Alla fine è toccato a Piero Fassino annunciare in aula alla Camera la decisione del Pd di non partecipare al voto sulla missione in Libia. Che tante grane interne aveva provocato tra le opposte fazioni dem superate solo dopo la riunione di ieri del gruppo parlamentare alla Camera. In cui chi temeva che la linea Minniti sulla gestione dei migranti venisse smentita in malo modo dal partito oggi guidato da Nicola Zingaretti, è stato rassicurato. Grazie ai pontieri all’opera tra le correnti dem che hanno mediato fino allo stremo. E poi anche alle parole giocate sul filo del “ma anche” dal segretario per tenere i ranghi serrati contro Matteo Salvini, l’avversario da battere. “La Libia vive ore drammatiche. Il governo italiano ora è nel caos e di fatto con le sue politiche non sta garantendo gli accordi sottoscritti. Il Pd unito sostiene le scelte compiute nel 2017 dal governo Gentiloni, un accordo quadro per risolvere tra l’altro la drammatica emergenza dei campi libici” ha detto Zingaretti giustificando l’astensione ”esclusivamente” per “l’assenza di garanzie da parte di questo governo nella gestione di politica estera e militare in uno scenario di conflitto. In particolare denunciamo l’abbandono di un sistema di ricerca e soccorso in mare coordinato dalla guardia costiera italiana e che vedeva partecipare pienamente attori governativi e non governativi sia italiani che europei”.
Insomma il Pd può sfilarsi dalla riconferma degli accordi con i libici senza rinnegare quelli sottoscritti con Serraj grazie “all’impegno generoso di Minniti e Gentiloni”. Come ha detto in aula Fassino che ha lavorato a lungo per limare il suo discorso in modo che all’ex presidente del consiglio e al suo ministro dell’Interno dell’epoca venissero riconosciuti gli allori. E contenuti i mal di pancia che pure si erano registrati per la loro assenza alla discussione interna sul dossier Libia. Nel mezzo una giornata ad alta tensione.