Giorgetti: “Nubi sul governo”. E il M5S teme il dl Sicurezza

Il calendario corre, i veleni tra gialloverdi anche. Così mentre tutti guardano il dito, cioè l’eventuale procedura d’infrazione della Ue, il leghista Giancarlo Giorgetti indica la luna, il governo tecnico: “Non sta né in cielo né in terra, sarebbe una disgrazia per il Paese. La Lega non lo voterebbe e Di Maio e i 5stelle sono assolutamente contrari, stando alle dichiarazioni”.

Così, come sempre allusivo, sillaba il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a L’intervista di Maria Latella su Sky, dove spiega che di fare il Commissario europeo non ne ha voglia: “Non sono interessato, il governo si sta attrezzando per altre soluzioni”. Quindi Giorgetti resterà nel governo che non gli piace, “su cui si addensano le nubi” scandisce. Una maggioranza scollata che per sopravvivere oltre settembre deve superare il 20 luglio. Esito probabile ma non certo.

Anche perché da martedì alla Camera si comincerà a discutere il decreto Sicurezza bis, provvedimento bandiera di Salvini, e tra i deputati M5S i mal di pancia sono diffusi. Non a caso, venerdì in una riunione interna il capo Di Maio ha minacciato espulsioni su due piedi per chi non seguirà la linea del M5S e del governo. Mentre da Montecitorio fanno notare come la Lega avesse chiesto una settimana in più per i lavori sul testo, così da arrivare al voto finale il 22 luglio, oltre la fatidica data del 20. E potrebbe dimostrare che il Carroccio tutta questa voglia di rompere non ce l’ha. Però mercoledì è previsto un nuovo tavolo di governo sulle autonomie, un altro pretesto possibile per staccare la spina. E da qui si arriva al Giorgetti che paventa un esecutivo tecnico. Un messaggio a Di Maio, che sul Corriere della Sera aveva buttato lì: “Chi fa cadere il governo si prende una bella responsabilità, perché significherebbe far tornare il Pd insieme ad altri Monti e altre Fornero”. Sottotesto: la Lega si scordi di tornare al voto, anche perché un’altra maggioranza in Parlamento la cercheranno, magari trovandola. Per questo il sottosegretario ricorda ai 5Stelle altre loro dichiarazioni, contrarie a un esecutivo di transizione. Perché non si fida degli alleati. D’altronde in mattinata, proprio sul Corsera, Giorgetti ha fatto trapelare che per il Quirinale si può anche votare a settembre, a patto che si rompa entro fine luglio. Dopo, in autunno, il Colle cercherebbe un governo di tecnici per fare in qualche modo la manovra. Ergo, per la crisi bisogna muoversi questa settimana, o mai più.

Ecco perché Giorgetti forza sulla flat tax: “Anche se la procedura d’infrazione viene rinviata. Conte, Di Maio e Salvini si guardino nelle palle degli occhi e dicano se si vuole fare la tassa piatta sì o no. La procedura magari viene rinviata ma questo chiarimento è inevitabile”. Traduzione chiara, non si può barattare la flat tax con il via libera della Ue. Ed è questo il cuore della partita con il premier Conte e con Di Maio, sprofondato al 25% dei consensi come raccontava ieri un sondaggio di Nando Pagnoncelli. E a cui ieri Beppe Grillo ha riservato una indiretta ma chiara stoccata sul Fatto (“eternamente imberbe”). Naturale quindi che Di Maio voglia schivare il voto anticipato e la procedura. “Al di là delle fibrillazioni politiche, sono già arrivati segnali molto positivi dai tecnici della Commissione europea”, assicurano fonti di governo del M5S. Mentre il premier Giuseppe Conte ieri nella conferenza conclusiva per il G20 a Osaka si è mostrato pugnace: “La procedura di infrazione va evitata subito, senza ulteriore indugio”. Un modo per tenere a freno il Salvini che da Roma si era espresso contro un rinvio della decisione della Ue. “E comunque lo dicono i numeri, i conti dell’Italia sono in ordine”, ha giurato Conte. Cauto, sulla flat tax: “Faremo una fiscale riforma complessiva”. Ma dal M5S sono più prosaici: “Giorgetti torna a chiedere della flat tax, e noi torniamo a chiedergli dove siano le coperture”. Nascoste, come carte da poker.

Toninelli: “Accertate gravi inadempienze di Autostrade”

Non si placa lo scontro tra M5S e Autostrade per l’Italia, che fa capo ad Atlantia, holding riconducibile alla famiglia Benetton. A poche ore dall’abbattimento dei piloni del ponte Morandi a Genova, il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, ha reso noto che “è rientrato il parere della commissione tecnica di esperti in supporto al mio ministero, lo stiamo leggendo, è ovviamente complesso e anche molto ampio, ma quello che da una lettura sommaria possiamo iniziare a dire è che si evince un grave inadempimento da parte del concessionario Autostrade per l’Italia e questa è la base per andare avanti”. I 5Stelle minacciano la revoca delle concessioni autostradali: “Le decisioni saranno prese nei prossimi giorni o nelle prossime settimane al massimo”. Ma la Lega, con il numero due Giorgetti, insiste con una posizione garantista: “C’è una procedura penale in corso ed è in corso anche quella amministrativa per inadempimento contrattuale, quando saranno terminate con gli esiti che saranno resi pubblici si dovrà rispettare quella decisione. Prendere decisioni prima non ha molto senso, si tratta di aspettare qualche giorno”.

Emergency e Sea Watch: il valore “solidarietà”

Emergency, l’associazione fondata da Gino Strada, ha compiuto e festeggiato ieri 25 anni di vita. Con i suoi ospedali in zone di guerra ha fatto dell’ingerenza umanitaria uno stile identificativo. Ed è sembrato dunque naturale il riferimento che Strada ha fatto a Sea Watch: “La disobbedienza civile è da perseguire di fronte a queste istituzioni che si comportano in modo che non potrei altro che definire fascista – ha detto –. Oggi sul banco degli imputati c’è chi vuole aiutare. Difendere il valore dell’aiuto e non l’indifferenza è la caratteristica fondamentale di una società civile”. A parte i riferimenti al fascismo, che non aiutano a comprendere correttamente la situazione, quel che c’è di importante nelle parole di Strada è quello che, al netto dei giudizi sul significato politico della vicenda Sea Watch, rimane sul terreno, anzi sull’acqua: il valore della solidarietà e dell’intervento umanitario.

Oggi è evidente il rischio che si affermi la delegittimazione totale del lavoro svolto da chi, come Carola e come tante altre, decide di impegnarsi in prima persona nell’assistenza umanitaria. Gli insulti, sessisti, contro di lei, non fanno altro che esplicitare questo fastidio ché in fondo è la vera mission dell’opera di Salvini. La solidarietà come disvalore, come roba da figli viziati, basta leggersi le invettive quotidiane dei Fusaro di turno.

Gino Strada rivendicava anche di curare i talebani nei suoi ospedali e parliamo di chi, all’inizio degli anni 2000, rappresentava il “male assoluto” sulla terra. Altro che i migranti o le Carola di turno. Eppure lo faceva per affermare il principio dell’umana solidarietà superiore alle leggi degli Stati. Con tutte le conseguenze che questo comporta. Quello che spinge le persone a impegnarsi in una Ong è quel valore attorno al quale le società durano di più e senza il quale rischia di prodursi solo un deserto.

“Il Viminale è d’accordo: faremo un muro di 243 km”

Quanti chilometri?

243.

Un muro lungo 243 km? Lei pensa sia davvero ipotizzabile una misura simile?

Un muro o altro. Adesso non so dirglielo. Ma certo che se l’Europa non tutela i suoi confini noi saremo costretti a fermare l’ondata migratoria che avanza attraverso altri Paesi dell’Ue con tutti i mezzi. Non possiamo mettere poliziotti a ogni metro, anche se le misure di vigilanza, grazie al nuovo piano del Viminale, stanno dando i loro frutti.

Il muro forse. Oppure il filo spinato?

Quel che so è che dobbiamo respingere un fenomeno che attenta alla tranquillità dei nostri concittadini, alla nostra sicurezza.

Massimiliano Fedriga è il governatore del Friuli-Venezia Giulia. Nella nomenklatura leghista non rappresenta l’ala estrema. Carattere aperto, sorriso empatico, disponibilità al confronto. Eppure il contagio per questa corsa alla prova finale della durezza, all’inderogabile ora delle maniere forti corre veloce e giunge fino a lui, a Trieste, nell’ufficio dove Fedriga è insediato, con un notevole numero di voti, da un anno.

La naturalezza con cui lei espone un’idea horror colpisce più di ogni altra cosa.

Noi dobbiamo dare sicurezza ai nostri cittadini. Tranquillità nelle case, decoro nelle pubbliche vie. Ladri, delinquenti di piccolo o grande calibro non ne vogliamo.

Lei dimentica un passato recente per la sua terra così doloroso e triste. Alzerebbe il muro su un confine che è già testimone di tanti lutti, di un conflitto tremendo tra libertà e dittatura, patria ed esilio. La storia insegna, ma ha cattivi scolari diceva Gramsci.

Non è tempo di fare filosofia, non mi addentro nella questione storica e penso che non sia questo il problema.

Ma lei è governatore del Friuli-Venezia Giulia, il suo ufficio è a Trieste! L’Istria è lì, di fronte alla sua finestra. Come può pensare di utilizzare il filo spinato davanti a chi fugge per fame?

Sono tutte teste d’uovo coloro che partono dalla Nigeria, dico per dire? Un Paese che cresce al tasso dell’8% del Pil?

Sono criminali? Delinquenti che l’Africa espelle per ripulirsi? Manda a noi i cattivi e si tiene i buoni?

Beh, è sicuramente gente indesiderata.

Lei parla come se i barbari avessero occupato piazza dell’Unità d’Italia.

A decine vengono e compiono atti contrari alla legge.

A decine…

Saranno cinquemila i migranti clandestini.

Cinquemila migranti, cinquemila delinquenti?

Metta il 10%. Cinquecento persone allo sbando creano disagio.

Qual è la popolazione della sua regione?

Siamo un milione e duecentomila.

Vede da sé la sproporzione che c’è tra la realtà e ciò che immagina.

La gente non ne può più.

Lei ha tolto lo striscione per Giulio Regeni dal balcone della Regione. Le dava così fastidio?

Sono contro l’ipocrisia. Quello striscione era una finzione. Il Pd non ha fatto nulla per capire le cause della morte di quel ragazzo, per raggiungere la verità. Si coprivano dietro lo striscione.

Seppure fosse come dice, a cosa è servita la sua scelta di rimuoverlo?

L’ho spiegato: non soffro gli ipocriti. La mia maggioranza ha istituito una commissione d’inchiesta per far luce sull’accaduto. Il Pd niente. E poi ci sono altre morti sospette. Una ragazza friulana scomparsa in Spagna, per lei nessuno striscione, perché?

Le libertà civili e politiche in Egitto sono rispettate come in Spagna?

Le morti sono simili.

Lei cerca di accendere la miccia.

Io sono tranquillissimo e pacifico. Solo chi non mi conosce può pensare altrimenti.

Altrimenti non le sarebbe mai venuto in mente nemmeno come suggestione il muro.

È un’ipotesi che si sta valutando col Viminale.

Si potrebbe mitragliarli.

Lei provoca.

A proposito: ho letto che ha avuto la varicella. Si è sempre battuto per togliere ogni obbligo ai vaccini.

L’imposizione non porta frutti, il convincimento, la persuasione sì.

La varicella le ha fatto visita.

Hanno detto che sono un no vax. Che stupidaggine e che falsità! I miei figli sono tutti vaccinati.

Vaccinarsi fa bene.

Lo so.

E l’obbligo tutela tutti, soprattutto le persone fisicamente più esposte.

Imporlo per legge non risolve il problema.

Vede? Un po’ d’ipocrisia alberga anche nelle sue parole.

Affatto, ma che dice?

Parolin: “Le vite umane vanno salvate in qualsiasi maniera”

Sulla questione Sea Watch 3 interviene, indirettamente, anche il Vaticano. Il segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, ha stabilito in modo chiaro quale sia la priorità secondo la Chiesa: “Io credo che la vita umana vada salvata in qualsiasi maniera, ecco. Quindi quella deve essere la stella polare che ci guida, poi tutto il resto è secondario”. ha detto Parolin a Potenza, rispondendo ai giornalisti dopo la Messa celebrata nell’ultima giornata della festa del quotidiano cattolico Avvenire. I cronisti hanno intercettato il cardinale mentre salutava una squadra di giovani rugbisti, chiedendogli un paragone con le difficoltà nelle operazioni di salvataggio e la necessità di affrontarle con forza. “Qualche volta anche noi abbiamo bisogno di essere un po’ muscolosi – ha detto Parolin, sorridendo – ma cerchiamo di lavorare o di remare tutti nella stessa direzione”. Per poi aggiungere: “Oggi l’unica risposta che possiamo dare alle sfide del mondo presente è quella di una testimonianza autentica di vita cristiana, quindi un cristianesimo che vive profondamente radicato in Dio ma che poi sa tradursi anche in opere a favore della società”.

“Carola è una bulla, sulla pelle dei profughi”

È una “toga rossa” in pensione e collabora con l’Osservatorio Internazionale offrendo assistenza legale gratuita ai perseguitati politici e religiosi del Nordafrica. Dunque, Nicola Quatrano non può certo essere tacciato di simpatie salviniane o sentimenti sovranisti. Eppure l’ex pm della Tangentopoli partenopea degli anni ’90, non le manda a dire a Carola Rackete, a Sea Watch e a una sinistra che “non capisce niente di quel che sta accadendo e si riduce a fare il tifo pro o contro il personaggio del momento”.

Hanno fatto bene ad arrestare la capitana?

In flagranza di reato, l’arresto ci può stare. Dubito che possano ravvisarsi esigenze cautelari che ne consentano la prosecuzione, ma non mi pare che Carola Rackete sia un’eroina.

Pd e sinistra l’hanno difesa, fino a salire sulla Sea Watch.

Da uomo di sinistra dico che è sconfortante l’incapacità della sinistra di proporre un ragionamento sensato sui temi della gestione dei flussi migratori, limitandosi a fare il tifo da stadio pro la capitana e contro Salvini, sulla pelle dei poveri 42 profughi.

Perché la capitana Rackete non è un’eroina?

Premessa: le Ong nella maggior parte dei casi sono organizzazioni che ricevono finanziamenti dai governi. Non è il caso della Sea Watch, della quale mi sono andato a leggere i bilanci. Però tutte le Ong hanno una loro agenda politica ben precisa e la capitana Rackete, in nome della sua Ong, ha deciso come una bulla di imporre l’agenda politica della sua Ong: costringere l’Italia ad accogliere i 42 profughi. Altrimenti non si spiega perché, pur sapendo che il porto di Lampedusa sarebbe stato chiuso per chissà quanto tempo, non si è diretta a Tunisi, in Grecia, in Turchia o in Israele. Nossignore: ha girato intorno all’isola per 14 giorni fino a quando gli eventi in qualche modo non l’avrebbero costretta a entrare in Italia. E anche questo è un reato.

Quale?

Dal punto di vista penalistico, si chiama violenza privata. È il reato che si commette quando si costringe qualcuno a fare qualcosa che non vuole fare. E secondo me dovrebbe rispondere anche di questo davanti al giudice.

Come giudica l’operato del ministro Salvini?

Anche lui si è mosso come un bullo, il capo ultrà di una curva. Al ricatto della capitana ha reagito animando un braccio di ferro, senza capire che un vero statista, come lui pretende di essere e non è, non gioca sulla pelle di 42 profughi e che ci sono ricatti ai quali bisogna cedere, quelli che riguardano la vita delle persone. Un comportamento irresponsabile.

Come invece giudica il comportamento della sinistra?

Non ha capito niente. Se bisogna accettare i ricatti quando in ballo ci sono vite umane, bisogna però chiamare le cose col loro nome. E un ricatto va chiamato ricatto. La sinistra ha sbagliato nell’ergere a ruolo di eroina una ragazza che ha compiuto un ricatto, compatibile con la mission della sua Ong e basta: prendere i profughi e portarli in Italia, e solo in Italia. Lo hanno deciso loro, quelli della Sea Watch, e basta. Contribuendo anche loro a mettere a repentaglio la vita dei 42 profughi.

Nessuno ne esce bene.

Tranne per fortuna i 42 profughi, finalmente al sicuro.

Politicamente chi ne esce meno peggio?

Temo che questa vicenda abbia fatto guadagnare a Salvini molti punti percentuali in più nei consensi.

E perché vanno peggio i tifosi della capitana?

Perché la risposta ai temi complessi della gestione dei flussi migratori non può essere l’accoglienza tout court e basta. Nessun Paese al mondo può dire “venite tutti qui”, per la semplice ragione che non è possibile. Bisogna riaprire una vertenza con l’Ue, ridiscutere la redistribuzione dei migranti, e una trattativa seria non si può aprire attraverso ricatti e ricattini, forzando i blocchi tra gli applausi dei parlamentari Pd.

Zingaretti sta coi migranti. Ma anche con i finanzieri

A qualcuno era parso che sulla Sea Watch 3 il Pd avesse ritrovato una sua dimensione radicale, una posizione chiara sulla questione migranti, una collocazione precisa. È successo a metà. Nicola Zingaretti ha scelto di stare con chi salva persone in mare (“la parola del Pd è quella dei nostri deputati a bordo della nave”, ha fatto sapere), ma pure con i finanzieri “speronati” da quelli che salvano persone in mare. Quando la Sea Watch con a bordo Delrio, Orfini e Faraone ha rischiato – almeno secondo le ricostruzioni – di schiacciare una motovedetta della Guardia di finanza, Zingaretti si è messo un po’ paura.

Come prevedibile, Matteo Salvini ha orientato la sua martellante propaganda sulla manovra avventurosa della capitana Carola Rackete, usandola per attaccare la Ong e tutti i suoi sostenitori. Poco più tardi, quasi come un riflesso condizionato, il segretario del Pd si è sentito in dovere di mandare un messaggio che tradisce un certo senso di colpa: Zingaretti ha fatto sapere alle agenzie di stampa di aver contattato il comandante generale della Gdf, Giuseppe Zafarana, per esprimere la “massima solidarietà ai finanzieri” di Lampedusa che sarebbero stati messi in pericolo dalla nave Sea Watch. Insomma, il Pd è con “la capitana”, ma anche con la Gdf. I dem appoggiano un’azione umanitaria che prevede ipso facto di infrangere una legge che si ritiene ingiusta ma anche sostengono senza deroghe il principio di legalità.

Il difficile equilibrio postulato dall’ecumenico Zingaretti è tutto nell’ultima dichiarazione dettata ai giornalisti, nel tardo pomeriggio. “Tenere insieme umanità, sicurezza e legalità deve essere il compito di un governo in una democrazia. Il caso Sea Watch dice che Salvini e Di Maio hanno la colpa di aver deliberatamente sabotato questo principio”.

Il problema è che sono tre principi – umanità, sicurezza e legalità – talvolta in conflitto tra di loro: bisognerebbe saper scegliere, avere una parola sola e possibilmente chiara. Quella del Pd sulla questione migranti ancora non lo è.

I dem sono allo stesso tempo il partito di Matteo Orfini e di Marco Minniti. Il primo ha dormito sul ponte della Sea Watch, il secondo da ministro è stato il primo a governare in senso molto restrittivo l’operato delle Ong nel Mediterraneo. È stato, soprattutto, l’artefice degli accordi con la Libia che hanno consentito di diminuire vertiginosamente gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane (a costo di trattenerli in strutture abituate alla costante violazione dei diritti umani). Sulla Libia “porto sicuro” nel Pd ci sono ancora due partiti distinti.

Una divisione che ha prodotto già un incidente in Parlamento. Questa settimana, alla Camera, sono state presentate quattro mozioni per confermare la presenza italiana sulle coste libiche e sei deputati dem (tra cui proprio Matteo Orfini) hanno votato contro la posizione del proprio gruppo, presentando un testo alternativo insieme ai colleghi Fratoianni e Palazzotto (Sinistra italiana), Boldrini e Speranza (Mdp) e Riccardo Magi (+Europa). La stessa spaccatura rischia di riproporsi in Senato. Zingaretti lo sa bene: per evitare divisioni – e trovare una voce sola sulla Libia – è prevista in questi giorni una riunione al Nazareno.

Il Gay Pride sostiene la capitana: “Siamo tutti sbruffoncelli”

Bandiere arcobaleno e oro hanno sventolato alla manifestazione dell’orgoglio lgbt per le vie del capoluogo lombardo in occasione del Milano Pride. “La prima volta fu rivolta“, si leggeva nello striscione in testa al corteo: l’edizione 2019 celebra il cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, che nel 1969 a New York diedero vita al movimento di liberazione lgbt. Secondo gli organizzatori i partecipanti erano 300 mila. Quest’anno, nella bandiera simbolo dei diritti, oltre ai colori dell’arcobaleno c’era anche il colore del tessuto delle coperte termiche usate nei soccorsi ai naufraghi nel Mediterraneo: tra i carri, per la prima volta, ha sfilato anche quello dei migranti lgbt, con la musica dei paesi di origine, tra cui Senegal, Nigeria, Libia, Pakistan e Russia. E, appeso al carro, c’è uno striscione per la capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete: “Grazie, thank you, gracias, shukran Carola”, si legge sul telo azzurro. In prima fila due i cartelli per la comandante della Sea Watch: “Carola libera” e “Siamo tutto sbruffoncelli” l’aggettivo usato da Matteo Salvini per definire la giovane Carola Rackete. Di fianco sfilavano il trenino delle famiglie arcobaleno e diversi sindaci del Milanese in fascia tricolore.

“La ragazza della Ong è sciatta, conciata così sembra una scafista”

Qualche giorno fa, Valentina Mazzacurati, 29enne emiliana originaria del Ruanda, ex forzista e ora leghista, su Carola Rackete ha detto: “Possiamo fare qualcosa per farla assomigliare a una donna? Se fossi conciata così, forse anche io mi dedicherei a fare la scafista”. Ieri su Radio24 a La Zanzara, programma solito a raccogliere insulti di questo tipo, ha ribadito: “Per me la Rackete non assomiglia a una donna. Ha i rasta, non si riesce a capire se è un uomo o una donna, si veste in un certo modo, quindi non è decorosa. Non rappresenta le donne, io non mi sento rappresentata da una donna vestita da sciattona. Una si può mettere anche una maglietta bianca, così è più decorosa soprattutto se fa delle foto o se vuole attirare i media. Forse è retaggio della mia educazione, ma mi hanno insegnato che, quando una vuole dare peso alle parole e soprattutto alle sue azioni, deve essere quantomeno decorosa e presentabile”. E non c’è limite al peggio: “Io sono anche cattolica. E il cattolicesimo insegna la compostezza. E ripeto: la Rackete poteva indossare una maglietta bianca, anziché mostrarsi con le spalle scoperte. Le donne devono avere un decoro, molto più degli uomini”.

Francia: “Falso che l’Europa non vi aiuti”. Germania: “Criminalizzate chi soccorre”

La svolta nell’Unione europea è avvenuta due giorni fa, prima della notte dell’arresto di Carola Rackete, con l’annuncio di Dimitris Avramopoulos: “Ringrazio Germania, Francia, Lussemburgo, Portogallo e Finlandia per aver mostrato solidarietà ed essere pronti ad accogliere parte dei migranti sbarcati in Italia”.

Ieri, poi, Parigi ha annunciato: “Pronti a prendere dieci profughi sbarcati a Lampedusa dalla Sea Watch”. Ma dalla Francia arriva anche la prima bordata contro Roma. “Falso – scrive in un comunicato il ministro dell’Interno Christophe Castaner – che l’Ue non sia stata solidale con l’Italia. E la chiusura dei porti viola il diritto internazionale del mare”. E Castaner dà anche qualche numero: “L’Italia ha fatto la scelta di soluzioni non concertate con i suoi partner europei. E l’attuale situazione non ha nulla a che vedere con il passato dato che nel 2016 i migranti sbarcati in Italia furono 180 mila e nei primi sei mesi del 2019 sono stati 3500. Circa 13 mila migranti bisognosi di protezione arrivati in Italia nel 2016-2017 sono stati accolti da altri Paesi, fra cui la Francia”.

Il comunicato ricorda anche i 951 milioni di euro versati all’Italia dall’Ue a partire dal 2015 per la gestione delle frontiere, le procedure d’asilo e l’integrazione dei migranti, ma anche il dispiegamento di 322 agenti di Frontex (agenzia per le frontiere), 27 di Europol (polizia) e 216 Easo (Ufficio europeo per l’asilo).

Ma la “cannonata” più violenta diretta a Roma è quella che arriva dalla Germania, col ministro degli Esteri Heiko Mass: “Non si può criminalizzare il soccorso in mare”. Il ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn, invece, scrive al ministro Moavero: “Caro Enzo, rimettete in libertà la capitana Carola Rackete. Salvare vite umane è un dovere e non un delitto o un crimine”.

Da Roma il ministro Luigi Di Maio, capo dei 5stelle, contrattacca: “Eravamo lo zimbello d’Europa: o l’Europa si sveglia o la svegliamo noi”. E il premier Giuseppe Conte dice: “Richiamo tutti al rispetto delle leggi”.