C’era la stessa luna quando vendicammo García Lorca

Pubblichiamo l’incipit del racconto inedito “Diciannove di agosto” di Antonio Tabucchi, nel quale uno “zingaro” – io narrante – riferisce allo scrittore di aver assistito all’uccisione del poeta Federico García Lorca. Il testo fu letto da Tabucchi nel 2001, in occasione del Premio Hidalgo e oggi è raccolto ne “Gli Zingari e il Rinascimento” (ed. Piagge).

 

Ti devi immaginare una notte come questa. Con la stessa luna. Anzi, la stessa no, perché lei varia da una notte all’altra, ma tu non la noti perché sei un payo, anzi un gajo, come dicono qui, ma guarda, guarda bene, la vedi? Noi, quella patacca gialla che sta nel cielo e che ci guarda per essere guardata è come se la portassimo in tasca, la conosciamo da quando vaghiamo in questa penisola, che vuol dire dai tempi dell’anticamente, quando tu certo non eri nato e neppure i miei bisnonni. La vedi la parte di sotto, quella a sinistra? C’è un’ombra. Ti sembrerà una piccola nuvola, ma non è. È la tenebra che comincia a mangiarla. E domani lei sarà un pezzettino più piccola, e dopodomani due pezzettini, via via, e poi sarà una falce, come piace ai nostri fratelli che stanno a Oriente, e poi scomparirà nella notte. Tu non l’hai vista di sicuro, perché stai nella città, e nella città non si guarda la luna.

Noi la guardiamo da tanto tempo, anche più del tuo poeta che ti ho sentito recitare stasera, quando qui non c’era nessuno, solo pianure solitarie. E noi con i cavalli. E quando la luna cominciava a sgonfiarsi, come stasera, alle giumente gli passava il calore e gli si incurvava la schiena, avevano già ricevuto gli stalloni e per loro era già tempo di ingravidare, e ingravidando la femmina medita sulla vita.

Meditare, meditare. Ma a che serve? A te, ti serve?

A me sì, forse, chissà. Però la luna era così quella notte, con un’ombra. Allora ero un uomo forte, pieno di sensi, e trovai una donna che si chiamava Consuelo. E ballava al passo della Siguiriya. A te non sembrerà niente, ma è tanto, perché un atteggiamento così lo capisci solo in una donna di sensi veri. C’è chi la balla con la testa, intendi?, ma quelle ballerine lì non servono a niente, è un’emozione fredda, per una donna vera ci vuole questa parte qui, di dietro, intendi, ci vuole il ritmo che ha il cuore d’argento e un pugnale per la mano destra e che la luna raccoglierà, come diceva il nostro poeta.

Ti parlavo della luna e mi sono perso. Sono vecchio, e per questo mi perdo. La mia padrona, come noi chiamiamo le nostre mogli, è morta nel mille e qualchecosa.

E tu, gajo, in che mille sei? Pensi che ho bevuto troppo?

Ho bevuto più di te e sono più lucido di te. Tu credi che solo voi siete lucidi, e invece noi gitani siamo più lucidi di voi. Coltelli d’argento, ci chiamava il nostro poeta.

Certo, anche l’argento arrugginisce, cosa ci vuoi fare.

Però la Consuelo fece così: olé, con le anche, e questo coso qui, che noi uomini abbiamo e che a quel tempo era vivo, rispose. Mi intendi? Bastò uno sguardo. Ma tu ci credi allo sguardo? Credici, è tutto. Tu guardi, e sei padrone. Non guardi, e sei un servo, perché sei guardato. Questo te lo dice il Manolo.

Quella notte era proprio così. Tu ci credi nella luna, payo?, preferisci le parole? Guarda che le parole muoiono, e invece la luna è eterna. Quella notte era così, tendeva al rosso. Avevo passato i vent’anni e non mi ero sposato. È tardi, per noi gitani, sposarsi dopo i vent’anni. Io portavo la chitarra, il coltello lo portava lui, il Paco. Non chiamare i tuoi amici per sentire queste cose, non gliele racconto, le racconto a te perché alla festa ti ho visto ballare con una donna della mia razza e tu la guardavi come si deve, e questo è importante. Tu guardi e sei padrone, mi intendi? Lei è vestita di nero e ha le gonne lunghe? Non importa, se il tuo sguardo attraversa i vestiti puoi capire la Siguiriya, e questo è uno sguardo che mi piace. Perché quella notte anch’io avevo il tuo sguardo. Sai quante stoffe hanno sotto la gonna le vere gitane? Non te lo dico, ma sono piene di pizzi. Li intrecciano nelle cuevas dove sono nato, vicino a Granada.

Ma dov’ero rimasto? Ah, sì, ti parlavo della luna. E sentivo un languore. Qui, negli inguini, dove siamo uomini. La chitarra la portavo a tracolla. Mi piacerebbe trovare una Guardia Civil, disse il Paco mostrandomi il coltello. E io una ragazza, dissi toccandomi basso. E così uscimmo dalla cueva. Il Paco si era messo l’olio nei capelli, tanto olio d’oliva, di quello degli oliveti di Granada. Io solo due gocce di essenza di limone che le donne distillavano nelle cuevas. Uscimmo e sembrava una notte come le altre. Ma non era. Carajo, non ci credi?

Vai a pisciare, così è meglio. Il Paco camminava, e io dietro. Perché? Perché avevamo un appuntamento, ma noi non lo sapevamo. Lo sapeva la luna.

Per gentile concessione della signora Maria José de Lancastre

L’Iran vuole la Bomba, Israele mette l’elmetto

Nel giorno in cui l’Iran ha annunciato di aver superato la soglia dei 300 chilogrammi di uranio arricchito – iniziando così a violare l’accordo sul nucleare raggiunto nel 2015 – i caccia israeliani hanno computo diversi raid devastanti in territorio siriano colpendo basi e strutture militari siriane e iraniane. Il bilancio è di 16 morti e 21 feriti. Uno dei missili di fabbricazione russa sparati dalla Difesa siriana contro i caccia con la stella di David, andato fuori controllo, è finito sulle coste della vicina isola di Cipro.

I due eventi non sono apparentemente collegati ma descrivono nella crudeltà dei fatti quanto l’estate del 2019 potrebbe prendere una svolta drammatica. Dopo l’annuncio di Teheran si attende ora la replica della Casa Bianca, l’orientamento che prenderà Israele e le decisioni dell’Arabia Saudita, i due alleati degli Usa più convinti che solo con il linguaggio della forza si può strappare alla repubblica degli ayatollah un’intesa sul nucleare migliore di quella raggiunta nel 2015. “L’Iran avanza con un passo significativo nella produzione di armi nucleari”, ha denunciato ieri sera il premier israeliano Benyamin Netanyahu aggiungendo che Teheran, con questo annuncio, ha ammesso di “aver violato espliciti impegni”. “Quando abbiamo scoperto l’archivio nucleare segreto – ha continuato il premier – abbiamo dimostrato che tutto l’accordo sul nucleare con l’Iran era basato su una grande bugia. Oggi l’Iran lo ammette. Presto saranno svelate altre prove sul fatto che Teheran ha mentito tutto il tempo”. Netanyahu – dopo aver ricordato che Israele non consentirà a Teheran di sviluppare armi atomiche – ha poi fatto appello ai paesi dell’Ue di “difendere i propri impegni”. “Vi siete impegnati – ha detto – ad agire se l’Iran avesse infranto l’accordo sul nucleare. Vi siete impegnati ad attivare un sistema automatico di sanzioni stabilito dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Allora vi dico: fatelo”. L’Iran aveva annunciato a metà giugno che entro il 27 del mese avrebbe superato il limite di scorte di uranio fissato dall’accordo con le potenze mondiali, spingendo le tensioni con gli Stati Uniti – che hanno abbandonato quell’accordo nel 2018 imponendo sanzioni a Teheran – in un territorio inesplorato e potenzialmente pericoloso, come dimostrato anche dagli incidenti alle due petroliere lo scorso mese nel Golfo che stavano per scatenare la rappresaglia Usa contro l’Iran. Venerdì scorso a Vienna si sono incontrati i delegati iraniani e i rappresentanti dei Paesi ancora firmatari dell’accordo – con in testa Francia, Germania e Gran Bretagna – per offrire assistenza commerciale e compensare le sanzioni Usa (50 miliardi di dollari il danno per Teheran) e convincere l’Iran a fermare l’arricchimento. L’incontro si è risolto con un nulla di fatto, nuovo meeting il 7 luglio. Se questa data passerà senza un cambiamento da parte dei Paesi ancora firmatari, l’Iran si sentirà libero di procedere all’arricchimento.

L’Iran dice che il suo programma nucleare è esclusivamente per scopi pacifici, Stati Uniti e Israele invece sono convinti del contrario. Ma lo Stato ebraico ha anche altre valutazioni da fare. Uno scontro con l’Iran difficilmente resterà limitato, gli alleati degli ayatollah non stanno a guardare. Hezbollah dal Libano, le milizie sciite in Siria e Hamas da Gaza sono pronti a fare la loro parte. Il fronte di questa guerra sarebbe proprio sui confini di Israele. Sono queste le considerazioni che i generali stanno esponendo al premier Netanyahu insieme alle opzioni militari.

Cina beffata, il Parlamento ridiventa (per poco) inglese

Con il volto coperto, sventolando la vecchia bandiera coloniale britannica, circa 1500 abitanti di Hong Kong, soprattutto studenti universitari, hanno assediato per ore il Parlamento. Un gruppo è riuscito a fare irruzione; per effettuare questa inedita e clamorosa azione contro la legge sulle estradizioni in Cina, i manifestanti hanno atteso il giorno del 22° anniversario della riconsegna di Hong Kong alla Repubblica Popolare Cinese da parte del Regno Unito.

La città, passata sotto la sovranità di Pechino nel 1997, gode dello status di regione amministrativa speciale. La maggior parte dei suoi 7 milioni e mezzo di abitanti però è ormai certa che la semi-autonomia sia ormai agonizzante, strangolata dalle grinfie del Dragone con il volto della governatrice Carrie Lam. Contro la “Lady di Ferro” imposta da Pechino, gli studenti hanno urlato slogan in cui chiedono le sue dimissioni, come già fecero a metà giugno quando scesero in piazza due milioni di persone costringendola a sospendere l’estradizione di cittadini di Hong Kong verso i tribunali della odiata madre patria.

Nell’Aula sono stati affissi striscioni eloquenti: “Non ci sono rivoltosi, c’è solo la tirannia”; “Non è rimasta altra strada che ribellarsi”; “Nessuna violenta rivolta, solo un violento regime”. Per tutta risposta, le autorità hanno dichiarato l’allerta rossa al Parlamento, decisione che impone l’evacuazione della zona. In seguito, la polizia, dotata di spray urticanti e armi per sparare proiettili di gomma e granate stordenti, è stata dispiegata massicciamente attorno agli assedianti senza intervenire per evitare lo scontro diretto. lntanto il corteo gestito nella giornata di ieri dal Civil Human Rights Front, il gruppo di attivisti alla base delle mobilitazioni di massa del mese scorso, ha visto l’adesione di circa 550.000 persone, secondo gli organizzatori. La sospensione della proposta di legge sull’estradizione, è stata la prima concessione di peso nei sei anni di governo di Xi Jinping. Secondo il periodico Nikkei Asian però tale deroga non è stata una decisione sofferta ma dettata da considerazioni di ordine economico sia locale che internazionale. Il fattore decisivo, secondo una fonte interna al Partito Comunista Cinese, è stata l’importanza crescente di Hong Kong come finestra sui capitali internazionali in vista dell’attuazione del piano di Pechino di completare la modernizzazione del paese entro il 2035. Mantenere la ricchezza di una città di cui i mercati e le economie libere si fidano è vitale per l’intera Cina. Basti pensare al disastro in ambito commerciale e turistico che si verrebbe a creare se gli Stati Uniti ritirassero i privilegi speciali accordati a Hong Kong.

Nel tardo pomeriggio di ieri, la polizia però ha lanciato ai dimostranti un ultimatum assai minaccioso: “A breve la polizia andrà al LegCo (Consiglio legislativo di Hong Kong, ndr) per evacuarlo. Se incontrerà opposizione o resistenza, la polizia farà adeguato uso della forza”. L’avvertimento è arrivato da un portavoce, che ha pubblicato un video sulla pagina Facebook della polizia.

Considerando le proteste del 9 e del 16 giugno, finora a manifestare sarebbero state in tutto 3,7 milioni di persone su una popolazione totale di 7,4 milioni.

A trent’anni esatti dal massacro degli studenti a piazza Tienanmen, gli universitari di Hong Kong che ogni anno commemorano la strage, al contrario dei colleghi cinesi ai quali è vietato anche solo menzionare questa pagina terribile della storia moderna cinese, sono ormai disposti a tutto pur di non perdere la libertà .Anche a fare la fine dei loro predecessori. Per il Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo, da ieri “è stata superata la linea rossa”.

Macron mette le ali al debito

La Francia si prepara a vendere i “gioielli di famiglia”: una operazione per fare cassa. Si parla soprattutto di privatizzare Aéroports de Paris (Adp), il gruppo che gestisce i tre scali parigini di Roissy, Orly e Le Bourget, più di 100 milioni di passeggeri all’anno, e di cui lo Stato detiene il 50,6 per cento, per un valore di circa 9 miliardi di euro. Un’operazione di privatizzazione “tra le più importanti della storia del Paese”, l’ha definita il britannico The Guardian, ma che è molto contestata, sia dai francesi (il 48 per cento di loro, secondo un sondaggio Harris Interactive, è infatti contrario), sia da tutta l’opposizione, droite e gauche.

Un paio di mesi fa, 248 parlamentari di forze politiche anche opposte, dai socialisti ai radicali di sinistra della France Insoumise, fino ai nazionalisti di Marine Le Pen, si sono uniti per lanciare una procedura di referendum, convalidata dal Consiglio Costituzionale il 9 maggio, e fare persino campagna insieme.

Finora 466 mila firme sono state raccolte sulla piattaforma online del ministero dell’Interno, secondo i primi dati ufficiali pubblicati ieri dal Consiglio costituzionale. Altre 14.400 firme sarebbero in corso di validazione al ministero. Ma per arrivare alle urne servono 4,7 milioni di firme entro marzo. I difensori del referendum hanno denunciato nei giorni scorsi i bug a ripetizione del sito del ministero e l’assenza di dibattito. In un tweet Alexis Corbière, di France Insoumise, ha chiesto alle tv di collaborare: “Decine di ore sono state dedicate al Grande dibattito di Macron, perché non dovrebbe essere la stessa cosa per Adp? “Adp è parte del nostro patrimonio”, ha scritto in un comunicato il rn. “Adp è la porta della Francia, consegnare le chiavi a un privato è come rinunciare all’essenza dello Stato”, ha commentato il portavoce Ps Boris Vallaud. Per chi si oppone non ha senso che lo Stato si privi di un’azienda “strategica” che rende molto, 4,4 miliardi di euro nel 2018 (+23,8 rispetto al 2017). Il progetto fa gola invece ai mercati, tanto che l’azione Adp è volata in Borsa per mesi, anche se l’annuncio di un possibile referendum ha frenato gli entusiasmi degli investitori. Tra i candidati favoriti all’eventuale ripresa si cita soprattutto il gigante delle costruzioni Vinci, che ne detiene già l’8 per cento. Da parte sua il governo ha fornito garanzie agli scettici: la concessione, limitata a 70 anni, riguarda solo la gestione di Adp, per cui lo Stato resta proprietario delle parcelle, 67 km², e degli immobili. Scaduto il tempo, recupera tutto, comprese eventuali nuove strutture.

Ma le difficoltà si sono talmente accumulate negli ultimi giorni che persino Emmanuel Macron, stando al settimanale Le Canard Enchainé, starebbe prendendo tempo. Un eventuale abbandono del progetto sarebbe un grosso smacco per il presidente.

La privatizzazione di Adp è stata approvata dalla legge Pacte (che sta per Piano di azione per la crescita e la trasformazione delle imprese), adottata in aprile. La cessione a privati riguarda del resto anche altri operatori pubblici come la Française des Jeux (Fdj), la società che detiene il monopolio di lotterie e scommesse, statale al 72 per cento, e il gruppo energetico Engie, statale al 23,6 per cento. Anche la cessione di Fdj, che ha registrato un fatturato di 3,3 miliardi di euro nel 2018 (+2,3), fa polemica. Per gli oppositori si rischia di rinunciare a un’“entrata sicura”.

Al termine lo Stato potrebbe conservare il 20-30% del capitale e sembra che l’Ape, l’Agenzia di partecipazioni dello Stato, che nel 2018 deteneva 77,5 miliardi di euro nei capitali di 81 aziende, voglia fare in fretta.

Le privatizzazioni non erano nel programma del candidato En Marche! all’Eliseo anche se, da ministro dell’Economia di Hollande, Macron era riuscito a concludere faticose trattative per gli aeroporti di Lione, Tolosa e Nizza.

Parigi però ha bisogno di liquidi. Ha già tagliato 5 miliardi di tasse per rispondere alla crisi dei Gilet gialli. E, con il denaro delle privatizzazioni, il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ha promesso alle imprese di creare un fondo di 10 miliardi di euro, per finanziare nuovi progetti.

A inizio settimana, allora, la Corte dei conti ha lanciato l’allarme sulla politica di bilancio dello Stato. Il rischio è che il debito pubblico cresca fino a raggiungere il 3,1% del Pil nel 2019. Nel rapporto annuo sulle prospettive delle finanze pubbliche, la Corte ha ammonito: “La Francia è lontana dall’aver riassorbito i suoi deficit strutturali, mentre tanti vicini europei sono quasi all’equilibrio”.

E Macron aveva promesso a Bruxelles che il deficit sarebbe rientrato nel 3 per cento del Pil entro l’anno.

Violenze sul figlio segregato in casa: arrestata una coppia

Un bambino di undici anni tenuto segregato nella sua stanzetta in una villetta di una zona residenziale della Costa Smeralda, vicino ad Arzachena, chiuso a chiave, al buio, con la finestra sigillata, senza un letto e con un bidone dove fare i bisogni. Tutto questo per permettere ai genitori di trascorrere senza pensieri le loro serate di festa con gli amici. Un incubo spezzato dallo stesso undicenne, che sabato notte ha chiamato i carabinieri con un cellulare privo di carta sim, e ha chiesto aiuto: “Vi ho chiamato perché volevo parlare con mia zia. I miei sono andati a una festa e mi hanno rinchiuso nella mia cameretta, come fanno di solito”, ha detto all’operatore del 112. Una pattuglia dei carabinieri ha liberato il bambino, che soffre di qualche disturbo psicologico, e ha convocato i genitori: poco dopo, su disposizione della Procura di Tempio Pausania, la coppia (47 anni lui, 43 lei) è stata arrestata per sequestro di persona e maltrattamenti. Ai carabinieri che lo hanno tirato fuori dalla stanza-prigione, l’undicenne ha consegnato anche il suo diario personale. Ed è qui che ha annotato con lucidità e dovizia di particolari il suo inferno: maltrattamenti, umiliazioni, botte da mamma e papà.

Malore dopo un tuffo, muore l’attrice tedesca Lisa Martinek

Lisa Martinek, attrice tedesca molto conosciuta in patria, è morta nell’ospedale di Grosseto dove era stata ricoverata venerdì scorso in seguito a un malore accusato mentre faceva il bagno nel mare dell’isola d’Elba (Livorno) dove stava trascorrendo una vacanza. Nonostante i soccorsi tempestivi allertati dal marito, il regista italo-tedesco Giulio Ricciarelli, e il trasporto con l’elicottero all’ospedale di Grosseto, la donna, 47 anni, aveva subito danni irreversibili. La notizia è stata riportata dal Tirreno.

Luisa Martinek si era tuffata dalla barca ormeggiata a largo di Sant’Andrea. Subito dopo il tuffo si sarebbe sentita male perdendo i sensi. Il marito, che era a bordo con i tre figli della coppia, si era subito accorto della gravità della situazione: recuperata la moglie si era diretto verso terra.

Lisa Martinek (nata Wittich, Martinek è il nome del primo marito e aveva deciso di mantenerlo), aveva esordito in Schulz & Schulz II – Tutti gli inizi sono difficilì. Tra gli altri lavori Amore e tacchi alti e I perfetti imperfetti, trasmessi nei mesi scorsi anche in Italia dalla Rai.

In Germania la notizia della morte improvvisa della nota attrice Lisa Martinek si è diffusa solo nel pomeriggio di ieri, verso le 15, quando quotidiani e periodici popolari come la Bild e Stern hanno rilanciato la dichiarazione rilasciata dall’avvocato della famiglia all’agenzia di stampa Dpa a Berlino. Christian Schertz, questo il nome del legale, su richiesta dei familiari non ha fornito alcun dettaglio sul malore risultato fatale alla donna. Non ha neppure indicato dove e quando potrebbe aver luogo il funerale, né ha riportato dichiarazioni del marito, l’attore, sceneggiatore e regista italo-tedesco Giulio Ricciarelli, che era con lei in barca quando si è sentita male.

L’imprenditore “incastrato” con la coca nelle sigarette: non c’è prova contro il cronista

Il giallo di Capri si infittisce. Chi ha messo la droga nell’autocarro dell’imprenditore salernitano che, denigrato sui media, ha perso l’appalto della manutenzione dei cavi telefonici sull’isola, poi assegnato all’imprenditore amico del giornalista caprese che fece la soffiata alla polizia e scrisse subito l’articolo? La Procura di Napoli non è riuscita ad appurarlo con certezza. E se il Gip non ordinerà nuove indagini, i fatti del 18 gennaio 2017 resteranno un mistero. Secondo la ricostruzione “alternativa” del pm Giancarlo Novelli e allegata all’archiviazione di Marcello Panico, l’imprenditore 60enne di Bellizzi (Salerno) “estraneo al contesto locale dell’isola di Capri e dunque estremamente scomodo”, il giornalista F. S. e l’imprenditore locale G. M. avrebbero agito in combutta per incastrarlo. C’erano diversi indizi: il giornalista sarebbe stato la fonte confidenziale del poliziotto che rinvenne le cinque palline di cocaina in un pacchetto di sigarette vuoto, fu preveggente perché avrebbe anticipato di diversi giorni l’operazione a un altro poliziotto, ci sono i tabulati dei ripetuti contatti telefonici con l’imprenditore amico nei giorni precedenti al blitz. Inoltre il giorno prima del sequestro di droga, l’autocarro di Panico sostò nello stesso cantiere dove lavorava il rivale. Ma gli indizi sono rimasti tali e la Procura ha chiuso le indagini contestando al solo giornalista i reati di diffamazione a mezzo stampa e false informazioni al pm. Ha smentito il poliziotto e ha negato di essere la sua fonte confidenziale. Ad accrescere il mistero, quel che ha detto a dicembre il giornalista ai carabinieri nell’ambito di un’altra indagine del pm Catello Maresca: alcuni capresi “avevano intenzione di mettergli della droga nel suo ufficio al fine di farlo arrestare per porre fine alla campagna di denunce contro un sistema politico-affaristico”.

Paura a ridosso dell’autostrada: si incendia fabbrica di vernici, allerta in una decina di Comuni

Una fabbrica di vernici va a fuoco in provincia di Vicenza. Un’enorme colonna di fumo s’innalza sopra l’abitato di Brendola. Autostrada A4 chiusa per ore, case e aziende evacuate nell’arco di mezzo chilometro. Allerta in una decina di comuni, divieto per la popolazione di uscire, annaffiare orti e giardini, consumare frutta e ortaggi esposti all’aria. È emergenza vera quando alle 13 scoppia l’incendio in un capannone della Isello Vernic. Viene chiusa la strada provinciale 500, quindi il tratto autostradale da Montecchio Maggiore a Montebello Vicentino. La viabilità va in tilt e la Serenissima è stata riaperta solo in serata. Nel frattempo il sindaco di Brendola Bruno Beltrame dirama le ordinanze di evacuazione e l’invito alla popolazione di non uscire. Non senza fatica, i tecnici dell’Arpav cercano di posizionare le centraline di rilevamento più vicino possibile all’incendio. L’esito delle analisi tiene tutti con il fiato sospeso fino a sera, per il rischio di sostanze tossiche.

Intanto si allunga l’elenco dei comuni allertati dalla Prefettura: oltre a Brendola e Montecchio Maggiore, anche Altavilla, Montorso, Zermeghedo, Montebello, Arzignano, Chiampo e Trissino. Siamo nel mezzo della zona della produzione conciaria, dove si trova anche la ditta Miteni, ritenuta responsabile dell’inquinamento delle acque da Pfas. Le amministrazioni comunali estendono l’allerta alle popolazioni di Vicenza, Creazzo, Sovizzo e Monticello Conte Otto. Vietato l’uso dell’acqua del torrente Brendola per irrigare le campagne. A Montecchio vengono annullate tutte le manifestazioni sportive, a Vicenza il concerto Viva Verdi previsto in piazza dei Signori.

In serata l’incendio è ormai domato, ma l’allarme continua finchè Arpav esclude la presenza di diossine o cianuri nell’aria. C’è solo un eccesso di benzene, che non impedisce alle famiglie evacuate di tornare nelle case. Con l’obbligo di restarvi chiuse fino a nuovi ordini.

Arancia meccanica in spiaggia: in trenta aggrediscono a calci e pugni tre bagnini

“Jesolaoo… Sei in ospedale adesso, eh? Bagnini di m… ciao ciao bagnini… non servono i bagnini… licenziati!”. Violenza pura. Fisica e verbale. Caccia al bagnino sull’arenile di Jesolo, la spiaggia più frequentata dell’Alto Adriatico, da parte di una gang multietnica. Tre addetti all’arenile finiscono all’ospedale, mentre gli autori del raid, aspetto da bravi ragazzi, si vantano al cellulare, si fanno i selfie, commentano senza pentimento quella che non si può definire una bravata. E il loro esibizionismo colpevole li tradisce. Perché la Polizia è sulle loro tracce e ne ha già identificati alcuni.

È accaduto in una domenica pomeriggio affollatissima sotto il sole. Pochi minuti di terrore, tra gli occhi increduli dei bagnanti. Il gruppetto, composto da una trentina di giovani, ha fatto irruzione nella zona del Consorzio Trieste. Una buona parte di loro era proveniente da Treviso e aveva trascorso il sabato sera nei locali. Al mattino otto ragazzi hanno occupato i lettini sotto gli ombrelloni riservati agli ospiti di albeghi e residence. I bagnini che stavano preparando la spiaggia li hanno allontanati.

Allora il gruppetto è andato a piazzarsi sulla battigia, proprio davanti alla torretta del salvataggio, in violazione dei regolamenti. Ma sono stati tollerati finché alle 9.30 i due assistenti hanno preso servizio, hanno calato la scala e preparato i mezzi di soccorso, operazioni impedite dagli otto ragazzi. Inutili le richieste di spostarsi di qualche metro. “La spiaggia è di tutti, abbiamo diritto di restare qui” urlavano. Alla fine, tranne uno che ha continuato a insultare i bagnini, si sono allontanati. Il provocatore solitario ha aggredito i due assistenti, e tutti e tre hanno riportato ferite. La Polizia ha riportato la calma una prima volta.

Ma alle 14.30, il gruppo è tornato, con intenzioni bellicose. Ed ecco una scarica di pugni, calci e testate contro uno dei responsabili dello stabilimento. Alcuni bagnanti sono intervenuti per salvarlo e difenderlo. Un parapiglia. Gli aggressori sono fuggiti, cercando di dileguarsi. I poliziotti si sono messi a caccia nelle vicinanze e hanno identificato una ventina di persone. Almeno quattro saranno probabilmente denunciati.

“Il loro obiettivo ero io”, ha spiegato, con la faccia pesta, uno dei responsabili del consorzio Trieste 1. “Volevano farmela pagare per quanto accaduto nella mattinata, prima allontanati dai lettini e poi dalla torretta di salvataggio, anche in questo caso con un parapiglia. Appena mi hanno visto mi hanno colpito, non ho potuto far altro che cercare di parare i colpi. Mi dispiace perché la spiaggia dovrebbe essere un momento di relax, divertimento e festa. Qualcuno ha fatto l’esatto contrario”.

Eloquente il racconto di alcuni bagnanti: “Siamo sconvolti, sembravano furie, erano scatenati”.

E il sindaco Valerio Zoggia ha annunciato: “Se possibile, applicheremo per queste persone il Daspo urbano dalla nostra città”.

Uccide il padre con 10 coltellate: “Umiliato dai suoi rimproveri”

Una vita trascorsa a studiare, con sempre più libri a tenerlo impegnato seppur senza grandi successi, chiuso nella sua stanza, senza amici e senza lavoro, tanto da innescare frequenti liti con i genitori, preoccupati per lui. Questo il presunto movente dell’omicidio di Michele Campanella, 71 enne ex finanziere in pensione, ucciso a coltellate al culmine di una lite dal figlio adottivo Marco, 36 anni, ieri mattina nella loro casa di Legnano (Milano). L’uomo, arrestato dalla Polizia di Stato, dopo un lungo interrogatorio alla presenza del Pm di Busto Arsizio (Varese) Francesca Parola, con l’accusa di omicidio volontario, ha ammesso di aver agito perché si sentiva “umiliato continuamente” dai rimproveri del genitore che, da tempo, gli faceva presente che la sua pensione non poteva più essere sufficiente a mantenere tutta la famiglia. Secondo quanto emerso, la discussione tra Marco Campanella e suo padre si è accesa intorno alle dieci, poi il 36enne ha impugnato due diversi coltelli da cucina e si è scagliato contro il padre. Il 71 enne a quel punto ha tentato di sottrarsi alle coltellate avvicinandosi al balcone dell’appartamento. In totale, a ucciderlo, sono state oltre dieci coltellate, tre dirette a organi vitali.