Il dimissionario Fuzio indagato per rivelazione di segreto al pm accusato

Riccardo Fuzio, procuratore generale di Cassazione, è indagato a Perugia per rivelazione di segreto. Secondo l’accusa, avrebbe raccontato a Luca Palamara, magistrato di Roma già indagato per corruzione, alcuni elementi sull’inchiesta dei colleghi perugini a suo carico.

Gli atti erano stati trasmessi da Perugia al Csm di cui Fuzio è membro di diritto oltre che capo della Procura che esercita l’azione disciplinare contro i magistrati: infatti ha chiesto la sospensione dalle funzioni (e dallo stipendio) per Palamara. Il trojan installato nel cellulare del pm romano, capta anche la conversazione tra i due. Fuzio lo informa del viaggio a Dubai, i soggiorni in hotel e i regali per l’amica Adele Attisani. Regalie che sarebbero state pagate dall’imprenditore Fabrizio Centofanti e valgono l’ipotesi di corruzione avanzata dalla Procura umbra per il magistrato romano. Giovedì Fuzio ha fatto un passo indietro, è andato al Quirinale per comunicare al presidente Sergio Mattarella il suo pensionamento anticipato, sollecitato a gran voce dall’Associazione magistrati (Anm). Andrà in pensione il prossimo 20 novembre.

“Pignatone mi invitò a casa sua per dirmi dell’indagine su di me”

Luca Palamara il 28 maggio parla a Luca Lotti dell’inchiesta di Perugia che lo vede indagato per corruzione. “C’è il Gico (reparto della Guardia di finanza che indaga su di lui, ndr) … il Gico… i due del Gico… quelli che dipendono da Di Gesù (generale Cosimo Di Gesù, ndr) e da Mastrodomenico (colonnello Gerardo Mastrodomenico, ndr) che sono gli uomini del Pigna…”. “Sì”, ribatte Lotti, “ma non c’è collegamento… Luca non c’è collegamento”.

Palamara invece sostiene che un collegamento vi sia. E continua: “Ragazzi, questa è storia, mo’ ti dico… la so da dicembre del 2017 quando, ti ho detto, andai alla caserma dei Carabinieri, da lui…”. Il riferimento è all’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che alloggia al comando generale dei Carabinieri. “Da Pignatone – continua Palamara – abbiamo parlato mezz’ora… mi ricordo come se fosse oggi, parlavamo sempre de… lui de… de Fabri… (sembra un riferimento a Fabrizio Centofanti, l’imprenditore che, secondo la procura di Perugia, avrebbe corrotto Palamara pagandogli viaggi e soggiorni in albergo, ndr) di tutto quanto, no… e lui, come al solito, no?… e qua, chi non c’è, tutto… vado a chiama’ l’ascenso .. ancora mi ricordo… lui stava in ciabatte… c’hai presente le ciabatte di una volta quelle che usava mio padre, no?… Proprio le ciabatte che usavano gli uomini di una volta, no?… Stavo pigiando il coso dell’ascensore… mi fa… ‘puoi rientrare un attimo?’… E stavo andando via… ‘ti devo di’ una cosa, ma tu sei stato fuori a Fonteverde co… una persona?’… Faccio ‘sì, perché?’… ha detto ‘no, perché… è uscito fuori da alcuni accertamenti che abbiamo fatto’ gli ho detto ‘e allora… ? cioè, adesso andiamo a vedere pure con chi vado a dormì o chi esco?’… ho detto ‘facciamo attenzione’… ‘tu non ti preoccupà che quei due tanto sanno che devono fa’”.

I due, par di capire, nella ricostruzione di Palamara sarebbero proprio i finanzieri Di Gesù e Mastrodomenico. Palamara – ammesso che la sua versione sia vera – data questo episodio nel dicembre 2017. Dal decreto di perquisizione della procura di Perugia si ricava che gli investigatori del Gico redigono una prima nota tre mesi dopo, nel marzo 2018, e un’altra a settembre, quando hanno messo a fuoco alcuni episodi che riguardano Centofanti e Adele Attisani, l’amante di Palamara.

Gli episodi – l’acquisto di un anello e un soggiorno in hotel a Taormina – risalgono a settembre e ottobre 2017. I finanzieri sospettano che l’acquisto dell’anello, da parte di Centofanti, sia stato fatto per conto di “lui”. E il “lui” in questione, secondo il Gico, era Palamara. Non sappiamo se gli investigatori individuano il “lui” in Palamara già nell’autunno del 2017. Sappiamo però che gli episodi contestati al pm romano sono precedenti al dialogo – sempre ammesso che vi sia stato – di Palamara con Pignatone in ciabatte davanti all’ascensore.

Tutto questo non è comunque sufficiente a “blindare” la versione di Palamara per almeno due motivi. Il primo: il pm romano potrebbe millantare proprio perché sa di essere intercettato. Il secondo si rinviene dagli atti che la procura di Perugia trasmette al Csm e dalle seguenti parole vergate dai finanzieri in un’informativa. Il 16 maggio – annota il Gico – Palamara viene intercettato mentre parla con l’ex consigliere del Csm Luigi Spina. “Nel corso del colloquio – scrivono gli investigatori – Spina condivideva con Palamara la documentazione trasmessa dalla procura di Perugia al Csm, ovvero l’informativa di polizia giudiziaria che aveva generato l’iscrizione e gli accertamenti eseguiti presso le strutture ricettive e i viaggi usufruiti dall’indagato”. E ancora: “Spina partecipava all’indagato i contenuti dell’informativa in relazione ai complessivi accertamenti eseguiti dalla GdF”.

Il colloquio tra Palamara e Lotti è del 28 maggio. Ben 12 giorni dopo aver saputo, attraverso Spina, il contenuto delle indagini che lo riguardano. Non si può escludere che Palamara dica il vero sul dialogo con Pignatone, ma non si può neanche escludere che gli attribuisca rivelazioni che, in realtà, ha ricevuto da Spina. Nell’interrogatorio a Perugia, il pm Stefano Fava – indagato per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nei riguardi dello stesso Palamara – aggiunge dei dettagli interessanti: “Nel settembre 2018 iniziano a uscire alcuni articoli di stampa – Il Fatto rivela l’esistenza dell’indagine a Perugia – e quando incontravo Palamara egli si premurava di dirmi che aveva tutte le prove dei pagamenti. Ribadisco che l’informativa non l’avevo vista e nulla sapevo se non quello che mi disse lui…”.

A settembre 2018 Spina non poteva avergli ancora rivelato nulla: come poteva Palamara sapere che doveva giustificare i pagamenti, oggetto d’una indagine riservata, che gli saranno contestati 9 mesi dopo? Palamara torna a discutere con Fava dell’argomento nel maggio scorso: “Mi era sembrato strano – dice Fava ai pm perugini – che Palamara sapesse non tanto delle indagini, ma dei contenuti delle stesse, ovvero del nome delle strutture presso cui si era svolti gli accertamenti. Prima di maggio 2019, ovvero, a partire dall’uscita dei primi articoli, lui era solito dirmi che era tranquillo e poteva confutate le contestazioni che venivano fatte”. Nell’interrogatorio Fava si sofferma anche sui rapporti tra Palamara e Pignatone: “I motivi della rottura con Pignatone non me li ha mai comunicati. Per circa dieci anni sono stati in ottimi rapporti. In ambito Csm Palamara si rendeva promotore delle richieste di Pignatone per tutte le nomine, per quanto lo stesso Palamara mi ha riferito. La rottura del loro rapporto, ritengo, risale a sette o otto mesi fa”. Se davvero, come racconta Palamara nelle intercettazioni con Lotti e anche a verbale, Pignatone gli abbia rivelato i segreti di un’inchiesta, svolta peraltro da un’altra procura, dovrà verificarlo – se lo riterrà opportuno – la procura di Perugia.

Scarcerato De Vito: andrà ai domiciliari (e si tiene la carica)

Dopo tre mesi di carcere ha ottenuto i domiciliari l’ex presidente dell’assemblea capitolina, Marcello De Vito, arrestato per corruzione lo scorso 20 marzo nell’ambito di un filone dell’inchiesta sullo stadio della Roma. Lo ha deciso il gip Maria Paola Tomaselli, che ha accolto una istanza presentata dal difensore Angelo Di Lorenzo, dopo che anche la procura di Roma aveva espresso parere favorevole. Nei giorni scorsi era uscito dal carcere e trasferito ai domiciliari anche l’avvocato Camillo Mezzacapo, considerato dagli inquirenti socio di De Vito. “Siamo felici che De Vito possa tornare all’affetto dei suoi cari e che allo stesso tempo si possa preparare al meglio per i prossimi sviluppi processuali”, hanno dichiarato i legali di Marcello De Vito, gli avvocati Angelo Di Lorenzo e Guido Cardinali. Nonostante sia sospeso da presidente dell’Assemblea, De Vito non si è comunque ancora dimesso dalla carica, che dunque non è revocata. Qualora decadessero tutte le misure cautelari, l’ex 5 Stelle potrebbe perciò rivendicare il suo posto all’interno del Consiglio comunale.

Le indagini perugine

Il pm romano Luca Palamara, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe, è indagato a Perugia per corruzione. Secondo le accuse avrebbe ricevuto utilità, come viaggi e soggiorni pagati all’estero, dall’imprenditore Fabrizio Centofanti. Palamara è accusato anche di aver ricevuto dagli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore e dall’ex pm Giancarlo Longo 40 mila euro per orientare la nomina (non avvenuta) di quest’ultimo alla procura di Gela. Accuse respinte in toto da Palamara. Anche Riccardo Fuzio, procuratore generale della Cassazione che ha annunciato due giorni fa il suo ritiro anticipato, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Perugia per rivelazione di segreto d’ufficio. Il fascicolo è relativo a quanto emerso dalla conversazione intercettata tra il pg e Palamara. La decisione dei magistrati umbri arriva a seguito di diversi esposti a carico del pg recapitati in procura, che ripercorrono il dialogo tra lui e Palamara “sull’esistenza di una indagine” a carico di quest’ultimo e la rivelazione da parte di Fuzio “almeno in parte, del contenuto di alcuni atti di detta indagine”, della quale “era a conoscenza”.

Luca sotto choc: “Il tribunale è bruttissimo, ci sono le celle”

Il tribunale di Roma per Luca Lotti, che lo frequenta da imputato, dopo la richiesta di rinvio a giudizio nell’inchiesta Consip, è davvero un incubo. È così che lo descrive, l’ex ministro dello Sport, che rischia un processo per favoreggiamento perché, secondo l’accusa, avrebbe rivelato all’allora amministratore delegato della società di appalti pubblici, Luigi Marroni, l’esistenza di un’inchiesta in corso. Ecco la conversazione tra Lotti e Luca Palamara, il pm romano indagato per corruzione dalla procura di Perugia, che gli investigatori hanno intercettato il 28 maggio scorso:

Lotti: “Un un posto bruttissimo quello di oggi. .. eh …

Palamara: eh?

L: bruttissimo quel posto in cui sono stato oggi …

P: con Porzio?

L: no … il Tribunale in generale … cazzo …

P: perchè non c’eri mai stato lì?

L: no … mai… io non sono mai stato in Tribunale …

P: ma … (incomprensibile) … non è male oh …

L: non me ne frega dell’aula … è il luogo … c’è … c’è … c’è da … c’è le celle con le sbarre oh!

P: vabbè … quella è un’aula storica oh! dai…

L: che cazzo me ne frega che è un’aula storica … ma io sono lì … sono lì come imputato … mica come di… mica come … mica come … come uno che si difende mica si diverte …

P: trovi lì quella che … no?

L: eh …

P: … (incomprensibile) … incazzata nera …

L: e no … te non ci vai a fare l’imputato … io sì .. .

P: eh no, io non ci vado …

L: eh …

 

La “struttura” per Viola

Sempre nella stessa serata Lotti e Palamara, in compagni di Cosimo Ferri, immaginano il nuovo scenario nella procura di Roma quando Marcello Viola – la sua nomina a procuratore capo è stata deliberata 5 giorni prima – si sarà insediato. Palamara punta a diventare procuratore aggiunto. E bisogna creare una “struttura” – della quale Palamara intende far parte – per assicurarsi che alcuni sostituti procuratori ubbidiscano a Viola senza problemi.

Palamara: … e se va Viola ti rompono il cazzo … loro dicono … ma se trovano la struttura … prendono la sportellata in faccia e poi rientrano tutti… cioè un Palazzi (Mario Palazzi, pm che con il procuratore aggiunto Paolo Ielo ha sostenuto l’accusa contro Lotti nell’inchiesta Consip, ndr) della situazione è il primo che rientra …

Lotti: sì… Palazzi … (incomprensibile) …

Palamara: il primo … in ginocchio … lo metti in ginocchio e dici… no? eh … però su questo Marcello deve seguire all’inizio …

Lotti: è chiaro …

Ferri: Marcello …

P: eh … cioè …

F: … deve avere anche gente che lo segua … perchè se … (incomprensibile) …

P: gente che lo segue… (incomprensibile) … noi… cioè lui inizia a far vedere le cose … cioè no? Non è che si deve vergognare come fa Pignatone di parlare con uno … no … inizia a ricevere la gente con Racanelli (Antonello, procuratore aggiunto a Roma, ndr)

F: chiaro .. .

P: con Palamara … e la gente capisce … no?

F: è chiara …

P: quando gli vogliono parlare dice “no … no … loro stanno qui che ascoltano …” quelli capi… quando escono già hanno capito tutti… fine … no?

F: ma lui si fa guidare …. poi è chiaro ci vuole la gente dentro … (incomprensibile) … che faccia … (incomprensibile) … lui.

 

“In Quinta Commissione si fa quello che dico io”

Poi i tre passano a discutere di quando si riunirà la Quinta Commissione, quella che conferisce le nomine, all’epoca presieduta da Gianluigi Morlini, che s’è dimesso dal Csm il 12 giugno scorso, proprio in seguito alle rivelazioni dell’inchiesta perugina.

L: ah … ragazzi… qui settimana prossima non se ne fa di nulla…

F: loro quanto possono ritardare secondo te?

P: i presidenti della Quinta io quando gli dico che devono depositare …depositano … non si discute …

F: … il Presidente è sempre Morlini…

P: eh … appunto …

 

Informazioni su Perugia

Infine i tre discutono del procuratore aggiunto di Perugia, Giuseppe Petrazzini, che regge la procura dopo l’uscita di Luigi De Ficchy, della pm Valentina Manuali, che potrebbe diventare procuratore aggiunto e di una terza donna che sembra essere la pm Gemma Miliani che indaga su Palamara.

Palamara: e però devi capire che succede un casino … io però dopo non mi sto… (incomprensibile) …

Ferri: però lei (il riferimento sembra alla pm Miliani, ndr) non è … lei è un po’ fuori dagli sche … non so se ce l’hai presente …

P: (annuisce in senso negativo)

F: è una un po’ fuori … (incomprensibile) … non so come descrivertela … personaggio un po’ inquieto…

Lotti: e questo Petrazzini com’è invece?

F: no, io non lo conosco …

L: ma chi è?

F: però lei è una ragazza seria …

L: no questo Petrazzini invece …

F: no … lui non lo conosco … te lo conosci?

P: (annuisce in senso negativo) però bisognerebbe fargli un’apertura

… (incomprensibile) … Aggiunto

F: … (incomprensibile) … l’altro giorno mi è venuto a trovare la Manuali ….

P: beh?

F: … gli ho fatto delle domande e non sapeva niente …

P: di me?

F: infatti ho chiesto… com’è a Perugia… ha detto “io non so niente …” cioè l’ho presa larga… perchè lei mi chiedeva degli Aggiunti… però ho visto che non sapeva…

Fontana: “300 euro a ogni famiglia”. M5S: “Così è una tombola”

Per frenare il calo delle nascite la Lega lancia la proposta di un assegno per le famiglie, senza però consultare gli alleati del Movimento. Accade anche questo nella dialettica ormai a singhiozzo dei due contraenti, in lite ieri dopo le parole del ministro leghista della Famiglia Lorenzo Fontana: “Il governo lavora a un assegno che va dai 100 ai 300 euro per ogni bambino dai 0 ai 26 anni. Crediamo così di riuscire a contrastare il calo demografico”. Numeri che non quadrano ai 5 Stelle, nonostante il ministro insista anche per convincere l’Europa a considerare le risorse per la famiglia come investimenti da scomputare dai calcoli del deficit. E così il Movimento 5 Stelle ha risposto a Fontana, negando ogni intervento imminente: “Aspettiamo di leggere la proposta di Fontana, che non abbiamo visto, ma basandoci sulle dichiarazioni da quel che ci risulta il suo annuncio arriverebbe a costare quasi 60 miliardi. La politica si fa con i fatti non a parole”. Più probabile, secondo i 5 Stelle, lavorare su cifre inferiori: “Noi lavoriamo, se qualcuno gioca a tombola non è un nostro problema, dispiace per le famiglie che si sentono prese in giro da questi annunci”.

Il “lampadina” e i limiti della legge Frattini

Luca Lotti fa cose. Molte, forse troppe. E come appreso dagli incontri, registrati dal trojan inoculato nel telefono del magistrato Luca Palamara, il deputato dem il 29 maggio s’è svegliato presto e s’è precipitato a Londra per un colloquio di lavoro.

Nel conciliabolo del 28 maggio sera con l’indagato Palamara e il collega di partito Cosimo Ferri, il “lampadina” confida che l’indomani mattina va a Londra per “chiudere un accordo della Premier League”, il massimo campionato inglese di calcio, su mandato di chi “lo trasmette” (in tv, si presume). Un accordo che gli avrebbe fruttato una retribuzione di “duecentomila sterline”. Questo riferisce il deputato, che fa sapere – come sua versione – di aver rinunciato all’offerta di lavoro di una società privata inglese e non conferma che si trattasse di pallone o di diritti televisivi.

Il 29 maggio è una data che ha in sé un significato, e non perché cada nella settimana dopo le elezioni europee e in un mercoledì di votazioni a Montecitorio a cui il deputato non partecipa. Il 29 maggio, per l’ex ministro dello Sport, è un giorno prossimo alla scadenza dell’incompatibilità a incarichi pubblici e privati dei componenti del governo di centrosinistra di Paolo Gentiloni, sostituito il primo giugno 2018 dall’esecutivo gialloverde guidato da Giuseppe Conte.

Per la legge Frattini, una norma che ha maglie larghe e che non prevede sanzioni, gli ex membri di un governo convivono con l’incompatibilità per un anno: “Per dodici mesi dal termine della carica di governo – è scritto all’articolo 2 – nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta”. Se pure la società inglese che ha contattato Lotti fosse legata all’industria del pallone, il deputato dem non avrebbe neanche sfiorato l’incompatibilità. Questo consente ai politici, e soprattutto agli ex ministri, di avere assoluta libertà di carriera dopo la parentesi istituzionale, seppur svolta a livelli di altissima responsabilità. A un anno e circa un mese dall’addio al governo e all’attività politica, per questo motivo, l’ex ministro Angelino Alfano può accettare la presidenza del gruppo ospedaliero della famiglia Rotelli che mira ad assumere una dimensione internazionale. E chi meglio di un ex ministro degli Esteri può concorrere all’obiettivo?

Luca Lotti, invece, fa politica. È il capo di una corrente del Pd. E resta un testimone e un protagonista del renzismo. A Montecitorio ha un tasso di presenza del 58 per cento. Ha avanzato, da primo firmatario, soltanto una proposta di legge, peraltro recente, è del 9 maggio: “Disposizioni per la semplificazione procedimentale e il finanziamento della realizzazione di grandi eventi nazionali e internazionali”. Ecco, il buon Angelino Alfano potrebbe tornare utile pure qui.

Lotti attacca il Pd e non spiega. I fan: “Uomo di grande valore”

“In effetti, è una bella domanda: perché escono solo le mie conversazioni con Luca Palamara, e peraltro, con frasi estrapolate dal contesto?”. La convention della sua corrente Br (meglio detta Base Riformista), è in corso a Montecatini, quando Luca Lotti ribadisce la “sua” versione dei fatti: “C’è un racconto della realtà. Ma la verità sta emergendo”. “Quale?”. Espressione delusa, non risponde. Ma rincara: “Su alcune frasi ho pure dei dubbi: non le ho dette io, non le ha dette Palamara”. E non si fa mancare il messaggio “politico” a Nicola Zingaretti: “Mi sono autosospeso dal Pd. No, dal gruppo invece no: il gruppo mi vuole bene”. Come dire: senza di lui, il Pd non va da nessuna parte.

“Terme e Relax!”. Sulla scritta all’ingresso del Terme Excelsior c’è attaccato il volantino con il programma della tre giorni. Di relax, tra i partecipanti che arrivano, non ce n’è neanche l’ombra. E l’atmosfera decadente e retrò pare sottolineare come quel che resta del Pd post renziano sia fuori sincrono.

L’apertura dei lavori è affidata all’ex ministro dello Sport. Poco importa se nelle ultime settimane sia stato al centro della scena per le conversazioni con Luca Palamara, i tentativi di influenzare la nomina del procuratore di Roma e pure le dubbie missioni a Londra (“Duecentomila sterline e ve la metto in culo a tutti”, viene beccato a dire, dal solito trojan). A Montecatini, arrivano l’uno dopo l’altro, i “suoi” parlamentari. “Questa è un’iniziativa che esiste da prima. È giusto che Luca parli”, dice Alessia Rotta, tra le più vicine da sempre. “Si tratta di una persona di grande valore”, afferma Raffaella Paita, che lo stesso Lotti volle candidata alla presidenza della Regione Liguria. Però, è una sfilza di “ma dai” (unico commento di Dario Parrini), “non mi occupo di queste cose” (Andrea Marcucci, capogruppo in Senato, che ostenta un sorriso smagliante). Liquida con un gesto che è metà sbuffo, la questione Andrea Romano (oggi direttore di Democratica). Antonello Giacomelli se la ride e non parla: è un altro che di potere se ne intende. “Fa il parlamentare, ecco che fa”: immancabile commento democristiano di Lorenzo Guerini. “Non me ne può frega’ di meno. Non mi occupo di intercettismo voyeuristico, di conversazioni che andavano distrutte”, si lancia Stefano Ceccanti, oggi deputato, nella vita costituzionalista “Tutto è in crisi. Ci sono mille motivi di angoscia”, è il commento aulico di Flavia Nardelli Piccoli, deputata pure lei.

Nella sala per il dibattito ci sono sì e no un centinaio di persone. Attesi una settantina di parlamentari e oggi pure Graziano Delrio (che non è di Br). Palco sobrio, con bandiera del Pd, dell’Italia e dell’Europa. Ogni tanto, nell’attesa, si sentono le note di canzoni pop: sembrano gli avanzi delle Leopolde che furono. “Ringrazio Luca Lotti per il gesto che ha fatto”, introduce Simona Malpezzi, “madrina” dell’iniziativa. Applausi. Ed eccolo spuntare, il protagonista, scortato da Guerini, nella sua prima apparizione da leader. Lui è quello che ha sempre schivato la ribalta. Era l’ombra di Matteo Renzi. Camicia bianca, pantaloni blue, viene accolto con una standing ovation. Parla in piedi, legge qualche foglio scritto. “Ho pensato molto a cosa dire, a come intervenire, addirittura se parlare o meno in questa occasione. Ed è per questo motivo che sono stato, mi perdonerete, quasi costretto a scrivere parola per parola il testo del mio saluto”, esordisce. Amarezza esibita: “Certamente qualche mese fa avrei immaginato un intervento di tutt’altro tipo”. E poi: “Ho ritenuto giusto e opportuno autosospendermi, nell’interesse della comunità del Pd e per un racconto che è stato fatto totalmente diverso dalla realtà”. Quale sia questa realtà, non lo dice neanche stavolta. “Credo che nessuno possa negare che siamo di fronte a una vera e propria violenza privata”. La sala applaude calorosa. Sassolino dalla scarpa nei confronti del segretario: “Anche chi ha chiesto un mio passo indietro, ha detto che si tratta solo di una questione di opportunità politica”. Ma quando “membri del nostro partito hanno organizzato comitati per No al referendum costituzionale il livello di inopportunità politica aveva parametri diversi! Così come dispiace vedere che in altri casi ci siano stati due pesi e due misure”. L’accusa: “Ipocrisia”. Senza evitare la minaccia: “Senza una base riformista non c’è il Pd”.

Quando finisce di parlare, si siede in prima fila, accanto a Guerini. Sul palco a far da moderatori ci sono Romano e la Paita. Uno dei primi interventi è quello del senatore Alfieri, che attacca la lettera di Renzi di ieri sull’immigrazione: “Mancava la considerazione più importante: se non si parte dalla regolamentazione dell’immigrazione, tutto il resto è inutile”. Già, perché a Montecatini l’ex segretario non solo è assente, ma anche criticato. Anche se qualcuno dei riti che gli appartennero rimane: a sera, tutti a giocare a calcetto. C’era una volta Renzi, ora c’è l’ombra di Renzi.

Domani “Sherlock” a Pompei

Lo abbiamo chiamato Sherlock (nel senso di Holmes) perché, come il personaggio di Arthur Conan Doyle, nelle sue indagini cerca di non trascurare nessun particolare. Capita al miglior giornalismo d’inchiesta di dare per scontato ciò che non lo è per il lettore. Ma il nostro Sherlock – il nostro nuovo gruppo di lavoro che produrrà grandi racconti sul Fatto quotidiano, per arricchire periodicamente quelle che ogni giorno già leggete da dieci anni – starà bene attento a ricostruire la storia, le storie nascoste, direttamente con gli occhi (e le gambe) dei suoi inviati sul campo. Per esempio: Pompei. Chi non conosce il sito archeologico, patrimonio dell’umanità tra i più affascinanti e visitati al mondo? Ma quando la nostra vicedirettrice Maddalena Oliva e i nostri inviati Enrico Fierro e Ferruccio Sansa, con Vincenzo Iurillo, hanno cominciato il loro lavoro di scavo (è proprio il caso di dirlo) – primo, per verificare e documentare meglio fin nei minimi particolari ciò che si sa e, secondo, per cercare e documentare ciò che non si sa – hanno scoperto ciò che leggerete domani sul nostro giornale. Perché il sottosuolo di Pompei conserva, insieme all’arcano di un mondo spazzato via in un attimo secoli fa, qualcosa di devastante che non sarà facile disinnescare. Ma poiché Sherlock torna sempre sul luogo del delitto, come del resto fa ogni assassino (e dunque ogni investigatore) che si rispetti, il dossier di domenica sarà la pietra angolare, la prima puntata, di un’indagine su Pompei che proseguirà giorno dopo giorno, affidata alla nostra squadra e alle nostre firme più autorevoli, a cominciare da Tomaso Montanari. Questo è lo stile di Sherlock: raccontare, approfondire, insistere senza mollare mai la presa. E la preda. Abbiamo in cantiere molte altre storie nascoste. Che leggerete quando saremo sicuri di non aver tralasciato nulla. Sherlock lavora così.

Il Cazzaro Rosé

Uno fa di tutto per dimenticare, rimuovere, archiviare, poi apre Repubblica e trova un titolone a caratteri di scatola, manco fosse scoppiata la terza guerra mondiale: “Migranti, io accuso il Pd”. Perbacco, sarà rinato Emile Zola e avrà lanciato un nuovo J’accuse? No, è Renzi che manda una lettera. E propone -udite udite- “dieci piccoli spunti di riflessione”. Non un paio. Dieci, come i piccoli indiani. Voi direte: avrà scritto per spiegare come mai proprio l’altroieri è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 15mila euro al Comune di Firenze per un danno erariale di 125mila a furia di assunzioni inutili? Per darci la giusta lettura di quelle strane frasi di Lotti, intercettato con Palamara, sulla sua spedizione in Qatar per vendere la Roma agli emiri? Per raccontarci che fine han fatto i 6,6 milioni di dollari sottratti ai bambini africani da suo cognato e dai di lui fratelli appena rinviati a giudizio per un mega-furto ai danni di Unicef e altri enti benefici, malgrado la sua legge salva-appropriazione indebita che nel frattempo ha salvato pure Bossi? Per soddisfare la curiosità di grandi e piccini sul vero mestiere dell’amico Lotti, fra spedizioni a Londra per il business dei diritti sportivi, traffici con Palamara sulle Procure di Roma e Firenze, e convegni di corrente nel partito da cui si sarebbe “autosospeso”? Per scusarsi di aver candidato Cosimo Ferri, il pm berlusconiano, anche lui pizzicato nello scandalo Csm? O di averci insultati chiamandoci “Falso quotidiano” perchè osavamo raccontare l’incontro fra il babbo e Romeo, poi accertato dagli stessi pm romani che han chiesto di archiviare papà Tiziano?

Macchè, ha scritto per farci sapere che “non possiamo arrenderci allo tsunami sovranista”. E vabbè. E che “resistere e rilanciare si può”. Mo’ me lo segno. Ma anche per il solito mea culpa battuto sul petto altrui. Il vestra culpa. Di chi? Di Gentiloni e Minniti, premier e ministro dell’Interno del Pd sostenuti dal partito che aveva come segretario lui, Renzi. Che han fatto, i due manigoldi? Nel “funesto 2017” (funesto perchè il premier non era più lui) hanno “sopravvalutato la questione immigrazione”, che a suo dire si riduceva a “qualche decina di barche”. In effetti nel 2016 e nel 2017, grazie a Renzi, sbarcarono in Italia 181.436 e 119.369 migranti, mentre la cura Minniti li fece calare nel 2018 a 23.370. Ma, si sa, Minniti li sopravvalutava, mentre Renzi se ne fregava. Infatti al Viminale non aveva messo nessuno (Alfano) e si occupava dei veri problemi del Paese. Abolire le elezioni per il Senato, rimpinzarlo di sindaci e consiglieri regionali. Far rimpiangere il Porcellum con l’Italicum.

Fabbricare altri precari col Jobs Act. Leccare Marchionne e Boccia. Premiare gli evasori. Inciuciare con B. & Verdini. E tante altre belle cose. Invece Minniti sopravvalutò gli sbarchi e impose alle Ong di darsi una regolata, lavorò per stabilizzare la Libia e guardacaso gli sbarchi si ridussero a un quinto. Ma sentite quest’altra: “Il crollo nei sondaggi del Pd comincia quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia… Il successo di Salvini inizia da lì”. Ora, a parte il dettaglio che il segretario del Pd era lui, il tapino dimentica che il primo boom di Salvini nei sondaggi (dal 5% a oltre il 10) si registrò quando il suo governo non faceva nulla contro l’immigrazione selvaggia, anzi mercanteggiava flessibilità dall’Europa per le sue mancette elettorali in cambio dell’impegno a prendersi e tenersi tutti gli sbarcati (Bonino dixit), mentre la Lega calò un po’ quando al Viminale si vide finalmente qualcuno. E il Pd precipitò definitivamente grazie al suo geniale RefeRenzum (lui dice che furono le “fake news”: ciao core). Quanto allo Ius Soli, Salvini sperò che il Pd lo approvasse a fine legislatura, regalandogli una campagna elettorale che l’avrebbe portato non al 17, ma al 30%. Ma fu un bel pezzo del Pd renziano, con gli ottimi alfaniani, a non volerne sapere. E, con l’aria che già tirava, fu una scelta azzeccata, altrimenti il 4 marzo il Pd non sarebbe finito al 18, ma al 10%.

Il bello è che, mentre Minniti e Gentiloni “sopravvalutavano” i migranti, il segretario Renzi li applaudiva a scena aperta. “Dobbiamo uscire dalla logica buonista e terzomondista per cui noi abbiamo il dovere di accogliere tutti quelli che stanno peggio di noi. Se qualcuno rischia di affogare in mare, è ovvio che abbiamo il dovere di salvarlo. Ma non possiamo accoglierli tutti noi… Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico… Abbiamo il dovere morale di aiutarli davvero a casa loro… L’immigrazione indiscriminata è un rischio che non possiamo correre. Sostenere la necessità di controllare le frontiere non è un atto razzista, ma un dovere politico… Un eccesso di immigrazione non fa bene a nessuno”, “Ci dev’essere un numero chiuso di arrivi… Nel 2018 si discuterà del bilancio, se altri paesi che si sono impegnati ad accogliere non lo fanno, l’Italia dica che non contribuirà a pagare 20 miliardi al bilancio Ue”. “Si è fatto bene a bloccare gli sbarchi. Non c’è divisione nel Pd su questo”. Frasi che sembrano uscite dalle fauci del Cazzaro Verde, invece sono di Renzi, il Cazzaro Rosé, nel suo libro Avanti (7.7.2017) e nel suo discorso alla Festa dell’Unità di Bologna (1.9.17). Ora, a un occhio superficiale, Renzi potrebbe apparire il solito incoerente. Errore: da quando giurò di lasciare la politica in caso di sconfitta referendaria e invece restò perchè “solo il vigliacco scappa”, è la coerenza fatta persona. Il suo guaio è un altro: ormai sta sulle palle a tutti, ma soprattutto a se stesso.