Quanto detto dal presidente russo Vladimir Putin circa la “l’esaurimento del liberalismo” – dichiarazione rilanciata da un’ampia intervista al Financial Times – ha creato subbuglio in Occidente. Ma è difficile dargli torto se si guarda al modo in cui la “comunità internazionale” gestisce le relazioni internazionali. La “tregua” raggiunta da Stati Uniti e Cina al vertice del G20 a Osaka lo conferma. Se il presidente Usa, Donald Trump, cerca di spacciare l’intesa come una sua vittoria, la decisione di riprendere i negoziati e congelare la minaccia americana di nuovi dazi sull’import made in China serve solo a prendere tempo.
Trump, tra l’altro, nel suo viaggio in Asia ha avuto in testa soprattutto la Corea del Nord e il desiderio di farsi una passeggiata sulla zona demilitarizzata con il “reietto” Kim Jong-un: “Lo incontrerei anche solo per stringergli la mano e salutarlo” ha detto con evidente gusto per il colpo a effetto. Poi ha definito “molto buono” l’accordo con la Cina per dilungarsi in una serie di riferimenti generici ai quali i media cinesi hanno risposto parlando di “cessate il fuoco” e dell’avvio dei colloqui su indefiniti temi “specifici” con pari dignità.
La sorpresa è maturata però sul nodo Huawei: potrà tornare ad acquistare i prodotti dai fornitori americani, in quella che è apparsa una concessione della Casa Bianca. “Le compagnie Usa possono vendere attrezzature a Huawei lì dove non ci sono grandi problemi con la sicurezza nazionale”, ha detto Trump. La rimozione della compagnia dalla lista nera del commercio Usa, coi gravi problemi sulla sicurezza nazionale segnalati da intelligence e Dipartimento della Giustizia, sarà però decisa solo verso la fine dei colloqui.
Per il resto il G20 si è chiuso senza particolari decisioni se non quella, piuttosto scandalosa, di darsi appuntamento il prossimo anno in Arabia Saudita. Incuranti delle violazioni dei diritti umani, della guerra nello Yemen e dell’omicidio Khashoggi, i 20 Paesi più forti economicamente andranno a omaggiare il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, che ha tenuto il discorso di chiusura.
Difficile dare torto a Putin, quindi, quando dice che “anche la cosiddetta idea liberale ha esaurito il suo scopo”. Certo, il presidente russo parla da una posizione nazionalista, di grandezza russa che ha tutto da guadagnare dal fallimento di un mondo multipolare, solidale e cooperativo. Tanto più che questa situazione consolida la strategia di vicinanza con la Cina. Quel mondo, d’altro canto, disunito su tutto, trova sussulti positivi solo su interessi consolidati. Come l’accordo tra la Ue e il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) siglato due giorni fa e che il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha definito “storico”. Verranno ridotti dazi e facilitate importazioni in Europa di prodotti del cono sud dell’America Latina. Solo che quell’accordo vede tra i firmatari dell’altra sponda dell’Oceano Atlantico l’odiato Jair Bolsonaro, presidente “sovranista” del Brasile che, ovviamente, non si è fatto nessun problema a siglare un’intesa con l’Unione europea. E, altro problema, l’accordo scontenta le associazioni degli agricoltori, come la nostrana Coldiretti, ma anche la più moderata e istituzionale Confagricoltura, che con il suo presidente Massimiliano Giansanti teme l’esposizione italiana su riso, agrumi, zucchero e pollame, mentre per le carni bovine “è elevato il rischio di squilibrare il mercato dell’Unione, a seguito delle concessioni accordate dalla Commissione, con un contingente di importazioni a dazio zero pari a 99 mila tonnellate l’anno”.
Nel commentare le parole di Putin ieri Enrico Letta, via Twitter, scriveva “Meno male che c’è l’Europa”. Ma l’Europa è quella che fa accordi che poi scatenano rancori e ribellioni, ieri più “no global” oggi più protezioniste. Ed è proprio in questo che confida Putin.