Spinte poco gentili: come ribellarsi al nuovo liberismo

Mentre erano impegnati a demolire lo Stato sociale, i neoliberisti ignoravano la psicologia comportamentale. Il loro credo era: solo i mercati sono razionali. Il punto di partenza dell’economia comportamentale viene individuato in un saggio pubblicato nel 1980 da Richard Thaler. Ma il decollo della nuova disciplina avvenne dopo il crac del 2001, quando imprese e governi cominciarono a rendersi conto che la gente rifiutava di conformarsi agli imperativi del mercato. Se qualcuno ci proponeva polizze ipotecarie miste che non avrebbero mai ripagato il debito originario, noi le acquistavamo. Se qualcuno ci proponeva un reddito garantito grazie a fondi pensione che operavano su mercati azionari altamente instabili, chiedevamo: “Dove firmo?”. All’apice dell’era neoliberista, la gente effettuava scelte di mercato irrazionali su vasta scala.

Il libro di Thaler del 2008, Nudge: la spinta gentile, scritto insieme all’avvocato Cass Sunstein, diede vita alla strategia del “paternalismo libertario”, adottata da molti governi quando la logica del libero mercato iniziò a non funzionare più. Nudge divenne la fonte di ispirazione di tanti gruppi di lavoro per la definizione delle politiche. Nel 2013, per esempio, notando che gli studenti poveri tendevano a non presentare domanda d’iscrizione alle università più prestigiose del Regno Unito, il Team di idee comportamentali del governo britannico lanciò un esperimento ispirato al libro di Thaler: spedirono a undicimila studenti delle superiori una lettera scritta da uno studente di una prestigiosa università, dove si sottolineava che frequentare atenei di quel tipo poteva essere più conveniente perché offrivano maggiore supporto finanziario agli studenti poveri.

Nel 2017 i media sbandierarono i risultati positivi dell’iniziativa. Fra chi aveva ricevuto le lettere, era cresciuto il numero di quelli che presentavano domanda di iscrizione, che si vedevano offrire un posto e lo accettavano: anche se, sottolineavano i ricercatori, non era cresciuto abbastanza da risultare statisticamente significativo. Per il costo complessivo di 45 sterline per studente, si era ottenuto il risultato apparente di salvare 222 persone dal rischio di frequentare un’università di basso livello e procurare loro un posto in un ateneo più prestigioso.

Ma se si va a leggere lo studio reale, si scopre che gli autori affermano: “Anche se i nostri interventi sono risultati marginalmente efficaci, vale la pena osservare che non è stato riscontrato alcun effetto generale riguardo alla probabilità che gli studenti presentino domanda all’università”. E questo perché, nel 2010, il governo innalzato le rette universitarie da 3000 a 9000 sterline l’anno, e successivamente aveva privatizzato la società per i prestiti universitari, che ora poteva imporre agli studenti tassi di interesse del 6 per cento quando il tas‑ so base della banca centrale era dello 0,25 per cento.

Una strategia molto più semplice, e un segnale più chiaro alla società, sarebbe costringere le università d’eccellenza a adottare quote per ragazzi di famiglie povere (come alcune hanno fatto spontaneamente). Una strategia ancora migliore sarebbe, come prometteva il Partito laburista nella campagna per le elezioni politiche del 2017, rendere gratuita l’università. La strategia socialmente più giusta di tutte sarebbe attaccare la povertà alle radici garantendo uno Stato sociale generoso. Poiché nulla di tutto ciò è concepibile per la classe dirigente neoliberista, quello che ci rimane sono le “spinte gentili”.

Certi giorni si ha la sensazione che queste spinte gentili siano onnipresenti nella nostra vita. Succede al caffè, dove lavoratori angariati e sottopagati sono costretti a sorridervi e a suggerirvi una ciambella più grande; succede al lavoro, dove tutta la squadra dei dirigenti è costretta a frequentare corsi motivazionali e continua a dire “Dobbiamo pensare positivo” anche se l’azienda sta andando a gambe all’aria.

Le strategie di nudge esistono perché i mercati sono ingiusti, però non curano l’ingiustizia dei mercati: al contrario, pretendono da noi che partecipiamo all’illusione che i mercati funzionano. Pretendono che crediamo anche noi nella tesi precostituita che una regolamentazione forte è un ma le e che l’ “architettura della scelta” è un bene. Ci costringono, insomma, a riprodurre consapevolmente il neoliberismo, come se dovesse funzionare “per forza”, perché la teoria che funzioni spontaneamente ha fallito.

Pertanto, una delle cose più efficaci che possiamo fare è rigettare i vecchi sistemi di controllo comportamentale a livello individuale. Alcune persone già lo fanno: comprano solo caffè equo e solidale, indossano costosi jeans fatti a mano in Galles invece di quelli economici prodotti in serie in Bangladesh, fanno fermare un taxi guidato da un razzista. Ma per creare una svolta comportamentale dobbiamo portare a un livello più alto il rigetto dei valori di mercato imposti. Si può facilmente immaginare come: clienti che rifiutano di usare le casse automatiche costringendo i supermercati a impiegare esseri umani, persone che sfruttano in modo aggressivo i loro diritti di consumatori e soprattutto persone che rifiutano esplicitamente queste spinte gentili.

Oggi, il modo più efficace per scatenare la valanga è essere una piccola pietra e cominciare a rotolare.

Corruzione e sport, accuse fino al vertice del Qatar

Da diversi anni si sospetta che il Qatar abbia “comprato” l’organizzazione di alcune rassegne sportive. Ma per la prima volta si indaga sul ruolo attivo che avrebbe svolto il capo di gabinetto dell’emiro del Qatar, Tamim Al-Thani, al momento della candidatura di Doha per i Mondiali di Atletica del 2017.

La vicenda si sta trasformando in affare di Stato, stando a quanto emerge da alcuni documenti confidenziali che Mediapart e il quotidiano britannico The Guardian hanno potuto consultare. Il giudice Renaud Van Ruymbeke si sta occupando del caso nell’ambito di una vasta indagine giudiziaria per presunta corruzione all’Iaaf, la Federazione internazionale di atletica, e nella quale anche Nasser Al-Khelaïfi, patron del Psg e del canale BeIN Sports, è stato indagato per “corruzione attiva” a fine maggio. Accuse che lui nega.

Come rivelato da Mediapart, l’inchiesta riguarda il versamento sospetto di 3,5 milioni di dollari effettuato nel 2011 dalla Oryx QSI, una società gestita da un fratello di Nasser Al-Khelaïfi, a favore di un’altra società, la senegalese Pamodzi, di proprietà di Papa Massata Diack, figlio dell’ex presidente dell’Iaaf, Lamine Diack, oltre che all’epoca consulente commerciale della Federazione, incaricato di negoziare i diritti dei Mondiali. La Oryx QSI aveva promesso di acquistare i diritti alla società di Massata Diack, ma solo a condizione che al Qatar fossero assegnati i Mondiali del 2017. Il contratto prevedeva soprattutto il pagamento non rimborsabile di 3,5 milioni di dollari ai sensi della “campagna per la candidatura”. Una mail confidenziale, che non figura nel fascicolo giudiziario, mostra che un bonifico per una somma di denaro quasi equivalente (5 milioni di dollari, di cui 440.000 in liquidi) era stato negoziato appena otto giorni prima da Papa Massata Diack e dal direttore di gabinetto dell’attuale emiro del Qatar.

Il carteggio sospetto di mail

La nostra inchiesta mostra anche che, diversamente da quanto ha comunicato al giudice, Nasser Al-Khelaïfi ha partecipato in prima persona alla campagna del Qatar per ottenere i Mondiali del 2017 e le Olimpiadi del 2020. Una mail già resa nota da The Guardian, e che Mediapart ha consultato, mostra che il 4 ottobre 2011 Papa Massata Diack, detto Pmd, era a Doha insieme a una delegazione dell’Iaaf per valutare gli eventuali siti che avrebbero potuto accogliere le prove dei Mondiali del 2017. Due giorni dopo, Pmd ha scritto una mail che inizia con “Caro sceicco Khaled” e in cui si legge: “La ringrazio ancora per l’accoglienza e le attenzioni al momento del mio soggiorno a Doha. Le allego le coordinate bancarie per il trasferimento dei 4,5 milioni di dollari, da effettuare come stabilito. Il saldo di 440.000 deve restare a Doha in cash. Lo ritirerò la prossima volta che verrò in Qatar”.

Papa Massata Diack precisa nella mail che il pagamento deve essere realizzato “d’urgenza, entro oggi, in modo tale da poter finalizzare le cose con il presidente” e di mostrargli “il contratto firmato e la conferma della banca”. Il “presidente” in questione è molto probabilmente l’ex presidente della Federazione internazione di atletica, il padre di Pmd, Lamine Diack. Per quanto riguarda il “contratto”, si tratta invece con molta probabilità di quello concluso tra la sua società, Pamodzi, e la Oryx QSI, gestita da uno dei fratelli di Nasser Al-Khelaïfi.

I versamenti nel mirino

Otto giorni dopo, la Orxy QSI ha effettuato un primo versamento di 3 milioni di dollari alla Pomodzi, in Senegal. Ne è seguito un secondo di 500.000 dollari il 7 novembre. Al momento dei fatti, Tamim Al-Thani, succeduto al padre Hamad nel 2013, era principe ereditario, presidente del comitato olimpico del Qatar e membro del comitato esecutivo del Comitato internazionale olimpico (Cio). Ed era soprattutto incaricato dal padre di pilotare la strategia del ricchissimo emirato per ottenere le più prestigiose competizioni sportive, tra cui, a fine 2010, i Mondiali di calcio del 2022, al centro di varie inchieste per corruzione. Una mail suggerisce che, all’epoca, Papa Massata Diack era in contatto diretto con il principe ereditario. Pmd ha scritto infatti al capo di gabinetto di Tamim Al-Thani, che niente lo obbligava a inviare alla Orxy QSI un documento per provare il suo ruolo di consulente della Iaaf, mentre “è un dovere fornirlo a Sua Altezza e a lei – ha scritto – poiché siete i soli a conoscere il ruolo che svolgo nella vicenda”. In Qatar il titolo di “altezza” è riservato a una manciata di membri più eminenti della famiglia reale, tra cui l’emiro, le sue mogli e il principe ereditario. La mail del 6 ottobre 2011 è dunque esplosiva.

Finora, Tamim Al-Thani e il suo capo di gabinetto non erano mai figurati direttamente nell’inchiesta, già molto ricca, portata avanti dal team del procuratore Jean-Yves Lourgouilloux del tribunale nazionale finanziario (Pnf) e dal giudice Renaud van Ruymbeke. Contattati da Mediapart e The Guardian, i due non hanno dato seguito alle richieste di intervista. La giustizia sospetta che il pagamento dei 3,5 milioni di dollari, un mese prima del voto per l’assegnazione dei Mondiali del 2017, doveva servire o a fare pressione su Lamine Diack (il Qatar ha poi perso, ma ha ottenuto l’edizione del 2019), o come controparte all’accordo, firmato tre mesi prima dal presidente dell’Iaaf, secondo il quale i Mondiali 2017 e le Olimpiadi 2020 si sarebbero potuti tenere a settembre, condizione indispensabile al Qatar per poter candidarsi alle due competizioni. La presunta corruzione ai Mondiali di Atletica è al centro di una seconda procedura, che riguarda anche l’assegnazione delle Olimpiadi del 2016 a Rio e quelle del 2020 a Tokyo, in cui Papa Massata è sospettato di aver chiesto dei soldi in cambio del voto del padre. Su Papa Massata Diack, che è stato bandito da ogni attività sportiva e non intende lasciare il Senegal, pende un mandato di arresto internazionale emesso dalla Francia nel 2017. Da parte sua, Nasser Al-Khelaïfi, convocato per la seconda volta dai giudici la settimana scorsa, come rivelato dal giornale L’Équipe, si dice innocente.

“The brain”: il gruppo segreto

Il presidente del Psg sostiene di non essere stato messo al corrente del versamento e che la Orxy QSI è gestita solo da suo fratello Khaled. Al momento della prima convocazione, a marzo, Al-Khelaïfi aveva ammesso di essere stato azionista della società al 50%. Un documento fornito in seguito da uno dei suoi collaboratori dimostra che la partecipazione nel capitale era limitata al periodo tra il 2013 e il 2016. “Il mio cliente non ha mai firmato nulla, e nel 2011 non era né azionista né dirigente della società”, ha spiegato il legale di Al-Khelaïfi a L’Équipe. Il presidente del Psg ha assicurato al giudice di non aver svolto alcun ruolo, nel 2011, nelle candidature sportive del Qatar. Invece, all’epoca, Al-Khelaïfi era membro di un comitato segreto composto da cinque personalità e battezzato “The Brain Trust”. Il suo compito era spalleggiare il principe ereditario Tamim Al-Thani e sua sorella, la sceicca Al-Mayassa, nel tentativo di ottenere le Olimpiadi del 2020. Il capo di gabinetto di Al-Thani ha scritto in una mail che “Sua Altezza” ha personalmente convalidato la composizione del comitato, all’interno del qualeNasser Al-Khelaïfi era responsabile delle “questioni legate ai media”. Altri documenti dimostrano che ad Al-Khelaïfi, proprietario di BeIN Sports (all’epoca ancora Al-Jazeera Sports), era stato dato il ruolo di aiutare il Qatar ad ottenere i Mondiali di Atletica del 2017. Il 26 giugno 2011, Al-Khelaïfi ha ricevuto una lettera di Saoud Al-Thani, segretario generale del comitato olimpico del Qatar, presidente del comitato per la candidatura ai Mondiali del 2017 e membro del “comitato di cervelli” per le Olimpiadi del 2020. In questa lettera si chiede a Al-Khelaïfi che BeIN Sports “sostenga” la candidatura del Qatar, acquisendo i diritti televisivi di tutte le competizioni dell’IAAF per il Medio Oriente e il nord Africa, dal 2014 al 2019 ( il canale aveva già i diritt fino al 2013). Il 3 luglio 2011, Nasser Al-Khelaïfi ha accettato, scrivendo che BeIN Sports “è molto felice di far parte del team del comitato per la candidatura per i Campionati IAAF a Doha e di lavorare direttamente sul successo della rassegna in Qatar”.

A fine marzo queste lettere sono state consegnate al giudice Van Ruymbeke da Yousef Al-Obaidly, direttore generale di BeIN, anche lui indagato per “corruzione attiva”. Yousef Al-Obaidly ha riconosciuto di avere una “relazione privilegiata” con Nasser Al-Khelaïfi: hanno giocato a tennis circa 30 anni fa, prima di lavorare insieme alla Federazione di tennis del Qatar e poi a BeIN Sports e negli altri organismi che Al-Khelaïfi dirige. Al-Obaidly infatti è nel Cda del Psg e del Fondo sovrano qatariota QSI, azionista del Psg. Al-Obaidly, nel 2011 direttore commerciale di BeIN Sports, doveva attuare la promessa fatta al presidente del comitato per la candidatura Doha 2017: acquistare i diritti televisivi dell’IAAF. È in questa occasione che Al-Obaidly ha incontrato Papa Massata Diack, che vendeva i diritti per la Federazione. Stando a Al-Obaidly, l’IAAF, insaziabile, ha fatto sapere al comitato per la candidatura “che servivano maggiori sollecitazioni finanziarie”. Ma secondo lui un problema tecnico sussisteva: come gruppo di media, BeIN poteva acquistare i diritti televisivi, per un valore di 1,5 milioni di euro, ma non i diritti di sponsoring, per i quali Diack voleva 30 milioni. Bisognava trovare una società pronta ad acquistare tutto il pacchetto, poi a rivendere i diritti televisivi a BeIN e a trovare degli sponsor. Come rivelato dal Sunday Times, il Qatar aveva utilizzato lo stesso metodo anche per il Mondiale di calcio 2022. A novembre 2010, 3 settimane prima del voto, Al-Jazeera aveva acquisito i diritti televisivi dalla Fifa per 300 milioni di dollari… Con l’aggiunta di 100 milioni se il Qatar avesse ottenuto i Mondiali! Il contratto era stato firmato da Al-Khelaïfi e Al-Obaidly. Era evidente invece che, per i Mondiali di Atletica, l’offerta non soddisfaceva il figlio del presidente dell’IAAF. Nella mail si legge come PMD chiedeva 5 milioni, senza condizioni. Una somma che diceva di aver negoziato direttamente con il capo di gabinetto del principe ereditario, durante il viaggio a Doha del 4 ottobre 2011. (traduzione Luana De Micco)

Trump e Kim, stretta di mano sul confine

Un passo nella storia. O solo un passo sul palcoscenico della diplomazia, quello che Donald Trump predilige: il magnate presidente ha ieri traversato da solo il confine fra le due Coree a Panmunjom ed è così diventato il primo presidente degli Stati Uniti a mettere piede nella Corea del Nord. Dopo la stretta di mano con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, Trump ha detto: “Mi sento benissimo. È un piacere vederti di nuovo”.

Il dittatore ha risposto che “non si sarebbe mai aspettato” d’incontrarlo lì. Soprattutto dopo che il loro secondo vertice, a Hanoi, a febbraio, era finito con un nulla di fatto stizzito. Nei mesi successivi Kim era di nuovo diventato il cattivo, con lanci di missili dimostrativi e una serie di atrocità attribuitegli dalle intelligence americana e sudcoreana.

La sceneggiata di ieri è stata organizzata in gran segreto, appendice del G20 di Osaka in Giappone: lì il colloquio con Xi Jinping ha prodotto un riavvio dei negoziati commerciali Usa-Cina e Xi, che è stato di recente a Pyongyang, ha certamente fornito qualche input a Trump sui rapporti con la Corea del Nord. Il magnante presidente è poi andato da Osaka a Seul, per incontrare il vero artefice di questa distensione, il presidente sudcoreano Moon Jae-in; e, quindi, al confine tra le due Coree, lungo la linea demilitarizzata che corre sull 38° parallelo e che, dal 1953, è una delle frontiere più calde al Mondo. A Panmunjon, dove, nell’inverno del 2018, si erano già incontrati Moon e Kim, ci sono stati lo “sconfinamento” di Trump e la stretta di mano con Kim. Dopo la simbolica “passeggiata” in territorio nordcoreano, i due sono tornati alla linea di confine, dove si sono messi in posa per le foto di rito. Ripassati a Sud, hanno risposto con accenti retorici alle domande dei giornalisti e sono stati raggiunti da Moon, cui è seguito un colloquio informale. Ne è scaturita – fonte Trump – l’ipotesi di riprendere a luglio i negoziati sul nucleare, che, finora, non hanno prodotto alcun risultato, anche perché gli Usa non hanno fatto concessioni sul fronte delle sanzioni. Il gesto di Trump, che era nell’aria da sabato a Osaka, ma non era stato confermato, ha suscitato echi positivi in Estremo Oriente e ha acceso una speranza in Papa Francesco (“Sia un passo verso la pace”).

A Washington, invece, i leader democratici e gli aspiranti alla nomination per Usa 2020 sono estremamente critici sullo “show con il dittatore” del presidente, che – osservano all’unisono – continua a legittimare con i suoi comportamenti il terzo rampollo dell’unica dinastia comunista esistente.

Senza per altro ottenere risultati: Trump tratta da amico Kim, che ha l’atomica; e tratta da nemico l’Iran, che non ce l’ha e che s’è impegnato a non dotarsene. Una contraddizione stridente, che potrebbe essere foriera di conseguenze.

Nomine Ue, il Ppe spaccato fa saltare l’accordo di Osaka

Si trattaper tutta la notte a Bruxelles, dove il Consiglio europeo straordinario per decidere i top jobs europei inizia con due ore di ritardo, proprio per i bilaterali continui e frenetici che lo precedono. Le divisioni nel Ppe fanno saltare prima dell’inizio del Consiglio lo schema preparato da Angela Merkel. Al G20 di Osaka si era arrivati a un mezzo accordo: prevedeva Frans Timmermans del Pse alla guida della Commissione, Manfred Weber del Ppe presidente del Parlamento, il premier liberale belga Charles Michel alla guida del Consiglio Ue e la popolare Kristalina Georgieva come successore della Mogherini alla politica estera e di difesa comune. A Parigi sarebbe andata invece la presidenza della Bce, con il governatore della Banca di Francia, Villeroy de Galhau. Il no a Timmermanns si porta dietro quello a Weber. L’ipotesi più semplice sarebbe ripartire da un leader del Ppe. Ma si riflette su soluzioni fantasiose: come quella di far votare i 3 candidati (oltre a Timmermanns e Weber, Margarethe Vestager dell’Alde) dall’Europarlamento, che nella plenaria di mercoledì deve eleggere il suo presidente.

Telecamere cinesi: gli States le vietano, Roma le acquista

Il 2 aprile scorso la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha annunciato un accordo con Huawei: il produttore cinese fornirà i sistemi di videosorveglianza a San Lorenzo e all’Esquilino, dopo quelli installati nel 2018 al parco archeologico del Colosseo. Le nuove telecamere “intelligenti”, ha spiegato Raggi, “direttamente collegate con le forze dell’ordine, saranno in grado di seguire vandali o autori di reati. Se comparisse una persona con precedenti, la polizia potrà intervenire con maggior tempestività”.

Ma nei mesi precedenti gli Usa, dopo un dibattito tra legislatori e intelligence iniziato nel 2011, hanno via via messo al bando proprio le telecamere di Huawei, poi i sistemi di tlc cinesi e infine hanno spinto Google a chiudere a Huawei l’accesso agli aggiornamenti del sistema operativo Android. Il generale Michael Hayden, ex direttore della Cia e della Nsa, a luglio 2013 dichiarò che Huawei aveva “condiviso con il governo cinese una conoscenza profonda dei sistemi di tlc stranieri”. Sono tre le accuse americane ai cinesi: di facilitare gli attacchi hacker alle reti Usa, di minacciare le infrastrutture critiche a stelle e strisce e di veicolare lo spionaggio economico-finanziario, che secondo il Pentagono costa all’America 300 miliardi di dollari l’anno e in sei casi su sette sarebbe collegato alla Cina. Secondo un rapporto del Congresso americano dell’ottobre 2012 è “praticamente impossibile” impedire a un insider di inserire bug nelle tlc a fini di spionaggio e soprattutto di scoprirli ed eliminarli tutti. Ad agosto 2018 il presidente Usa Donald Trump mise al bando i prodotti di Huawei e Zte e a maggio scorso anche ai prodotti di Hangzhou Hikvision Digital Technology, leader mondiale delle telecamere di videosorveglianza, Dahua Technology, il secondo operatore del settore, e Hytera Communications, principale società mondiale nelle reti wireless protette usate da militari e polizia. Il problema aumenterà con la tecnologia tlc 5G, in cui i cinesi hanno un vantaggio strategico, che consentirà di realizzare i veicoli autonomi, le città intelligenti e la realtà virtuale e coinvolgerà le reti di difesa. La Cina prevede di varare la prima rete 5G nel 2020. Gli Usa saranno costretti a rincorrerla: nel 2010 l’America era stata il secondo Paese al mondo, dopo la Finlandia, a istallare le reti 4G Lte. Se nel 2009 tutte le prime 10 società internet per ricavi erano americane, oggi invece quattro su 10 sono cinesi. Huawei ha aumentato i ricavi globali dai 28 miliardi di dollari del 2009 a 107 nel 2018. I rischi di spionaggio sono altissimi, secondo uno studio del Pentagono datato 3 aprile, confermato dall’allarme lanciato il 28 marzo dal centro indipendente di cyber difesa della Nato.

Ma nel mirino non ci sono solo i militari. Il 12 giugno 2018 furono scoperte tre falle di sicurezza nelle webcam di sorveglianza della società cinese Foscam: gli hacker potevano usarle per prendere il controllo dei dispositivi collegati al web con l’internet delle cose (IoT). Si tratta di prodotti molto diffusi in Italia e venduti anche da altre aziende col loro marchio. Quanto sia facile hackerare una webcam lo dimostra il sito insecam.org: vi appaiono in pubblico gli ignari bagnanti ripresi dalle telecamere (private) di un albergo di San Vincenzo (Livorno).

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Il viso come le impronte: 9 milioni di schedati

Vi piacerebbe che ogni vostro comportamento pubblico (ma forse anche privato) potesse essere registrato e giudicato? Sorpresa: avviene già. In Italia, secondo gli ultimi dati noti, nel 2017 erano in funzione oltre 2 milioni di telecamere di sicurezza. Un numero destinato a crescere: da maggio un emendamento al decreto “sblocca cantieri” voluto da tutte le forze politiche ha previsto l’obbligo di installare telecamere e sistemi di conservazione dei dati in tutte le aule delle scuole dell’infanzia e in tutte le strutture di assistenza e cura di anziani e disabili. Quali sono i confini tra necessità di sicurezza e diritti individuali? Soprattutto: chi garantisce il controllo democratico di questi confini e dei loro guardiani?

Il riconoscimento facciale è una tecnologia biometrica che si occupa del trattamento automatico di immagini digitali che contengono i volti di persone per identificarle, autenticarle e categorizzarle, estrarre i dati caratteristici dei singoli, registrarle e confrontarle con database esistenti. Questo avviene attraverso telecamere di sicurezza pubbliche e private, sempre più spesso connesse al web grazie all’Internet delle cose (IoT), o piazzate negli schermi posizionati in luoghi pubblici su cui scorrono immagini (il cosiddetto digital signage, i cui involontari utenti devono essere avvisati secondo l’Autorità per la privacy). Ma anche attraverso le telecamere di cellulari, tablet e pc che le società produttrici usano per la verifica degli utenti, o quelli dei social network (dove gli utenti inseriscono e taggano da sé foto proprie e di terzi) e delle console di gioco che usano le telecamere dei sistemi di controllo gestuale per classificare gli utenti in base a sesso, età, emozioni.

Ma la biometria può anche violare la legge. Secondo un rapporto del Gruppo di lavoro per la protezione dei dati, l’organo consultivo indipendente dell’Unione europea per la protezione della privacy, in passato i servizi online, molti dei quali gestiti da società private che ne sono proprietarie, hanno acquisito ampie raccolte di immagini caricate sul web dagli utenti, e “in alcuni casi le immagini possono anche essere state ottenute illegalmente, rastrellando immagini da altri siti web pubblici, ad esempio dalle memorie di transito dei motori di ricerca”.

L’analisi dei database dei volti serve a scopi commerciali e di controllo. Per decenni, l’analisi delle impronte digitali è stata la tecnologia biometrica più usata per identificare gli arrestati e collegarli a indagini o reati precedenti. Gli Stati Uniti, con i loro 50 milioni di telecamere, usano il riconoscimento facciale come normale tecnica di polizia. Dal 2010 l’Fbi ha iniziato a sostituire progressivamente il sistema integrato di identificazione delle impronte digitali (Iafis) con l’identificazione di nuova generazione (Ngi), che includeva le impronte digitali, i dati biografici e la tecnologia di riconoscimento facciale. L’Fbi ha lanciato un progetto pilota di Ngi nel dicembre 2011 e il sistema è diventato pienamente operativo nell’aprile 2015. Ora il sistema si chiama Face (Facial Analysis, Comparison and Evaluation), “faccia”, e consente agli inquirenti federali di esaminare tutte le foto contenute nei database statali e federali, come le foto delle patenti di guida e le foto di chi richiede un visto. Secondo l’Fbi, il numero totale di foto disponibili in tutti i database ricercabili per i servizi Face attualmente è di oltre 641 milioni. Secondo l’Fbi, dall’agosto 2011 (quando sono iniziate le sperimentazioni) fino all’aprile 2019, Face ha ricevuto 153.636 foto di persone sconosciute che hanno portato a 390.186 ricerche di vari database per trovare corrispondenze con individui noti.

Quanto all’Italia, secondo un’inchiesta del 3 aprile della rivista Wired, il “Sistema automatico di riconoscimento facciale” (Sari), presentato dalle forze dell’ordine il 7 settembre 2018 e sviluppato dall’azienda leccese Parsec 3.26, contiene 9 milioni di facce: 2 milioni di italiani e 7 milioni di stranieri, non tutti residenti. I dati sono conservati in perpetuo e il programma sarebbe in realtà in uso da molto tempo prima dell’annuncio ufficiale del suo lancio. Ne esistono due versioni, una manuale e un’altra in grado di identificare il volto di un soggetto in tempo reale attraverso le telecamere di sorveglianza, che non ha ancora ottenuto il via libera del Garante della privacy.

Anche su questo fronte, però, l’Italia è in ritardo tecnologico: il principale esempio di controllo orwelliano della popolazione arriva da Est lungo la Via della Seta. Oggi in Cina ci sono oltre 200 milioni di telecamere dotate di intelligenza artificiale che osservano la popolazione in spazi pubblici e privati, identificano i volti e li abbinano a enormi quantità di dati personali già raccolti dallo Stato. A queste si stima che se ne aggiungeranno altri 450 milioni entro la fine del 2020. L’intelligenza artificiale applicata al riconoscimento facciale ha consentito alla Cina di creare un database nazionale delle facce che dovrebbe presto consentire di identificare uno qualsiasi dei suoi 1,4 miliardi di abitanti entro tre secondi. Pechino le utilizza non solo per catturare i criminali o identificare potenziali terroristi ma anche per controllare i dissidenti politici e schedare le minoranze etniche, come quella musulmana degli Uiguri, a ritmi da 500mila persone al mese. Proprio il riconoscimento facciale è diventato il cardine del sistema di attribuzione di un “punteggio sociale” in base al quale ogni cinese viene “esaminato” e “classificato” anche per le trasgressioni più banali, come l’ubriachezza, l’attraversamento della strada fuori dalle strisce pedonali e persino l’uso di troppa carta igienica. I “colpevoli” finiscono spesso svergognati sui maxischermi stradali e il loro “punteggio sociale” cala, facendoli finire nella lista nera, il che comporta avere minori diritti, vedersi rifiutare il passaporto, venire controllati ancor più da vicino. Dati che mettono in ombra quelli del Paese al secondo posto nella classifica mondiale del numero di telecamere per persona, occupato a sorpresa dalla Gran Bretagna con 6 milioni di apparecchi.

Nonostante i miglioramenti tecnologici, non c’è tuttavia sicurezza sui risultati, con molti “falsi positivi”. Secondo un rapporto datato 13 giugno dell’Unione americana per le libertà civili (Aclu), i 50 milioni di telecamere degli Usa “non solo ci registreranno, ma ci giudicheranno in base alla loro comprensione delle nostre azioni, emozioni, al colore della pelle, all’abbigliamento, al tono di voce e ad altro ancora. Le tecnologie automatizzate di video analytics minacciano di cambiare radicalmente la natura della sorveglianza verso un monitoraggio automatizzato di massa in tempo reale che solleva significative preoccupazioni per le libertà civili e la privacy”. Il problema principale è che se la tecnologia corre, il diritto le arranca dietro e la distanza crescente che li separa misura l’assenza di garanzie sia che si parli di uso commerciale o di uso governativo. Anche perché alcuni studi hanno dimostrato che i software di riconoscimenti facciale delle principali società tecnologiche Usa sono accurati sui maschi bianchi ma molto meno quando si tratta di volti di afroamericani o di donne. In passato l’Aclu ha testato le foto dei membri del Congresso sul software Rekognition di Amazon, un sistema di riconoscimento facciale che il colosso del web sta vendendo ai dipartimenti di polizia: il sistema ha associato in modo errato 28 parlamentari alle foto segnaletiche dei database criminali e i falsi positivi hanno coinvolto in modo sproporzionato parlamentari non bianchi.

Anche se la tecnologia è migliorata, le preoccupazioni sul riconoscimento facciale riguardano oggi l’impatto sul sistema democratico. Chiunque frequenti un Sert, una moschea, un gruppo politico o sociale “non allineato” o una clinica potrebbe essere schedato. Ecco perché il 14 maggio il consiglio comunale di San Francisco ha votato per vietare l’uso della tecnologia di riconoscimento facciale da parte degli uffici cittadini. Una tendenza che potrebbe diffondersi, come dimostrano altri casi negli Usa.

La lobbista da Olimpiade: “Per vincere è una guerra”

Avere un bel sorriso aiuta. Conoscere le lingue aiuta. Se donna, essere di bell’aspetto aiuta. Se uomo aiuta di meno, comunque però aiuta. Avere affari in corso col tizio da agganciare aiuta molto di più. Andare alle cene che contano aiuta tantissimo, anche il coffe break è una buona idea, e gli apericena e ogni altro luogo in cui si ritrova la gente che piace. Per fare lobbying ci vuole carattere, disponibilità al dialogo, curiosità e tanta pazienza. Evelina Christillin è l’italiana che meglio riesce in questa specialità. Di antico lignaggio valdostano, intima degli Agnelli, torinese di adozione, forgiata nell’apparato juventino, cuce amicizie, promuove eventi, soprattutto organizza. Prima donna consigliere di Uefa e Fifa, presidente del Museo Egizio, consigliere di amministrazione di Credit Agricole, è moglie di Gabriele Galateri, presidente di Generali. È stata ingaggiata dal comitato promotore delle Olimpiadi di Milano e Cortina per le necessità urgenti e indifferibili dell’assalto a Losanna.

“In questo caso ho collaborato in seconda fila”.

Lobbista riservista.

Diverso fu il 19 giugno del 1999, quando conquistammo le Olimpiadi di Torino. Ero la presidente del comitato organizzatore. Gianni Agnelli vivo. Tutta un’altra responsabilità e una durezza della sfida imparagonabile. Eravamo in sei a giocarci tutto. Ora solo la Svezia, che neanche ha mostrato una gran voglia (il sindaco di Stoccolma non aveva sottoscritto alcun impegno, per esempio).

Comunque di Evelina Christillin c’è stato bisogno anche questa volta.

Mezzo Cio era composto da facce conosciute.

Erano quelle del secolo scorso!

Esatto! Io sono temprata, esperta e con qualche anno di esperienza alle spalle.

Una donna dagli incarichi multipli. Evelina, una e trina.

Non sono una casalinga, non cucino, non lavo e non stiro. Non conosco il disagio. Ma quel che ho avuto ho cercato di meritarlo. E in sincerità, credo di averlo anche dimostrato.

In sincerità la colleganza con casa Agnelli avrà avuto un peso.

Non discuto. Ma della biografia solo quello resta?

È che si parte e si arriva sempre lì.

Se è prevenuto, se ha pregiudizi questa è la frase perfetta da dire.

Torniamo a Losanna.

Quindi, ritornando a noi, avevo un po’ di relazioni già avviate.

Le Olimpiadi sono una sfida.

La cena della vigilia della comitiva italiana sembrava una war room. Una parete piena di volti, quelli dei grandi elettori, e bandierine con vari colori a graduare l’amicizia o la distanza. L’ostilità presunta, la simpatia dichiarata.

E voi lobbisti a tampinarli. Chi tampina chi.

Ciascuno prendeva in carico chi era nelle condizioni di sospingere verso un giudizio positivo.

E qui la lezione del bravo lobbista. Anzitutto serve saper sorridere. Gli introversi sono out.

Il sorriso è importantissimo. Se non sei empatico, è finita prima di iniziare.

Empatica.

E se non conosci le lingue sei fregato, prima di iniziare.

Un lobbista non poliglotta è un pugile suonato.

E se sei carina, sai sorridere, magari conosci pure le lingue ma sei scema è finita prima di iniziare.

Il fuoco sacro della scaltrezza. Il talento non si vende al mercatino sotto casa.

Beh, se ci sono affari di mezzo, se, dico per dire, conosco quello per via del mio lavoro…

Con gli affari è già tutta un’altra empatia.

Avevamo Alessandri di Tecnogym per esempio, che ha portato le sue meraviglie in mezzo mondo. Il business apre le porte più di qualunque altro discorso.

Le Olimpiadi sono un bel business.

C’è consapevolezza che i soldi stanno creando più problemi del previsto.

E più tangenti del previsto, e corrotti del previsto. Mezza Fifa deve ancora spiegare la scelta di Mosca.

Ci sono anche i morti sui cantieri degli stadi in Qatar.

Il Qatar col calcio ha un’antica consuetudine.

Lo so dove mi vuol portare. Lo so, forse i soldi contano troppo.

La fiamma olimpica.

C’è tutto un movimento per rendere sostenibile quel che si costruisce. Non sbancare, non buttare cemento senza criterio, ridurre l’enfasi edilizia.

A Torino c’è il villaggio olimpico sbriciolato dall’incuria.

Non sa quanto mi brucia. Ma era la politica a doversene far carico. Era adeguato per dare una casa a chi non l’aveva.

E invece.

Era pronto, impacchettato, perfetto.

La pista di bob edificata e poi abbandonata. Uno sfregio.

Non sa quanto mi brucia.

Le brucia che Allegri sia stato allontanato dalla Juve.

Un dolore. Allegri è un allenatore coi fiocchi.

Antonio Conte all’Inter.

Un dolore.

In casa Juve è arrivato il cosacco.

La mia casa.

Sarri, dalle fosche simpatie sinistrorse.

Dicono così.

Un rivoluzionario.

L’ho visto già con la cravatta.

Forza Italia perde l’ennesimo pezzo Toti: “Azzerare tutto”

Quella di Forza Italia somiglia sempre più a una lenta e straziante agonia. Ieri il partito di Silvio Berlusconi ha perso un altro pezzo: l’ex sindaco di Ascoli Guido Castelli lascia gli azzurri per raggiungere Giorgia Meloni in Fratelli d’Italia. Non è soltanto la sua defezione ad agitare i forzisti: l’addio di Castelli prelude allo strappo definitivo di Giovanni Toti. Il governatore ligure – che ha lanciato un’opa sul partito di B. e in caso di fallimento è pronto a fare definitivamente le valigie – ha vergato un lungo intervento su Facebook: “Un altro amico che ci saluta – scrive Toti – Dopo dieci anni di ottimo lavoro come sindaco di Ascoli, oggi anche Guido Castelli ha deciso di uscire da Forza Italia. Lo ha fatto, comprensibilmente, dopo aver fatto campagna elettorale per il candidato del centro-destra (di Fdi, ndr), che ha vinto, nonostante Forza Italia non abbia presentato la lista a suo sostegno”. La conclusione di Toti è radicale, l’ennesimo scossone su quel che resta del partito di Berlusconi: “Bisogna muoversi in fretta, azzerare tutto e ripartire con coloro che saranno scelti dal popolo di centrodestra di ogni luogo”.

Sea Watch, Germania contro Italia. Conte: “Chiederò dei capi Thyssen”

L’unico che non s’è scomposto – con commovente contegno teutonico – è stato il signor Ekkehart: “Mi ha detto che stava bene, di non preoccuparmi. Credo che Carola saprà cavarsela da sola”. Ma a parte il padre, in Germania, si sono mossi in tanti per difendere la capitana della Sea Watch 3 Rackete, dopo l’arresto di sabato a Lampedusa con l’accusa di resistenza a nave da guerra per la manovra con i 40 migranti a bordo.

Si è mobilitato perfino il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier: “Chi salva vite umane non può essere un criminale. Può darsi che ci sia una legge italiana su quando una nave può entrare in porto e quando no, e può anche essere che ci siano reati. Tuttavia l’Italia non è un Paese qualsiasi: è uno Stato fondatore dell’Ue. Per questo ci aspettiamo che affronti il caso in modo diverso”. Steinmeier è di fede evangelica, e proprio il vescovo capo della Chiesa evangelica tedesca (che ha finanziato Sea Watch 3), Heinrich Bedford-Strohm, è stato tra i primi a parlare di “vergogna per l’Europa” riferendosi al fermo di Carola.

A Steinmeier ha replicato Salvini – “Si occupi della Germania”, seguito da “indirizzeremo i prossimi barconi a Marsiglia” –, mentre il premier Conte ha chiamato in causa la cancelliera: “Da parte della Sea Watch 3 c’è stato un ricatto politico e se Merkel mi chiede di Rackete, io le chiederò dei manager ThyssenKrupp… Ci facciano sapere a che punto è l’esecuzione della pena”. Conte si riferisce a Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, condannati a 9 e 6 anni di carcere per il rogo che provocò 7 morti nell’acciaieria Thyssen di Torino: la sentenza definitiva è del 2017, ma i due sono ancora a piede libero per le lungaggini giudiziarie tedesche.

A sostegno di Rackete erano già intervenuti, in patria, il ministro degli Esteri Heiko Maas e il comico Jan Böhmermann (che ha lanciato una raccolta di fondi online), mentre in Europa si rincorrevano gli appelli del ministro dell’Interno francese Christophe Castaner, del ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn e dell’indipendentista catalano Carles Puigdemont. Non è mancato il sostegno dell’equipaggio della nave, che ha parlato della sua capitana come di una donna “non pentita, che si è sacrificata per salvare 40 naufraghi”, accusando poi la Guardia di finanza di “manovra ostruttiva”.

Stonata dal coro, invece, la lettera dell’Olanda (di cui batte bandiera la Sea Watch 3, ndr), spedita dalla segretaria di Stato Ankie Broekers-Knol: l’imbarcazione sarebbe potuta “andare in Libia o in Tunisia” e i Paesi Bassi “non prenderanno più migranti dalle operazioni Sar”.

La capitana è sempre ai domiciliari a Lampedusa: “Non era mia intenzione mettere in pericolo nessuno… Avevo paura che qualcuno si potesse suicidare”. Oggi il Gip decide sulla convalida del suo arresto; la procura non chiede il carcere ma il divieto di dimora nella provincia di Agrigento.

Intanto, meno a favor di telecamere, i migranti continuavano a sbarcare: una dozzina sull’isola, soccorsi dalla Guardia costiera, più altri 17 provenienti dalla Tunisia e 55 tratti in salvo da Open Arms e poi presi in carico dalla Guardia di finanza e distribuiti tra Lampedusa, Pozzallo e Licata.

Zingaretti sui rapporti con il pm Palamara: “Nessuna interferenza nelle scelte del Csm”

Alcune precisazioni sull’articolo “Zinga, Lotti e Palamara. Il Pd ‘No comment’. Il pm: ‘Parlo il 2 luglio’” del 30 giugno. 1) Mai Luca Lotti né altri hanno avanzato la candidatura di Luca Palamara a Garante dalla Privacy o per altre nomine. 2) Sono diventato Presidente della Regione Lazio nel 2013. La dottoressa Remigi (moglie di Palamara, ndr) è una professionista che dal 2006 lavorava nella Regione Lazio in particolare nell’Agenzia Sanità Pubblica. Nel corso del meritorio programma di razionalizzazione degli enti regionali si è proceduto alla internalizzazione delle funzioni anche di questa Agenzia e, pertanto, la dottoressa Remigi ha proseguito le sue attività da dipendente regionale. Addirittura, a differenza di molti altri ex dipendenti dell’Agenzia, che sono stati anche stabilizzati in Regione, la dottoressa ha proseguito con un contratto a tempo determinato fino al 2017. 3) Conosco Palamara da quando svolgeva la funzione di Presidente dell’Anm. Ho avuto con lui sempre rapporti improntati alla totale correttezza. E comunque mai sono stati riferiti alla volontà di interferire nelle scelte di selezione degli assetti del Csm.