È partita l’anagrafe, non bisogna portare i certificati a scuola

Nessuna corsa al certificato per iscrivere i bambini a scuola. L’anagrafe vaccinale attivata dal ministero della Salute eviterà infatti ai genitori l’obbligo di presentare entro il 10 luglio, come era previsto dal decreto Lorenzin ancora oggi in vigore, la certificazione delle avvenute vaccinazioni per l’iscrizione alle scuole. Il sistema è infatti oggi del tutto automatizzato e sono le Asl a comunicare i dati agli istituti scolastici. E nel caso in cui non si risulti in linea con la legge, le irregolarità sono già state comunicate dalle Asl di riferimento, entro il 10 giugno, al dirigente scolastico. Il quale, entro il 10 luglio, deve richiedere i documenti mancanti ai genitori. Questi ultimi avranno a loro volta 10 giorni di tempo per produrli. Se per l’anno scolastico 2018- 2019 occorreva presentare i certificati vaccinali o una autocertificazione entro il 10 marzo 2019, per l’anno scolastico 2019-2020, le cui iscrizioni sono avvenute a febbraio, non c’è bisogno di autocertificare e certificare nulla perché a novembre 2018 il ministero ha istituito l’anagrafe nazionale, e i sistemi regionali sono a regime da aprile e hanno trasmesso i dati. Mancano solamente quelli delle province di Trento e Bolzano.

Toti raduna i suoi e invoca le primarie per scalare FI

Tanto tuonò, che non piovve. La rivoluzione è rimandata a data da destinarsi, direbbe Ennio Flaiano. In realtà la data Giovanni Toti ce l’ha in mente. È ottobre, mese in cui vorrebbe le primarie. Ma “rivoluzione d’ottobre” nel centrodestra non suona bene. Il governatore ligure, che ieri ha riunito le sue truppe al Teatro Brancaccio di Roma, per ora non fa scissioni, ma continua la sua corsa per scalare FI tramite, appunto, le primarie, “l’unica cosa che invidio al Pd”. Consultazione aperta, dove chi vorrà potrà iscriversi e votare. Cosa che fa trasecolare gli altri. Silvio Berlusconi per tutta la settimana ha tentato il boicottaggio. “Chi va è un traditore, chi va è fuori”, il tam tam da Arcore. E anche ieri le prime reazioni sono state negative. “Toti continua a mancarci di rispetto”, dice Mariastella Gelmini. I toni del governatore, però, non sono stati incendiari: si è limitato a ribadire cose che dice da mesi. FI è passata dal 40 al 6%, tra un po’ sparirà, chi non se ne rende conto mente a se stesso, non si può star fermi ad aspettare il game over.

“Nessuno qui è contro Berlusconi. A lui siamo grati per aver creato la Seconda Repubblica. Ora gli chiediamo di lasciarci costruire la Terza”, dice l’ex delfino. “La scissione dell’atomo non ci interessa”, aggiunge. Da passato remoto i tempi in cui il Caimano lo portava con sé a dimagrire nelle cliniche di lusso. Molte le presenze: oltre ai totiani, tra cui tanti di Idea con Gaetano Quagliariello, si vedono Giorgio Lainati, Laura Ravetto e Carlo Giovanardi. Assenti dell’ultima ora, invece, il neo governatore piemontese Alberto Cirio, l’ex sindaco di Ascoli Guido Castelli, e quello di Catania Salvo Pogliese. Che sta per aderire a FdI, come forse altri azzurri. C’è, invece, Vittorio Sgarbi, che in caso di primarie si candiderà. Il critico d’arte la chiude così: “Berlusconi ha 82 anni, è stato un grande chiavatore, ma ormai non ce la fa più…”.

NoTav e ForseTav, i 5S discutono a Torino

L’intenzione era ricompattarsi dopo il crollo elettorale e dopo l’avvio dei bandi di gara per la Torino-Lione. Questo era l’obiettivo principale della riunione organizzata da sette militanti del Movimento 5 Stelle venerdì sera al Teatro Alfa di Torino, tutta incentrata sul tema della Tav, una delle prime battaglie portate avanti dal M5s. Alla fine è stato approvato a stragrande maggioranza un documento che chiede la nomina di nuovi componenti italiani nella conferenza intergovernativa con la Francia, sede in cui rivalutare l’opera. La discussione di venerdì, però, ha reso palese le contrapposizioni interne tra chi è cresciuto a fianco dei No Tav e chi è leale al governo. I primi vorrebbero un segnale forte subito per dimostrare la concreta opposizione alla Torino-Lione. I loro nomi sono quelli di Alberto Airola, il senatore di Torino, e della capogruppo al Consiglio regionale del Piemonte, Francesca Frediani, tra gli eletti con più esperienza. Vicino a loro, poi, ci sono la deputata Jessica Costanzo e i consiglieri comunali di Torino. Insieme hanno proposto il documento con cui chiedono “la sostituzione dei rappresentanti italiani” a cominciare da Paolo Foietta. “Se parte l’opera io inevitabilmente dovrò meditare le dimissioni”, spiega Airola. D’altronde quella contro la Torino-Lione è una delle prime lotte appoggiate dalla formazione fondata da Beppe Grillo e molti si sono avvicinati al M5s dopo aver militato nel movimento No Tav. Frediani, valsusina No Tav, ha contestato alcuni eletti che hanno perso contatti con il territorio e con il movimento valligiano.

I destinatari vanno individuati nell’ala “governativa”, quella che alcune testate hanno definito “Forse Tav”, una definizione che respingono: “Noi rimaniamo contrari”, dice Luca Carabetta. Con lui ci sono Elisa Pirro e Davide Serritelli. Sono una fronda “realista” e “lealista”, praticano una realpolitik e supportano le iniziative del governo, il lavoro del sottosegretario Laura Castelli (assente venerdì, come Chiara Appendino e Davide Bono) e al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che si sta occupando del dossier trattando con Emmanuel Macron. “Abbiamo dovuto spiegare cosa abbiamo fatto finora – riepiloga Carabetta -. L’osservatorio del governo sulla Torino-Lione è praticamente morto. C’è stata la prima analisi indipendente dei costi-benefici e i bandi sono spostati”. Ai No Tav questo non basta: “La proposta di sostituire i componenti della conferenza intergovernativa però non è sufficiente”, dicono. I nomi, ad esempio, andrebbero mediati con la Lega. Eppure, spiegava il Fatto Quotidiano martedì, questo passaggio all’interno della Cig potrebbe essere fondamentale per spingere Francia e Ue a rivedere radicalmente l’opera. Il capo politico Luigi Di Maio vorrebbe far votare in parlamento un documento con cui il M5s può ribadire la propria contrarietà scaricando le sorti del progetto sulle forze politiche favorevoli. Una mossa “pilatesca” la definiscono alcuni. “Di Maio per l’ennesima volta vuole prenderci in giro?”, commenta su Facebook Maura Paoli, una dei consiglieri comunali di Torino dissidenti. E così il tema della Torino-Lione continua a tenere in bilico sia la tenuta del governo, sia quella dell’amministrazione Appendino.

Guerra rifiuti Raggi-Zinga “Blocchiamo l’Autosole”

Roma ha i cassonetti sommersi dalla spazzatura, ma sui rifiuti è ormai corpo a corpo tra la sindaca a 5Stelle Virginia Raggi e la Regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti, segretario del Pd. È il governatore ad aver emanato venerdì l’ordinanza per ordinare a 11 impianti, 9 dei quali fuori Roma, di aumentare le volumetrie, cioè la quantità di rifiuti trattabili, per dare respiro alla Capitale. “Un provvedimento inapplicabile”, ha sostenuto la sindaca ieri sul Fatto. Di certo qualche difetto c’è, a giudicare anche dalla reazione di alcuni dei titolari di impianti.

E da qui a qualche giorno incombe il bubbone dei Comuni della Ciociaria attorno al termocombustore di San Vittore (Frosinone), destinazione finale di gran parte della spazzatura da bruciare. “Siamo pronti a bloccare l’autostrada del Sole”, minaccia la sindaca di San Vittore Nadia Bucci. Martedì al ministero dell’Ambiente ci sarà il vertice con il ministro Sergio Costa, il prefetto Gerarda Pantaleone, il Comune di Roma e la Regione Lazio. Costa, raccontano, “si sforza” di non sentire le polemiche incrociate e per ora esclude ogni ipotesi di commissariamento: “Il Comune sta facendo tutto il possibile e laddove l’ordinanza regionale dovesse mostrare dei limiti, sono fiducioso che la Regione interverrà tempestivamente”. Invoca “il buon senso di tutte le istituzioni”, il ministro del M5S. E precisa: “Stiamo lavorando a risoluzioni per il medio periodo, in attesa della definizione del piano impiantistico regionale”. Tradotto, si lavora per trasferire parte dei rifiuti all’estero in attesa del piano dei rifiuti regionale, ancora da approvare (a dicembre) e la cui realizzazione richiede sette anni.

La sindaca, invece, ieri pomeriggio è andata ad Aprilia (Latina), alla Rida, una delle aziende indicate dall’ordinanza della Regione. In un video pubblicato su Facebook Raggi appare assieme a un camion dell’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, davanti a una cancellata: “È sabato pomeriggio, nonostante l’ordinanza di Zingaretti, gli impianti hanno i cancelli chiusi e i camion non possono scaricare i rifiuti che Ama raccoglie ogni giorno. È la prova che Zingaretti ha preso in giro i romani”. Passano poche ore e l’amministratore di Rida Fabio Altissimi risponde con un altro video: “Mi hanno detto cara sindaca che è venuta in uno stabilimento di Aprilia, ma sicuramente non è Rida, la prossima volta se avrà il tempo di venirci a trovare saremo lieti di poterla ospitare”.

L’assessore regionale Massimiliano Valeriani a questo punto morde: “La sindaca si è recata in un impianto che non è tra quelli contenuti nell’ordinanza”. Eppure osservando le immagini pare che la Raggi sia proprio all’impianto giusto, ma al cancello sul retro, non all’ingresso principale. E dal Campidoglio insistono: “Siamo andati alla Rida, solo che non ci hanno fatto entrare dallo spiazzo principale: quello nel video era il retro”.

La certezza è che ieri la Regione ha dovuto scrivere all’azienda di Aprilia, che lamentava errori nell’ordinanza, per “correggere” il provvedimento con una nuova determina. Così la Rida accetterà di aumentare la sua capacità di 450 tonnellate a settimana: ma non al massimo della volumetria. Però già affiora un enorme problema. Perché i rifiuti, dopo il primo trattamento, dovranno essere portati al termocombustore Acea di San Vittore, che per il carico straordinario, secondo l’ordinanza, dovrà posticipare i previsti lavori di manutenzione. Ma la sindaca Bucci non ci sta: “Raggi e Zingaretti fanno lotta politica sulla pelle della Ciociaria. Sul termocombustore abbiamo già molti dubbi ambientali, sfruttarlo ancora di più mette a rischio ulteriormente la nostra salute. A inizio settimana decideremo come reagire con gli altri Comuni della provincia di Frosinone: la mia proposta è bloccare l’autostrada A1 all’arrivo dei camion da Roma”.

Il procuratore capo di Castrovillari accusato di corruzione

Il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla è indagato per corruzione in atti d’ufficio. L’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato dalla Procura di Salerno. Nell’inchiesta, oltre al magistrato, sono indagati il maresciallo Carmine Greco, un altro carabiniere, il poliziotto Vito Tignanelli e la moglie Marisa Aquino. Questi ultimi, marito e moglie, sono i titolari della società “Stm”, già coinvolta nell’inchiesta della Procura di Napoli sull’affaire del software “Exodus” e sulle intercettazioni abusive conservate in un server di Amazan in Oregon.

Per il procuratore Facciola, inizialmente l’ipotesi di reato sarebbe stata quella di abuso d’ufficio, in relazione a un’inchiesta confezionata ad arte dal maresciallo Greco, poi arrestato dalla Procura di Catanzaro alla quale ha reso numerose dichiarazioni. Le successive indagini dei carabinieri e le intercettazioni tra Facciolla e Vito Tignanelli hanno fatto emergere un quadro più serio legato probabilmente al servizio di intercettazione affidato dalla Procura di Castrovillari alla Stm.

Seehofer: “Aprite i porti, noi poi li accogliamo”

“Io zitto non sto, caro governo tedesco i porti italiani io non li riapro, men che meno se me lo chiedete voi”. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini rispetta il ruolo del suo personaggio con l’ultima diretta Facebook di ieri: “C’è una nave tedesca, fatevene carico oppure li mettiamo tutti su un autobus e li portiamo fuori dall’ambasciata tedesca. Basta, e questo vale per gli olandesi, per i francesi, per chiunque pensi che in Italia tutto valga”.

Così l’ultimo scontro sui migranti è proprio tra Salvini e la Germania della cancelliera Angela Merkel. Al centro delle polemiche, oltre al veliero Alex di Mediterranea Saving Humans, la situazione della Alan Kurdi della ong tedesca Sea-Eye. Il ministro degli Interni tedesco Horst Seehofer ha risposto alla lettera di Salvini, chiedendo di rivedere la sua politica migratoria. Contestualmente la Germania si è detta pronta ad accogliere alcuni dei migranti che si trovano a bordo delle due navi delle ong, oltre alla Alex anche la Alan Kurdi che, con i suoi 65 naufraghi, ancora non ha una destinazione: anzi, ieri una motovedetta della Guardia di Finanza ha notificato proprio alla Alan Kurdi il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane. È a una quindicina di miglia da Lampedusa e gira su se stessa. È una nave attrezzata: “Non ci sono emergenze e non ci sono grossi problemi medici – ha detto Gorden Isler, presidente di Sea Eye a bordo della Alan Kurdi alla Frankfurter allgemeine zeitung –. Ma ci sono 39 minorenni a bordo, che sono particolarmente vulnerabili. Pertanto, è importante il più rapidamente possibile arrivare a una soluzione europea consensuale”.

Al governo tedesco che gli chiede di aprire i porti italiani, Salvini risponde: “Assolutamente no. Chiediamo anzi al governo Merkel di ritirare la bandiera tedesca a navi che aiutano trafficanti e scafisti e di rimpatriare i loro cittadini che ignorano le leggi italiane”. Nessuna prova di aiuti a trafficanti e scafisti, ovviamente.

Eppure Seehofer ha lanciato anche aperture: “Sia nel caso della Alan Kurdi che nel caso di Alex siamo pronti, nell’ambito di una soluzione solidale europea, a prendere alcune delle persone salvate”. Secondo la Sueddeutsche Zeitung, la Germania respinge il principio sostenuto da Salvini secondo cui lo Stato di bandiera della nave dovrebbe essere responsabile. Seehofer spinge invece per un meccanismo di distribuzione europeo per i migranti: il ministro tedesco avrebbe già informato la Commissione europea venerdì mattina chiedendo un coordinamento. Sempre dal ministero di Seehofer spiegano: “Due giorni fa il ministro Seehofer ha ricevuto una lettera dal ministro Salvini nella quale l’Italia chiede alla Germania di assumersi la piena responsabilità per le persone soccorse sulla Alan Kurdi. Nel frattempo abbiamo informazioni relative a oltre 60 città tedesche preparate ad accogliere le persone soccorse dalle navi”. Sulla questione interviene anche la Santa Sede: “È braccio di ferro sulla pelle dei migranti”, scrive l’Osservatore romano.

Bloccati sul molo i 46 del veliero Salvini contro tutti

Stavolta nessuna motovedetta è stata schierata per impedire fisicamente l’attracco e così, senza incidenti, anche la barca a vela carica di migranti ha legato le cime al molo di Lampedusa. Lo stesso molo commerciale al quale aveva attraccato la Sea Watch 3 otto giorni prima urtando il mezzo della Guardia di Finanza. Erano passate da poco le 17, poi la barca si è spostata altrove perché lì doveva ormeggiare il traghetto da Porto Empedocle. Nella battaglia tra Matteo Salvini e le ong segnano un punto le ong, in questo caso Mediterranea e cioè il cartello politico che va dall’Arci a Sinistra Italiana a parte dei centri sociali e ha messo in mare la barca a vela Alex, prima come appoggio alla Mare Jonio e poi da sola quando la nave è stata sequestrata.

La risposta di Salvini è stata impedire lo sbarco. Prima la polizia, poi la Guardia costiera hanno informato oralmente il comandante che solo l’equipaggio aveva il diritto di scendere a terra. Non i 46 naufraghi soccorsi tre giorni fa a 70 miglia dalle coste libiche, tra i quali ci sono dieci minori non accompagnati, persone in precarie condizioni di salute, vittime di torture nei centri libici. Ma neanche l’equipaggio è sbarcato, per solidarietà. La situazione a bordo è insostenibile, Alex non è una nave ma una barca a vela lunga meno di 20 metri con dieci posti letto: da oltre 50 ore sono sotto il sole, sul ponte, perché ovviamente non c’è posto per tutti al coperto. Tutti con i loro salvagenti addosso. La scena è “surreale” come dice Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea. Un medico è salito a bordo, almeno uno dei 46 è stato fatto scendere subito.

È fallito il tentativo di Salvini di mandare la barca a Malta. Mediterranea aveva accettato l’idea di consegnare i migranti a due motovedette italiane che li avrebbero portati a La Valletta: un accordo tra i due governi prevedeva infatti che l’Italia si facesse carico di 50 migranti attualmente lì in cambio di quelli soccorsi dalla Alex. La trattativa però si è arenata perché il Viminale chiedeva che anche la barca italiana arrivasse fino a Malta, forse con l’idea di farla sequestrare dalle autorità maltesi. Mediterranea invece accettava solo di spingersi fino al limite delle acque territoriali maltesi, non oltre. E ieri ha deciso di forzare il blocco delle acque italiane, disposto da Salvini sulla base del decreto Sicurezza bis: come è ormai noto rischiano multe fino a 50 mila euro perché il ministro dell’Interno, non fidandosi della giustizia penale, ha introdotto una procedura amministrativa sulla quale peraltro i numerosi giuristi esprimono consistenti perplessità dato il contrasto con le norme internazionali sul soccorso in mare. Il presupposto è infatti che il transito dell’imbarcazione sia considerato “non inoffensivo” ma qui si tratta di un’imbarcazione, peraltro battente bandiera italiana, che ha soccorso naufraghi in alto mare e cerca il “porto sicuro più vicino” come prevedono i trattati ratificati dall’Italia.

Ragionevolmente la situazione dovrà sbloccarsi: erano in territorio italiano già prima, vista la bandiera, ma adesso le Convenzioni internazionali impongono alle autorità italiane almeno di consentire ai 45 di chiedere l’asilo o la protezione sussidiaria.

Salvini cresce secondo i sondaggi ma nel governo e nella maggioranza gialloverde è più solo e lo dice: “Ogni tanto lo confesso, mi sento politicamente un po’ solo. Infatti chiederò al ministro della Difesa e al ministro dell’Economia che comandano la Marina militare e la Guardia di Finanza di aiutarci in questa battaglia di civilità, di legalità, per salvare vite”, ha detto ieri. Poi ha ricordato che “la nave Mediterranea è quella che aveva a bordo il signor Casarini, dei centri sociali del Nord-Est, se non ricordo male c’era anche il figlio del ministro dell’Economia”, riferimento a Stefano Tria, figlio di Giovanni. Dalla Difesa, retta dalla ministra Elisabetta Trenta, gli hanno risposto subito: “Da giorni abbiamo offerto supporto al Viminale sulla situazione di queste ore e il Viminale lo ha respinto, in più di una occasione. Il supporto offerto riguardava il trasporto dei migranti a Malta. Se il Viminale avesse accettato, i migranti sarebbero già a Malta. È un mistero anche per noi il rifiuto espresso dal Viminale”. Chissà se invece Salvini vuole il blocco navale davanti alle coste libiche: “O le navi militari italiane servono in mare a far rispettare le leggi e i confini o se servono da scorta per la navi fuorilegge, domandiamoci sull’utilità e sull’utilizzo di questo navi. Lo dico con la massima determinazione”, ha polemizzato ancora il vicepremier

Nel Mediterraneo intanto si continua a morire: ieri si è avuta notizia di un naufragio con almeno 13 vittime davanti alle coste tunisine. Continuano anche gli sbarchi che non coinvolgono ong: 83 pakistani sono arrivati venerdì sera sull’Isola di San Pietro, nei pressi di Taranto.

Salvini: “A Bruxelles un commissario politico e leghista”

Il commissarioeuropeo espresso dall’Italia sarà “un politico” e sarà “indicato dalla Lega”. Lo dice Matteo Salvini, che nelle prossime settimane dovrà trovare la quadra con gli alleati sul nome da mandare a Bruxelles, ma che intanto mette i primi punti fermi. Facendosi forte del 34 per cento delle ultime elezioni europee, che hanno ribaltato i rapporti di forza tra i gialloverdi: “Non ho riserve, ma non mando a Bruxelles un nemico del mio Paese, questo è poco ma sicuro. il voto delle elezioni europee dà alla Lega l’onore e l’onere di indicare chi andrà in Europa come commissario e come ministro degli Affari europei”. E ancora: “L’era dei tecnici mi sembra ampiamente superata”. Ad esporsi sul ruolo di commissario è stato ieri Gian Marco Centinaio, ministro leghista dell’Agricoltura il cui nome era circolato nei giorni scorsi: “Se la Lega, Salvini e l’Italia dovessero avere bisogno ci sono, in caso contrario ci sono autorevoli personalità in giro per l’Italia e io sarò felicissimo di andare avanti a fare il ministro dell’Agricoltura”.

Riforma giustizia, scontro tra l’Anm e il ministro Bonafede

È scontro sulla riforma della giustizia tra l’Associazione nazionale magistrati e il Guardasigilli, il 5Stelle Alfonso Bonafede. A dare fuoco alle polveri è il presidente dell’Anm, Luca Poniz, in apertura del comitato direttivo dell’associazione a Roma: “La riforma della giustizia prevede tante cose, non abbiamo visto l’articolato delle proposte. Siamo sempre disponibili per un confronto con il ministro sulle riforme, ma non cinque minuti prima, per un’interlocuzione di facciata. Siamo preoccupati per una sovrapposizione di piani, con una riforma collegata alla situazione contingente: ma non c’è un nesso logico per un giusto intervento riformatore”. Parole a cui Bonafede reagisce su Facebook, : “Stento a credere a ciò che leggo. Entro 10 giorni conto di portare la riforma del processo civile, di quello penale e del Csm al Consiglio dei ministri. Sono testi scritti dopo una lunga interlocuzione con avvocati e magistrati, questi ultimi rappresentati al tavolo proprio da Anm: non è colpa mia se l’associazione, per accontentare tutte le correnti, è arrivata a prevedere la rotazione del presidente”. E aggiunge: “Le riforme potranno piacere o non piacere ma parlare di mancanza di interlocuzione è totalmente fuori luogo”.

I lottiani contro i magistrati “Luca vittima di complotto”

Alessia Morani viene accolta come la star della mattinata. Un redivivo Beppe Fioroni annuncia (per oggi) dichiarazioni mirabolanti, all’ultimo minuto arriva un titubante Graziano Delrio (“Mi interessano tutte le occasioni di riflessione”, dice, mettendo le mani avanti). La seconda giornata di Br (ovvero Base Riformista), la corrente di Luca Lotti, è lo svolgimento collettivo dell’intervento dell’ex ministro del giorno prima. Dentro al Pd il livello di frammentazione aumenta, tra Renzi e Gentiloni che litigano e Arturo Parisi che definisce insufficiente il lavoro fatto da Zingaretti. Sul palco, a moderare, salgono a turno molti dei parlamentari. Fiori all’occhiello della gioventù postrenziana: Piero De Luca e Carmelo Miceli. L’atmosfera resta quella di una Leopolda postuma. Lotti e Guerini seguono i lavori in prima fila

L’intervento di punta è affidato a Franco Vazio, membro della Commissione Giustizia della Camera: “Una delibera del Csm del 29 luglio 2016 dice chiaramente che le intercettazioni casuali e irrilevanti di parlamentari non devono essere trascritte”. Questa la premessa. E poi: “Però, nella recente vicenda del Csm le intercettazioni di due parlamentari, assolutamente irrilevanti perché estranee al reato per cui si stava intercettando, sono state trascritte e pubblicate sui giornali. Mi chiedo: perché sono state trascritte quelle intercettazioni? Perché sono state autorizzate quelle trascrizioni e non distrutte? Perché il Csm ne ha chiesto la trasmissione ben sapendo che non potevano essere richieste e utilizzate?”. È la teoria del complotto adombrata da Lotti nel suo intervento del giorno prima. E Vazio si spinge a decodificare anche l’affermazione del “Lampadina”, secondo il quale, più che la verità, quello che viene fuori dalle trascrizioni è il “racconto” della verità: “Invece che una guerra tra correnti della magistratura, come in effetti è, questa vicenda sembra riguardare le interferenze della politica. Ma non è così”. E l’affondo: “Ma quelli che ieri si battevano a difesa della Costituzione più bella del mondo dove sono finiti?”

Il manifesto di Br è chiaro: “Il garantismo non è un tema di secondaria importanza. L’indipendenza della magistratura, la separazione delle carriere e il giusto processo sono principi da difendere a testa alta”.

C’è poi il risvolto politico. Nel mirino, Nicola Zingaretti, attaccato frontalmente come non era ancora mai successo. Carlo Calenda, che sta cercando di prendersi lo spazio al centro, è il più odiato di tutti. Matteo Renzi, quasi dimenticato. La Morani definisce il segretario come “un naufrago in balia delle correnti”. Argomentazione al vetriolo: “Oggi c’è un nuovo Pd, è questa una definizione che piace molto al nuovo gruppo dirigente. Eppure non bastano i cambi di casacca per fare un partito nuovo. C’è un nuovo segretario”. A tirare alle conseguenze il ragionamento è Camillo D’Alessandro, deputato, fedelissimo di D’Alfonso: “Base riformista non nasce per sfasciare il partito, ma per non farlo sfasciare”. Di scissione non si parla, l’intento è quello di fare forza sui gruppi parlamentari, che non obbediscono a Zingaretti e poi strutturarsi sul territorio. La formula di partito del partito, che fu prima di tutto di Renzi. Il clima non è esattamente unitario e il richiamo di Delrio alla “responsabilità” pare un appello destinato a cadere nel vuoto. Lui parla mezz’ora, ma si tiene rigorosamente lontano dalle vicende giudiziarie. Sembra di un altro partito. Uno dei tanti.