Il calendario corre, i veleni tra gialloverdi anche. Così mentre tutti guardano il dito, cioè l’eventuale procedura d’infrazione della Ue, il leghista Giancarlo Giorgetti indica la luna, il governo tecnico: “Non sta né in cielo né in terra, sarebbe una disgrazia per il Paese. La Lega non lo voterebbe e Di Maio e i 5stelle sono assolutamente contrari, stando alle dichiarazioni”.
Così, come sempre allusivo, sillaba il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a L’intervista di Maria Latella su Sky, dove spiega che di fare il Commissario europeo non ne ha voglia: “Non sono interessato, il governo si sta attrezzando per altre soluzioni”. Quindi Giorgetti resterà nel governo che non gli piace, “su cui si addensano le nubi” scandisce. Una maggioranza scollata che per sopravvivere oltre settembre deve superare il 20 luglio. Esito probabile ma non certo.
Anche perché da martedì alla Camera si comincerà a discutere il decreto Sicurezza bis, provvedimento bandiera di Salvini, e tra i deputati M5S i mal di pancia sono diffusi. Non a caso, venerdì in una riunione interna il capo Di Maio ha minacciato espulsioni su due piedi per chi non seguirà la linea del M5S e del governo. Mentre da Montecitorio fanno notare come la Lega avesse chiesto una settimana in più per i lavori sul testo, così da arrivare al voto finale il 22 luglio, oltre la fatidica data del 20. E potrebbe dimostrare che il Carroccio tutta questa voglia di rompere non ce l’ha. Però mercoledì è previsto un nuovo tavolo di governo sulle autonomie, un altro pretesto possibile per staccare la spina. E da qui si arriva al Giorgetti che paventa un esecutivo tecnico. Un messaggio a Di Maio, che sul Corriere della Sera aveva buttato lì: “Chi fa cadere il governo si prende una bella responsabilità, perché significherebbe far tornare il Pd insieme ad altri Monti e altre Fornero”. Sottotesto: la Lega si scordi di tornare al voto, anche perché un’altra maggioranza in Parlamento la cercheranno, magari trovandola. Per questo il sottosegretario ricorda ai 5Stelle altre loro dichiarazioni, contrarie a un esecutivo di transizione. Perché non si fida degli alleati. D’altronde in mattinata, proprio sul Corsera, Giorgetti ha fatto trapelare che per il Quirinale si può anche votare a settembre, a patto che si rompa entro fine luglio. Dopo, in autunno, il Colle cercherebbe un governo di tecnici per fare in qualche modo la manovra. Ergo, per la crisi bisogna muoversi questa settimana, o mai più.
Ecco perché Giorgetti forza sulla flat tax: “Anche se la procedura d’infrazione viene rinviata. Conte, Di Maio e Salvini si guardino nelle palle degli occhi e dicano se si vuole fare la tassa piatta sì o no. La procedura magari viene rinviata ma questo chiarimento è inevitabile”. Traduzione chiara, non si può barattare la flat tax con il via libera della Ue. Ed è questo il cuore della partita con il premier Conte e con Di Maio, sprofondato al 25% dei consensi come raccontava ieri un sondaggio di Nando Pagnoncelli. E a cui ieri Beppe Grillo ha riservato una indiretta ma chiara stoccata sul Fatto (“eternamente imberbe”). Naturale quindi che Di Maio voglia schivare il voto anticipato e la procedura. “Al di là delle fibrillazioni politiche, sono già arrivati segnali molto positivi dai tecnici della Commissione europea”, assicurano fonti di governo del M5S. Mentre il premier Giuseppe Conte ieri nella conferenza conclusiva per il G20 a Osaka si è mostrato pugnace: “La procedura di infrazione va evitata subito, senza ulteriore indugio”. Un modo per tenere a freno il Salvini che da Roma si era espresso contro un rinvio della decisione della Ue. “E comunque lo dicono i numeri, i conti dell’Italia sono in ordine”, ha giurato Conte. Cauto, sulla flat tax: “Faremo una fiscale riforma complessiva”. Ma dal M5S sono più prosaici: “Giorgetti torna a chiedere della flat tax, e noi torniamo a chiedergli dove siano le coperture”. Nascoste, come carte da poker.