Foa lascia RaiCom: la Lega sarà risarcita con il Tg1 e Rainews?

Alla fine il passo indietro di Marcello Foa è arrivato. Ieri mattina, all’inizio del Cda Rai, l’ex giornalista ha annunciato le dimissioni da presidente di RaiCom, doppio incarico contro cui si era espressa la Vigilanza e su cui si apprestava a votare il Cda. Dimissioni non per aver violato la legge, ha spiegato Foa, che ha confermato la legittimità della nomina, ma per una questione di opportunità e per non creare conflitti con il Parlamento. In realtà, Foa ha deciso il passo indietro quando ha capito che, in un eventuale voto in Cda, non avrebbe avuto i numeri. Per lui si sarebbero schierati solo Igor De Biasio e Giampaolo Rossi. Contro, tutti gli altri: Riccardo Laganà, Rita Borioni, Beatrice Coletti e anche l’ad Fabrizio Salini. Resta da vedere se, in cambio di questo “sacrificio”, l’area leghista otterrà qualcosa in cambio. Come, ad esempio, il via libera alla direzione di Rainews per Fabrizio Ferragni. O il sì ai vicedirettori di Raiuno attesi da Teresa De Santis. O, addirittura, un cambio alla direzione del Tg1, con l’estromissione di Giuseppe Carboni, come da tempo chiede la Lega. Il Cda poi ha dato il via libera ai palinsesti invernali, col voto contro della sola Borioni.

Fessi, furbi e boriosi: i ritratti in rima dei politici

La politica fatta poesia. Nel suo ultimo libro (L’albun delle figurime, Aliberti), Carlo Cornaglia – scrittore satirico già autore di opere irriverenti sui potenti – fotografa in rima i protagonisti della politica degli ultimi anni: da Matteo Renzi a Mario Monti, da Silvio Berlusconi a Beppe Grillo. Proponiamo qui tre ritratti contenuti nel libro: Carlo Calenda, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

 

Carlo Calenda
Il piccolo Macron

Ma è chi mai tale portento? / Chi è quest’uomo da tregenda? / Il suo nom’è Carlo Calenda, / un che giunse all’apogeo / nel governo di Matteo. / Nel momento del collasso / per portar ancor più in basso / i tapini del Pd / meditò e poi disse: “Sì / ne divento tesserato”, / l’unico che si è aggregato. / Il Pd non lo cagò / e Calenda si incazzò: / “Se nessun mi tiene in conto / ad andarmene son pronto” / Si aspettava una sommossa: / “Finiremo in una fossa / se Calenda se ne va!” / “Del Pd che ne sarà?” / “Voglia Iddio che non s’involi / se no resteremo soli!” / “Carlo è ormai la nostra droga!” / Ma nessun piange o si sfoga, / nessun muove un sopracciglio / nonostante il suo cipiglio. / …. / Anarcoide sovranismo / li chiamò col suo lirismo / il Calenda di quei dì / che “andiam oltre il Pd!” / disse con far da stratega / ma nessun fece una piega. / … / “Voglio entrare in Direzione / per mandar tutto in rovina / sotto l’ala di Martina!” / ma Martina, che follia!, / preferisce la Madia. / “Ma che direzione è questa? – / il petit Macron protesta – / a me sembra un harakiri!” / La moral per gli elzeviri? / Predica, conciona, ciancia / ma è sol Renzi con più pancia.

 

Matteo Salvini
Il trionfo del Capitano

Per far di elettor razzia / Matteo cambia strategia: / si innamora dei terroni / e ha successo alle elezioni. / Non è più ladrona Roma / e di Napoli l’aroma / è quel delle cose buone. / Ora è contro l’invasione / dei baluba e dell’Islam / stop a tutti questi infam! / Nuovo motto dei padani: / “Vengon prima gli italiani!” / … / Matteo appare, figli in braccio / e d’amore preso al laccio / dalla bella seduttrice / e perfetta stiratrice, / sui settimanali pop. / Ha stravinto, è giunto al top / e “La pacchia è ormai finita” / sia per chi rischia la vita / o nei campi a lavorare / od attraversando il mare / sia per i propri alleati / che Matteo si è cucinati. / Non è più il verde cazzaro, / ora è del governo il faro / e per lui fan tutti il tifo. / La morale? Ma che schifo!

 

Luigi Di Maio
Altro guaio, Gigi Di Maio

Nato in quel di Pomigliano / nel milieu napoletano / nel radioso ottantasei / come un dono degli dei / … / Nel miglior liceo, l’Imbriani, / tutti gli batton le mani. / L’insegnante Rosa Manna / è per lui tutta un osanna: / “Coi capelli ben curati, / viso e collo ben rasati, / look per nulla stravagante, / nell’esposizion brillante, / un acuto osservatore / gioia d’ogni professore. / Ottimo in filosofia, / un po’ meno in geografia / Confondeva – Rosa svela – / ahimè Cile e Venezuela. / Debole sul congiuntivo / per lui d’ogni senso è privo / poiché Gigi era ammalato quando in classe l’ho spiegato”. / …. / Del grillino con i panni / vince le trionfal primarie, / dette le parlamentarie, / con men di duecento voti / Un prodigio! Fra i devoti / del paisà santo, Gennaro, / si schierò perciò il somaro / aspirante deputato. / Mai nessuno gli ha spiegato / che chi è solo un fessacchiotto / resta tal pur se è bigotto.

Toti “bombarda” Berlusconi: oggi prove di scissione a Roma

Era inevitabile che finisse così. Che la manifestazione organizzata oggi a Roma da Giovanni Toti, al Teatro Brancaccio, diventasse una kermesse di corrente, un’iniziativa per contarsi, vedere chi sta col governatore ligure per spingere su un forte rinnovamento del partito e chi con la vecchia guardia. Chi vuole le primarie per eleggere il prossimo leader e chi, come Mara Carfagna, l’altra coordinatrice, preferirebbe che a scegliere fosse il congresso. Che, a questo punto, secondo i tempi previsti da Silvio Berlusconi, si svolgerà a dicembre. “Non c’è alcuna fretta: l’accelerazione era dovuta al rischio di elezioni in autunno. Ma siccome così non sarà, i tempi si allungano anche per noi…”, racconta un deputato forzista.

Oggi pomeriggio al Brancaccio, dove sono attese circa 1.700 persone, il gioco starà tutto nel vedere chi c’è e chi no. Della classe dirigente del partito, per esempio, non andrà nessuno. Non andrà Carfagna e nemmeno le due capogruppo Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini. Ci sarà, invece, Paolo Romani, che da tempo appoggia il governatore, insieme al figlio Federico, consigliere regionale lombardo. “Saremo tanti, ma non sarà una manifestazione di rottura. Berlusconi ci ha detto che non c’è ostracismo nei nostri confronti. Chi verrà non sarà bollato, come qualcuno vuol far credere…”, afferma l’ex ministro. Già, perché negli ultimi giorni era partito il tam tam da Arcore per boicottare l’iniziativa. “Tu ci vai? Davvero? Ma che ci vai a fare, meglio non compromettersi…”, il tono di qualche telefonata tra deputati e senatori. Ieri Berlusconi, che ha incontrato Toti e Carfagna, ha rassicurato che così non è. “Partecipare all’evento non espone nessuno al reato di lesa maestà. Toti ha avuto il merito di smuovere le acque, ma Berlusconi rimane il lievito madre senza il quale non ci sarebbe Fi”, spiega Osvaldo Napoli, uno dei primi ad aderire.

Non ci saranno, invece, Gaetano Quagliariello e Francesco Aracri, che sembravano interessati. Ci saranno, invece, i lombardi Alessandro Sorte, Stefano Benigni e Alessandro Pedrazzini, i piemontesi Massimo Berutti e Daniela Ruffino, i liguri Manuela Gagliardi e Sandro Biasotti, il bolognese Galeazzo Bignami. Potrebbe arrivare, a sorpresa, il governatore siciliano Nello Musumeci. Dalla Puglia salirà il senatore Luigi Vitali. Dalla Calabria i fratelli Gentile. Il più famoso, Antonio, ex senatore, nel 2014 fu costretto a dimettersi da sottosegretario (stava in Ncd) del governo Renzi per la vicenda delle pressioni esercitate sul direttore dell’Ora della Calabria per un articolo su suo figlio, vicenda per cui poi non fu indagato. Sarà insieme con suo fratello Pino, ex assessore regionale in Calabria. Dalla Lombardia, invece, scenderanno il presidente del consiglio regionale Alessandro Fermi, e i consiglieri Mauro Piazza e Giulio Gallera.

Giocheranno in casa i consiglieri laziali Antonio Aurigemma e Adriano Palozzi. Quest’ultimo è indagato per la vicenda degli illeciti intorno alla costruzione dello stadio della Roma. Mentre il primo, ex assessore alla Mobilità di Alemanno, è finito nell’inchiesta sulle illegalità per la costruzione della metro C a Roma. E proprio a Aurigemma e Paolozzi, oggi, spetterà il compito di riempire il Brancaccio. Laziali e presenti pure Francesco Giro e Claudio Fazzone. “Bisogna bombardare il quartier generale”, ha detto Toti ieri mattina, citando il comunista Mao. Poi, dopo l’incontro con B., ha mezzo ritrattato. Il suo, dicono, sarà un intervento forte, ma non di rottura. Anche perché il governatore è consapevole di “essere più forte dentro Fi che fuori”, spiegano anche i suoi. Ieri, però, Toti e Carfagna si sono beccati la “ramanzina” di Berlusconi. “Non mi piace come vi state muovendo. Troppi personalismi, troppe risse. Ricordatevi che non siamo il Pd…”, ha detto, innervosito, l’anziano leader.

Sottosegretari M5s preoccupati, i vertici: “Nessun rimpasto”

Una pratica definita “mortificante” e che “umilia” chi lavora. Non è piaciuta a tutti, in casa Movimento 5 Stelle, la scheda di valutazione consegnata ai parlamentari per valutare l’operato dei sottosegretari, finiti sulla graticola dopo la rovinosa sconfitta alle ultime europee. Nelle intenzioni di Luigi Di Maio doveva essere un valido strumento per migliorare i rapporti interni, ma l’effetto ottenuto rischia di essere quello contrario: “Ogni giorno – si è sfogato un sottosegretario all’Adnkronos – registriamo fughe di notizie sul nostro conto: la graticola ci ha delegittimati consentendo di scrivere o riportare qualsiasi cosa sul nostro operato”. Tanto più che le pagelle sarebbero sconosciute agli stessi sottosegretari: solo Di Maio, il capogruppo Francesco D’Uva e il tesoriere del gruppo alla Camera Sergio Battelli avrebbero infatti visto i risultati del test. Così nelle ultime ore alcuni sottosegretari avrebbero chiesto lumi ai vertici, esigendo chiarezza anche su tempi e modalità di un eventuale rimpasto. E avrebbero ottenuto rassicurazioni in tal senso: bocce ferme su presunti cambi nelle retrovie della squadra di governo, così come, al momento, nessun rimpasto sarebbe previsto tra i ministri.

Così la Regione “commissaria” il Campidoglio e la partecipata ai rifiuti

L’ordinanza della Regione Lazio per uscire dalla crisi di raccolta e smaltimento che interessa Roma da alcune settimane prevede 11 punti ricchi di prescrizioni per Ama, la partecipata dei rifiuti del Campidoglio, per garantire l’immediata pulizia della città. Il testo ordina ad Ama di pulire entro 48 ore le strade adiacenti alle strutture sanitarie e socio-assistenziali, gli asili e le scuole, i mercati rionali e gli esercizi commerciali dediti alla ristorazione. E poi di togliere i rifiuti dalle strade del resto della Capitale entro una settimana, anche attraverso l’incremento dei veicoli a disposizione, dotandosi in 7 giorni di 300 cassonetti in più e riattivando il tritovagliatore mobile di Ostia. La Regione inoltre chiede all’azienda una maggiore stabilità contabile invitandola ad approvare entro 30 giorni i bilanci 2017 e 2018. Sulla mancata approvazione del primo documento contabile – che a febbraio scorso ha portato alle dimissioni dell’ex assessore comunale all’Ambiente Pinuccia Montanari e del vecchio Cda della partecipata – sta indagando anche la Procura di Roma. Il testo invita inoltre le società Ecologia Viterbo, Saf, Rida Ambiente, Porcarelli, Ecosystem, Csa e Acea Ambiente, ad operare “al massimo della capacità di trattamento autorizzata su base giornaliera, anche nei festivi, secondo le richieste di Ama”. Così la partecipata del Campidoglio avrà la certezza di poter portare negli impianti del resto del Lazio tutte le tonnellate che non riesce a lavorare quotidianamente, cosa che finora non accadeva. In vigore fino al 30 settembre, il provvedimento non prevede però sanzioni nei confronti di Ama in caso di mancato rispetto.

“Zingaretti fa politica ai danni di Roma, io mi sento truffata”

La sindaca di Roma Virginia Raggi entra nella sala dentro il Campidoglio, tenendo in mano tre fogli bianchi. “Questa è la prova che il governatore del Lazio Nicola Zingaretti non vuole aiutare la città di Roma” scandisce. E la prova sarebbero quelle pagine, ovvero una lettera arrivata in Comune dalla Rida ambiente, società che gestisce un impianto di trattamento di rifiuti ad Aprilia (Latina). Una delle nove strutture regionali che dovrebbero aumentare la quantità del materiale trattato, stando a un’ordinanza emanata ieri mattina da Zingaretti per aiutare a Roma a gestire l’emergenza, ma che sostiene di non poter applicare l’ordinanza. “Ad una prima lettura – scrive la Rida – il provvedimento non pare rimuovere le situazioni che oggettivamente impediscono alla società di fornire ulteriore supporto ad Ama (la società dei rifiuti del Comune, ndr)”.

Sindaca, cosa è successo?

In sostanza, la Rida spiega che l’ordinanza è scritta male, perché non prevede esplicitamente la deroga alle norme del testo unico sull’ambiente. In più il provvedimento chiede il rispetto delle Bat, tecnicamente migliori tecniche disponibili. Ma richiede una cosa in contrasto con l’aumento della volumetria, cioè della quantità di rifiuti trattati.

È la tesi di un‘azienda.

Un’azienda da dove scrivono che non accoglieranno i rifiuti di Roma. Due anni fa Zingaretti scrisse un’analoga ordinanza per aiutare il Comune di Viterbo, poche ore dopo un incendio nel locale impianto di Tmb. Ma la scrisse bene. A noi è andato a fuoco il Tmb Salario a dicembre, che trattava un quarto dei rifiuti di Roma, e l’ordinanza è arrivata solo oggi, con questi problemi. C’è una disparità di trattamento che grida vendetta.

Roma non ha le dimensioni e le criticità di Viterbo. E di certo l’ordinanza di Zingaretti vi pone un cronoprogramma fitto di prescrizioni. Chiede l’approvazione dei bilanci di Ama del 2017 e del 2018 entro il 5 agosto, e di mettere su strada 300 nuovi cassonetti entro una settimana. Come farete a rispettare queste indicazioni?

Tutta la parte su Ama non ha ragione di essere. Il governatore non può certo ordinarci di comprare cassonetti in deroga al codice degli appalti. E non può esercitare poteri sostitutivi al posto del Comune di Roma: per farlo dovrebbe seguire un procedimento totalmente diverso. Zingaretti sta andando oltre quanto gli è consentito dalla legge.

E perché lo starebbe facendo? Risolvere l’emergenza rifiuti conviene anche a lui da governatore, no?

Dovrebbe…Quando io parlo con Zingaretti non so mai se parlo con il governatore del Lazio o con il segretario del Pd. Mi sento truffata da questo provvedimento.

Ne ha discusso con il ministro dell’Ambiente Costa?

L’ho sentito, e lo risentirò. E scriverò a Zingaretti.

Dal ministero cosa le dicono?

Non sono certo entusiasti dell’ordinanza.

Sarà , ma lei non può solo accusare la Regione. Il Comune di Roma pare aver sottovalutato un fatto ampiamente noto, ossia che i due Tmb di Malagrotta avrebbero potuto trattare molti meno rifiuti in estate. L’emergenza era naturale.

Innanzitutto non siamo in una situazione di emergenza, come ha spiegato la Asl Roma 1, ma di criticità. Detto questo, di Malagrotta abbiamo saputo ad aprile. Abbiamo fatto delle riunioni, ma anche in questo caso la Regione, che ha la responsabilità degli impianti, non ha fatto nulla.

Esiste la politica, sindaca. Come Comune dovevate darvi da fare.

Infatti in queste settimane Ama ha stretto accordi con gli operatori intermedi dei piccoli impianti per aumentarne la capienza.

Non sono stati sufficienti.

Per far funzionare il ciclo dei rifiuti serviva sempre quell’ordinanza della Regione, mai arrivata.

Ma il problema di sistema dipende anche da voi. Lo sosteneva ieri un suo ex assessore ai Rifiuti, Paola Muraro, sul Messaggero: “È mancata la programmazione, in tre anni si poteva costruire un impianto”. Ha torto?

Noi siamo arrivati in una situazione già gravissima. E per costruire un impianto Tmb tra gare e realizzazione tecnica servono tra i 5 e i 7 anni.

Prima o poi bisogna iniziare a fare le cose, non crede?

Abbiamo fatto una valutazione. Avendo già diversi impianti Tmb, abbiamo scelto di investire sul compostaggio per aumentare la percentuale di differenziata, e ridurre così l’indifferenziata. Lavoriamo sul riciclo della plastica e dei pannolini.

La situazione è gravissima.

Sono stufa di dovermi prendere le colpe degli altri. Come Comune mi occupo della raccolta, mentre degli impianti si deve occupare la Regione. Perché dal 2012 ad oggi Zingaretti non ha mai varato un piano rifiuti? E perché continua a proporre la discarica di Pian dell’Olmo, che era di Manlio Cerroni (lo storico patron di Malagrotta, ndr)? Sbaglia, anche perché sia io che lui siamo contrari agli inceneritori. E così fa il gioco di Salvini, che li vuole, e che ha lanciato un’Opa su Roma e sulla Regione.

Ma ora che succederà a Roma, assediata dai rifiuti?

L’ordinanza mi pare inapplicabile, e questo mi fa essere molto preoccupata.

Se altri impianti dovessero rifiutare di applicarla sarebbe un incubo.

Zingaretti smetta di fare il segretario del Pd e e riscriva l’ordinanza. Altrimenti ci diano un altro governatore con cui trattare.

A proposito, dal 31 luglio scadono anche gli accordi per portare parte dei rifiuti in Abruzzo. Un altro guaio.

Scadranno alcuni accordi. Ama tratta per rinnovarli.

Lei è da mesi senza assessore ai rifiuti. Non lo nominerà fino a fine mandato?

Per ora accompagnerò in prima persona il nuovo Cda di Ama, che sta lavorando molto bene.

Caso Scieri, indagati un ex comandante e altri tre militari

L’ex comandante della Folgore, generale Enrico Celentano, 76 anni, da tempo in pensione, è indagato per le morte di Emanuele Scieri, il parà siracusano di 26 anni, in servizio di leva, trovato morto 20 anni fa nella caserma Gamerra (Pisa), sede del centro di addestramento dei paracadutisti dove stava svolgendo il servizio di leva, precipitando da una torre di prosciugamento dei paracadute. L’ex ufficiale è indagato per favoreggiamento e false informazione ai pm, mentre tre ex commilitoni di Scieri sono accusati di omicidio volontario in concorso. Celentano è stato ascoltato in procura per oltre 4 ore, ma l’interrogatorio è stato pieno di “non ricordo” e di risposte non troppo circostanziate. Sostanzialmente l’accusa verte su due aspetti che Celentano non ha saputo chiarire: la sua probabile presenza a Pisa la notte dell’omicidio (la cella telefonica che serve la zona della Gamerra registra il telefono cellulare fornitogli dalla Folgore alle 23.45) e i motivi di una rapidissima e improvvisa ispezione in caserma all’alba del 15 agosto. Il corpo privo di vita di Scieri fu ritrovato il 16 agosto, tre giorni dopo la scomparsa.

“Questa Lega è una vergogna” si può tenere sui balconi

La Procura di Salerno ha chiesto l’archiviazione per Ennio Riviello, Giampietro Perruso e per la 71enne che decise di ospitare il 6 maggio sul suo balcone lo striscione dei due “inventori” della protesta. “Questa Lega è una vergogna” è lo slogan, ripreso dalla celebre canzone ’O scarrafone di Pino Daniele, e poi esposto a Napoli anche dal fratello dell’artista al passaggio di Matteo Salvini, fece il suo esordio su lenzuolo lo scorso settembre a Campagna in opposizione alla manifestazione in quei giorni chiamata “la Pontida del Sud”. Il 6 maggio a Salerno intervenne la Digos per rimuovere “l’insulto” dal balcone. “La semplice esposizione di uno striscione – scrive il procuratore aggiunto Luigi Alberto Cannavale – non può essere considerato un episodio di turbativa elettorale ed infatti tale condotta non ostacola né impedisce il comizio. In realtà si evince che la polizia giudiziaria era preoccupata per eventuali reazioni di sostenitori della Lega ma occorre rilevare che l’articolo 21 della Costituzione garantisce la libera manifestazione del pensiero e anche il dissenso rientra tra le forme di manifestazione del pensiero mentre invece reazioni scomposte a tale manifestazione avrebbero potuto queste sì costituire reato. La Digos evidenziava la presenza di facinorosi che in precedenza avevano cercato di portarsi sulla piazza per manifestare contro Salvini ma non risulta che tra costoro vi fosse il Riviello, il Perusso o” la 71enne del balcone.

E un’altra buona notizia per le proteste dei balconi arriva ieri da Cagliari: lo striscione “Salvini, Meloni & company siete c… sterile” non doveva essere sequestrato per “radicale mancanza di motivazioni”, in pratica chi lo ha vergato ed esposto ha esercitato il “diritto di manifestare il proprio pensiero sotto forma di critica politica”; lo scrivono i giudici del Riesame di Cagliari nelle motivazioni del provvedimento con cui è stato annullato il sequestro del lenzuolo incriminato e fatto ritirare dai carabinieri il 21 maggio.

“Sigilleremo i sacri confini”: Salvini apre il suo fronte est

La giornata inizia con una pattuglia di polizia che ferma, all’alba, un gruppo di migranti al confine con la Slovenia. È la ripresa della rotta balcanica, dicono gli allarmi lanciati dai leghisti. Agli arrivi via mare, si aggiungono quelli via terra. Matteo Salvini arriva a Trieste per firmare un accordo commerciale sul porto con l’Ungheria di Viktor Orbán. Ma sono immigrazione e muro a tenere alta la temperatura, in una piazza Unità d’Italia inondata dal sole e accarezzata dalla brezza che viene dal mare azzurrissimo.

Un piccolo gruppo di sostenitori aspetta il ministro dell’Interno davanti al palazzo della prefettura e acclama il leader della Lega: “Matteo, Matteo”. Poco distante, alcuni giovani gridano invece “Umanità, solidarietà, umanità, solidarietà”.

Completo blu, camicia bianca senza cravatta, Salvini, accompagnato dal presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Ferdiga, attraversa rapidamente la piazza, dalla prefettura al palazzo dei Lloyd, oggi sede della Regione. “Stiamo controllando i confini via mare, vogliamo controllare anche quelli via terra con ogni mezzo possibile”, dice subito.

Scrive su Facebook: “Obiettivo: più uomini e più mezzi per sigillare il confine con la Slovenia e fermare definitivamente l’ingresso di immigrati clandestini”. La parola “muro”, evocata nei giorni scorsi, non la pronuncia mai. “Sono ottimista: dal 1 luglio abbiamo cominciato i controlli alla frontiera con le pattuglie miste italiane e slovene. Sono fiducioso che otterremo il risultato di fermare il flusso di clandestini. Che qualche decina riesca a passare è fisiologico, ma qualche centinaia no. Tra qualche settimana faremo il punto, vedremo se saremo riusciti a bloccare gli ingressi. Se non basteranno i pattugliamenti misti, allora penseremo a qualche altra barriera, tecnologica o fisica. Ma ripeto: sono ottimista, aspetto i risultati”.

I numeri: i nuovi arrivi nel 2019 alla frontiera di Trieste sono stati 88 a gennaio, 123 a febbraio, 183 a marzo, 260 ad aprile, 201 a maggio, 145 a giugno. Totale: 1.000. È lo stesso Salvini ad ammettere che le richieste d’asilo nell’ultimo anno sono diminute. Ma “i confini sono sacri e inviolabili”, ripete un paio di volte. Polemizza con “l’offensiva estiva appena cominciata” via mare, con navi delle “ong capricciose che vogliono scegliersi il porto d’approdo come fossero in viaggio turistico. La Tunisia viene scelta da migliaia di turisti italiani, perché non dovrebbe andare bene per riparare chi viene raccolto dalle navi delle ong? Perché non vogliono approdare a Malta, preferiscono la Costiera amalfitana o le Cinque Terre? Ibiza o Formentera? Allora quelli non sono salvataggi, sono traffici di esseri umani”.

Poi torna alla rotta di terra. “Ho telefonato ai ministri dell’Interno della Slovenia e della Croazia. Dobbiamo aumentare tutti insieme i controlli alle frontiere, la Croazia anche al confine con la Serbia e la Bosnia. E poi dobbiamo chiedere all’Europa, se esiste, di presidiare con Frontex gli ingressi ai confini dell’Unione nei Balcani”.

La polemica diventa diretta con la ong che opera a Trieste: “Qui c’è un monopolista dell’accoglienza che gestisce mille immigrati. A 35 euro l’uno, fanno 35 mila euro al giorno, un milione di euro al mese. Ora si lamentano dicendo che la nuova tariffa, 21 euro, non è sufficiente: ce ne faremo una ragione, se non vogliono occuparsene più loro, troveremo un’altra soluzione”. L’organizzazione evocata e mai citata è la Ics di Gianfranco Schiavone, che sta gestendo a Trieste l’accoglienza diffusa, sparsa sul territorio, senza concentrare i richiedenti asilo in strutture “pesanti” con centinaia di persone.

Il vero motivo della presenza di Salvini a Trieste viene quasi dimenticato. Lo ricorda il presidente Fedriga: “È l’Ungheria la vera locomotiva d’Europa, che continua a crescere più delle previsioni. E il Friuli Venezia Giulia diventa la piattaforma logistica per il centro e l’est Europa”. Con l’Ungheria di Orbàn viene firmato l’accordo che vende al suo governo un’area di 340 mila metri quadrati nel porto di Trieste, con le relative concessioni.

A siglare il contratto è il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó. L’Italia incassa, per ora, 25 milioni di euro, che diventeranno circa 100 milioni da qui al 2023, con le opere promesse di bonifica e di costruzione del terminal. Altri 300 milioni li metteranno le Ferrovie dello Stato e il governo italiano per i necessari collegamenti ferroviari e la piattaforma logistica.

Ne è fiero il presidente dell’Autorità portuale, Zeno D’Agostino: “Ci stiamo lavorando da due anni. Abbiamo ottenuto che questi investimenti siano fatti qui a Trieste, mentre prima l’Ungheria stava puntando sul porto di Capodistria. Già oggi dal porto di Trieste partono quattro treni merci al giorno per Budapest. Nei prossimi anni si moltiplicheranno”. Orgoglioso del risultato anche Salvini: “Apriamo i porti agli scambi, all’arrivo di ricchezza, non all’arrivo di problemi. Questi sono i porti aperti che ci piacciono”.

Nel pomeriggio, in prefettura, Salvini firma un protocollo di legalità: “Quando arrivano tanti soldi, possono arrivare anche ospiti indesiderati”. Nel porto di Trieste è già successo, ci aveva già provato un gruppo di imprenditori campani considerati vicini alla criminalità organizzata. “Dobbiamo controllare chi farà i lavori”, conclude il ministro dell’Interno, “per mantenere legalità e trasparenza”.

Bonafede: “La riforma della giustizia pronta entro dieci giorni”

La riforma della giustizia è in arrivo. Parola del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ieri ha annunciato novità entro una decina di giorni, in modo che di giustizia si inizi a parlare prima delle ferie dei parlamentari: “Conto di portare in consiglio dei ministri, nell’arco dei prossimi 10 giorni, tutta la riforma della giustizia: processo civile, processo penale e anche la riforma del Csm”. Per quanto riguarda il pacchetto di provvedimenti che riscrivono il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, il ministro ha sottolineato che “i tempi sono strettissimi”. La riforma, stando alle parole del Guardasigilli, “riguarderà non solo il Csm, ma tutta la magistratura, quali sono le dinamiche al suo interno, sia per l’accesso sia per gli avanzamenti di carriera, affinché ci sia un perimetro blindato di meritocrazia che non possa essere scalfito dal correntismo”. Giro di vite anche sul rientro dei giudici dalla politica e stop alle nomine negli incarichi direttivi per quattro anni a chi è stato componente del Consiglio. Previsto anche un limite ai compensi entro i 240mila euro.