Putin in Italia il 4 luglio: vedrà Mattarella, Conte e il Papa

Il Cremlino ha confermato che il presidente russo Vladimir Putin verrà in visita in Italia il 4 luglio. A Roma incontrerà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. La visita – riporta il Cremlino in una nota – ha lo scopo di “discutere le questioni chiave della cooperazione italo-russa nella sfera politica, commerciale, economica, culturale e umanitaria, nonché temi di attualità internazionale e regionale”. Si prevede inoltre “la partecipazione congiunta di Putin e Conte al forum-dialogo italo-russo della società civile”. Il presidente russo si recherà quindi in Vaticano per un incontro con Papa Francesco.

Latte, l’Antitrust non procederà contro le aziende

L’autorità garante per la concorrenza e il mercato ha chiuso, senza prendere provvedimenti in virtù dell’accordo siglato tra le parti a Sassari, l’istruttoria aperta nel febbraio di quest’anno nei confronti del Consorzio per la tutela del Pecorino Romano Dop e di 33 aziende di trasformazione della Sardegna per il prezzo del latte ovino alla stalla acquistato dagli allevatori tra dicembre 2018 e gennaio-febbraio 2019, pari a 62 centesimi a litro.

Una remunerazione ritenuta troppo esigua dai pastori, protagonisti di una serie clamorosa di proteste culminate con il latte gettato in strada e nelle campagne, da nord a sud dell’Isola. Azioni sfociate anche in episodi violenti, con blocchi e assalti alle autocisterne del latte, fatti sui quali diverse Procure hanno aperto fascicoli di reato.

L’Antitrust spiega che, “alla luce dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa”, sono “venuti meno i presupposti da cui muovevano le contestazioni relative alla presunta realizzazione da parte del Consorzio per la tutela del formaggio pecorino romano Dop e dei 33 trasformatori di pratiche commerciali sleali in danno dei propri conferenti di latte ovino”.

Anche Sassari svolta a destra: il nuovo sindaco è il civico (ex Msi) Nanni Campus

Il nuovo sindaco di Sassari è Nanni Campus, candidato indipendente di area centrodestra. Nel ballottaggio di domenica l’ex senatore ed ex consigliere regionale ha ottenuto il 56,2 per cento delle preferenze, staccando di oltre 10 punti lo sfidante di centrosinistra Mariano Brianda, che si è fermato al 43,7 per cento. L’affluenza del ballottaggio è stata modesta: nel capoluogo sardo ha votato solo il 40,9% degli aventi diritto.

Per Sassari è un ritorno a destra dopo i cinque anni di Nicola Sanna del Partito democratico. Campus è cresciuto politicamente, da giovane, nel Movimento Sociale Italiano (come anche il nuovo sindaco di Cagliari Paolo Truzzu) e negli anni 90 è stato parlamentare di Forza Italia e An. Su di lui sono convogliati i voti dei (pochi) elettori della Lega e probabilmente del Movimento 5 Stelle che non hanno disertato le urne al ballottaggio. Per il Pd e il centrosinistra è l’ennesima sconfitta in Sardegna: anche nell’altro ballottaggio rimasto, a Monserrato (quasi 20 mila abitanti in provincia di Cagliari), ha vinto il candidato di centrodestra Tommaso Locci. E nella stessa Cagliari, due settimane fa, la candidata erede di Massimo Zedda, Francesca Ghirra, ha perso al primo turno per una manciata di voti.

Pienone ad Alghero: è partito il tour per i dieci anni del Fatto

“Secondo lei il M5S fa bene a sostenere questo governo egemonizzato da Salvini?”. I lettori del Fatto vanno subito al sodo. Piace l’idea che il direttore Marco Travaglio si presenti in piazza ad Alghero per festeggiare i dieci anni del Fatto sottoponendosi alle domande di chi, dal 23 settembre 2009, consente al giornale di vivere.

La Sardegna è uno dei territori dove il Fatto da sempre raccoglie successi diffusionali e parte da qui la serie di incontri con i lettori dal titolo “Parliamone”. I sostenitori sardi del giornale non si fanno pregare e arrivano in 600 a Lo Quarter, nell’antico centro catalano.

La discussione è aperta. I lettori vogliono capire. Chiedono a Travaglio come il giornale vede l’attualità politica, il governo Conte, il caso Sea Watch, lo scandalo dei magistrati. Ma chiedono anche notizie di storie che hanno tenuto le prime pagine e poi sono sfumate nell’oblio: “Che fine ha fatto la vicenda del Tav?”. Durante la discussione, era la sera di domenica, sono arrivate in diretta le notizie sul netto parere degli esperti giuridici a proposito della possibile revoca della concessione alla società Autostrade in seguito al crollo del ponte Morandi. Si discute. Sulla Sea Watch, Travaglio rivendica la linea del giornale, né con il capitano né con la capitana, spiegando che l’atteggiamento di Salvini sui migranti non piace per niente al Fatto ma non per questo può indurre il giornale a schierarsi acriticamente dalla parte della comandante Carola Rackete, se appare animata dalla volontà di strumentalizzare essa stessa i migranti soccorsi per obiettivi politici. Il governo Conte, spiega il direttore del Fatto, dobbiamo giudicarlo per le cose positive che ha fatto e anche per quelle negative, ma soprattutto dobbiamo chiederci che cosa verrebbe dopo se cadesse: un governo di destra guidato da Salvini e supportato da Giorgia Meloni e, forse, da B.: una prospettiva che sicuramente farebbe rimpiangere Conte.

Sui magistrati la linea del giornale è di leggere lo scandalo attuale, con le intercettazioni favorite dal trojan immesso nel telefonino del magistrato Luca Palamara, senza essere ingenui o ipocriti: anche quando non c’erano le intercettazioni, dice Travaglio, c’era un mercato inconfessabile dominato dalla politica per portare alla guida della Procura della Repubblica di Roma un magistrato che garantisse l’insabbiamento delle inchieste sui politici. Il braccio destro di Renzi, Luca Lotti, che si interessa della scelta del capo della Procura presso la quale è imputato, perpetua una tradizione antica.

Diverse domande toccano i temi dell’attualità dell’isola, la crisi economica che in Sardegna morde più che altrove, le ultime elezioni che hanno consegnato il potere regionale all’inedita coalizione sardista-leghista del governatore Christian Solinas. Su questi temi Travaglio lascia la parola a Elias Vacca e a Giorgio Meletti che ha curato con Matteo Billi e Paola Pintus il documentario #Sardegna, primo della serie Italia.doc, i video-reportage sulle regioni italiane realizzati dai giornalisti del Fatto Quotidiano con Loft Produzioni, il ramo di produzione televisiva della Società Editoriale Il Fatto. Il pubblico ha potuto vedere e commentare due assaggi del reportage di un’ora che sarà disponibile in esclusiva su www.iloft.it e su app Loft a partire dal prossimo 18 luglio. Fa discutere l’affermazione di Meletti secondo cui l’elettorato sardo ama far vincere le Regionali al partito che è al governo a Roma come se credesse di propiziare così qualche elemosina dallo Stato centrale. Molti sono d’accordo, qualcuno si offende. La discussione tra il Fatto e i suoi lettori continua come da dieci anni.

“Renzi andò in Qatar per cercare di vendere l’As Roma agli emiri”

Non c’è solo il dopocena dell’8 maggio 2019: l’ex sottosegretario Luca Lotti è stato intercettato dal trojan inoculato nel cellulare del pm Luca Palamara anche tra il 15 e il 16 maggio in tarda serata in un ristorante. È quanto riporta la Verità pubblicando stralci delle intercettazioni durante le quali si parla della partita delle nomine delle procure, ma non solo. Dalla conversazione emerge anche un viaggio in Qatar dell’ex premier Matteo Renzi sulla vendita del club giallorosso all’Emiro. Sulla questione dello stadio, già parlando con la moglie, Palamara aveva anticipato: “Lo sai che mi ha detto Luca Lotti? Che sta facendo da intermediario per far comprare al Qatar la Roma”. Il magistrato affronta poi la vicenda del nuovo stadio della squadra giallorossa citando Renzi e un suo recente viaggio in Qatar: “Matteo era a Doha – afferma Lotti – ha detto ‘oh io la compro la Roma’ c’era scritto ‘io la compro davvero la Roma, ma lo stadio si fa o no? E Matteo gli ha risposto: ‘Guardi vediamoci a Parigi con Luca la settimana prossima’…’oh Luca lo stadio non gli si può garantire! Non siamo in grado di garantire lo stadio… il problema dello stadio si chiama Franco Caltagirone che è contro questa operazione…”.

Una toga “old style” diventato accusatore del suo principale sponsor al Consiglio

Schivo, signorile, molto riservato. E con sponsor di primo livello, a cominciare dall’attuale presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. E naturalmente, lui: Luca Palamara, il pm capitolino nei guai per l’inchiesta di Perugia che sta mettendo a soqquadro il Csm. Già, chi lo avrebbe mai detto. Che Riccardo Fuzio, Procuratore generale di Cassazione e titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati si sarebbe trovato un giorno a dover indossare le vesti di grande accusatore contro il caro Luca, suo grande estimatore e capo di Unicost, la corrente di cui anche Fuzio è esponente di punta.

Pugliese, 69 anni, un curriculum ampio e variegato, in magistratura dal 1977. Chi lo conosce lo descrive come un magistrato old style per portamento, come si conviene alle toghe di alto rango. Con tanto augusto distacco, era stato colto di sorpresa al momento della nomina come successore Pasquale Ciccolo, membro di diritto del Csm uscito due anni fa dalla magistratura per raggiunti limiti di età: si trovava ad Andria, sua città natale, per una messa in suffragio della madre da poco scomparsa.

Il suo nome nella seduta a Palazzo dei Marescialli del 22 dicembre 2017 aveva prevalso sul procuratore generale di Roma Giovanni Salvi: era finita 16 a 9. Ma la scelta nel solco della continuità fatta sul nome di Fuzio non aveva colto di sorpresa nessuno fino in fondo. Se non, a quanto pare, l’interessato: la sua vittoria era stata ottenuta grazie alla sponsorizzazione pesante di Luca Palamara indiscusso leader di Unicost, la corrente di maggiore peso nella consiliatura 2014-2018 ma anche di Mi, la corrente di Cosimo Ferri e dei laici di centrodetra. Per Salvi si erano schierati invece i togati di Area e pure due laici di centro sinistra, Renato Balduzzi e Paola Balducci. Ma il curriculum di Salvi era ssolutamente antitetico a quello di Fuzio e neppure l’endorsement implicito del vicepresidente Giovanni Legnini, che comunque si era astenuto come sua consuetudine, non erano bastati a sparigliare le carte.

Magistrato inquirente da sempre, Fuzio era stato al Csm nella consiliatura presieduta da Michele Vietti dal 2010 al 2014. Poi era passato alla Procura generale, diventando Avvocato generale. Senza mai abbandonare Palazzo dei Marescialli, che aveva continuato a frequentare impegnandosi insieme agli altri ex consiglieri l’associazione che porta il nome di Vittorio Bachelet, ucciso nel 1980 dalle Br.

“Ci sta il viaggio a Dubai…”. Così Fuzio avvisò Palamara

Nel giorno in cui Luca Palamara deve difendersi davanti alle toghe dall’accusa di corruzione della Procura di Perugia, un’altra grana sembra investire il Csm. Ieri L’Espresso ha rivelato le conversazioni tra Palamara e Riccardo Fuzio, il procuratore generale di Cassazione che sostiene l’accusa e che giorni fa ha chiesto la sospensione facoltativa dalle funzioni di Palamara. Sono intercettazioni in cui i due sembrano parlare dell’inchiesta della Procura di Perugia. Su questo ieri, fino a tarda sera, al vicepresidente David Ermini non è arrivata alcuna comunicazione: in altre parole nessun sospetto di un passo indietro da parte di Fuzio (estraneo all’inchiesta di Perugia). E resta anche confermata per oggi l’udienza a porte chiuse della sezione disciplinare, con la Procura generale di Cassazione, ossia l’accusa, che sarà rappresentata da un sostituto e non da Fuzio in persona, come peraltro accade di consueto.

Le conversazioni: “A quanto ammonta?”, “2 mila euro”

Ma torniamo alle intercettazioni rivelate da L’Espresso. Risalgono al 21 maggio scorso. Il Riccardo citato per gli investigatori è proprio Fuzio.

Palamara: (…) Però rimane l’informativa che mi smerda… nessuno gli dice questa cosa qui, questo è gravissimo… qualcuno glielo deve dire, cioè o gli dici chiaro, sennò veramente io perdo la faccia… mi paga il viaggio, l’informativa non l’ho mai letta, non si sa di che importo si parla… qual è l’importo di cui si parla? Si può sapere?

Riccardo:mahhh

P:Non so nemmeno quanto è l’importo di cui parliamo.

R:Si… ci stanno le cose con Adele (amica di Palamara, ndr) (…) E il viaggio a Dubai…

P:Viaggio a Dubai… Quant’è? (…) E di Adele… cioè in teoria… va bè me lo carico pure io… a quanto ammonta?

R: Eh… sarà duemila euro.

Duemila euro è proprio il valore dell’anello che – secondo i pm di Perugia – Palamara avrebbe ricevuto da Centofanti.

La conta sui voti
per il futuro capo di Roma

Con Fuzio, Palamara parlava anche delle future nomine. Argomento questo di cui l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), in altre occasioni, affrontava pure con l’ex sottosegretario Luca Lotti e con il parlamentare Pd Cosimo Ferri.

Con Fuzio invece si ipotizzano diverse alleanze tra le correnti del Csm: quella di Palamara, Unicost, Magistratura indipendente, quella di destra, e Area, la corrente di sinistra.

Riccardo: Cascini a un certo punto… non vuole Lo Voi.

Palamara: Ma è chiaro… sa che ci sto io sopra…

R:Perché neanche loro… allora dice… a questo punto sono iniziati di teatri, ma alla catanese… io gli ho spiegato… dico guarda… il problema è questo, che loro mettono subito… calano le braghe su Creazzo… però, se tiene, è chiaro che… si può anche non sfidare…

P:Unicost… Area o Uni… cioè tu dici…

R:No: Unicost–MI (…) portano Creazzo, dopo vogliono Viola

P:E Area?

R:A quel punto Area si toglie… può anche votare… ti dirò di più… (…) può votare Creazzo, ma a questo punto se loro sono d’accordo con i movimenti… questa cosa, cioè il ritardo può anche… questo, che anche se votano Creazzo pure quattro noi, cinque e quattro nove… MI, Area … e i tre grillini votano Viola, si va in plenum e a quel punto non esce (…) Oppure devono entrare… devono rimanere in tre per fare il ballottaggio.

Durante la conversazione – riporta L’Espresso –, Fuzio avrebbe detto che “il problema è lavorare sui numeri, questo è il problema”. Poi Palamara chiude: “Da stasera, cambia tutto”, dice il pm.

Il pm: “Chiedo scusa
a Sergio Mattarella”

Oggi quindi Palamara sarà davanti al Csm, dove i suoi legali hanno già inviato una memoria. Oltre alle questioni di diritto (come la ritardata iscrizione nel registro degli indagati a Perugia), il pm spiega anche che ora lui viene additato come “l’uomo nero” ma prima “tutti mi cercavano”, anche la politica quando si trattava di orientarsi nella scelta dei membri laici del Csm. Palamara chiede scusa al presidente Sergio Mattarella e definisce i suoi rapporti con “esponenti di forze politiche” “fisiologici e non certo ‘carbonari’”. Non manca un avviso ai naviganti: “Se, come mi viene addebitato, ho ‘interferito’ per Roma allora ho ‘interferito’ per la nomina dei più importanti uffici giudiziari negli ultimi 10 anni in ragione di quell’evoluzione del ruolo da me assunto in Anm e nel Csm”.

Nicastri parla e (per ora) inguaia un assessore

Vito Nicastri, imprenditore siciliano ritenuto tra i finanziatori della latitanza del boss Messina Denaro finito al centro di una inchiesta su un giro di mazzette alla Regione Siciliana, da alcune settimane, sta raccontando ai pm di Palermo di tangenti e favori. Dal carcere in cui è rinchiuso con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, autoriciclaggio, corruzione e intestazione fittizia di beni, fa nomi di soci occulti e quantifica il prezzo della “benevolenza” di chi, illecitamente, gli rilasciava permessi e autorizzazioni. Quella di Nicastri, in carcere assieme al figlio Manlio, suo partner nel business delle energie rinnovabili, potrebbe portare a colpi di scena clamorosi e complicare la posizione processuale di uno dei suoi soci nascosti: Paolo Arata, faccendiere, consulente della Lega, finito in cella per gli stessi reati insieme al figlio Francesco. Arata è indagato anche a Roma per una presunta tangente di 30mila euro all’ex sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri. Le sue parole, ieri, hanno portato agli arresti domiciliari Antonello Barbieri, imprenditore milanese, e Giacomo Causarano, ex funzionario regionale dell’assessorato all’Energia.

“Carola? Berlino rispetti i nostri pm e pensi a Thyssen”

Quando gli avevano chiesto se a Berlino avrebbe parlato con Angela Merkel di Carola Rackete, la capitana della See Watch 3, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva risposto: “Non so se la Merkel mi parlerà, ma potrebbe essere l’occasione per chiedere a che punto è la Germania con l’esecuzione della pena dei due manager della Thyssen-Krupp, condannati in Italia dopo regolare processo che si è esaurito in tutti i gradi di giudizio”. Poi, ieri, Conte ha parlato con la cancelliera tedesca: “Sì, mi ha chiesto della cittadina tedesca Carola Rackete. Le ho detto che in Italia, come immagino anche in Germania, il potere esecutivo è distinto da quello giudiziario e il presidente del Consiglio, pur essendo la massima autorità di governo, non può intervenire a raccomandare il comportamento che devono tenere i giudici. È nelle mani della magistratura. Poi, con l’occasione, le ho chiesto di farci sapere notizie sull’esecuzione della pena dei due manager della Thyssen condannati”.

Era il 6 dicembre 2007 quando nello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino un’esplosione causò la morte di sette operai. Uno degli incidenti sul lavoro più gravi mai accaduti in Italia. Raffaele Guariniello è il magistrato che sostenne l’accusa nel processo che ne seguì e ottenne sei condanne per omicidio colposo, inflitte ai massimi dirigenti dell’azienda. Oggi, terminata la sua esperienza in magistratura, è presidente della commissione sull’amianto istituita dal ministro dell’Ambiente.

Dottor Guariniello, che cosa c’entra la vicenda di Carola Rackete con il caso Thyssen-Krupp?

C’entra eccome. In entrambi i casi si pone il problema del rispetto dovuto alle decisioni della magistratura. In Italia e in Germania. E bene ha fatto il presidente del Consiglio a ricordarlo. È un accostamento acuto, si vede che Conte è un avvocato.

Il rispetto delle decisioni della magistratura?

Sì. Sia in Italia, sia in Germania. Nel caso See Watch la Procura di Agrigento ha avviato un procedimento a carico della capitana tedesca della nave. Ho sentito criticare l’arresto, ma io dico: non si può parlare senza conoscere le carte, le imputazioni, le motivazioni dei magistrati. Rispettiamo il loro lavoro. Io ho sempre perseguito i reati, più che gli imputati. Ma quando criticavano i miei processi senza aver letto una carta, dicevo: “Ma come fanno a parlare senza sapere di cosa si tratta?”. Questo avviene anche oggi.

Che rispetto è mancato nel caso Thyssen-Krupp?

Dopo un processo lungo e difficile, durato dieci anni, siamo arrivati a una sentenza importante che riguarda la sicurezza sul lavoro da garantire agli operai e a chi lavora in fabbrica. Ebbene, quando le condanne sono diventate definitive, nel 2016, sono state eseguite per i quattro condannati italiani. Ma non per i due tedeschi, tra cui il massimo responsabile della fabbrica. Malgrado l’impegno dell’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando e dell’attuale ministro Alfonso Bonafede, la Germania non ci ha ancora dato risposta. Siamo nel 2019 e stiamo ancora aspettando. Credo che i parenti delle vittime abbiano diritto di avere una risposta. E che ci sia un problema di equità: perché i manager italiani devono scontare la pena, e i loro superiori tedeschi no?

Harald Espenhahn, l’amministratore delegato della società Thyssen-Krupp Acciai Speciali Terni spa, è stato riconosciuto colpevole in via definitiva di omicidio colposo e condannato a 9 anni ed 8 mesi di reclusione. Condanna mai eseguita.

Mai. Sa, quando i magistrati criticano i politici, questi reagiscono dicendo: “Ma che cosa vogliono? Se vogliono fare politica, si facciano eleggere!”. E allora, quando un politico critica la magistratura, potremmo replicare: “Ma se vogliono fare loro i magistrati, facciano il concorso – se ci riescono e se hanno i titoli”. Tra politica e magistratura c’è bisogno di un profondo rispetto reciproco. Le ricordo un episodio avvenuto qualche anno fa che mi aveva molto colpito.

Quale?

Era l’agosto 2013 e un politico, in visita a una fabbrica, dichiarò che bisogna essere inflessibili su sicurezza sul lavoro e tutela dei lavoratori e che non si possono tollerare incidenti come quello accaduto alla Thyssen-Krupp di Torino.

Chi era quel politico?

Era Martin Schulz, allora presidente del Parlamento europeo. Quel giorno era in visita alla fabbrica Thyssen-Krupp di Duisburg. Sono passati molti anni e giustizia non è stata ancora fatta.