Di fronte a un lago insolitamente basso, d’altronde non piove da un bel po’, la mia amica Fiorella Vastità si lancia nella redazione di un elenco di categorie umane sorte da che il virus circola tra noi. Chiede attenzione e attacca. Ci sono i vaccinati con una, due, tre dosi. Poi ci sono i non vaccinati. Quindi ci sono i vaccinati asintomatici ma contagiosi. A seguire i vaccinati sintomatici e contagiosi. Se ho capito bene, aggiunge, ci sono anche i non vaccinati sintomatici e contagiosi ma anche quelli asintomatici e tuttavia contagiosi. Tira il fiato e mi chiede se ha dimenticato qualcuno. Io l’ho seguita sì e no. Un po’ non capisco la necessità di un simile catalogo, ma soprattutto sono distratto perché mi turba l’aspetto del lago, della riva asciutta che ho sotto gli occhi e che mi rimanda a una delle più belle poesie di Vittorio Sereni, laddove il luinese scrive che il lago ritirandosi “scopre una riva di aride cose”. Forse la Fiorella interpreta il mio silenzio come concentrazione, forse pensa che stia ripassando il suo elenco, mi lascia in pace un paio di minuti. Poi però torna all’assalto. Allora ha tralasciato qualcuno ? Io che sono medico dovrei saperlo. Le rispondo che, no, per quanto ne sappia ha effettuato un regesto completo di tutte le possibili condizioni cliniche. E invece no, fa lei, ne manca una, la più importante. Ed è quella dei morti, mi spiega, sia di quelli che se la sono cercata sia di quelli che non sono riusciti a evitarla. Quei morti da cui la vita si è ritirata all’improvviso per mancanza di ossigeno proprio come il lago in questi ultimi tempi per mancanza di pioggia. Ed è il momento in cui non c’è più niente da dire, e cala il silenzio, e tutti e due restiamo a guardare quei sassi di riva sbiancati dal sole che adesso sembrano pietre tombali. Niente male come avvio dell’anno domini 2022.
Mail Box
Cosa rappresenterebbe il Caimano al Quirinale
Con l’approssimarsi di gennaio la preoccupazione di un “Piano B.” politico per il Colle sale sempre più. In troppi parlano di eleggibilità “formalmente” legittima. Se ciò avvenisse, non rappresenterebbe solo il narcisistico appagamento di una persona impresentabile. Sarebbe l’esiziale consacrazione al più alto livello istituzionale di una deriva deleteria che sta inquinando il comune senso civico e intellettuale. Il definitivo sdoganamento di principi antitetici del senso etico, propri di una trasversale parte di classe politico-imprenditoriale che intende la società e il bene comune come personale arricchimento, arrivismo e speculazione; compresi indegni intrallazzi con oscuri poteri mafiosi. Lo spaventoso rischio di un Berlusconi capo della Repubblica, nonché della Magistratura, è quello di scivolare in una pseudo-democrazia dominata da lobby, conflitti d’interesse e con una giustizia a misura di potere.
Giovanni Marini
M5S a Verona: ripartire da Giuseppe Conte
Al termine di un lungo percorso che ha portato al quasi totale sgretolamento del gruppo di attivisti del M5S a Verona e nella provincia, un folto gruppo di attivisti e simpatizzanti del Movimento ha sottoscritto un documento con cui si dichiara in accordo con quanto proposto da Conte su un nuovo statuto e una Carta dei valori. Il fatto ha un duplice significato: 1) Vogliamo testimoniare che il presidente Conte ha seguito e stima di un più che significativo numero di attivisti; 2) Vogliamo mostrare che Verona e la sua provincia non sono solo un feudo conservatore: Verona ha anche solide radici democratiche e non accettiamo che sia paragonata a una Vandea oscurantista preda degli infimi umori di una destra estrema. Il Movimento vuole continuare a essere utile al Paese e la nuova Carta dei valori lo colloca idealmente nell’area progressista, che vede l’Europa e la cooperazione internazionale come strumenti per porre fine alla crisi economica e ambientale. Vogliamo essere il Movimento dell’inclusione e della trasparenza, della giustizia sociale e della lotta alla corruzione, continuando l’ottimo lavoro fatto nei due governi passati.
Luisa Aprili (seguono le firme di 80 attivisti M5S Verona)
A quale “salto nel buio” si riferiva il Presidente?
Durante il suo discorso di fine anno, non ho capito quale sarebbe il “salto nel buio” che il presidente della Repubblica (spero uscente) è riuscito a evitare al Paese. Forse si riferiva alla possibilità legittima e costituzionale di portare il Paese al voto dopo il Conticidio, e lasciar decidere ai cittadini da chi essere governati?
Michele Lenti
Tim mi addebita servizi che non ho autorizzato
Sto subendo da Tim un continuo aumento delle bollette per l’attivazione di prestazioni non concordate e non autorizzate (modem, Disney+, TimVision ecc.) che, pur avendole disattivate più volte, continuano a essere fatturate. Devo anche lamentare il loro pessimo servizio clienti, gestito da persone inadeguate, arroganti e indisponenti, che danno solo informazioni parziali, e spesso ingannevoli. A questo punto mi domando: quale difesa hanno i poveri utenti cosi platealmente ingannati?
Giovanna Marseglia
Cara amica, mi auguro che i responsabili di Tim leggano la sua lettera e la contattino per risolvere la questione
M. Trav.
Per capire se siete onesti fatevi una “Sistoscopia”
“In medicina c’è un tempo per la diagnosi, per i consulti, le anamnesi: poi viene il tempo della terapia”, dice il sottosegretario alla Giustizia forzista Francesco Paolo Sisto. Secondo me, per la “diagnosi”, costui avrà in mente una “sistoscopia” (simile alla cistoscopia ma più dolorosa), in cui si inserisce un “sistoscopio flessibile” nel cervello del magistrato, per verificare se soffre di un male incurabile come l’onestà e se preferisce applicare la legge piuttosto che liberare i pregiudicati. Se la “sistoscopia” dovesse confermare che un magistrato ha questi terribili sintomi, la terapia sarà un trasferimento immediato all’ufficio fotocopie o qualcosa di simile, fino al raggiungimento dell’età pensionabile.
Claudio Trevisan
Mattarella, un addio esplicito e solare
“Eravamo così poveri che a Natale il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato”.
Jake LaMotta
In una notte di San Silvestro, se possibile più mesta del Natale descritto da Jake LaMotta, abbiamo provato viva solidarietà e un pizzico di sincera compassione per i colleghi costretti a chiosare il messaggio presidenziale che da quando viene celebrato riserva le stesse sconvolgenti sorprese della cerimonia del Ventaglio, con la differenza che in quel periodo dell’anno fuori fa caldo.
Infatti, venerdì sera, la diretta dal Quirinale non ha fatto che confermare la mirabile sintesi “testo breve, bandiere e sobrietà” con cui i giornali avevano titolato alla vigilia, sbadigliando. La colpa non è naturalmente di Sergio Mattarella (o dei suoi predecessori) ma di un’attesa assolutamente fuori luogo poiché nel redigere l’augusto testo gli amanuensi addetti alla bisogna avranno cura di espungere qualsiasi riferimento al mondo delle cose reali, fosse pure una virgola malandrina. Onde evitare, il giorno successivo, quelle puntute precisazioni con cui l’ufficio stampa del Colle è impegnato a scoraggiare qualunque goffo tentativo di trovare il classico peluzzo nell’uovo.
Faremo dunque preventiva ammenda per esserci scossi dal benefico sopore dopo quell’invito di Mattarella all’unità nazionale, alla solidarietà, e al patriottismo che avevamo incautamente inteso come un possibile viatico per l’elezione di Mario Draghi. Un plebiscito, insomma, che unisse i buonisti di Fratoianni ai patrioti della Meloni, un po’ come la grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. Niente da fare perché prima ancora che potessimo articolare una supposizione il tuono rimbombò di schianto e tra capo e collo ci giunse la preventiva smentita degli uffici.
Dunque per dare un senso a questo scritto formuleremo un apprezzamento e un auspicio. Bene, perché giunto al termine del settennato, il commiato di Sergio Mattarella non poteva essere più chiaro, evidente, esplicito, solare. Il più fermo e cortese “giù le mani” rivolto a coloro che insistono a tirarlo per la giacca (pensiamo che ne abbia diritto, al posto della giacchetta corta di maniche che gli mettono addosso) affinché si faccia rieleggere. L’auspicio riguarda invece il tradizionale pistolotto rivolto ai “giovani”. E qui rivolgiamo un accorato appello al prossimo presidente affinché l’anno prossimo ci risparmi il piagnisteo su ciò che si doveva fare e non si è fatto nei secoli dei secoli per questa categoria quanto mai indistinta e scalognata. Anche perché temo che i “giovani”, la sera del 31, non siano all’ascolto (mentre può darsi che stiano sparando a Babbo Natale).
Dal caldo mai visto di Capodanno a un 2021 estremo
In Italia – Correnti miti e umide da Ponente hanno determinato un tempo per nulla invernale nelle festività. Grigi i cieli natalizi con piogge sulle regioni liguri-tirreniche (289 mm sulle Alpi Apuane tra la Vigilia e Santo Stefano), quasi assente il gelo nelle pianure del Nord, e a Natale temperatura minima di 14 °C a Roma-Fiumicino, che sarebbe normale a fine maggio! Surreale episodio di pioggia e fusione nivale fino a 2500 metri sulle Alpi, 128 mm sono piovuti a Courmayeur il 28-29 dicembre, lì mai accaduto in inverno. Il caldo, straordinario per intensità e durata, si è rafforzato intorno a Capodanno con un anticiclone nord-africano esteso a tutta l’Europa centro-meridionale: mentre Valpadana, Mar Ligure e Tirreno erano immersi in nebbie e nubi basse, sulle Alpi si toccavano 20 °C a 1000 m (18,6 °C ieri a Bardonecchia, primato per gennaio almeno trentennale), con zero termico a 4000 m come in estate. Inoltre, a San Silvestro nuovi record decembrini di 19,2 °C a Campobasso, 19,5 °C all’Argentario e 22,0 °C a Latina. In questi giorni di festa i cassonetti dei rifiuti traboccano di imballaggi, specchio di una società ancora fondata sull’eccesso e lo spreco di materie prime. L’ultimo Rapporto Rifiuti Urbani di Ispra indica un lieve miglioramento per il calo dei consumi durante la pandemia (nel 2020 ne abbiamo prodotti 488 chili a testa, -3% dal 2019), ma nei temi ambientali si fa un passo avanti e due indietro: terminati i lockdown, riemerge un’Italia in difficoltà nella decarbonizzazione, come indica l’Enea stimando per il 2021 un rimbalzo di circa il 7% nei consumi totali di energia (in gran parte fossile) e nelle emissioni serra.
Nel mondo – In Europa la sbalorditiva ondata di caldo ha prodotto numerosi record di temperatura massima per dicembre, tra cui 16,5 °C a Francoforte, 20,7 °C a Marsiglia e 24,7 °C a Bilbao, incredibili anche le minime notturne, sopra i 10 °C fino a Scozia e Mar Baltico; in Francia la settimana 24-31 dicembre è stata la più calda in 75 anni con 5 °C sopra media, piene fluviali e colate di fango dalla Savoia alla Baviera per piogge intense e fusione della neve. Natale estivo anche in parte degli Usa, 35 °C in Texas e 22 °C fin su nell’Ohio, ma tepori straordinari pure in Alaska con nuovo primato nazionale di 19,4 °C a Kodiak e anomale piogge invernali, e in Groenlandia, dove al Solstizio c’erano 8 °C a Thule/Qanaaq, a 77 gradi di latitudine Nord, ben 26 °C sopra media! Nell’altro emisfero, ulteriori record di caldo per dicembre di 40 °C a Buenos Aires e 45,3 °C in Paraguay. Freddo intenso localizzato invece in Canada occidentale e Oriente asiatico, traffico paralizzato da nevicate eccezionali in Giappone, 190 cm in 24 ore ad Aomori, tra i massimi mai osservati al mondo! Storiche quantità di neve anche sui rilievi della California potranno finalmente riempire gli invasi vuoti per la siccità: 671 cm di neve fresca da ottobre ad ora al Central Sierra Snow Laboratory dell’Università della California/Berkeley (quota 2100 m), due volte e mezzo la norma e massimo in oltre mezzo secolo. Al contrario in Colorado gravi incendi alimentati da venti impetuosi e penuria di pioggia (a Denver il secondo semestre 2021 è stato il più asciutto dal 1874, solo 27 mm) hanno bruciato centinaia di edifici nella contea di Boulder, ma senza vittime. Il bilancio del tifone Rai nelle Filippine, terzo più rovinoso dopo i terribili Haiyan (2013) e Bopha (2012) con danni da 800 milioni di dollari, è salito a oltre 400 vittime. Alluvioni in Turchia, Israele e nello stato brasiliano di Bahia (24 morti). In attesa delle statistiche definitive, già sappiamo che il 2021 dovrebbe risultare circa il sesto più caldo nel mondo e uno dei peggiori per disastri climatici, il più rovinoso in assoluto in Germania con danni assicurati da 12,5 miliardi di euro, specie per le alluvioni di luglio.
Cosa c’era prima? Dio che splende nelle tenebre: è vita, luce e amore
In principio… Il Vangelo di Giovanni si apre così (Gv 1,1-18). Evocare il principio significa proiettare i colori del mondo su uno sfondo invisibile lontano, lontano, che noi a distanza vediamo nero, come in fondo alla galleria di una metropolitana. Ma quel nero, come un grembo materno, ha originato la luce. Sappiamo che veniamo da un principio, e sappiamo che non galleggiamo nelle cose, in un brodo preesistente e permanente. C’è una scintilla, un inizio, un seme a partire dal quale tutto è stato fatto. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. Ma “che cosa faceva Dio prima di fare il mondo?”: è la domanda che un bambino ha posto a papa Francesco. La sua risposta è stata: “c’è bellezza nella creazione, c’è l’infinita ed eterna tenerezza e misericordia di Dio. Dio ha cominciato a fare qualcosa quando creò il mondo. Ma se ti dicessi che Dio non faceva nulla prima di creare il mondo sbaglierei. Infatti Dio ha creato anche il tempo, cioè il ‘prima’ e il ‘dopo’. Ma non ti voglio confondere con le parole. Puoi pensare questo: prima di creare Dio amava. Ecco che cosa faceva Dio: Dio amava. Dio ama sempre. Dio è amore. L’azione di Dio poi è inaugurata dalla creazione che è espressione dell’amore di Dio. Ma prima di fare qualunque cosa Dio era amore, Dio amava”. No, il principio di cui parla Giovanni non è la stessa cosa delle favole, che iniziano sempre con “C’era una volta”. Le favole iniziano nella storia, nel corso degli eventi. Si innestano nelle nostre vicende così come la potenza dell’immaginazione. Invece qui parliamo della stessa possibilità della storia e pure delle favole, della stessa capacità di immaginare e sperare. Prima, prima, ancora prima. E prima di tutto c’era Dio, luce che splende nelle tenebre. È un flash, una luce che deflagra: vita, luce, amore.
E la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. C’è una lotta epica, dunque, tra luce e buio. Lo possiamo immaginare come un contrasto bianco/nero che genera un flash intermittente dove però la luce vince.
Cambio immagine. Improvvisamente dal quadro contrastato dell’inizio di ogni cosa, Giovanni passa a inquadrare un uomo dal suo stesso nome, Giovanni il battista: Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Dal quadro cosmico e originario del Principio di ogni cosa si passa a inquadrare un singolo uomo chiamato a essere testimone di quel Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Dio è trascendente, ma non è astratto, non vive nell’iperuranio: si è fatto carne, volto umanissimo. Il mondo è stato fatto per mezzo di lui, ma lui ne è diventato parte. Il conflitto tra luce e tenebre fatto di flash primordiali, di big bang astrofisici, di caos e cosmo, di nulla e tutto ora si dispiega su questa terra con i tratti del Verbo fatto carne, di Gesù.
Le vicende del mondo possono apparirci a volte oscure, contraddittorie, senza senso. Le tenebre non sono proiettate su un orizzonte metafisico o mitico: sono qui, con noi, parte della nostra vita. Ma la realtà divina, luminosa, è la ragione prima e ultima di tutto ciò che esiste. E la presenza del Verbo fatto carne accompagna tutto ciò che diviene. La storia trova luce in lui, che chiede di essere accolto, carne della mia carne: Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio.
*Direttore de “La Civiltà Cattolica”
A quel migrante ignoto che nessuno vede più
Finito l’anno, voltiamoci indietro: un mare di morti. Non parlo della malattia che è crudeltà della natura. Parlo dei bambini, delle famiglie, delle barche stipate di gente giovane e di disperata speranza che abbiamo sterminato, fermandoli e abbandonandoli mentre morivano aggrappati a telefonini senza risposta. Non ci sono state navi di Guardia costiera, navi militari, piroscafi civili intercettati per caso. Gira il nome di due barche di volontari che hanno salvato un migliaio di persone, in maggioranza bambini. Il numero dei salvati ci sembra grande ma purtroppo si deve leggere a rovescio. Quelle due barche erano proibite e illegali, tenute il più a lungo possibile (una volta cariche di salvati) lontane da porti sicuri. Pensate quanto grande deve essere il numero di coloro che nessuno ha raggiunto, se si trovano file di cadaveri sulle spiagge dell’Egeo e della Libia, e se si tiene conto che tanti di più (ma non esiste un modo di saperlo) devono essere in fondo al mare.
Cito dal Fatto del 29 dicembre: “Molti dei naufraghi hanno ustioni, infezioni respiratorie e ferite legate alle violenze subite. A bordo della Sea Watch il naufrago più giovane ha appena due settimane di vita. In totale sono 446 i migranti soccorsi in tre giorni, cinque operazioni… Altri 444 migranti restano sul ponte esposti al freddo, al vento, al mare mosso (parole dei soccorritori, ndr) e hanno bisogno di sbarcare subito. Medici senza Frontiere ha fatto sapere che 27 cadaveri sono stati trovati a terra in Libia”. Un altro modo per far sapere che non sapremo mai il numero dei morti. Che è grandissimo. E che tutta l’Europa, ma certo l’Italia, ne è responsabile e si sta macchiando di un crimine che sarà difficile da cancellare.
Colpisce l’immobilità e l’indifferenza dei partiti, altrettanto estranei alla più grande tragedia dell’umanità dopo la seconda guerra mondiale. Colpisce la mancanza di leader che non hanno afferrato in nessun punto e in nessun modo il tremendo evento. Colpisce che una sola voce – una sola voce –, quella di Papa Bergoglio, offra una opposizione tenace e costante e appassionata alla morte organizzata di esseri umani che chiedono aiuto. Perché morte organizzata? Perché è organizzato il grande silenzio che lascia morire e non ha, e non vuole avere, piani di nessun genere per impedire o limitare la strage del mare e delle cose che avrebbero dovuto essere legame e salvezza.
Qualunque invenzione (o fake news o verità alternativa, secondo il linguaggio dei suprematisti americani) viene accettata pur di non affrontare la faccia vera e paurosa del mondo terrorizzato che fugge. La cultura si è sottratta del tutto allo studio della questione migrazione e dei suoi bambini cadaveri, non solo evitando di testimoniare quello che sta sta accadendo, ma rifiutando di farne materia di analisi e studio sulle cause e su coloro (persone, gruppi, governi) che manovrano il fenomeno.
Nel nostro Paese non possiamo far finta di non sapere e di non capire che tutte le leggi sui “clandestini”, gli “illegali”, gli “stranieri” sono leggi deliberatamente cattive e punitive, leggi di respingimento che autorizzano sindaci analfabeti a rifiutare l’iscrizione dei nuovi venuti all’anagrafe, cancellando ogni diritto, dove ai bambini stranieri viene negato il cibo a scuola e il rispetto della piccola persona è in attesa di essere accettato. Una cosa è importante notare: prima che la destra sovranista italiana nella versione rozza e opportunistica della Lega si buttasse sul tema “stranieri che portano malattie, terrorismo e rubano il lavoro”, la maggior parte dei cittadini era psichicamente normale. Diversa è la coltivazione d’odio della Meloni, che si indigna con furore solo all’idea che sua figlia e un bambino immigrato abbiano lo stesso valore umano. Ma entrambi, Salvini e Meloni ,come i personaggi di Pinocchio, vogliono farti credere che c’è un campo dei miracoli dove però tutto avviene a rovescio: si tratta di cacciare, umiliare, espellere, e tutto diventa ricchezza, come in Ungheria e in Polonia, solo per chi ha l’identità giusta. Che cosa sarà andato a fare Enrico Letta, stranamente non conscio del valore che rappresenta, a casa della Meloni, rinunciando gentilmente a dire chi è e che cosa fa nella vita e che cosa raccomanda di fare? Ha regalato un pezzo del suo prestigio alla gentile avversaria e non un pensiero o una parola per i bambini morti sulle spiagge e sul fondo del mare.
Ecco finisce un anno importante della vita italiana. Purtroppo è appesantito da molti delitti.
È inutile che i facchini si innamorino sempre delle belle principesse
Dai racconti apocrifi di George Orwell. Dei due occhi che abbiamo, uno vede le cose buone della vita, l’altro le cattive. C’è chi ha la brutta abitudine di chiudere il primo; da questo derivano molti mali di oggi. Fortunato l’uomo che è cieco nell’occhio cattivo! Jacob aveva questa fortuna. Era nato così, ed era contento della sua condizione: faceva il facchino, lavorava sodo, aveva di che mangiare, e dormiva bene ogni notte. Ma un giorno gli capitò di veder passare una splendida principessa al trotto su un elegante morello. I facchini è inutile che si innamorino delle principesse; ma Jacob se ne innamorò. Corse dietro al cavallo per chilometri, cercando di raggiungere la principessa. Stava perdendo terreno, quando un gatto selvatico, sbucato all’improvviso da un boschetto, spaventò col proprio spavento il cavallo, che si lanciò al galoppo verso un precipizio. Il pericolo infuse nuova energia a Jacob, che affiancò il cavallo, e ne strattonò le redini fino a farlo fermare, appena in tempo. “Le devo la vita!” scoppiò a piangere la principessa, che s’era già vista sfracellata in fondo al dirupo. “Tutti i miei beni sono a sua disposizione”. “E io le offro tutti i miei beni”, rispose Jacob. “Forse, guardandomi, penserà che non ho molto. In effetti, ho solo questo occhio. Ma un occhio che può vedere la sua bellezza è molto più fortunato di due occhi che non la vedono”. La principessa sorrise, poiché un complimento è un complimento, anche se a farlo è un facchino con un occhio solo; e gli disse: “Vorrei che mi accompagnasse. Sarà la mia scorta. Camminiamo”. E così tornarono verso il villaggio, il cavallo appresso. Dei piedini bianchi e graziosi sono comodi sul sofà, e delle scarpette ricamate in oro sono eccellenti per i pavimenti di parquet, ma nessuna delle due cose è adatta a una strada sassosa. La stanchezza ebbe la meglio, e la principessa, disteso il frusciante mantello di taffetà dorato all’ombra di un pioppo lilla, ci si appisolò, contando sulla guardia di Jacob, che ebbe quindi modo di osservarla a lungo: i seni appena accennati sotto il corpetto leggero di raso d’argento, le mani più bianche e delicate di un giglio; le trecce color del grano. Pensò alle proprie mani, rozze e callose; ai suoi capelli arruffati; e al suo unico occhio. Ma era innamorato: al tramonto si sdraiò accanto alla principessa, la cinse con affetto, e cominciò a fare l’amore con lei. Potrei dire, per salvare la morale, che la giovane gli disse di fermarsi, lottò, si divincolò, scappò via; ma sarebbe una falsità. La principessa non oppose alcuna resistenza, ringraziando anzi in cuor suo il destino dalle vie misteriose. Nella notte calda, i due giovani assaporarono le delizie riservate agli amanti perfetti. Mentre la faceva gioire, Jacob elevò una preghiera: “O Signore, concedi che mi guardi come io guardo lei”. S’addormentarono esausti. All’alba, la principessa aprì gli occhi, ma vedeva solo con uno. Accanto a lei c’era un giovane aitante dalle gote rubizze, labbra carnose di corallo, capelli neri lunghi e lucenti come la coda del morello, e due occhi pieni di passione. Una tunica di seta turchese, ricamata con perle, esaltava la bellezza della sua persona; un solitario con smeraldo gli ornava una mano da principe. “Dove sono? E tu chi sei?” domandò la principessa. “Sono il miserabile che ha avuto la gioia di salvarle la vita”. “La mattina ti dona”. In quella, una domestica rovesciò un pitale colmo da una finestra, e Jacob si svegliò inzuppato: si era addormentato lì sotto dopo la solita sbronza alla taverna. Altri avrebbero maledetto la loro sorte, ma non Jacob, che aveva un occhio solo, quello che guarda al lato bello della vita, e non vede che le disuguaglianze sociali fanno comodo al re.
Il trionfo di Mario nell’ultimo Tg del 2021
Il Tg1 chiude l’anno col botto. Mai la tradizione filogovernativa della prima rete aveva raggiunto simili vette. Nell’edizione delle ore 20, il conduttore Francesco Giorgino accorda il violino: “L’anno che si chiude è stato un anno di successi per l’Italia, traguardi riconosciuti anche all’estero”. Merito di Lui, Mario Draghi, il cui sorriso giganteggia nello schermo alle sue spalle. Il servizio parte in quarta: “Magari fossimo nella situazione dell’Italia!”. Sono “le parole che non ti aspetti, da Angela Merkel, lasciando il cancellierato” (altra foto di Draghi che le consegna un mazzo di fiori). “È l’anno dell’Italia”, scrive l’Economist, perché “il governo Draghi ha rilanciato l’economia grazie a una campagna di vaccinazione diventata modello”. Poi c’è Joe Biden: “L’Italia è un baluardo della democrazia”. Pure lo scialbo G20 sul clima diventa “un successo”. E l’Europa? “Spesso ci bacchetta”, ma ora no. Ora ci incensa: “L’Italia aveva ragione sulla pandemia”, dice Ursula von der Leyen. Pensa se avevamo torto…
Il watergate, internet e i nuovi fantozzi
Pensiamo per esempio alla attendibilità dell’emittente: la denuncia del Watergate assunse colossali implicazioni politiche perché le rivelazioni venivano dal Washington Post e se fossero venute da una rivista come Rolling Stone sarebbe forse passata inosservata.
Chiunque sarebbe d’accordo nel riconoscere che si compra più facilmente un volume di poesia se appare nella collana di una prestigiosa casa editrice, che se pubblicato a spese dell’autore in una di quelle che vengono chiamate vanity press. Ma questo rapporto di fiducia si è, se non incrinato, almeno confuso con l’avvento di Internet. Chi faccia una ricerca on-line su un argomento X raramente è in grado di riconoscere l’attendibilità della fonte e a maggior ragione se non è uno studioso, ma uno studente alle prime armi che per il compito a casa taglia e incolla da Wikipedia sarebbe già molto se deve essere fiducioso in Wikipedia piuttosto che in un’altra fonte generica. Ma anche nella scelta del romanzo da leggere, le pratiche di self-publishing ci espongono sia ai tentativi di patetici scribacchini che hanno finalmente trovato il modo di farsi leggere senza pubblicare a proprie spese, sia a proposte che poi si sono rivelate di notevole valore letterario. Naturalmente il fanatico della rete potrebbe osservare che questo fenomeno sancisce una definitiva democratizzazione del gusto e ciascun utente diventa giudice di ciò che è bello e di ciò che è brutto ma, se si accetta questo punto di vista, non dovrebbe esistere neppure più la scuola che ti insegna che “io vada” è corretto è che “io vadi” non lo è. Questa presunta democratizzazione livellerebbe tutti all’altezza di Fantozzi, ma, caso non considerato dagli iper-democratici, nessuno saprebbe neanche più ridere di Fantozzi. È così tramontata la funzione dei cosiddetti gatekeepers e cioè di tutte quelle istanze mediatrici che decidevano se un elemento di informazione dovrà essere comunicato e interpretato in un certo modo. Certamente spesso perché il gatekeeping ha assunto forma di vera e propria censura e monopolio dell’informazione, ma al tempo stesso agiva come elemento di garanzia: un editore di alta cultura è un gatekeeper benefico che assicura il lettore che l’informazione che passa è stata vagliata da esperti di fiducia. Il gatekeeper può sbagliarsi, ma al tempo stesso il destinatario può essere informato della connotazione ideologica degli interessi politici ed economici di un dato gatekeeper e decidere, per fare un esempio, che si fida più delle informazioni selezionate da un giornale piuttosto che da un altro. Ma nella situazione attuale in cui persino la funzione del quotidiano si è notevolmente ridotta e ciascuno può selezionare on-line le notizie che gli interessano, l’apparente libertà dell’utente coincide con il suo obiettivo smarrimento perché esso è esposto a qualsiasi influenza senza sapere che influenza sia e da dove provenga.
Quando il mezzo sovrasta il contenuto
Pensiamo per esempio alla polemica nata in Italia quando si doveva passare dalla televisione in bianco e nero a quella a colori. Le preoccupazioni erano luogo di carattere economico, ma il risultato è stato di carattere psicologico. La televisione a colori ha dato inizio al riflusso degli anni 80, alla perdita di interesse dei messaggi e alla pura degustazione delle meraviglie del nuovo mezzo. Pensiamo al dibattito politico che infuria sui nostri teleschermi tranne in casi virtuosi: il pubblico non è interessato a quello che vi si dice anche perché le voci sovrapposte l’una all’altra rendono irrilevante il contenuto delle affermazioni. Il vero messaggio è il diverbio, il confronto quasi circense tra gladiatori. Ma con i nuovi mezzi si è verificato un altro fenomeno: all’inizio gran parte della comunicazione era privata o diciamo sotto controllo: il leader che parlava ad una piazza – diciamo – di non più di alcune migliaia di persone, privato era il messaggio militare, sovente crittografato perché non potesse essere letto dal nemico, privata era la lettera destinata alla sola famiglia, come i messaggi di Cicerone, o una sola persona come le tante lettere d’amore che abbiamo poi scoperto nel corso dei secoli.
Con la comunicazione di massa è parso che la comunicazione diventasse pubblica. Si badi però che pubblica era l’intenzione dell’emittente e statisticamente pubblica la comunità dei destinatari, ma delle loro reazioni si conosceva pochissimo, salvo quello che poteva essere appurato attraverso gli effetti, come esiti elettorali o commerciali. In realtà in una comunicazione di massa come quella del giornale o della televisione noi non sappiamo chi siano i singoli destinatari e di un programma tv si conosce al massimo il dato quantitativo dell’audience, ma nessuno può sapere quale programma io abbia visto ieri sera. Invece si veda cosa accade con Facebook: in principio io comunico con qualcuno che eleggo ad amico, ma in realtà il mio messaggio può essere captato da molti e chi, vagabondando on-line, capta l’invito a stabilire un contatto con coloro che condividono la sua inclinazione pedofila fornendo le proprie coordinate, si consegna a una forma di controllo esterno che potrebbe finire con individuarlo e perseguirlo penalmente. In definitiva comunicare significa rendere potenzialmente noto a tutti ciò che si pensa e che si fa o ci si propone di fare. In un articolo Zygmunt Bauman rileva che i social network rappresentano uno strumento di sorveglianza dei pensieri e delle emozioni altrui. E sono sì usati da vari poteri con funzioni di controllo, ma grazie alla partecipazione entusiastica di chi vi partecipa. In altre parole per la prima volta nella storia dell’umanità gli spiati collaborano con le spie per facilitare loro il lavoro. E traggono da questa resa motivo di soddisfazione perché qualcuno li vede mentre esistono. È pur vero che una volta che ognuno può sapere tutto di tutti, quando tutti si identificano con la somma degli abitanti del pianeta, l’eccesso di informazione non potrà produrre che confusione, rumore e silenzio, ma questo dovrebbe preoccupare le spie, mentre agli spiati va benissimo che di loro, dei loro segreti più intimi, sappiano almeno gli amici, i vicini e possibilmente i nemici perché questo è il solo modo di sentirsi vivi e parte attiva del corpo sociale.
Tra tradizioni e nuove prospettive
Ultimo dramma. Se i papiri e i manoscritti sono sopravvissuti per migliaia di anni e disponiamo di libri freschissimi stampati più di 500 anni fa, non sappiamo quanto sopravvivono i supporti elettronici. Non lo sappiamo perché non abbiamo ancora avuto a disposizione mezzo millennio per fare una verifica sperimentale, non lo sappiamo perché i nostri computer attuali non sono più in grado di leggere quanto avevamo registrato qualche decennio fa sui paleolitici floppy disk. Il 90, forse il 99% dei messaggi che circolano nel nostro mondo volant e non è detto che maneant. E non è detto che l’unico modo di congelare le parole come voleva Rabelais resta ancora la scrittura, ma la scrittura su carta diventerà sempre più obsoleta per far posto alla scrittura su video, dove basterà un blackout o un incidente meccanico per renderla irrecuperabile. Non vorrei che queste mie osservazioni suonassero apocalittiche, le avventure della comunicazione ci riservano ancora molte sorprese, recuperi, aggiustamenti. Jeremy Rifkin ci avverte che con l’avvento delle nuove modalità di comunicazione si potrà addirittura produrre energia pulita e rinnovabile, farla crollare in costi marginali e attraverso la stampa 3D realizzare un internet delle cose, in una fusione tra hard e soft mai immaginata prima; ma anche volando più basso, in fondo io sopravvivo comunicando, ricevendo comunicazioni. Anche se faccio fatica a eliminare lo spam, dove inserisco rapidamente anche le comunicazioni meno importanti. Intravedo anche prospettive più ottimistiche: l’essere umano è flessibile e impara a sopravvivere persino alle variazioni climatiche. La mia generazione sapeva girare bottoni, quella dei miei figli ha rapidamente appreso a premere pulsanti e i miei nipoti sanno far scorrere il dito su un’immagine per cambiare messaggio. E l’episodio del bambino di 5 anni che si ostinava a far scorrere il dito su una foto di giornale per ingrandirla è soltanto segno di una transizione.
Oggi volevo solo ricordare, iniziando un festival sulla comunicazione, come nel corso di più di mezzo secolo il concetto di comunicazione si sia complicato e come i modelli originali abbiano generato infinite biforcazioni problematiche aprendo nuove preoccupazioni e nuovi territori di indagine e, se non sono riuscito a comunicarvi bene quel che volevo dirvi, crediate – come diceva un mio amico scrittore – che non l’ho fatto apposta.
Omicidi, baby gang, mafia: il 2021 violento di Foggia
“Finiamo di essere lupi e torniamo ad essere fratelli”. Nel messaggio di fine anno il vescovo di Foggia, Vincenzo Pelvi, ha chiesto ai fedeli di smettere di andare dietro a idoli che promettono tutto, ma in cambio danno solo affanno e indifferenza, odio e violenza. Parole pronunciate a pochi giorni dall’omicidio di Pietro Russo, 32 anni, crivellato con cinque colpi di pistola al torace il 28 dicembre fuori da casa sua. L’ultimo fatto di sangue – il settimo delitto verificatosi quest’anno nella Capitanata – che ha segnato il 2021 nel territorio tra mafia, corruzione e baby gang.
A Foggia, il luogo simbolo della movida dei giovanissimi è stato per mesi teatro di un’escalation di violenza con gruppi di bad boys che aggredivano tutto ciò che incontravano. Coetanei indifesi a cui rubare soldi e cellulari, ma anche omosessuali, stranieri e disabili erano bersagli di tre gang scovate dalla Squadra Mobile. Spedizioni punitive che la Procura ha definito in alcuni casi “bestiali” per la forza trasmessa da “un branco incontrollabile”. Marco Ferrazzano, 27enne disabile, dopo l’ultima umiliazione ha denunciato tutto ai poliziotti e poi si è lanciato sotto a un treno. Tra i sei presunti aguzzini, tutti giovanissimi, ci sono anche Antonio Bernardo e Antonio Pio Tufo, già in carcere per aver fatto parte del commando che a settembre 2020 rapinò e uccise il tabaccaio Francesco Paolo Traiano con una pugnalata al volto inflitta da un altro minorenne della loro gang, poi condannato a 16 anni di carcere.
“Quando non ci sono punti di riferimento nelle famiglie si sceglie ciò che la strada offre. La strada non è solo scuola di vita, ma anche luogo di rischi e insidie” spiega al Fatto Luigi Talienti, dirigente scolastico per anni docente in carcere e nei centri che raccoglievano giovani e adulti dal disagio e dall’emarginazione. “Quando non hai regole, te le costruisci da solo oppure diventi preda di forze che vanno in un’altra direzione”. E così da Foggia al Gargano, i ragazzi finiscono spesso sotto l’ala delle “batterie”, come qui vengono chiamati i clan. Nell’Area Garganica, domina il “clan dei Montanari” diviso tra “Primosa-Alfieri-Basta”, “Li Bergolis” e “Romito”. L’Italia ha scoperto la loro brutalità con la strage di San Marco in Lamis: il 9 agosto 2017 un commando uccise il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito, suo cognato e due agricoltori, Aurelio e Luigi Luciani, colpevoli di trovarsi nel posto sbagliato. È una terra di caporalato e angoli dimenticati dalla civiltà: come il campo nomadi di Stornara dove il 17 dicembre sono morti due bambini di 2 e 4 anni arsi vivi nella loro baracca.
Ma nella terza provincia più grande d’Italia si muovono anche la terribile criminalità di Cerignola e la cosiddetta “Società” che governa con brutalità la città di Foggia. Bombe e agguati arrivano puntuali contro i pochi che non pagano il pizzo. Qui i mafiosi si fanno vedere e sentire. E si combattono alla luce del giorno: dagli anni 70 sono state ben otto le guerre di mafia tra i “Moretti-Pellegrino-Lanza”, i “Sinesi-Francavilla” e i “Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese”. Lo Stato è arrivato solo nel 1992: mentre l’Italia piangeva il sacrificio di Falcone e Borsellino, a Foggia moriva Giovanni Panunzio, imprenditore che si era ribellato al pizzo. Nel Foggiano, come in Calabria, il clan e la famiglia sono spesso la stessa cosa: l’appartenenza alle batterie si tramanda di padre in figlio.
Le cosche familiari col tempo hanno infiltrato le imprese e le istituzioni. Tra il 2015 e il 2021 la prefettura ha emesso ben 85 interdittive antimafia, mentre sono stati cinque i comuni sciolti per mafia: dopo Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola, l’ultimo è stato proprio quello di Foggia. Le inchieste della Procura e della Dda di Bari hanno travolto l’ex sindaco leghista Franco Landella, l’ex presidente del Consiglio comunale Leonardo Iaccarino, e poi assessori, consiglieri e dipendenti comunali. Negli ultimi anni la risposta di poliziotti, carabinieri e finanzieri ha permesso di scoprire che i clan, direttamente o indirettamente, controllavano gli appalti pubblici: dalla gestione dei semafori a quella dei sistemi di videosorveglianza cittadina fino alla gestione degli alloggi popolari, da sempre segno distintivo del prestigio criminale nei quartieri più difficili.
Neppure la sanità è uscita indenne dalle inchieste della magistratura: i finanzieri hanno arrestato il dg dell’ospedale di Foggia per aver tentato di favorire una azienda amica nell’appalto per l’elisoccorso e il trasporto di organi. “In questa terra – ripete Talienti – servono le istituzioni, la scuola in primis, ma potrebbe non bastare da sola. Serve un patto educativo di comunità: avviare sinergie con forze leali e trasparenti del territorio. Senza questo patto si viaggia senza senso civico. Verso il baratro”.