Ma mi faccia il piacere

Bananistan. “Draghi al lavoro per cercare il suo sostituto” (Pietro Senaldi, Libero, 30.12). Gentile da parte sua.

Draghistan. “La linea di Draghi dopo lo stop: se rimango a Palazzo Chigi garantitemi libertà di scelte” (Giornale, 27.12). “I paletti di Draghi ai partiti: posso restare premier solo se libero di decidere” (Stampa, 2.1). Se no?

Pilistan. “Nel 2022 Pil mondiale oltre i 100 mila miliardi: l’Italia rimane ottava, ma solo se resta Draghi” (Giornale, 27.12). Con la sola imposizione delle mani.

Spreadistan. “Lo spread che sale non preoccupa” (Foglio, 29.12). Anzi, con Draghi fa meglio del vaccino.

Covidistan. “Omicron non fa paura” (Libero, 2.1). Anzi, con Draghi è tutta salute.

Brunettistan. “La sfida contro il virus la stiamo vincendo noi” (Renato Brunetta, ministro FI della Pa, Messaggero, 30.12). La variante Micron.

Ballistan. “Basta balle anti-vax. L’efficacia della vaccinazione anche nel prevenire il contagio spiegata a Fusaro e Travaglio” (Luciano Capone, Foglio, 30.12). Infatti siamo quasi tutti vaccinati e abbiamo molti più contagi di quando nessuno era vaccinato.

Poltronistan. “Nei 5 Stelle si pensa solo alle poltrone: fondo un mio partito” (Elisabetta Trenta, ex ministra M5S della Difesa, Riformista, 30.12). Perchè ho perso la mia.

Gentistan. “Mattarella prepara l’ultimo discorso:; sarà per la gente” (Repubblica, 30.12). E noi che pensavamo fosse per i minerali e i vegetali.

Pisapistan. “Otto anni di processi? Una sofferenza, il nuovo Csm primo passo per cambiare” (Giuliano Pisapia, eurodeputato Pd, sul caso Burzi, Stampa, 28.12). Parola dell’avvocato di De Benedetti che vinse il processo Mondadori con le condanne definitive di Previti&C. dopo 11 anni e ottenne il risarcimento da Berlusconi e Fininvest 23 anni dopo i fatti. Ma non si lamentò.

Craxistan/1. “Le mosse di Amato per un mandato breve e che garantisca tutti” (manifesto, 28.12). Basta non eleggerlo e sarà brevissimo.

Craxistan/2. “Amato e la corsa al Colle: il nome che intriga tutti” (Annalisa Cuzzocrea, Stampa, 28.12). Noi, per esempio, siamo già arrapatissimi.

Figliuolistan. “Figliuolo: ‘Terza dose dopo 4 mesi: il vaccino non è yogurt con la data di scadenza’” (Stampa, 28.12). Lo yogurt dura di più.

Renzistan. “D’Alema rientra nel Pd: ‘Guarito dal renzismo’” (Repubblica, 2.1). “Nessuna malattia e quindi nessuna guarigione” (Enrico Letta, Twitter, 2.1). E niente, sono ancora infetti: è la variante StaiSereno.

Gedistan. “’L’informazione è un bene pubblico’. Ma in Italia finanziamenti limitati” (Repubblica, 24.12). “Sequestrati oltre 30 milioni al gruppo Gedi. L’accusa: truffa all’Inps” (Verità, 31.12). Fate la carità.

Sfighistan. “Auguro a tutti che il 2022 ci liberi delle sofferenze e del dolore di Covid19. E tutti insieme si sia capaci di restituire alla società italiana fiducia e speranza. Happy New Year!” (Piero Fassino, deputato Pd, Twitter, 31.12). Quindi siamo spacciati.

Gelministan. “Mi pare che il sovranismo sia stato messo da parte” (Maria Stella Gelmini, ministra FI degli Affari regionali, Stampa, 2.1). Almeno finchè non si vota.

I titoli della settimana/1. “Germania, calo dei casi e più vaccinati. È l’effetto del lockdown per i No vax” (Corriere della sera, 27.12). “Il caso della Germania dovrebbe convincere tutti: il lockdown imposto ai non vaccinati ha fatto crollare il numero dei contagi” (Luciano Fontana, ibidem). “Cosa insegna il modello tedesco” (Tonia Mstrobuoni, Repubblica, 27.12). “Il lockdown dei No vax sta salvando la Germania” (Giornale, 27.12). In Germania contagi in netto calo dopo il lockdown dei No vax” (Libero, 27.12). Per la cronaca, in Germania non mai esistito alcun lockdown per i No vax.

I titoli della settimana/2. “La spinta di Mattarella all’Italia che ce la fa. E indica al suo posto un nome super partes” (Concetto Vecchio, Repubblica, 2.1). “Sergio Mattarella non ha descritto l”identikit’ del successore né suggerito nomi. Qualcuno ha voluto leggere questa intenzione nel suo insistere sul ruolo al di sopra delle parti a cui è tenuto il presidente della Repubblica… Ma qui il capo dello Stato ha semplicemente ricordato quale dev’essere il profilo del Presidente secondo la Costituzione” (Stefano Folli, Repubblica, 2.1). Ma quindi ‘sto nome l’ha indicato oppure no? Parlatevi, mettetevi d’accordo, poi fateci sapere.

I titoli della settimana/3. “Supermario verso il Colle: anche Renzi lo spinge” (Claudia Fusani, Riformista, 29.12). Allora sta a posto.

I titoli della settimana/4. “Il carcere è un pericolo per la società. Va abolito” (Luigi Manconi, Riformista, 31.12). D’ora in poi tutti i criminali a casa Manconi.

I titoli della settimana/5. “Cinghiali tra le tombe: allarme a Prima Porta” (Messaggero-cronaca di Roma, 31.12). Ecco perchè non se ne parla più: da quando c’è Gualtieri, si tumulano da soli.

Cronenberg e Mortensen per la quarta volta insieme

A fine gennaio Isabella Rossellini tornerà a recitare in Italia per interpretare un ruolo in La chimera, il nuovo film di Alice Rohrwacher incentrato sul traffico clandestino di reperti archeologici. La coproduzione italo-franco-svizzera realizzata da Tempesta e Rai Cinema sarà ambientata nell’Italia centrale tra Tarquinia, Blera, Castel Giorgio e Orvieto.

David Cronenberg ha ultimato ad Atene le riprese di Crimes of the Future, in cui ha diretto per la quarta volta Viggo Mortensen oltre a Léa Seydoux, Kristen Stewart e Scott Speedman. La storia è ambientata in un futuro non troppo lontano in cui l’umanità sta imparando ad adattarsi ad ambienti sintetici. L’evoluzione porta gli umani oltre il loro stato naturale e produce una metaformosi alterando la loro composizione biologica. Mentre alcuni accolgono le illimitate possibilità del “transumanesimo”, altri tentano di fermarlo. Ma la “sindrome da evoluzione accelerata” si diffonde rapidamente e Saul Tenser, un apprezzato artista, pensa di far crescere organi nuovi e inaspettati nel suo corpo trasformando la loro rimozione in uno spettacolo dal vivo per i suoi fedeli seguaci.

Ricky Memphis è il protagonista di Il grande Boccia, il secondo lungometraggio di Karen Di Porto prodotto dalla Bella Film di Galliano Juso che rievoca le vicende del regista Tanio Boccia, filmmaker celebre negli anni 60 come autore di sgangherati film di genere a basso costo tra fantascienza, peplum e spaghetti-western.

Le difficoltà e i traumi nel mondo dell’adolescenza sono al centro di Vivere non è un gioco da ragazzi, una serie Picomedia-RaiFiction di Rolando Ravello, sceneggiata da Fabio Bonifacci dal suo libro Il giro della verità, in cui recitano a Bologna Claudio Bisio, Nicole Grimaudo, Stefano Fresi, Fabrizia Sacchi e Lucia Mascino.

Fenoglio redivivo a cent’anni dalla nascita: “Non riconosco più le mie amate Langhe”

Morì che non aveva ancora compiuto 42 anni, esattamente come Cesare Pavese, del quale fu a lungo considerato un epigono, sebbene quei giudizi fossero clamorosamente sbagliati. Da allora tanto le sue Langhe quanto quelle di Pavese sono cambiate drasticamente, come la letteratura. Pertanto viene da pensare che cosa direbbe oggi Beppe Fenoglio (Alba, 1° marzo 1922 – Torino, 18 febbraio 1963) se gli fosse concesso “un breve ritorno nel mondo dei vivi, tra le mie amate colline, privilegio unico e raro poiché a tutti piacerebbe poter rivedere da morti i luoghi attraversati in vita”.

A immaginarsi un Fenoglio che ricompare tra i vivi è Franco Vaccaneo, uomo di Langa pure lui, per anni colonna portante della Fondazione Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo, il suo paese, e autore di numerosi saggi sulla letteratura italiana del ’900. Vaccaneo immagina dunque il ritorno del narratore epico di Il partigiano Johnny, come del romanziere romantico e duro di Una questione privata: lo fa in Beppe Fenoglio – Vita guerre libri, cioè una biografia non convenzionale, documentata e soprattutto tesa a rimarcare la grandezza di Fenoglio, uscita in questi giorni con Priula & Verlucca (pagg. 194, euro 16), che anticipa le iniziative annunciate ad Alba per il centenario della nascita dello scrittore.

Soltanto chi ama Fenoglio – sentendolo sangue del proprio sangue, Langa della propria Langa – poteva cercare di farlo rivivere, di dargli la parola sulla contemporaneità. Un azzardo, forse. Eppure ecco che, nel capitolo finale del libro di Vaccaneo, Fenoglio rivede Alba e le Langhe. E dice: “Mi prende un senso di smarrimento nel vedere come profondi siano stati i cambiamenti e, sinceramente, non mi riconosco più, provo come un senso di spaesamento. La città che conoscevo e che avevo intensamente vissuto non era questa. I primi segni del mutamento ero ancora riuscito a vederli negli ultimi anni della mia vita e non mi avevano lasciato entusiasta, ma mai avrei immaginato che la ruota della storia avrebbe camminato così velocemente. Non voglio certo cantare le lodi di un tempo in cui eravamo tutti più poveri e la vita molto più dura, in città come in campagna, come l’ho rappresentata ne La malora. Però vedere oggi come tutto si trasformi in commercio, business, turismo massificato mi pone qualche interrogativo”.

Fenoglio? Oppure Vaccaneo? Tutti e due, per quella fusione tutta langarola fra il biografo e l’oggetto della biografia. Che è poi un modo non banale di cogliere l’essenza di un narratore che in vita fu poco considerato e che solo dopo avrebbe avuto un parziale risarcimento. Con la voce di Fenoglio ritornato a vedere da morto i vivi, Vaccaneo coglie bene poi un legame con Pavese: “Forse solo un elemento ci può accomunare, nella differenza stilistica e letteraria: il tema sempre presente della morte, sia in guerra che in tempo di pace, una morte cocciuta e pervicace che tutto travolge e disperde, anche le nostre esistenze, naufragate così rapidamente, alla stessa giovane età (41 anni), nei marosi avversi del destino”.

“Il borghese è colui che vive senza la facoltà di pensare”

Ottenere finalmente il mutismo del Borghese, che sogno! L’impresa, lo so, deve apparire del tutto priva di senso. Non dispero tuttavia di dimostrare che è facile e perfino piacevole da eseguire. Il vero Borghese, vale a dire, nel senso più generale e moderno possibile, l’uomo che non fa alcun uso della facoltà di pensare e che vive o sembra vivere senza esser stato sollecitato, neppure per un giorno, dal bisogno di capire qualcosa, l’autentico e indiscutibile Borghese è necessariamente limitato nel suo linguaggio a un numero piccolissimo di formule.

GLI AFFARI SONO AFFARI – È l’ombelico dei Luoghi Comuni, la parola culminante del secolo. Ma va capito, e ciò non è dato indistintamente a tutti. I poeti, per esempio, e gli artisti, lo comprendono male. Coloro che con termini arcaici chiamiamo eroi o santi non lo comprendono affatto. Essere in Affari significa essere nell’Assoluto. L’uomo d’affari non conosce padre, né madre, né zio, né zia, né moglie, né figli, né bello, né brutto, né pulito, né sporco, né caldo, né freddo, né Dio, né diavolo. Ignora perdutamente le lettere, le arti, le scienze, la storia, le leggi. Non deve conoscere e sapere altro che gli Affari. – A Parigi, c’è la Sainte-Chapelle e il Museo del Louvre, d’accordo, ma noi, a Chicago, ammazziamo ottantamila maiali al giorno!

NON SI PUÒ AVER TUTTO – Certamente, soprattutto quando si ha la legge dalla propria. Ora, il Borghese è come Dio e non chiede tanto. Spregiatore dell’Infinito e dell’Assoluto, sa limitarsi. E chi potrebbe farlo meglio di lui? La sua unica preoccupazione, il suo lavoro di ogni istante, non è forse, dall’infanzia, di metter limiti dovunque?

QUANDO SI È NEL COMMERCIO… – Essere nel commercio vuol dire, per i borghesi, star seduti su larghi troni d’oro a giudicare il mondo. Nobiltà rispetto alla quale le altre aristocrazie sono un po’ meno che sterco. Per quel che riguarda gli artisti e quei miserabili che fanno ancora uso della facoltà di pensare, a quale basso impiego bisognerebbe assegnarli? Pazienza. Essere nel commercio! È qualcosa che risponde a tutto. Non importa quel che si vende. Formaggio, vino, cavalli, bigiotteria, chincaglieria, corone da sposa, carogne o briciole, basta che sia roba che si venda, o anche che sia in vendita senza nessuna speranza d’esser venduta. La menzogna, il furto, gli avvelenamenti, il ruffianesimo e il meretricio, il tradimento, il sacrilegio e l’apostasia sono onorevoli, se si è nel commercio. Chi vende è sempre un uomo prodigioso, un taumaturgo.

TUTTI I GUSTI SONO GUSTI – Gusti del Borghese, è ovvio. Provate a immaginare una simile universalità di gusti in un poeta. E notate, vi prego, che qui non si tratta di gusti vari e molteplici, ma di tutti i gusti, dal gusto dell’ambrosia a quello della merda, tutto incluso. II Borghese è fatto così, gli piace tutto e ingoia tutto.

NON HO SPICCIOLI – Così risponde un individuo grasso e lustro a un disgraziato che implora cento soldi. Non si tratta di un’elemosina. Il richiedente è conosciuto e offre in cambio di lavorare; che dico? l’ha già fatto, il lavoro, ma non può aspettare il giorno della paga. Per sfortuna, la richiesta è rivolta a uno dai “solidi princìpi”, che i soldi non li anticipa mai. Su questo non si discute. Si possono fare miracoli, ma non si smonta un borghese.

 

“Zalone lo sento di rado Il ‘ricchione’ da Cassano E il David non è per me”

La comicità è una faccenda serissima. E Gennaro Nunziante ha l’aspetto dell’impiegato del catasto, l’aplomb di un perfetto farmacista anche quando viene preso d’assalto per un tampone e l’atteggiamento del compagno di classe irreprensibile secondo i professori, in realtà istigatore di ogni nefandezza deontologicamente accettabile. In due frasi è in grado di mescolare filosofia, politica, cazzeggio, religione, Bari vecchia, “ricchione” e sempre con lo stesso – apparente – tono. Decifrare e cogliere le lievi sfumature della voce è compito dell’interlocutore.

È il regista dei record, dei milioni, quelli veri, raggiunti insieme a Checco Zalone. Poi la rottura. E orizzonti differenti (“Ogni tanto ci mandiamo un messaggio. Nulla più”). Da ieri è di nuovo in sala con Pio e Amedeo protagonisti di Belli ciao (prodotto da Fremantle e Vision Distribution), un film divertente, costruito secondo le sue logiche a dispetto del percorso più sboccato del duo comico: niente parolacce, niente nudi, niente eccessi.

Eppure funziona.

Genesi.

L’idea si materializza la sera del 7 marzo 2020, quando viene preannunciato il lockdown e autostrade e stazioni vengono affollate da persone che vogliono scappare al Sud. Lì ho pensato: cavolo, il Nord opulento non è più tanto agognato. Nonni e genitori anziani si riprendevano in casa questi figli, nonostante il rischio.

Lei vive a Bari.

Non mi sono mai mosso.

Tentazione?

Sto bene ovunque, amo Roma, però devo stare vicino al mare e a due passi dalla campagna.

Vivere a Bari le ha minato la carriera?

Quando sono arrivato a Roma, prima ancora di girare Cado dalle nubi, ho capito che quell’ambiente non era per me, non stavo a mio agio.

Perché?

Ho il mio linguaggio cinematografico e non mi interessa il cinema in assoluto.

Tradotto?

Il cinema non lo vivo come un’arte, ma un lavoro artigianale: mio nonno era artigiano, mio padre era artigiano e io sono lo stesso.

Il cinema è pure relazioni.

Questo è un mestiere in cui è importante approfondire, studiare, leggere. Poi ho tre figli, mica ho tutto questo tempo.

Si è mai sentito escluso dai circoli “colti”?

Sono onorato di non farne parte, non ne sento l’esigenza né la curiosità.

C’è mai stato in mezzo?

Una sera a Roma sono finito in una festa piena di cineasti importanti. Per tutto il tempo ho solo sentito parlare d’incassi; (ride) prima di arrivare alla festa mi aspettavo di conoscere persone alte, ragionamenti alti, talmente alti da toccare vette filosofiche e invece vinceva il botteghino.

Sul botteghino non è messo male.

Eh, ma vieni guardato male anche in questo caso.

Nessuno dell’ambiente romano l’ha colpita?

Liliana Cavani, altro livello, grande persona: aveva visto Cado dalle nubi e mi ha fermato con parole bellissime e soprattutto con semplicità e dolcezza. Senza acredine.

Intorno a lei ha avvertito acredine?

Quando un cineasta ti parla vuole sempre essere accreditato oltre il possibile.

Non basta mai.

Soprattutto i comici anziani: invecchiano inaciditi, vorrebbero diventare padri della patria o cavalieri del lavoro. Vogliono essere riconosciuti.

Lei è riconosciuto?

Sì, dalla mia famiglia quando entro in casa; (ride) per il resto no, preferisco restino i film.

Roma è grande bellezza?

È bellissima tutte le volte che decade, bruttissima tutte le volte che eccelle: durante il periodo di Giubilo sindaco, nelle cantine c’era una meravigliosa vitalità di controinformazione; ho amato meno la Roma più ecumenica, quando sono arrivati i “nostri” (intende la sinistra, ndr) e bisognava solo pregare e mai bestemmiare.

Qual è il suo film preferito, ultimo escluso?

Da un punto di vista tecnico è Quo vado: lì il linguaggio è ancor più affinato, però sono legato ai film che ho realizzato con Alessandro D’Alatri. Siamo molto amici.

Con lui ha recitato in Casomai.

(Sorride) Non pensavo di partecipare come attore; un giorno arrivo a Roma, con Alessandro andiamo a prendere un gelato e mi confida un problema: “Non riesco a trovare il prete del film. Ho provato tanti attori, nessuno mi convince”. Ascoltavo e mangiavo. “Stai tranquillo, ce la farai”. A un certo punto si blocca. “Tu”. “Tu chi?”. “Farai il prete”. “Sei impazzito?”.

Com’è da attore?

Nella vita non ho mai voluto manierarmi, mai desiderato prendere in prestito idee di recitazione altrui, e lo stesso nella scrittura o nella costruzione della narrazione. Ho puntato all’unicità.

Quindi?

Anche nel ruolo di prete sono andato avanti secondo una mia idea, senza impostare la voce; (pausa) non ne posso più di questo diaframma, tutti gli attori lavorano solo su quello.

Gassman docet.

Voglio istituire la giornata dell’espianto del diaframma dall’attore.

Perché non ha proseguito con la recitazione?

Dopo Casomai mi hanno chiamato per un ruolo in Don Matteo.

Ottimo.

Declinato. Alla signora del cast ho risposto: “Ho interpretato un parroco, non posso scendere a sacerdote. O cardinale o niente”; (ride) non è finita: tempo dopo mi contatta don Dario Viganò, perché Casomai era diventato catechesi di base per i matrimoni.

E…

Dovevo andare nelle parrocchie per presentarlo. Io incerto. Alessandro insiste. E al secondo incontro capisco il fraintendimento: le coppie mi trattavano veramente da prete, mi ponevano domande specifiche. A quel punto ho posto la questione a don Viganò: “Non sono prete! Sono sposato con figli”. Non mi hanno più coinvolto.

Se l’appellano “Ciao ricchione”, si offende?

(Silenzio) Dipende.

Cassano l’ha apostrofata in questo modo.

(Pausa. Ride) È vero. Una mattina squilla il cellulare di Checco (Zalone), rispondo: “Ue’ ricchio’!”. “Non sono Checco, sono Gennaro”. “E si ricchione pure tu!”; poi tutto questo l’ho enfatizzato nell’ultima scena di Cado dalle nubi, quando Checco e lo zio si abbracciano, passano due sul motorino e scatta il “ue ricchio’!”. In realtà quell’epiteto è mio, aggiunto nel doppiaggio.

Sembra uno posato.

Non è così, mia moglie sostiene di avermi sposato perché sono scemo. Ed è un complimento, non voglio prendermi sul serio e amo cercare i miei punti deboli, le ipocrisie.

Quali sono?

Quello più grande è pure la mia forza: sono molto distratto, vivo sempre in mondi paralleli.

È pericoloso alla guida.

Non ho la patente (pausa). Meglio evitare.

In Belli ciao Pio e Amedeo sono un tono sotto rispetto al loro stile abituale.

Quando mi hanno proposto il film sono stato chiaro sul tipo di linguaggio: di questi tempi offendere è alla portata di ognuno, vomitare sugli altri è il proprio pasto; tutto si riduce al sarcasmo, e il sarcasmo è la lingua del potere. (Pausa) Sarcasmo significa lacerare le carni: non sopporterei l’idea di qualcuno imbarazzato dentro una sala cinematografica.

Nei suoi film non c’è mai un nudo.

In una commedia non è sensato.

Quale stile di commedia apprezza?

Quella americana, in cui si cerca di stare vicini a ogni uomo. A sostenerlo nella giusta evoluzione.

Quella italiana?

Troppo amara, cinica, con molti strascichi sull’evoluzione del Paese.

Ha sdoganato certe barbarie?

Soprattutto ha annullato alcuni concetti portanti, come il valore del lavoro e della donna; da lì è stato un attimo arrivare alle “vacanze”.

È più censorio di Andreotti.

Quei film rappresentano una cartolina dell’Italia che gli americani amavano ricevere: loro raccontavano i sogni e noi i nostri incubi. Noi brutti, sporchi, cattivi, corrotti, incapaci.

Fabio Rovazzi la definisce un uomo colto.

(Sorride) Qualche libro l’abbiamo letto, ma la vera cultura arriva relazionandoci con le persone; (pausa) sono cresciuto in un quartiere popolare.

Nella Bari di qualche decennio fa non erano luoghi semplici.

Arrivo dal “Libertà”, dove venivamo trattati da ghetto, mentre era un luogo meraviglioso, vissuto dalla classe operaia, io figlio di un ferroviere.

Non solo classe operaia.

C’era di tutto, pure la criminalità.

Cosa amava in particolare?

La promiscuità. Parlavi con persone completamente diverse: dalla sezione “recupero” del Pci fino al soggetto più pericoloso; in sezione arrivavano personalità importanti come il professor Vacca, ed eravamo 900 iscritti. E poi la domenica distribuivo l’Unità insieme al segretario, Michele Poli.

Il suo ruolo nel quartiere?

Far ridere; con alcuni amici fondai il Davanti, una presa per il culo dell’Avanti, primo vero mensile di sinistra perché si sfogliava proprio da sinistra.

Dove sono gli amici di quegli anni?

Li sento e li vedo.

E i criminali?

Un giorno accompagno mio padre al mercato e nel tragitto passiamo davanti a un bar. Mi saluta un ragazzo, un amico dei tempi del catechismo. Abbracci e affetto. Nel frattempo papà si allontana e non capisco. Lo raggiungo. “Come puoi conoscere certa gente?”. “Perché?”. “È lo spacciatore!”. “Non sapevo della sua evoluzione”.


“Quando scrivo una commedia penso di contribuire alla crescita spirituale dell’umanità”, parole sue.

Non si può lavorare puntando a vendere Coca Cola e patatine; (pausa) è importante tentare di migliorare qualcosa: l’utopia è l’elemento fondamentale della nostra professione, insieme a un senso della collettività.

Ha tre figli.

Infatti non è un caso.

Nella rottura con il produttore Valsecchi e con Zalone è stato accusato di essere esoso.

Hanno preferito non darmi quello che chiedevo: va bene.

Venale?

Sono attaccato ai soldi se il soldo rappresenta il rispetto del mio lavoro.

Spesso dà risposte brevi.

Cerco di non consumare il tempo degli altri.

Vincerà mai un David?

No, ma che c’importa?

È sicuro?

Non amo questo genere di situazioni. Ripeto: il mio è un lavoro artigianale, finito il quale la vita ti riprende.

Come sono Pio e Amedeo?

Ragazzi che non fingono: con loro c’è una grande verità. E da loro ho ricevuto fiducia.

È un regista che prima mostra la scena?

Sì e sto sempre con il cronometro in mano perché la sceneggiatura ha un tempo esatto e va mantenuto.

Tornerà come attore?

Non è per me: mi piace dirigere.

È un leader?

Sono l’unico maschio di cinque figli: già da ragazzino dovevo gestire la situazione.

Andava mai a recuperare le quattro sorelle?

Ero per il libertinaggio: prima si toglievano dalle scatole e meglio era.

Egocentrico?

A volte mi scatta sul piano politico.

Tradotto?

Sulla politica perdo il profilo basso, torna il passato, la coscienza sociale: non sopporto i discorsi grezzi e banali.

È sempre di sinistra?

Oggi ancor di più.

Un politico che ama?

Rino Formica.

Socialista.

Un genio.

Aggettivo per Zalone.

Bravo ragazzo.

Vi sentite?

Ci siamo mandati qualche messaggio.

Avete litigato?

Non litigo, troppa energia da profondere e sono pigro. Al massimo non parlo più.

Siete Mogol e Battisti.

Abbiamo fatto il nostro tempo e abbiamo realizzato cose divertenti. Basta.

Lei chi è?

Il figlio di un ferroviere. E gli ho voluto tanto bene.

 

La guerra dell’arte riprodotta contro l’accusa di “plagio”

Poiché l’arte moderna procede per scarti divertenti rispetto alla tradizione, la cosa ci interessa, e da qualche settimana ne stiamo sorvolando il panorama.

 

L’ARTE MODERNA E LA PRASSI DIVERTENTE

L’avanguardia è arte che si interroga sull’arte. Dalla metà degli anni 70, pittura e scultura abbandonano il progetto avanguardista di resistenza politica (Hopkins, 2000). Bois (1987) magnifica l’eclettismo con cui certi artisti, attingendo liberamente alla tradizione di volta in volta utile, si liberano della storicizzazione dell’arte, cioè della sua narrazione lineare; e Achille Bonito-Oliva paragona gli artisti della Transavanguardia a vagabondi che cercano nei cassonetti dell’arte qualcosa da portar via. Per Lyotard (1979), quell’eclettismo è cinico, promuove la mentalità conformista del lettore di periodici, e svia l’artista dai propri doveri di critica. Già Adorno stigmatizzava la mercificazione dell’arte, che riteneva un barbarismo causato dalla “ragione strumentale” illuminista (Horkheimer & Adorno, 1947). La replica di Bonito Oliva (1980) de-ideologizza l’arte rovesciando Gramsci: le condizioni imposte dal capitalismo, scrive, rendono impotente la sovrastruttura (l’arte) nei confronti della struttura (l’economia e la politica).

 

Negli anni 80, l’underground, il punk-rock, la xerox art, la mail art, le fanzine, il dub, l’hip-hop e l’house music sfidano la cultura dei diritti d’autore. Quando i discografici britannici reagiscono alla commercializzazione del registratore a doppia cassetta Amstrad (1981) stampando sulle retrocopertine degli LP il monito “Home Taping is Killing Music – and It’s Illegal”, con tanto di logo che modifica il Jolly Roger dei pirati (una musicassetta come teschio sopra due tibie incrociate), gli artisti glielo ritorcono contro: “Home Taping is Killing Business – and It’s Easy”. Il fronte discografico non è unito nella lotta: la Island Records vende cassette con il lato B vuoto, su cui registrare la musica che si vuole; negli USA, il gruppo punk Dead Kennedys fa lo stesso, stampigliando sul lato B della musicassetta In God We Trust, Inc. (1981) il Jolly Roger modificato e la scritta in stampatello HOME TAPING IS KILLING RECORD INDUSTRY PROFITS! WE LEFT THIS SIDE BLANK SO YOU CAN HELP. (Nel 2003, il neonato servizio di file-sharing The Pirate Bay mise il logo con musicassetta e tibie incrociate sulle vele del proprio simbolo, un galeone pirata.) Alla fine degli anni 80, vengono organizzati diversi Festival del Plagiarismo (San Francisco, Londra, Berlino, San Paolo, Tokyo). Uno degli organizzatori, Steward Home, ritiene il plagio una forma di creatività rivoluzionaria: “Con ogni plagio viene attribuito un nuovo significato all’opera plagiata. Come strumento rivoluzionario, il plagio si adatta in modo ideale alle esigenze del tardo XX secolo. La selezione del materiale è l’unica sfida che implica. Per selezionare davvero il meglio, occorre essere dei geni” (Home, 1988). Altri (Mike Bidlo, Elaine Sturtevant, Sherrie Levine) contestano il valore della proprietà simbolica replicando opere altrui, ispirati dall’idea barthesiana della cultura come palinsesto infinito.

 

Negli anni 90, la crescente diffusione dei personal computer dà a tutti la possibilità di agire sull’immaginario collettivo con propri remix. Mentre la tradizione museifica gli artisti, inserendoli ed escludendoli da un canone, la tecnologia digitale e il web rendono evidente quanto sia facile per un artista dimenticare i rapporti sociali di produzione dell’industria culturale in cui agisce; sottrarsi da opportunista al suo ruolo critico; e limitarsi all’attività di prosumer specializzato, un semionauta che collabora con altri all’esplorazione/uso degli oggetti culturali e delle modalità tecnologiche e sociali disponibili, come fanno dj, rapper, programmatori, aggregatori, curatori e influencer. Un tema ricorrente è quello dei Non Luoghi. Alla metafora artistica del supermercato, riproposta dal Neo-Pop (Koons), si aggiunge quella del mercato delle pulci, con il suo assemblaggio temporaneo di materiali eterogenei che attendono nuovi usi (il metodo è il riciclo, l’estetica è l’arrangiamento caotico); l’esposizione genera interazioni fra gli avventori, organizzandole in un certo modo (arte relazionale, cfr. Qc #86). Al termine di uno show alla Carnegie Hall (1979), il comico situazionista Andy Kaufman fa salire gli spettatori su 20 autobus parcheggiati fuori per condurli alla mensa della School of Printing, poco distante, dove offre latte e biscotti a tutti, mentre si esibiscono giocolieri, mimi, gruppi rock, wrestler e clown; inoltre, informa il pubblico che lo show sarebbe continuato il giorno dopo sul traghetto per Staten Island. L’indomani si presentano 300 persone fiduciose e Andy le premia con coni gelato; recita la poesia “MacArthur Park” di Jimmy Webb; e li coinvolge in uno dei suoi sketch più celebri (cantare in playback la sigla del cartone animato “Mighty Mouse”, ma solo la frase “Here I come to Save the World!”, con l’entusiasmo di un bambino). Nel 1996, Pierre Huyghe, un fan di Kaufman e di Debord, offre agli spettatori della mostra Traffic un viaggio notturno in autobus verso i moli di Bordeaux, e durante il tragitto mostra loro un filmato dello stesso viaggio, girato di giorno. Huyghe è uno dei tanti artisti che organizzano esposizioni concepite come canovacci che invitano i visitatori all’azione. “Ci interessa cosa accade fra la rappresentazione e la presentazione. In un acquario, la situazione è finta, ma ciò che accade è vero” (Huyghe, 2011). La società impone sceneggiature comportamentali, l’arte relazionale ne propone di alternative. C’è chi teorizza che l’arte relazionale sia una critica dello scambio capitalistico (Bourriaud, 1998); altri la ritengono solo una sua estetizzazione, ricordando che, per Adorno, l’arte critica il capitalismo solo se non comunica, muta e anti-sociale (Martin, 2007). La non comunicazione si opporrebbe alla produzione del consenso anche nell’attuale contesto, dove l’industria culturale ha sostituito, alla massificazione del pubblico condannata da Adorno, la parcellizzazione, l’offerta di divertimento sintonizzata sui gusti di ogni nicchia sociale, che Revelli (2018) interpreta come complementare alla dissoluzione del Noi operata dal neo-capitalismo finanziario. Quante cose dietro una gag artistica, eh?

 

“Whistleblowing, l’Italia è in ritardo sulle nuove tutele”

La delega è scaduta ad agosto e l’Italia non ha fatto nulla per recepire la direttiva europea 2019/1937 a tutela del whistleblowing, cioè di chi segnala illeciti nel proprio ambiente di lavoro. È l’allarme lanciato da Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità Anticorruzione. “Il 2022 è iniziato con l’Italia inadempiente”, scrive Busia in una nota, ma “la lotta alla corruzione non ammette cedimenti o che si abbassi la guardia. I whistleblower svolgono un ruolo essenziale nel portare alla luce fatti corruttivi o fondati sospetti di illeciti che possono minacciare l’interesse pubblico. In tutti i paesi che riconoscono questo istituto, le segnalazioni hanno permesso la protezione di interessi comuni fondamentali, nonché il recupero di risorse pubbliche”.

“In Italia – prosegue – la delega per recepirla è scaduta lo scorso agosto. Come Anac abbiamo contribuito con gli Uffici del ministero della Giustizia a predisporre un testo, che ritengo fortemente avanzato. Purtroppo è tutto fermo. Non mi risulta che si sia avviato alcun iter per il recepimento”. “Sarebbe utile e opportuno inserire direttamente il decreto delegato in uno dei prossimi provvedimenti del governo, anche per evitare la procedura d’infrazione”, ribadisce Busia.

La Direttiva Ue 2019/1937 include nella definizione di whistleblower anche soggetti al di fuori della tradizionale relazione lavorativa, come consulenti, membri dei consigli direttivi, ex dipendenti e candidati a posizioni lavorative; fornisce protezione anche a coloro che assistono i denuncianti e vieta ogni tipo di ritorsione, incluse minacce o tentativi di ritorsione anche indiretti.

Pupetta Maresca, la Questura vieta i funerali

Per lei solo qualche preghiera e la benedizione della salma. Nient’altro. La Questura ha vietato i funerali di Assunta “Pupetta” Maresca, vedova del boss “Pascalone ’e Nola”, freddato da un sicario, che lei stessa vendicò uccidendo a vent’anni nel 1955 il mandante dell’omicidio, morta il 30 dicembre. A 86 anni, nonostante i film e le fiction televisive a lei dedicate e il ruolo avuto nelle vicende criminali degli anni 80, quando in una conferenza stampa minacciò di morte il capo della Nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo, “Pupetta” Maresca era stata dimenticata e viveva nell’anonimato a Castellammare di Stabia. Venerdì solo una decina di donne si sono recate nella chiesa di Sant’Antonio da Padova, dove erano previsti i funerali, per recitare per lei qualche preghiera di suffragio.

“Pupetta” Maresca aveva portato sempre addosso l’etichetta di donna insofferente alle convenzioni e alla legge. Attrice, cantante, vincitrice da ragazza del titolo di miss locale, rimase incinta e sposò Pasquale Simonetti, detto “Pascalone”, il boss dei mercati ortofrutticoli, di cui rimase vedova pochi mesi dopo il matrimonio. Mentre era in attesa del primo figlio, sparò ad Antonio Esposito, mandante dell’omicidio, e fu condannata a 13 anni e 4 mesi di carcere. Tempo dopo si legò sentimentalmente al boss Umberto Ammaturo dal quale ebbe due gemelli, Roberto e Antonella. Questa nuova fase della sua vita fu funestata dalla morte del primo figlio, Pasqualino, che “sparì” a soli 17 anni, forse vittima di lupara bianca.

Nei giorni scorsi i suoi avvocati, Gennaro e Carlo Pecoraro, hanno protestato per le definizioni di “boss” e di “prima donna di camorra” che le sono state attribuite dai media. “Definire ‘camorrista’ oppure ‘donna boss’ Pupetta Maresca – hanno scritto i legali – sono affermazioni in spregio alla realtà, cristallizzata da provvedimenti giudiziari ormai definitivi, che tutti dovrebbero lealmente rispettare”.

Il suicidio assistito è legale per pazienti gravi o terminali

Importante novità da ieri in Austria, dove il suicidio assistito è diventato legale. La nuova legge garantisce la protezione penale per chi “aiuta le persone gravemente malate a decidere di morire con dignità” e riconosce il diritto delle persone di decidere di porre fine volontariamente alle loro sofferenze. Ma ci sono dei criteri: la possibilità è prevista solo per i pazienti terminali e quelli affetti da gravissime patologie senza possibilità di guarigione, che potranno ricevere tramite le farmacie un farmaco letale. I minorenni sono esclusi, ed è previsto l’ampliamento della rete di centri palliativi. La domanda deve essere compilata dinanzi a un notaio oppure presso il “difensore civico dei pazienti”. Inoltre, serviranno due pareri dei medici, uno dei quali specializzato in cure palliative, e deve essere chiara la capacità di intendere e volere del paziente.

Molestie, Andrea per salvarsi deve dimostrare che non suda

Dopo il verdetto di condanna di Ghislaine Maxwell – l’ex compagna del miliardario suicida Jeffrey Epstein, riconosciuta colpevole di traffico sessuale ai danni di minorenni irretite in vari modi – a New York, chi trattiene il fiato è il principe Andrea, 61 anni, terzogenito della regina Elisabetta. Il 4 gennaio, sempre a New York, è prevista l’udienza in sede civile promossa dai legali di Virginia Giuffre, una delle vittime “storiche” di Epstein e Maxwell. Un appuntamento che gli avvocati del principe hanno cercato di scansare in tutti i modi, ricordando che Giuffre aveva firmato un accordo con Epstein, che poteva essere una protezione da future cause anche per Andrea. Fino ad ora questi tentativi non sono andati a buon fine e adesso è il team legale della donna che rilancia con una richiesta: l’esponente della casa reale provi che non è capace di sudare. Sembra uno scherzo, ma non lo è. In una intervista alla Bbc nel 2019, Giuffre ricordò che a 17 anni il duca di York l’aveva portata al Tramp nightclub di Londra, dove le aveva chiesto di ballare aggiungendo: “Sudava tutto su di me”. L’incontro, secondo il racconto della donna era stato agevolato da Epstein che l’aveva accompagnata nella capitale presentandola al principe, partecipando alla serata assieme a Ghislaine Maxwell. Per replicare Andrea aveva utilizzato anche lui la Bbc: non solo affermò di non ricordare di aver mai incontrato Giuffre – circostanza però smentita da una foto che li ritrae insieme – ma aggiunse che per molti anni non era stato capace di sudare perché aveva ricevuto una “overdose di adrenalina nella guerra delle Falklands”. Insomma, quell’uomo che ballando sudava copiosamente su una diciassettenne non poteva essere lui. In vista dell’udienza del 4 gennaio, gli avvocati della Giuffre giocando d’anticipo hanno chiesto al principe di fornire riscontri medici comprovanti la sua “presunta incapacità di sudare”. Non solo: i legali hanno chiesto i documenti legati ai suoi viaggi o alla sua presenza sul jet di Epstein – il “Lolita Express” – e nelle residenze del miliardario a New York, in Florida, in New Mexico e nelle isole Vergini.