con i capelli lunghi: invece di accomodarsi come tutti, si sedette sulla spalliera di un divano meraviglioso, con i piedi sui cuscini. “Cocco mi vuoi?”. Finì lì. Dopo pochi mesi aveva venduto un milione e mezzo di dischi (suonano al citofono, si alza, va in cucina, prende the freddo, torna e sposta gli oggetti dal tavolo. Casa è piena di ricordi, immagini, ninnoli: vita e carriera lo circondano. Prende una scatola d’argento).

Cos’è?

Me l’ha regalata Amir-Abbas Hoveyda, allora primo ministro iraniano, fucilato pochi giorni dopo averlo salutato.

Come mai era lì?

Organizzavo i concerti, in quell’occasione di Patty Pravo; in Iran ho portato tutti, da Iva Zanicchi a Modugno.

Sempre tutto liscio.

Mica tanto, con i The Four Kents qualche problemino c’è scappato.

Quanto “ino”?

Erano quattro ragazzi di colore, enormi, muscolosi. Li mando, dopo una settimana chiamano: “Non ci pagano”. “Tranquilli, ci penso io”. “Vogliamo i soldi”. “Domandateli con molta cortesia”.

Così non è stato…

Macché, fino a quando l’organizzazione locale li mette in contatto con un piccoletto. Loro non capiscono e rispondono, male. Il piccoletto li ha stessi tutti. A schiaffoni. Mi hanno chiamato quando si sono ripresi: “Aiuto, è arrivato un diavolo!”.

Sembra una barzelletta.

Un’altra volta sono a Cannes con Sergio Bernardini (proprietario de La Bussola) per il Festival dell’editoria. La sera andiamo al Casinò, con noi un italiano bassino. Arrivano sette inglesi, non ricordo il motivo ma iniziano a discutere con il piccoletto.

Altra rissa.

Incredibile, da solo li ha distrutti; ma il punto è un altro: nella lotta si era stracciato una manica della giacca, l’avevo raccolta e portata in albergo.

Quindi?

La mattina dopo scendo nella hall e trovo Bernardini: “Il piccoletto lo hanno ammazzato. Stanno cercando chi ha preso la sua manica”. Torno in stanza, chiudo al volo la valigia e via verso l’aeroporto; lì incontro Fred Bongusto, gli spiego il problema, e lui: “Ma che dici? Questa mattina era a colazione con me!”.

Eh?

Uno scherzo di Sergio.

Si è mai vendicato?

Ovvio. Organizzo il concerto di Tina Turner a La Bussola, ma il giorno stesso fingiamo una lite e Tina se ne va.

La Turner sua fidanzata.

Di una simpatia unica; comunque Bernardini viene da me: “Devi recuperarla”. Corriamo da lei, mi vede, sta per ridere, io mi preoccupo, invece inizia a urlare e quasi mi picchia. Sergio distrutto se ne va. Alla fine siamo arrivati alla Bussola e mentre lui era sul palco per annunciare il forfait, Tina inizia il concerto.

Bruno Voglino sostiene…

Chi?

Voglino, ex Rai Tre.

Grande amico mio. Anche lui vittima di uno scherzo.

Eccoci.

Partiamo in aereo con Nicola Di Bari. Il giorno prima mi ero messo d’accordo con un mio collaboratore: “Chiama in aeroporto, e fingi un grave problema per Voglino”. Così è. Arriva la hostess, gli spiega, lui scende. Noi partiamo.

Insomma, Voglino parla della fragilità dell’artista.

Penso a Modugno, famoso nel mondo, trent’anni di collaborazione e un’amicizia vera: prima di cantare impazziva, si emozionava, soffriva.

Avete mai discusso?

Tutti i giorni, ma blandamente; comunque se il teatro era pieno, era merito suo, se era vuoto colpa mia.

Insomma, fragili.

Tranquillizzarli è un lavoro, faticoso, e dopo un po’ di anni non è possibile continuare: oggi non sarei in grado, non ho più quel sistema nervoso.

Basta.

Tempo fa mi chiama Gino (Paoli) e mi chiede di seguire la Vanoni. Ho retto per poco.

Come mai?

Un giorno si fa ricoverare dal professor Cassano (psichiatra). Da lì mi chiamava tutte le notti per dirmi: “Perché non mi vieni a trovare?”. Ed ero pure sposato da poco.

Risposta?

“Sono il tuo manager”.

Duro ma giusto.

Una volta uscita la raggiungo in una villa affittata per incidere un album, e trovo la dimora ricoperta di materassi. Con lei c’era Mario Lavezzi.

I materassi?

Sì, per insonorizzare (ci ripensa). I materassi di casa!

Con Paoli era legato.

Insieme abbiamo passato anni veramente belli e intensi. Condiviso tutto (inizia a ridere). Una sera mi dice: “Andiamo da Ornella, si è sposata da poco”. Raggiungiamo la villa. “Aspetta, entro un minuto”. Quel minuto diventa l’intera notte, ogni tanto citofonavo ma non rispondevano. Ero tra il disperato, il preoccupato e l’incazzato. Alle sei esce dal cancello. “Che scopata”.

Cosa serve nella vita?

Il culo è fondamentale.

E poi?

Carattere e simpatia. Anche se suscito pure antipatia. Quando mi hanno assegnato Sanremo scattò una campagna stampa micidiale, passavo da dilettante, mentre avevo otto uffici in Sudamerica, a Los Angeles e a New York.

Alto livello.

A Los Angeles mi rappresentava Maddalena Mauro, agente di Gina Lollobrigida…

Con la Lollo siete amici?

Sì, e con me ha guadagnato tanti soldi; quando arrivavamo in Argentina accadeva di tutto: i generali che impazzivano e volevano trombarla.

L’hanno mai fregata?

In Sudamerica capitava spesso, lo mettevo nel conto, e a me è andata meglio che ad altri: ero l’unico a portare italiani.

Nessuna concorrenza.

Se qualcuno ci provava, gli bloccavo il mercato.

Solo lei.

In Sudamerica Nicola Di Bari era una star assoluta, quando atterravamo la televisione trasmetteva in diretta l’evento, al grido: “Arriva il cantante più brutto del mondo ma con la voce più bella del mondo”.

Proprio Nicola Di Bari?

Quando l’ho preso era completamente finito, talmente finito che l’unica condizione pretesa da lui per firmare il contratto è stata quella di saldare l’affitto di casa.

Niente di che…

Con me nel 1969 è arrivato secondo a Sanremo e primo nel 1970 e 1971. Poi Canzonissima davanti a Massimo Ranieri.

Tripletta.

Mi accusarono di imbrogli.

Insomma, Di Bari…

Prima dell’arrivo di Julio Iglesias veniva considerato un Dio; Billboard gli pubblicò una pagina intera: “È il fenomeno del Centro e Sudamerica”. Eppure non scriveva canzoni, l’unica sua è di merda.

Sempre duro ma giusto.

Ha mai ascoltato Zapponeta?

No.

È il nome del suo Paese natale. Prima in classifica in tutto il Sudamerica.

Così brutta?

Orrenda.

Quindi?

Non vincevamo più Sanremo, così inventai un escamotage che ci regalò altri sette trionfi: prima del Festival ascoltavo i brani, prendevo i diritti in spagnolo di quei quattro o cinque papabili per la vittoria, traducevo il pezzo e Nicola lo incideva. Il gioco era servito.

Felici gli interpreti originali…

Una mattina mi chiama Peppino Di Capri, urla: “Cosa stai facendo?”. “Non capisco”. “Canto un grande pezzo e qui mi dicono che è di Nicola?” Anche Ranieri mi ha evitato per anni.

Hanno parlato di lei come finanziatore dei regimi del Sudamerica.

Stupidaggine: a quelli i soldi li portavo via, anche infilando i contanti nelle mutande e nei reggiseni della Lollo.

I servizi segreti l’hanno contattata?

Mai.

Massoneria?

La odio. Sono il mio contrario mentale. E non avevo tempo da perdere.

Tempo è denaro.

A 21 anni andavo ogni mercoledì in Venezuela e a Roma avevo già una villa con piscina; un giorno venne mio padre in ufficio, allarmato: “Mi spieghi da dove arrivano i soldi?”. Ho tirato fuori i registri.

La sua vera svolta?

Proprio a 21 anni quando ho conosciuto per caso un agente che cercava star italiane da portare nello show di Renny Ottolina, il Mike Bongiorno del Venezuela.

E…

Con Renny ho lavorato per anni, poi è morto in un misterioso incidente aereo quando ha deciso di candidarsi alla presidenza del suo Paese. Il Sudamerica è così.

Ha mai avuto paura?

Solo una volta, per colpa di Mal: atterriamo in Venezuela e in aeroporto troviamo duemila persone. Una situazione folle, con le donne che lo aggredivano pur di dargli il numero di telefono; la sera, alla fine dello spettacolo, accade la medesima situazione, ma nel camerino. Mal si scoccia, le caccia, una signora insiste, ed entra di nuovo. Il segretario la solleva e la butta fuori. Errore clamoroso.

Chi era?

La moglie del colonnello dei servizi segreti. Dopo dieci minuti il proprietario del locale viene da me, pallido, sudato: “Cosa è successo? Sta arrivando l’esercito, porti via Mal”. Corro da lui e lo spedisco in albergo, in una stanza differente dalla sua; poco dopo si palesano i militari, in borghese, con il mitra in mano, mi interrogano. Bluffo.

Conclusione?

Per giorni i servizi mi hanno seguito, Mal nascosto, fino a quando sono riuscito a farlo salire su un aereo.

Ha mai avuto una storia con una delle sue artiste?

Quasi mai, giusto Tina Turner; però sono stato con Miss Mondo, nonostante fosse la donna di un grosso impresario, uno da aereo privato.

Come ci è riuscito?

Lui era spesso ubriaco, e se uno beve così poi a letto funziona poco; poi giocava al Casinò: nel frattempo invitavo lei in Italia per dei provini.

Un classico.

Con le donne ho sempre mantenuto la parola, a volte pagando perché non riuscivo nelle mie intenzioni.

In che senso?

Fingevo ingaggi, in realtà ero io ad allungare i soldi.

Conta più il potere o i soldi.

Con il potere arrivi ovunque.

Lei ha il potere?

Un tempo, oggi con internet è impossibile, tutti possono ingegnarsi, basta un’email spedita da casa.

E Patty Pravo?

La svolta è arrivata grazie alle foto nude apparse su Playboy, pagate una cifra pazzesca.

Era già molto famosa.

In quella fase non andava più in televisione, e la casa discografica la obbligava a cantare canzoni francesi pallosissime. Non vendeva. Rovinata. E invece con me ha inciso Pazza idea, e neanche era convinta: “Troppo commerciale”.

Storia con la Pravo?

C’è un proverbio: “Dove tiri fuori il pane non tirare fuori il pene”.

Mal.

Potevo lanciarlo sul mercato statunitense, aveva inciso un pezzo entrato in classifica e aveva una serie di concerti a Las Vegas; ha rinunciato al momento di partire: “Non posso, ho paura”. “Di cosa?”. “Se vado via la mia fidanzatina mi mette le corna”.

Perfetto.

Alla fine la fidanzatina lo ha tradito e mollato; oggi avrebbe potuto vivere a Beverly Hills. Sta a Pordenone.

Gli artisti e i soldi.

Alcuni oculati, ma spesso sono una tragedia come Patty (ricca risata). Un giorno fisso un appuntamento con Andy Warhol per parlare di un film da girare. Lei è contenta di conoscerlo, ma quando lui varca la porta di casa, Patty si trincera in un mutismo assoluto. Dopo un’ora termina l’imbarazzo, Warhol va via. Appena esce, la Pravo accende una candela e inizia a correre come una matta per casa: doveva cacciare via gli spiriti cattivi.

L’artista è riconoscente?

No.

Lei è mai triste?

Spessissimo.

Le capita di stare solo?

Molto spesso.

E come si trova?

Preferisco la compagnia, ma non ci sto male (cambia tono); da pochi anni mi sono reso conto di ciò che ho combinato nella vita, quando ero al top non capivo.

Adrenalina.

Ho corso proprio tanto, la prima vacanza me la sono concessa a 39 anni. Ora ho passato gli ottanta, è stato un attimo.

(Canta Anna Oxa: “La mia vita è questa qua, che un’altra dentro non ci sta”).


Twitter: @A_Ferrucci