Non tutti gli sfratti vengono per nuocere. Quello di Morgan dalla sua villetta oltre a rappresentare un caso limite di quanto poco la legge italiana tuteli i padri separati (si crede così di preservare la sacra famiglia, ma spesso si ottiene l’effetto contrario), ha prodotto un fatto nuovo, italianissimo. Siamo pur sempre nel Paese dove la fantasia non supera la realtà: la straccia. Solo in Italia un uomo che vive in televisione, gravemente malato di esibizionismo quale Vittorio Sgarbi, poteva candidarsi a sindaco di Sutri, ed essere eletto. Ma Sgarbi, da vero critico, è più lucido quando si occupa degli altri che di se stesso. L’ha dimostrato offrendo a Morgan ospitalità nella comunale Villa Savorelli, affinché vi trovi rifugio e luogo di lavoro. È un’idea semplice, a costo (quasi) zero, ineccepibile nel principio: gli artisti, prima che si riducano a mendicare comparsate a gettone, si possono scritturare in funzione di un bene comune. Se Morgan preferirà impegnarsi a Sutri piuttosto che mettersi all’asta, se i due radical vip sapranno rendere un servizio alla città, allora si sarà creato un precedente importante; riconoscere un valore al lavoro più sottostimato di questo Paese, il lavoro intellettuale. Se poi il trasloco a Villa Savorelli riuscisse a separare il talento di Morgan dalla paccottiglia mediatica che lo circonda, a diventare un modello da imitare, il sindaco Sgarbi avrebbe fatto bingo. Può darsi che con la cultura non si mangi, ma in compenso si vive.
È alle porte la grande invasione degli invisibili
“Il futuro dell’Europa sarà nei prossimi decenni un futuro d’immigrazione”
(da “Aiutateci a casa nostra” di Nicola Daniele Coniglio – Laterza, 2019 – pag. 12)
Nello “scontro mediatico” sull’immigrazione – come lo chiama il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, segnalando il fatto che si parla della questione quando si tratta delle navi delle Ong mentre gli sbarchi continuano ogni giorno con barche, barchette e gommoni – non risalta abbastanza un dato allarmante che documenta il fallimento della politica messa in atto da questo governo e in particolare dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Lo fornisce l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, secondo cui “tra giugno 2018 e dicembre 2020, il numero degli irregolari in Italia aumenterà di almeno 140.000 unità”.
Ora è vero che, come attesta lo stesso Ispi, “dal luglio scorso gli sbarchi di migranti sulle cose italiane si sono sensibilmente ridotti”. E questo è senz’altro un effetto apprezzabile. Ma contemporaneamente sono aumentati gli arrivi via terra, tant’è che lo stesso Salvini comincia a parlare di muri da costruire ai confini nazionali. E comunque, secondo l’Istituto di studi internazionali, la verità è che “l’Italia e l’Europa sono ancora alle prese con le conseguenze dell’arrivo di quasi 2 milioni di migranti lungo rotte irregolari negli ultimi cinque anni”.
Il nostro sistema di accoglienza, insomma, rimane sotto pressione. I governi degli altri Paesi europei continuano a mostrarsi poco solidali. E l’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo resta una sfida per noi e per tutti i nostri partner.
Sta di fatto che, quando scadono i permessi di soggiorno concessi a queste categorie di migranti senza riuscire prima a rimpatriarli, aumenta il numero degli irregolari che non possono più trovare un lavoro legale. Sono appunto i 140.000 clandestini di cui parla l’Ispi. Un esercito di invisibili, di fantasmi pronti a invadere la Penisola dall’interno; una nuova ondata migratoria per così dire endogena. Il cavallo di battaglia della propaganda leghista rischia così di trasformarsi in un cavallo di Troia.
Eppure, di fronte ai diecimila medici che mancano e agli ottomila infermieri che mancheranno prossimamente, il governo si preoccupa strumentalmente dei 42 migranti raccolti in mare dalla “Sea Watch” e portati a Lampedusa, “comparse di questo teatro” come li definisce l’altro vicepremier Luigi Di Maio. È vero che da un anno in qua gli sbarchi sono diminuiti e che di conseguenza sono diminuiti anche i morti nel Mediterraneo. E ha ragione il ministro Salvini a proclamare che bisogna combattere i “trafficanti di uomini”, e aggiungiamo pure di donne e bambini, cioè gli scafisti che poi commerciano in armi e droga. Ma i migranti fuggono dai propri paesi d’origine non perché ci sono gli scafisti, bensì per sottrarsi alle guerre, alle torture, alla povertà e alla fame. Gli scafisti prosperano proprio perché esistono questi problemi e quindi esistono i migranti. Ed è, dunque, innanzitutto “a casa loro” che bisogna aiutarli.
“I paesi ricchi come il nostro sono e saranno sempre meta di immigrazione”, osserva l’autore del saggio citato all’inizio, con un interessante approccio da docente di Politica economica alla “questione immigrazione”. E aggiunge: “Ogni sforzo per rendere le frontiere più aperte e i flussi più regolamentati e prevedibili sarà un importante passo per rendere la diversità una fonte di straordinaria ricchezza”. Altrimenti, come lui stesso avverte in chiusura, continueremo a gestire un fenomeno di portata epocale “in un modo che rende il nostro mondo più disumano e, allo stesso tempo, più povero”.
Carola-Antigone è nel torto, ma ha ragione
Lo scontro sulla Sea Watch fra Matteo Salvini, ministro dell’Interno, che rappresenta la legge italiana, e la “capitana” Carola Rackete, comandante della nave, riproduce l’antico dramma greco rappresentato da Sofocle in Antigone.
Il fratello di Antigone, Polinice, dichiarato “nemico della patria”, non può essere sepolto, per le leggi di Tebe, rappresentate dal re Creonte, e il suo cadavere lasciato ai vermi e ai corvi. Antigone, che ho visto interpretata magistralmente da Elisabetta Pozzi al Teatro Fraschini di Pavia, mossa da pietas seppellisce ugualmente il fratello in segreto. Scoperta da Creonte, che deve far rispettare la legge (dura lex, sed lex come dicevano i latini), sarà di fatto costretta al suicidio.
Non c’è dubbio quindi che Salvini, come Creonte, dal punto di vista della legge abbia ragione e Carola Rackete, come Antigone, torto. Ma nel confronto e nel raffronto umano fra la “capitana” e il “capitano”, come viene chiamato enfaticamente e arbitrariamente Salvini, è quest’ultimo a uscirne in pezzi.
Gran bella ragazza, Carola Rackete si laurea giovanissima in Scienze nautiche, prende un master all’Università inglese di Edge Hill, diventa secondo ufficiale su alcune navi che si occupano di temi ambientali per approdare nel 2016 al comando della Sea Watch. Sia detta di passata: oltre a quella materna, il tedesco, parla quattro lingue, inglese, francese, spagnolo e russo. Dubito molto che una ragazza (oggi ha 31 anni) con queste credenziali percorra i mari per fare “il trafficante di uomini”. Altro è il suo sentimento.
Matteo Salvini, che non può essere considerato un adone, anzi a vederlo fa un poco ribrezzo, per usare una volta tanto un mantra berlusconiano non ha mai fatto una sola ora di lavoro, serio, in vita sua e non è nemmeno riuscito a laurearsi. Non ho contezza in quali lingue sia in grado di parlare, certamente non l’italiano. È un politico di professione più adatto alle parole, tonitruanti, che all’azione. È forte con i deboli, i migranti, debole con i forti e va a strisciare, umiliando la nazione italiana che in ogni momento afferma di rappresentare, ai piedi di Donald Trump, che i coglioni ce li ha davvero ed è il nemico numero uno dell’Europa e quindi anche dell’Italia. Nonostante le sue pose scultoree ha l’aria d’esser un vile.
Carola Rackete di coraggio, morale e fisico (in fondo su quella nave di dannati ci sta anche lei condividendone le sofferenze), ne ha da vendere: violando le acque territoriali italiane rischia grosso, l’arresto, la carcerazione e una condanna per “favoreggiamento di immigrazione clandestina”. Ha anche provato, con una certa sfrontatezza, a entrare nel porto di Lampedusa ma è stata fermata dalle navi della Guardia di finanza.
Insomma Carola Rackete è Antigone, Matteo Salvini, nobilitandolo parecchio, Creonte che nel prosieguo della tragedia greca finirà molto male, cosa che potrebbe capitare anche all’improvvisato “capitano”, come accadde a un altro Matteo, Renzi, se continuerà a fare il fenomeno anche in materie che, a differenza della difesa dei confini nostrani, non lo riguardano affatto. Insomma, almeno ai nostri occhi, Matteo Salvini pur avendo ragione ha torto e Carola Rackete pur avendo torto ha ragione.
Gli attacchi al Mibac e l’interesse Lega-Pd
In un articolo dal titolo particolarmente spiacevole (Beni culturali, è guerra per bande) apparso ieri su Repubblica, Sergio Rizzo ha ritenuto di dare amplissimo spazio alle feroci censure del soprintendente di Roma, Francesco Prosperetti, contro il suo superiore gerarchico diretto, il direttore generale per le Belle Arti, Archeologia e Paesaggio, Gino Famiglietti, e contro il Segretario generale Panebianco e il ministro Bonisoli. L’oggetto del contendere è la riforma del Mibac, appena approvata dal Consiglio dei ministri e che entra ora in fase di attuazione.
Prosperetti attacca la norma che riporta nelle competenze del direttore generale l’apposizione dei vincoli: “Neanche il ministro fascista Bottai aveva osato tanto… la posta in gioco della nuova riforma è lo Stato di diritto, niente di più, niente di meno”. E, aggiunge Rizzo in una frase particolarmente misteriosa, “c’è perfino chi si spinge ad argomentare come questo passaggio possa generare un conflitto costituzionale, aprendo una contraddizione tra l’articolo 9, che tutela il paesaggio, e l’articolo 42 che garantisce la proprietà privata”. I cosacchi, insomma, starebbero per far abbeverare i loro cavalli nei ruscelli della Val di Susa o nei, salmastri, canali di Venezia.
Ora, questa riforma non è certo esente da difetti, anche seri. Tra questi va annoverata, per esempio, la scelta di togliere l’autonomia alla Galleria dell’Accademia di Firenze non per sostenere (con i suoi introiti, legati alla presenza del David di Michelangelo) il Polo museale della Toscana, ma per accorparla agli Uffizi, in un monstrum elefantiaco di dubbio fondamento storico e di difficile governo.
Invece, Prosperetti si scaglia proprio contro il principale punto di forza della riforma: riportare al centro le decisioni cruciali per la tutela di paesaggio e patrimonio. Il soprintendente di Roma e il suo intervistatore hanno un vuoto di memoria: i vincoli sono sempre stati in capo all’amministrazione centrale, fin dal 1909. Più esattamente spettavano al ministro stesso fino al 1993, e poi al direttore generale. Quando è che questa facoltà così delicata passò alle periferie? Il 20 ottobre 1998, e cioè l’ultimo giorno della permanenza di Walter Veltroni alla guida del ministero: quando fu varata una riorganizzazione che la assegnò alle testé create soprintendenze, e poi direzioni, regionali. Era il momento di maggior sudditanza culturale del centrosinistra alle istanze secessioniste della Lega, e infatti tre anni dopo passava l’orribile riforma del titolo V della Costituzione scritta dagli esponenti del futuro Pd.
Basta questo per far capire quale è la posta in gioco dell’attuale partita dei Beni culturali. Non sappiamo quali saranno le conseguenze, in questo campo, della scellerata autonomia differenziata che fa leva sul il titolo V di quell’infelice riforma, e che è ora l’oggetto del principale braccio di ferro tra i due contraenti del contratto di governo. Ma quasi ogni giorno Salvini dice che vuole mettere le mani sulle soprintendenze del Nord: ed è evidente che la “raffica regionalistica” che Concetto Marchesi paventava in Costituente fin dal 1946 potrebbe presto diventare realtà. Da siciliano, Marchesi sapeva bene cosa significava: la sua regione aveva avuto un’autonomia specialissima addirittura prima della Costituzione, e infatti lì, dal 1975, le soprintendenze saranno sottoposte al potere politico regionale, con i devastanti risultati ambientali che chiunque oggi può constatare.
Salvini dice anche che vorrebbe poter nominare il direttore di Brera: e la riforma Franceschini era arrivata a un passo dal permettere che i musei autonomi si costituissero in fondazioni di diritto privato con dentro gli enti locali, sul modello equivoco dell’Egizio di Torino.
Come in molti altri casi, Lega e Pd si trovano dunque perfettamente d’accordo nella politica del consumo del territorio: un partito unico che ha il suo simbolo nel Tav e nel rifiuto di ogni controllo terzo, come quello delle odiate soprintendenze.
Purtroppo il Movimento 5 Stelle è stato finora incapace di resistere adeguatamente all’“autonomia” secessionista di marca leghista mettendo in campo una chiara visione alternativa: ma bisogna dare atto al ministro Bonisoli di star provando a difendere il territorio (riportando i vincoli al centro) e i musei (annullando i cda dei musei autonomi) dalla balcanizzazione che rischia di far sparire il concetto stesso di ‘patrimonio della Nazione’, enunciato in un principio fondamentale della Carta.
Quanto al ventilato conflitto tra articoli 9 e 42, bisogna ricordare che quest’ultimo prevede che la proprietà privata sia limitata per legge “allo scopo di assicurarne la funzione sociale”: è esattamente ciò che fanno i vincoli. Certo, il partito del cemento ha nel lavoro di Famiglietti e nello spirito di questo pezzo di riforma due fieri nemici: ma a noi questa sembra un’ottima notizia.
Mail box
Carroccio, la polemica è basata sui fatti, non sugli insulti
Da attento lettore del Fatto ammiro la professionalità dei giornalisti che fanno parte della redazione. Apprezzo particolarmente la lucida ironia del direttore Marco Travaglio, il quale non lascia spazio a repliche di pari valore. Ho notato, però, che da quando Salvini ha incrementato il suo consenso tra gli elettori, il direttore gli ha affibbiato l’appellativo di “pallone gonfiato”. Ora, convengo sul fatto che il ministro degli Interni è solito debordare dalle sue competenze, ma non credo che insultarlo sia il modo più intelligente per ridimensionarlo. Anzi, più lui promette l’impossibile e più gli elettori lo terranno presente quando si andrà alle urne.
Anche di Renzi i quotidiani titolavano che incarnasse la soluzione a tutti i problemi del Paese, ma poi si è visto come è andata a finire. Credo che il Fatto dovrebbe puntare più sulla forza delle idee che non sulla polemica politica, cercando di evitare il rischio di mettersi sullo stesso piano di chi parla alla pancia del Ppaese e non alla sua testa.
Gian Carlo Lo Bianco
Caro Lo Bianco, anche la polemica basata sui fatti (non sugli insulti) può aiutare a sporificare i palloni gonfiati. Con Berlusconi e Renzi ha funzionato, non crede?
M.Trav.
Quegli operai “furbetti” del Comune di Roma
Ho letto dell’attività di nove operai del servizio giardinaggio del Comune di Roma che, firmando la presenza, vanno a svolgere altro lavoro presso privati. Questi individui gettano discredito a tutto il personale in servizio. Inoltre, occorre ricercare gli addetti al controllo di costo, licenziandoli per il mancato adempimento delle loro funzioni. Solo in tal modo si possono ripristinare le funzioni che svolgevano molti anni fa i dipendenti del servizio giardini, partendo dal direttore per giungere agli impiegati addetti.
Roberto C.
Nessuna pietà per i malvagi venditori di bambini
Sono nato e cresciuto in questo angolo di mondo che tutti ammiravano. Il mio lavoro mi ha permesso di visitare l’Italia in lungo e in largo. Penso che si è sempre fatto a gara su chi accogliesse di più (tra nomadi e immigrati), tra Chiesa e comuni. Mi ricordo dei primi immigrati che arrivavano dal Sud negli anni 70, e la principale preoccupazione era quella di trovar loro casa e di dargli ospitalità. Ora, tutto è cambiato. In peggio. Stiamo fronteggiando il problema dei bambini venduti: la nostra realtà è minacciata dalla bramosia del denaro facile, e nessuno si fa più scrupoli. Credo che ci sia bisogno di educatori preparati per donare un’etica alle nuove generazioni. Spero che i “venditori di bambini” vengano puniti in maniera esemplare; chi ha rovinato la vita di queste creature e dei loro familiari non merita nessuna comprensione.
Paolo Benassi
Serve crescita culturale per un futuro diverso
Condivido la battaglia del direttore Travaglio contro la corruzione. Stiamo assistendo al decadimento morale della società, e questo ha provocato uno sfilacciamento sociale.
Sandro Pertini sosteneva che la democrazia va sempre difesa, e che la corruzione è una nemica della Repubblica. C’è bisogno che il popolo si elevi culturalmente.
Sergio Azzolini
Ambiente e attività produttive: sono queste le priorità
Credo sia giunto il momento di porre le basi di un programma politico utile per l’Italia, regioni e comuni, ma anche per qualsiasi organismo istituzionale che operi sul suolo nazionale.
Nonostante la maggioranza dei partiti dichiari di avere un programma, credo sia fondamentale stabilire delle priorità: ambiente-territorio, abitanti e attività produttive.
Solo in presenza di questi capisaldi non avremmo subito misfatti tipo il Mose, assurdità come la Tav o scempi del calibro dell’Ilva. Il territorio italiano è in pericolo a causa della continua aggressione di cemento e di massificazione del turismo con il solo fine del profitto. Dichiarare questa scala di priorità rappresenta, a mio avviso, l’unico modo per creare una separazione netta tra coloro che approfittano dell’ipocrisia politica in cui sguazziamo e quelli che hanno a cuore il futuro del nostro Paese.
Emilio Baldrocco
I leader europei indichino come distribuire i migranti
Mentre continua la bagarre all’interno del governo, resta sul tappeto, o meglio in mare, davanti all’ormai famoso porto di Lampedusa, la questione migranti, rappresentata ancora una volta dalla Sea Watch 3 e dai 42 passeggeri che vorrebbero sbarcare a terra. Non ho mai avuto né simpatia né tantomeno solidarietà nei confronti di Matteo Salvini. Mi domando, però, perché l’Ue non vuole che i migranti sbarchino in altri Paesi all’infuori dell’Italia. Mi chiedo, inoltre, perché quel che resta dell’Ue riesce a fare la voce grossa solo quando l’Italia non rispetta i suoi beceri e dannosi parametri economici. Si spera che dai leader europei vengano poste delle regole per distribuire i migranti. Nel frattempo, a Osaka, nella riunione del G20, Conte e Tria spieghino come stanno le cose ai leader europei, sperando che questi sappiano ascoltare.
Luigi Ferlazzo Natoli
Quantitative easing. “È arrivata l’ora di disintossicarsi dagli aiuti della Bce?”
Gentile redazione, per quanto ci riguarda il Quantitative easing consiste nell’acquistare titoli di Stato tossici dalle banche, garantiti dall’equivalente in oro depositato in Banca d’Italia. In cambio le banche possono ottenere finanziamenti a tasso agevolato dalla Bce per comprare altri titoli di Stato. La diminuzione dei prestiti a imprese e privati assieme all’inflazione sotto il 2% confermano che nell’economia reale non c’è stato alcun aumento di liquidità. Più che da medico dell’economia Mario Draghi si sta comportando da “pusher” perché il Qe contribuisce a mantenere in vita il sistema ammalato dell’indebitamento degli Stati, inoculando a piccole dosi il virus del credito nelle banche. Come un tossicodipendente l’economia italiana (e non solo) avrebbe bisogno di un periodo di disintossicazione, ma non credo sarebbero in molti a sopravvivere.
Wakan Tanka
Gentile Wakan Tanka, dallo pseudonimo che lei usa (“Grande spirito” dei nativi americani) deduco che le siano più familiari i fumetti di Tex Willer che i bollettini mensili della Bce, quindi non mi stupisco che lei avanzi sintesi un po’ tagliate con l’accetta, anzi, con il Tomahawk. La Bce non acquista titoli tossici, anzi. Acquista soltanto titoli di Stato con un rating sopra la soglia junk, cioè spazzatura. Per anni, per esempio, i titoli greci sono stati esclusi dalle operazioni straordinarie. Con il Quantitative easing, cioè con l’acquisto diretto di titoli, la Bce ha immesso nell’economia dell’eurozona oltre 4.600 miliardi di euro in tre anni, tra 2015 e 2018. Se si può fare una critica al programma è quella di essere partito troppo tardi, ma per colpa delle resistenze tedesche e degli altri Paesi del Nord, non certo di Mario Draghi che fin dal 2011 ha dimostrato di essere pronto a ogni tipo di misura non convenzionale. I problemi dell’area euro sono lontani dall’essere risolti come dimostra l’inflazione: a maggio era dell’1,2 per cento, l’obiettivo è portarla intorno al 2, per evitare la palude di investimenti a rilento e debiti insostenibili. Ma l’approccio che lei invoca, quello di una selezione naturale finanziaria, è lo stesso che ha ispirato le mosse della Federal Reserve e della Amministrazione Hoover negli Stati Uniti dopo la crisi del 1929. Loro hanno applicato le ricette che lei suggerisce e il frutto di quel “periodo di disintossicazione” è stata la Grande Depressione e seguita, in senso cronologico ma un po’ anche causale, dalla Seconda guerra mondiale. Eviterei il bis.
Stefano Feltri
Il doping per i body builder? Si spaccia nella casa di riposo
Forse qualche nonnina si sarà accorta di quello strano viavai di giovani palestrati, in due case di riposo della provincia di Trento. Non erano nipoti particolarmente prestanti, in visita caritatevole a qualcuno degli ospiti. Gli ambulatori di quelle case di riposo erano infatti diventati il punto di riferimento di sportivi e frequentatori di palestre. Lì gli atleti si dopavano con sostanze illegali, a volte anche praticando l’autoemotrasfusione: il prelievo e la re-infusione di sangue. E così, fra cateteri e pannolini, erano spuntati i farmaci proibiti per eludere gli eventuali controlli antidoping.
È quanto è emerso da un’indagine, dal nome evocativo di “Big boy”, coordinata dal procuratore capo a Trento, Sandro Raimondi, con il sostituto Davide Ognibene. I carabinieri del Nas hanno eseguito nove ordinanze di custodia cautelare per altrettante persone, provenienti da varie zone del nord Italia: dalle province di Trento, Bolzano, Brescia, Bergamo, Cremona, Modena e Viterbo. Facevano parte di un’organizzazione per il commercio di farmaci dopanti. Alcuni di loro sono accusati di esercizio abusivo della professione sanitaria di fisioterapista e dietista. Ma nell’inchiesta è stato coinvolto anche un medico geriatra, direttore sanitario delle due case di riposo trentine.
Fermati anche due personal trainer, molto conosciuti nell’ambiente per i loro risultati nelle competizioni di body building. Secondo un report pubblicato dal ministero della Salute, più del 2 per cento degli atleti amatoriali, sottoposti a controlli antidoping, sono risultati positivi. Il fenomeno è però più diffuso in quelli che superano i 39 anni, già considerati anziani fra gli sportivi. E forse proprio per questo avevano scelto la casa di riposo, come luogo perfetto per doparsi.
Il collezionista rubava materiale agli Archivi di Stato in tutta Italia: ritrovati in vendita su eBay
Su Ebay aveva trovato documenti dell’Archivio di Stato di Como da lei diretto. Li aveva messi in vendita un negozio di filatelia di Rivoli (Torino). Così il 24 agosto 2011 la direttrice Lucia Ronchetti aveva segnalato il loro furto. Lo stesso giorno i carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale e i funzionari della Soprintendenza di Torino sono andati a controllare il materiale. Quasi otto anni dopo, al termine di un processo concluso con un proscioglimento, i carabinieri hanno restituito 592 documenti storici e trenta manifesti sottratti ad archivi e biblioteche di tutta Italia. La consegna è avvenuta ieri con una cerimonia all’Archivio di Stato di Torino.
Quel materiale aveva fatto un giro lunghissimo durato anni. A rubarli era stato un collezionista di Brindisi che, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, aveva visitato più volte l’Archivio di Stato a Como per consultare dei documenti. Dopo la sua morte nel 2004, la vedova aveva venduto la sua collezione a un commerciante di Bari che poi, a sua volta, li ha ceduti al negoziante di Rivoli. Nel corso di due perquisizioni i carabinieri hanno scoperto il suo immenso archivio segreto con più di seimila documenti. Dal loro studio i funzionari della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Piemonte e Valle d’Aosta hanno appurato che 592 atti pubblici e trenta manifesti (valore totale circa 60mila euro) provenivano illecitamente dagli Archivi di Stato di Como, Roma e Pordenone, e anche da altri archivi e biblioteche di tutta l’Italia. Il 13 gennaio 2017 il commerciante è stato condannato a due anni e due mesi per ricettazione di beni culturali, ma un anno dopo la Corte d’appello lo ha prosciolto per la prescrizione e per la tenuità dei fatti. Questo non ha impedito alla giustizia di confiscare definitivamente i cimeli che ora possono tornare alle loro collezioni originarie.
Droga nel furgone di nascosto: così giornalista e imprenditore incastrarono il rivale “scomodo”
Un giornalistadi una testata web di Capri, F. S., in concorso con un imprenditore caprese suo amico, G. M., si sarebbe prestato a un gioco sporco: piazzare di nascosto cinque palline di cocaina sull’autocarro di un imprenditore salernitano concorrente dell’amico, fare una soffiata a un poliziotto per farle ritrovare, poi scrivere quasi in diretta l’articolo per screditare il proprietario dell’autocarro, in modo da creare le condizioni mediatiche per farlo estromettere dai lavori sull’isola azzurra, infine assegnati all’amico.
La vittima di questo trappolone da B-movie avvenuto nel gennaio 2017 si chiama Marcello Panico e il suo incubo è durato fino all’archiviazione di pochi giorni fa. Due anni e mezzo durante i quali è stato ingiustamente indagato per reati di droga. Scrive il pm di Napoli Giancarlo Novelli nella richiesta di archiviazione accolta dal Gip Fabrizio Finamore: “Panico, incensurato alla soglia dei 60 anni, è un irreprensibile imprenditore salernitano, quindi estraneo al contesto caprese particolarmente chiuso per via della connaturata realtà isolana, e pertanto estremamente scomodo”.
Le indagini hanno appurato che Panico, monopolista dei lavori di manutenzione dei cavi telefonici sull’isola di Capri fino a quando non gli piazzano la cocaina nel furgoncino, doveva essere incastrato per far subentrare il concorrente. Lo stratagemma è stato svelato grazie ad alcune testimonianze e all’incrocio dei tabulati. Il sovrintendente di polizia ha rivelato che la sua ‘fonte confidenziale’ era il giornalista – che sentito dal pm ha negato “spudoratamente” -, nei giorni precedenti al ritrovamento di droga “intercorrono molteplici contatti telefonici” tra il giornalista e l’imprenditore amico, e guarda caso l’autocarro dove fu rinvenuta la cocaina aveva sostato il giorno prima in un cantiere dove l’imprenditore caprese stava lavorando con due operai. Sulla simulazione di reato il pm ha aperto un’altra indagine.
Samir Bougana, dalla Valsabbia alla Siria. Arrestato il primo reduce italiano dell’Isis
In Siria si è addestrato in una comunità di foreign fighter europei ribattezzata “la Casa dei tedeschi”. In Italia è nato in quella zona della provincia di Brescia, la Valsabbia, che può essere considerata, inchieste alla mano, la cantera del terrorismo italiano. È la parabola di Samir Bougana, italo-marocchino di 25 anni “primo foreign fighter italiano arrestato che, dopo aver combattuto per l’Isis, voleva tornare in Italia”, come lo ha definito la Procura di Brescia che ha ne ha ottenuto l’arresto.
Dopo quattro anni nell’esercito dello Stato Islamico, nel settembre di un anno fa era stato catturato dalle Unità di Protezione Popolare Curde. Stava andando in Turchia per consegnarsi al nostro consolato. Da terrorista pentito di aver imbracciato le armi in nome dell’Isis.
Da giovedì sera è rinchiuso nelle carceri italiane a disposizione delle autorità italiane. “Ci aiuterà a capire le fasi del reclutamento e dell’addestramento. Informazioni che ci serviranno per il futuro”, dice il pm di Brescia, Erica Battaglia, che dal 2015 indagava sull’italo-marocchino che dopo aver vissuto tra le province di Cremona e Mantova aveva lasciato l’Italia a 16 anni per trasferirsi in Germania. “Dal computer di casa attraverso Internet ha iniziato il processo di radicalizzazione per poi trasferirsi in Siria dove in una città del nord si è addestrato militarmente” è la ricostruzione della Procura bresciana. Deve rispondere di associazione a delinquere con finalità di terrorismo quale partecipe dello Stato Islamico. “Accuse che lui stesso ha ammesso sia in fase di interrogatorio che attraverso interviste giornalistiche”. A febbraio scorso, quando già era nelle mani dei curdi, rilasciò un’intervista a La Stampa nella quale si disse pronto “a pagare per quello che ho fatto, ma non voglio morire”. “Le alternative al suo ritorno in Italia – a detta del magistrato titolare dell’inchiesta – erano inaccettabili per la nostra Costituzione”. Poteva essere liberato, ma rischiava anche di essere giustiziato. Durante i quattro anni sotto il Califfato, il 25enne si è sposato con una donna di origini turche, che attualmente è ancora in Siria, e ha avuto tre figli. L’Isis manteneva lui e la sua famiglia. “A Deir Ezzor facevo parte di un’unità che faceva pattugliamenti notturni. Vivevo in una casa fornita dall’Isis, mi pagavano circa 150 dollari mentre mia moglie stava a casa”, ha spiegato agli inquirenti bresciani che hanno indagato partendo dalle origini di Samir Bougana. Nato due anni dopo e a una manciata di chilometri di distanza da dove era partito Anas El Abboubi, anche lui foreign fighter italiano arruolatosi in Siria, ma mai tornato a casa perché probabilmente ucciso (nessun atto lo stabilisce con certezza). Bougana è di Gavardo, El Abboubi di Vobarno, paesi della Valsabbia, una porzione della provincia bresciana dove abitava anche il 25enne Mohammed Zakariae Youbi, espulso dall’Italia per apologia del terrorismo nel giugno di due anni fa e che attraverso in internet sognava di colpire l’Occidente.