La settimana incom

 

Bocciati

Vendo casa. Lo sfratto di Morgan è diventato un’emergenza nazionale? “Sono l’ultimo bohémien di questo paese. Oggi mi sfrattano, ma questa è la legge, non è la giustizia che è al di sopra della legge”. Marco Castoldi, in arte Morgan, ha dovuto abbandonare la sua villetta di Monza, dopo che (due anni fa) il Tribunale aveva deciso per il pignoramento in seguito al mancato pagamento degli alimenti alle figlie delle sue ex mogli. E con chi se l’è presa lui? Con il sistema giudiziario e – questo è davvero inspiegabile – i suoi colleghi che lo hanno lasciato solo: “Vasco, Jovanotti e Ligabue pensano solo a fare dischi, non sono stati al mio fianco”.

 

Promossi

Buon Sangue. Non ha ancora compiuto 17 anni e la figlia di Fiona May ha già conquistato un record. Larissa ha realizzato, ai campionati di Agropoli, un impressionante 6,64 nel salto in lungo. Nessuna atleta italiana under 20 aveva mai saltato così lontano. A forza di fetta al latte è venuta su una campionessa! O più probabilmente contano i geni e i genitori: la mamma è stata due volte campionessa di salto in lungo nei mondiali, e due volte argento olimpico, e il papà Gianni è ex primatista italiano dell’asta.Che musica maestro. Intervista al grandissimo Ennio Morricone, due volte premio Oscar, su La stampa. Il maestro rivela che l’ispirazione per “Se telefonando” gli è venuta un giorno in fila alla Posta. Bellissima la risposta sul più grande rimpianto: “L’aver detto no a Kubrick per Arancia Meccanica: mi ero impegnato con Sergio Leone per Giù la testa, film di cui intendiamoci, sono molto fiero”. Una buona lezione da tenere mente: “Il bilancio della mia carriera? Il primo termine che mi viene in mente è gratitudine, ma mi riconosco l’abnegazione di una persona che è partita da zero e ha studiato tutta la vita. Quei risultati vengono dall’impegno quotidiano, durissimo, e da tanta gavetta”.

 

N.C.

Due giri di Rolex. L’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026 a Milano–Cortina è un caso di umorismo geografico involontario. Non a caso tutti hanno ricordato la battuta di Guido Nicheli, il Dogui, in Vacanze di Natale. Enrico Vanzina, sceneggiatore del film diretto da suo fratello Carlo (a cui si deve la battuta) ha raccontato i retroscena al settimanale Spy. “Ivana, fai ballare l’occhio sul tic! Via della Spiga, Hotel Cristallo di Cortina: 2 ore, 54 minuti e 27 secondi… Alboreto is nothing!!”. “È un’espressione tipica di Guido Nicheli”, ha detto Vanzina. Mentre, per quanto riguarda la battuta originale, posso dire che la prima parte era nostra, mia e di Carlo soprattutto ‘fai ballare l’occhio sul tic!’, ma ‘Alboreto is nothing’ è un’aggiunta che ha fatto Guido, e non è da poco”. Almeno ridiamoci su.

Silenzio, si mangia: milioni di click per vedere e udire chi s’ingozza

Niente ennesima conduttrice tv o foodblogger del momento che cucina di fronte a una videocamera, indugiando sulla meticolosa preparazione del piatto senza neanche, a momenti, assaggiare il risultato finale. Nel mukbang, un nuovo fenomeno nato in Corea, il cibo è sì protagonista della (video)scena, ma in maniera del tutto diversa dalla frigida preparazione del piatto occidentale, dove gli ingredienti sono trattati come attori e il piatto scompare non appena pronto. Qui, invece, dei tizi qualunque mangiano tantissimo cibo, in genere di scarsa qualità – pizza, hambuger, noodles – per un tempo anche lunghissimo (ci sono video anche di un’ora), mentre i loro follower li premiano: a volte tramite like, a volte, letteralmente, pagandoli. I mukbanger – che nulla c’entrano con chi fa le gare ad ingozzarsi di più – sono youtuber abbastanza silenziosi. A parte gridolini di piacere o commenti su ciò che si mangia, l’audio del video è generalmente rappresentato dal suono del morso del cibo, dai risucchi, dagli schiocchi del palato. Ma pur senza fare quasi nulla, i mukbanger guadagnano benissimo, fino a 10.000 dollari al mese. Soldi che arrivano dalle donazioni o da Youtube o dagli sponsor dei prodotti.

Quel piacere misterioso da voyeurismo alimentare

Ma come mai milioni di persone seguono gente priva di qualsiasi competenza, estro artistico, o ironia? Pare che i suoni del cibo – ruminare, leccare etc – producano una sensazione di rilassamento in chi li ascolta. Inoltre, gli esperti spiegano che in un paese dove la maggior parte delle persone è sola, guardare chi mangia fa sentire in compagnia, proprio come stare al tavolo con qualcuno. E infine, sembra, chi è a dieta e non può mangiare trae piacere dal vedere un altro farlo. Meglio dunque il trucido mukbanger della solita Prova del Cuoco o delle ricette di Benedetta? Non c’è dubbio, almeno quanto a simpatia. Ma di certo il mukbang non è un modello. Infatti, anche se chi pratica questa forma di social eating generalmente è in buona forma (e quando è donna, è truccata, curatissima, con lunghe unghie laccate che afferrano, come nel caso di Bethany Gaskin, quantità esagerate di crostacei), il mukbang non spinge certo a mangiare correttamente quegli adolescenti a rischio obesità che rappresentano la maggior parte dei follower. Che poi un video mukbang di Trisha Paytas che mangia pollo fritto abbia fatto 1 milione di click non è rassicurante: perché dagli a parlare di esperienza condivisa, dagli a dire che la cultura coreana è diversa, ma il mukbang sembra l’ennesima forma di voyeurismo di massa, aggravata dalla totale insensatezza di ciò che viene visto.

Persino le parodie, come quella di Showry, 1 milione di fan, che si butta addosso il ketchup con una pala, non strappa neanche mezza risata. Ma poi, d’altronde, un illustre mukbanger ce l’abbiamo anche noi. Non fa video, ma posta compulsivamente ciò che mangia, quasi sempre, appunto, cibo spazzatura. Peccato però che non sia un ragazzino delle periferia di Seul, ma il nostro ministro dell’Interno.

Wimbledon, trono vacante: Djokovic, Federer o Nadal?

In via neanche troppo teorica, il Wimbledon che parte oggi sarà una delle edizioni più incerte degli ultimi anni. Laddove, ovviamente, l’incertezza coincide comunque col solito trittico di sempre: Djokovic, Federer e Nadal (in quest’ordine). Il serbo, 32 anni, ha vinto i Championships 4 volte (compresa l’ultima edizione). Lo svizzero, 38 anni, ha trionfato in 8 occasioni. E lo spagnolo, 33 anni, ha alzato la coppa in 2 circostanze. È verosimile che per almeno due di loro (Roger e Rafa) questo sia l’ultimo treno per Wimbledon, considerato che il (lentissimo) ricambio generazionale sembra (finalmente) sempre più vicino. Forse però quest’anno è ancora “presto” perché il vincitore finale sia diverso da quei tre lì, sebbene un nuovo dominatore vivacizzerebbe il contesto. Sì, ma chi? Non Kevin Anderson, che ha fatto anche troppo un anno fa a issarsi sfinito in finale per poi lì vivere l’indicibile mitraglia con un Djokovic che proprio quel giorno si riscoprì dittatore. Forse Alexander Zverev, lungagnone ariano di rara propensione alla noia e con questa odiosa usanza taona di indossare cavezze oscene al collo, nato predestinato e fisso top ten (anzi top five) nonostante i pochi 22 anni.

Il tedescone, dotato del fascino dei facoceri bolsi sdraiati al sole, prima o poi vincerà uno Slam (più di uno, temo). Non pare però questa la sua migliore annata. E poi, tre set su cinque, soffre ancora troppo. Sarebbe bello un exploit di Tsitsipas, il greco anacronistico uscito direttamente dai 70 nonché dai Tenenbaum di Wes Anderson, ma il suo feeling con l’erba è a oggi mediamente stitico. Non resta molto. O meglio: resta tanto e in taluni casi tantissimo in chiave estetica, ma che il vincitore finale esca dai nomi già fatti pare ardito. Attenzione ad Auger–Aliassime, adolescente canadese con le stimmate del carnefice seriale, ma è presto per l’agnizione suprema.

Il sorteggio effettuato venerdì ha detto che Djokovic potrebbe arrivare in finale senza trovare né Federer né Nadal. Era la cosa a cui teneva di più. A Wimbledon, dove da quest’anno si sperimenterà il bizzarro tiebreak sul 12-12 del quinto set per evitare match chilometrici, è in voga “l’algoritmo verde”. Gli organizzatori usano cioè un sistema tutto loro per scegliere le teste di serie, non basandosi meramente sul ranking Atp ma associando a esso i risultati su erba dei tennisti. Per questo Nadal è sceso da 2 a 3 e a Federer è accaduto l’esatto contrario. Apriti cielo: Nadal si è piccato assai, spalleggiato peraltro da Djokovic, perché (effettivamente) penalizzato. Per vincere il suo terzo Wimbledon dovrà spezzare le reni prima a Roger e poi a Nole: lui tutto può, ma è dura persino per lui. Tenendo conto poi che, nei primi turni, soffre dannatamente gli specialisti e per questo è spesso inciampato la prima settimana (Rosol, Brown). Al secondo turno, a proposito, potrebbe trovare Kyrgios, ma l’australiano pare definitivamente caricatura della sua idea più malamente nichilistica: peccato, perché braccio e talento sono da campionissimo.

Vale più o meno lo stesso per Shapovalov, mancino canadese delizioso ma tatticamente citrullo, che se volesse potrebbe indispettire il maiorchino nei sedicesimi. Djokovic dovrebbe trovare – in via sempre teorica – Medveded in ottavi, Tsitsipas ai quarti e Anderson (al rientro dopo infortunio) o Zverev in semi. Se Nadal supererà la prima settimana, difficilmente non arriverà alla prima semifinale contro Federer, che tra i big ha avuto in dono il tabellone in apparenza meno ostico. Molto diverso l’approccio al torneo dei tre dopo il Roland Garros: Federer si è iscritto ad Halle e lì ha vinto per la 787esima volta, mentre Nadal e Djokovic si sono ibernati e non hanno giocato neanche un game ufficiale.

Gli italiani iscritti sono 9, sette di diritto (Fognini, Berrettini, Cecchinato, Sonego, Seppi, Fabbiano, Lorenzi) e due dalle quali (Caruso e Arnaboldi). I primi tre sono anche teste di serie. Il più futuribile è il sommamente prezioso Matteo Berrettini, 20 al mondo e 17 del seeding, che ha un tabellone arduo ma non impossibile: Bedene, Schnur o Baghdatis, Schwartzman o Krajinovoc. Per poi vivere la gogna sul Centrale con Federer negli ottavi. Ci siamo però spinti troppo oltre, perché Berrettini – potenzialmente un top ten, nonché la versione postmoderna e migliorata di Camporese – ha 23 anni e tre su cinque va scoperto. Se arrivasse alla seconda settimana sarebbe un successone. C’è tempo e non gli va messa fretta. Fognini, fresco top ten anche se qui è 12, è diversamente erbivoro. Rischia già con Tiafoe al debutto. Cecchinato ama l’erba come Salvini la Sea Watch, mentre Sonego come Seppi uno o due turni possono passarli. La pioggia potrebbe poi velocizzare i campi, a discapito di Nadal e a vantaggio degli ultimi panda del serve and volley. Sull’erba tutto può accadere. Ma per ora i più forti restano – per distacco – quei soliti tre lì.

Il breve addio di Buffon alla Juve

È il 17 maggio 2018, conferenza stampa per l’addio alla Juventus di Gigi Buffon. Andrea Agnelli: “Buongiorno a tutti. Trovare le parole è stato sicuramente molto difficile, quindi, preferisco iniziare da qualche numero, che sono numeri veramente incredibili; in serie A Gigi ha giocato 639 volte e 284 volte, cioè il 44% sono state clean sheets, vuol dire che con Gigi in porta sostanzialmente una partita su due non si subisce gol. È una persona altruista, è carismatico, è amato, è timido, è leale, è trasparente, è sincero, è onesto, è un amico, è il capitano. Il 2017-2018 è stato un anno lungo e logorante, Gigi credo che se l’aspettasse sicuramente diverso e nella sua testa, nella nostra testa, c’era sicuramente quella di andare in Russia per giocare il sesto mondiale e diventare l’unico giocatore ad aver disputato 6 mondiali; invece il 2017-2018 ci ha riservato prima Italia-Svezia, poi un infortunio che l’ha tenuto lontano dal campo per parecchio tempo, ha visto così sfumare il record di presenze in serie A, si è visto concedere un rigore contro al 93’ a Madrid che ha visto sfumare la possibilità di vincere la Champions League e qui allo Stadium si è visto segnare un gol al 90’ da Koulibaly che faceva o poteva presagire di perdere lo scudetto. Quest’anno Gigi credo che esclusi i familiari è stata la persona che ha frequentato casa mia più assiduamente, tutte le decisioni sono state condivise. Gli eventi di quest’anno appena raccontati non possono e non devono far cambiare quella che è una programmazione di lungo periodo per la Juventus, quindi quel che sappiamo oggi è che Szczesny difenderà la porta della Juventus l’anno prossimo di cui ultimo guardiano è stato appunto il capitano. Oggi io ci tengo a dire solamente una cosa: grazie, veramente grazie di cuore per questi 17 anni straordinari e ti prego Gigi goditi la Stadium sabato così come lo Stadium si goderà te. Fino alla fine”.

Gigi Buffon. “Sabato sarà la mia ultima partita con la Juventus e credo che sia il modo migliore per finire questa grandissima avventura; la mia paura era quella di arrivare diciamo alla fine della mia avventura con Juve da sopportato o da giocatore che aveva fuso il motore. Posso dire che non è così e sono veramente orgoglioso di… fino a 40 anni, fino a sabato, di aver potuto penso esprimere non dico il mio meglio però di aver espresso in campo sempre delle prestazioni all’altezza del mio nome e all’altezza del nome della Juventus. Per me è la più grande gratificazione perciò arrivo a questo saluto veramente sereno e felice perché non è scontato ecco per uno sportivo essere così secondo me longevo e allo stesso tempo performante. Voglio concludere ringraziando veramente la famiglia Juventus e la Juventus”.

19 maggio 2018, lettera aperta di addio di Buffon alla Juventus:

6111, Seimilacentoundici giorni. / Seimilacentoundici attimi di pura passione. / Di gioia, di pianti, di sconfitte e di vittorie. / Grazie. / Grazie ad ognuno di voi. / Con domani si conclude un percorso. / Termina un libro che abbiamo scritto insieme. / L’emozione è tanta. / Troppa. / Comincerà inevitabilmente un percorso nuovo. / Un libro nuovo. / Deve cominciare.

1 luglio 2019, contrordine; si scherzava, Gigi è vivo e lotta (nella Juve) assieme a noi. Il lungo addio di Chandler, al confronto, era una sveltina.

Diritto di cura negato: farmaci introvabili

Agiugno il medicinale più introvabile in Italia è stato il Moduretic, un diuretico di fascia A (rimborsato dallo Stato) per pazienti con edema di origine cardiaca, cirrosi epatica o ipertensione.

Ma la lista dei farmaci mancanti è lunghissima, almeno 200 molecole secondo Aifa. La periodica e prolungata carenza di terapie salvavita, che va avanti da anni, mette a rischio la salute pubblica. Domani al ministero della Salute è stato convocato un tavolo tecnico con tutti gli attori coinvolti (Aifa, Agenas, Regioni, Farmindustria, Assogenerici, Federfarma e distributori–grossisti) per cercare soluzioni da portare anche a Bruxelles. La scomparsa a intermittenza di certi farmaci riguarda molti Paesi Ue. La causa, spiega il direttore di Aifa Luca Li Bassi, “non è solo il mercato parallelo, quando il distributore compra dove costa meno e rivende dove costa di più. Ci sono altri motivi ma serve fare chiarezza e creare un database a livello europeo”. Urge una nuova governance del mercato farmaceutico che metta al primo posto il diritto alla salute e non le logiche del commercio.

Tassi d’interesse più bassi di sempre: rischio crolli in borsa e crescita a freno

Per distillare il succo della politica monetaria globale dopo la Grande Recessione bastano alcune cifre: le banche centrali del globo hanno operato 715 tagli dei tassi di interesse; le più importanti banche centrali delle economie capitalistiche (US Federal Reserve, BCE, Banca del Giappone, Banca d’Inghilterra, Banca Nazionale Svizzera) hanno acquistato 12,4 trilioni di dollari in attivi finanziari (in massima parte titoli di stato); le obbligazioni con tassi negativi hanno raggiunto nel mondo 12,5 trilioni di dollari; la media dei rendimenti sui titoli di stato a 10 anni di Usa, Regno Unito, Giappone Svizzera, Australia, Francia e Giappone (un paniere che abbraccia i 5 continenti) è 0.59%.

Al quadro possiamo aggiungere qualche pennellata: il governo austriaco sul suo debito a 100 anni paga un interesse inferiore all’1.12%; il titolo di stato greco a 10 anni rende l’1,44% annuo (nel 2012 era il 44%); nel mese di maggio il rendimento medio (ipotetico) delle obbligazioni emesse da aziende americane (con rating superiore ad A) detenute per 100 anni è stato calcolato dal Tesoro Usa al 4,46%.

In sintesi, dai tempi delle piaghe d’Egitto non si registravano tassi di interesse talmente bassi. Inoltre nella maggiore economia del pianeta la disoccupazione è ai minimi dai tempi di Elvis, gli indici di borsa sono ai massimi storici e il ciclo di crescita ha battuto tutti i record di durata. In un tale contesto cosa eccita il dibattito di politica monetaria e le aspettative degli investitori? Ulteriori tagli dei tassi di interesse in Usa e in Eurolandia, ça va sans dir, per drogare ulteriormente i mercati.

Invece tali distorsioni rischiano di interrompere bruscamente la crescita con un trauma finanziario. Infatti gestori irresponsabili per migliorare la performance escogitano strategie pseudo innovative. Purtroppo però risultano analoghe a quelle che storicamente hanno innescato i crolli di borsa: investimenti avventati in attività illiquide effettuati a leva grazie ai tassi di interesse rasoterra. L’ultimo caso è quello dei fondi H2O, che a dispetto del simbolo chimico, sono incappati in una crisi di liquidità. È il terzo caso macroscopico dopo che GAM Holdings (lo scorso agosto) e il fondo Woodford (poche settimane fa) erano stati costretti a congelare i conti dei sottoscrittori in fuga. Le banche centrali contribuiscono a diffondere un fallace senso di sicurezza in istituzioni che o non capiscono i rischi o li gestiscono in modo dilettantesco (e talora deliberatamente truffaldino). Al momento sono coinvolti solo gli interstizi della finanza, ma dovrebbe scattare l’allarme sui potenziali rischi sistemici. Bisogna appurare perché, paradossalmente, in un mercato che le banche centrali inondano di liquidità, certi gestori patrimoniali vengono massacrati da problemi di illiquidità

Cancellazioni, bagagli persi e ritardi: il bestiario nei cieli

Un’estate all’insegna dei ritardi aerei. È questa la previsione che arriva dagli addetti ai lavori con previsioni nefaste malgrado le misure adottate per contrastare il problema. “Trovare soluzioni per la crisi di capacità è urgente”, ha ribadito Violeta Bulc, commissario europeo per i Trasporti. Intanto, però, nel 2018, il solo aumento del 3,8% del traffico aereo in Europa è stato sufficiente a portare i cieli già affollati del Vecchio Continente a un punto critico. Tanto che su circa 11 milioni di voli i minuti di ritardo accumulati sono arrivati a 19,1 milioni, più del doppio del 2017. Con i tempi di attesa più lunghi che si sono verificati durante la stagione estiva. Del resto, spiega AirHelp (che si occupa dell’assistenza ai passeggeri aerei in casi di problemi in aeroporto) il 2018 è stato l’anno record delle interruzioni di volo e disagi: 10 milioni di passeggeri in tutto il mondo hanno subito ritardi e cancellazioni, mentre sono 46mila gli italiani che ogni giorno hanno avuto problemi con il proprio volo, un dato in aumento del 20% sul 2017, soprattutto a causa degli scioperi. Ma anche il 2019 non promette nulla di buono. Sempre secondo AirHelp, per l’Italia si prevedono più di 137 mila voli con interruzioni che causeranno disagi a 17 milioni di passeggeri, soprattutto a causa di scioperi, carenza di piloti e disguidi nel periodo estivo.

Peccato, però, che questo sia solo l’apice del bestiario delle disavventure dei passeggeri a cui aggiungere il ritardo dei voli, l’overbooking, lo smarrimento dei bagagli, ma anche il dramma delle truffe e dei raggiri quando si prenota tramite tour operator e i continui cambiamenti imposti dalle compagnie sulle tariffe.

È il caso di Ryanair. La low cost irlandese ha modificato nuovamente le regole sui bagagli, impedendo di fatto di portare quello a mano gratuitamente in cabina. Da circa un mese, infatti, tutti i passeggeri possono salire a bordo solo con una borsetta, le cui dimensioni sono passate da 55 cm x 40 cm x 20 cm alle attuali 40 cm x 20 cm x 25 cm. Il bagaglio a mano, quello per intenderci da 10 kg, va quindi acquistato (la tariffa va da 10 a 12 euro che aumenta fino a 25 euro se compera al gate) e consegnato al banco check-in. Regole contro le quali, salvo l’apertura di un’indagine dell’indagine Antitrust, sarà impossibile opporsi. Al contrario di tutti gli altri disagi in aeroporto che mettono a dura prova anche i nervi dei passeggeri più pazienti. Rivalersi sulla compagnia è, infatti, una procedura facile da seguire, ma pochi la conoscono. Tanto che, secondo AirHelp, nel mondo meno del 2% degli aventi diritto ha richiesto e ottenuto il risarcimento, mentre sul fronte italiano nella sola estate del 2018 i passeggeri avrebbero avuto diritto a un risarcimento di 94 milioni di euro. Peccato che solo il 42% dei destinatari abbia fatto richiesta di indennizzo. E dall’inizio dell’anno, le compagnie aeree dovrebbero già rimborsare oltre 83 mila italiani.

Di quanto parliamo? Secondo la normativa europea, per voli in ritardo, cancellati o imbarchi negati, tutte le compagnie aeree (low cost comprese) devono corrispondere 250 euro per i voli intracomunitari inferiori o pari a 1.500 km, 400 euro per i voli intracomunitari superiori a 1.500 km, 250 euro per i voli internazionali (inferiori o pari a 1.500 km), 400 euro per i voli internazionali tra 1.500 km e 3.500 km e 600 euro per i voli internazionali superiori a 3.500 km. E non deve mai essere negata l’assistenza di pasti e bevande in relazione alla durata dell’attesa, un’adeguata sistemazione in albergo, i trasferimenti dall’aeroporto al luogo di sistemazione e viceversa, due chiamate telefoniche o messaggi via telex, fax o e-mail. Inoltre, per il passeggero restano validi i diritti per rimborso, riprotezione (arrivare comunque a destinazione con altri voli), assistenza e compensazioni pecuniarie (ad esempio i soldi spesi per pagare taxi, treni o altri trasporti), ma le modalità del rimborso sono assai diverse. Non è, infatti, dovuto se la compagnia aerea prova che la cancellazione è stata causata da circostanze eccezionali come le avverse condizioni meteorologiche, gli allarmi per la sicurezza o gli scioperi, se il passeggero era già stato allertato 2 settimane prima della data fissata o se viene offerto un volo alternativo per la stessa rotta con condizioni simili al volo originario.

Mentre in caso di smarrimento, danneggiamento, ritardata consegna del bagaglio registrato, il passeggero ha diritto a un risarcimento fino a 1.164 euro in caso di compagnie aeree dell’Unione europea e dei Paesi che aderiscono alla Convenzione di Montreal, e circa 19 euro per kg di bagaglio in caso di compagnie aeree che aderiscono alla Convenzione di Varsavia.

Guerra ai diesel? Ma a quelli vecchi

S econdo l’ultima ricerca della Deloitte, il 60% degli italiani ritiene che non sia più necessario usare veicoli a combustibile fossile. Percentuale che sale di venti punti se gli si prospetta la sostituzione dell’acquisto “tradizionale” con qualcosa di meno inquinante. Nobile intento, che tuttavia per quasi la metà degli intervistati viene meno davanti ai prezzi dei mezzi elettrici, ancora proibitivi. Ora, tralasciando facili considerazioni sull’effettiva consistenza della coscienza ecologica propria e altrui, bisognerebbe ricordare che da un paio d’anni a questa parte, ovvero da quando è cominciata la crociata contro il diesel in nome dell’aria pulita, quell’aria è diventata ancora più sporca. Giusto la scorsa settimana l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha diffuso dati che fotografano un aumento dell’anidride carbonica dell’1,6% lo scorso anno, rispetto al 2017. E il trend pare prosegua. Nonostante il fatto che ormai da tempo le auto a benzina abbiano superato quelle a gasolio nelle preferenze degli automobilisti europei: nel 2018 ne sono state vendute otto milioni e mezzo, contro i 5,4 milioni di veicoli a gasolio. L’aria è più inquinata nonostante il crollo del diesel, perché tecnicamente quelli di ultima generazione permettono di tenere sotto controllo le emissioni di anidride carbonica più efficacemente rispetto alla benzina. Per non parlare del particolato di piccole dimensioni. Come già detto diverse volte, la guerra bisogna farla ai motori diesel vecchi, non a quelli nuovi.

Kia XCeed, da subito, anche elettrica

Far atterrare chirurgicamente nuovi modelli e tecnologie verdi dove e quando le richiede il mercato. Il gruppo coreano Hyundai–Kia ora più che mai è protagonista di rumors che lo vedono pronto anche ad acquisizioni illustri, conservando il pragmatismo che lo ha portato a diventare il 5° costruttore mondiale. Una progressione costante nelle vendite e nella qualità delle auto, mentre si afferma la sua piattaforma di motorizzazioni ibride. Una sfida che oggi aggiunge un tassello importante come il nuovo crossover medio Kia XCeed. Presentata in anteprima a Francoforte, dove il marchio ha stabilito il suo centro di design, la XCeed verrà costruita nella fabbrica ceca di Zilina, con un orizzonte europeo che sta tutto nel bilanciamento riuscito tra dimensioni compatte e look sportivo. Lunga 4.395 mm, ma più bassa e filante rispetto al suv Sportage orientato alle famiglie, XCeed arriverà in Italia in autunno ad un prezzo, forse, poco superiore ai 20 mila euro. La personalità c’è anche sul piano tecnologico, con il debutto della nuova strumentazione Supervision completamente digitale con un display da 12,3 pollici che si affianca a quello centrale da 10,25, tramite cui gestire il sistema telematico UVO Connect. Paragoni voluti con il mondo Volkswagen, inevitabili anche negli interni, modulari e con una capacità di carico fino a 1.378 litri. Molto diretto il messaggio che arriva dalla gamma motori, con i benzina 1.0 da 120 Cv, 1.4 da 140 Cv e 1.6 da 204 Cv affiancati dal diesel 1.6 da 115 o 136 Cv, ma soprattutto dalle due varianti mild hybrid e plug-in hybrid, in listino già da inizio 2020: inutile aspettare.

Ford Puma, il ritorno. Un crossover ibrido da città

Nel 2018, in Europa, la categoria dei suv è cresciuta del 18%: da sola vale 5,3 milioni di unità (+800 mila sul 2017), circa un terzo del mercato totale. Gli sport utility compatti, poi, hanno fatto faville: +37% e 1,83 milioni di pezzi immatricolati. Ecco perché la nuova scommessa commerciale di Ford è un crossover di taglia urbana: si chiama “Puma”, come la piccola sportiva venduta fino a 17 anni fa. Lunga 4,2 metri, la Puma sfrutta la piattaforma costruttiva della Fiesta, rispetto a cui il passo lievita di 9 cm, per 258 totali, mentre la seduta si alza di 6 cm: si distingue per gruppi ottici frontali a sviluppo verticale, ispirati a quello della supercar GT, per le carreggiate larghe e per una linea di cintura tesa, che contribuisce a scolpire la fiancata. All’interno spiccano il touchscreen dell’infotainment da 8’’ e il quadro strumenti digitale da 12.3’’.

Non mancano, poi, soluzioni votate alla versatilità e allo stile, come i sedili anteriori e posteriori con rivestimenti rimovibili e lavabili o il tetto panoramico apribile a tutta lunghezza. Inoltre, la Puma offre il sedile con massaggio lombare e l’Hands–free Tailgate, l’apertura e chiusura automatizzata del portellone: per attivarlo basta dare un colpetto col piede sotto al paraurti posteriore. Elevata la spaziosità, come testimonia il bagagliaio da 456 litri che, con la seconda fila di sedili reclinata, può ospitare oggetti lunghi fino a 112 cm, larghi 97 e alti 43. Se non bastasse, è presente un ulteriore vano da 80 litri di volume, ricavato sul fondo del baule: uno spazio di 76 cm di larghezza, 75 cm di lunghezza e 30 cm di profondità; così si può anche trasportare una pianta da appartamento senza che cada lateralmente. Sotto al cofano i motori EcoBoost tre cilindri turbo da 1 litro, con potenze da 125 a 155 Cv e tecnologia mild–hybrid a 48 volt: il consumo medio dichiarato parte da 5,8 l/100 km, limitato pure da accortezze tecniche come la disattivazione programmata dei cilindri che, in determinati frangenti di guida, può spegnerne uno per migliorare l’efficienza.

Fra le tecnologie di ausilio alla guida anche l’Adaptive Cruise Control con Stop&Go e il Local Hazard Information: avverte il guidatore di eventuali pericoli presenti su strada prima che questi vengano rilevati dai sensori dell’automobile. Puma sarà in vendita dalla fine dell’anno e verrà prodotta presso lo stabilimento di Ford a Craiova, in Romania, dove dal 2008 il costruttore americano ha investito oltre 1,5 miliardi di euro. I prezzi sono da definire (la entry level dovrebbe costare circa 20 mila euro), mentre le concorrenti designate sono, in primis, Renault Captur e Peugeot 2008.