Un sistema “squallido con nefandezze di ogni tipo” dove alcuni tra i più noti professori dell’Università di Catania avrebbero agito con modalità “che, per certi versi, ricordano quello delle famiglie mafiose”. Nove professori sospesi: ci sono il rettore Francesco Basile, il suo predecessore, Giacomo Pignataro, il proretto Giancarlo Magnano San Lio e sei direttori di dipartimento. La Procura, per loro, aveva chiesto i domiciliari. Gli indagati sono in tutto 66, accusati a vario titolo di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, induzione indebita, falsità ideologica e materiale in atti pubblici, turbata libertà del procedimento e truffa aggravata. Secondo i pm, coordinati dal procuratore Carmelo Zuccaro, sarebbero stati pilotato 27 concorsi dell’ateneo di Catania; si indaga ancora su altri 97 casi. Tra gli indagati non colpiti da misure altri due rettori, Eugenio Gaudio della Sapienza di Roma e Marco Montorsi dell’Humanitas di Rozzano (Milano), l’ex procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata e Antonino Recca, anch’egli ex rettore di Catania.
I professori avrebbero confezionato abiti su misura per chi doveva accedere a determinate posizioni. I pm ritengono di aver individuato un codice di comportamentofatto di ricatti e scambio di favori. “Prima si decideva chi doveva vincere e poi veniva stilato il bando. I docenti che arrivavano dagli altri atenei d’Italia per fare parte delle commissioni venivano indirizzati sul nome dei vincitori”, spiega il sostituto procuratore Marco Bisogni.
Le origini dell’inchiesta e la lotta per il potere
Tutto comincia a giugno di tre anni fa, quando si consuma lo scontro tra l’allora rettore Pignataro e il direttore generale Lucio Maggio, uomo di fiducia dell’ex magnifico Recca e all’epoca sospeso dal servizio. In mezzo, tra appalti per la costruzione di nuovi edifici universitari ed esposti incrociati, c’è pure la querelle per lo statuto dell’Università, contestato per il troppo potere che attribuiva al vertice dell’ateneo. Magistrati e polizia scoprono il presunto sistema capace di condizionare, secondo l’accusa in maniera illecita, anche l’elezione dei componenti del cda: votati con “i pizzini… diciamo alla Stalin. Abbiamo fatto la riunione prima, come nel peggiore sistema democristiano, e quindi si è fatto il Consiglio”, dice un professore intercettato.
I protagonisti e le accuse dei pm
Tra i 66 indagati, 40 sono docenti all’Università di Catania e 20 di Bologna, Cagliari, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.
I direttori di dipartimento sospesi dal servizio Uccio Barone (ex a Scienze politiche), Michela Cavallaro (Economia), Filippo Drago (Scienze biomediche), Giovanni Gallo (Matematica e Informatica), Carmelo Monaco (Scienze biologiche), Roberto Pennisi, (Giurisprudenza) e Giuseppe Sessa (presidente del coordinamento della facoltà di Medicina).
I concorsi truccati
Ad essere “particolarmente implicato” secondo Zuccaro è l’ex direttore del dipartimento di Scienze politiche Uccio Barone per un concorso che riguardava il figlio. In un’intercettazione con un interlocutore anonimo, il professore spiegava i dettagli di una selezione: “È bello tosto il concorso perché ci sono dieci domande con sette idonei fra cui lei… e vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare”. In alcuni casi i bandi venivano indicati direttamente con i nomi dei vincitori. “Gli ho detto ‘Scusami Lucia, insomma questo è il concorso di Massimo non è che hai speranza’, spiegava mentre era intercettato Filippo Drago, direttore del dipartimento di Scienze biomediche. Rispondendo a precisa domanda del rettore Basile sullo stato “dei tuoi concorsi”.
Ritorsioni di sistema
Nel sistema Catania ci sarebbero state anche conseguenze per chi provava a mettere fuori uso gli ingranaggi. “Azioni ritorsive come i ritardi nelle progressioni di carriera”, sottolinea Zuccaro. Agli atti c’è un’intercettazione che secondo i pm tratta inequivocabimente questa modalità. Parla direttore del dipartimento di scienze Biologiche Carmelo Monaco. “Lui mi ha detto che non l’avrebbe fatto, il cretino. Vabbè lo distruggeremo, è un uomo finito. Non c’è problema, lo odiano tutti ormai. Ci divertiremo”.