5 Stelle contro la Rai: “Ha tagliato Di Maio dall’inquadratura”

Dura polemica tra M5S e Rai nel giorno della demolizione del ponte Morandi. I pentastellati accusano Viale Mazzini di aver tagliato dalle inquadrature Luigi Di Maio, presente all’evento insieme a Matteo Salvini, Giovanni Toti e al sindaco di Genova, Marco Bucci. “La Rai ci oscura”, si legge sul blog dei grillini, secondo i quali nella diretta di Rainews di ieri mattina da Genova “per diversi minuti le immagini hanno mostrato solo Toti, Bucci e Salvini, tagliando Di Maio. Un fatto inaccettabile su cui attendiamo spiegazioni”. “Togliere dai resoconti televisivi l’M5S è una scorrettezza gravissima nei confronti dei telespettatori”, attacca anche il senatore Primo Di Nicola. Sulla vicenda è arrivata la risposta del cdr di Rainews24. “Queste accuse fanno venire il sospetto che quella di oggi (ieri, ndr) fosse una passerella per i politici. Per noi la notizia era la demolizione del ponte Morandi”, si legge in un comunicato. Ci sarebbe una spiegazione tecnica. Alle 9.53 lo “zainetto” utilizzato dalla Rai per la diretta è andato fuori uso, così la regia ha virato su immagini della Reuters, dove Di Maio non si vede. “Ma parliamo di secondi, non di minuti, poi siamo tornati sulle immagini Rai. E alle 12 Di Maio l’abbiamo anche intervistato”, dicono dalla redazione. “Non è vero, erano minuti”, ribattono dal M5S. Duro Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai: “È indecoroso che in un’occasione simile si polemizzi su chi è stato inquadrato e chi no. Allora davvero qualcuno era lì per fare passerella…”.

Un’idea per zittire Salvini: quotare in Borsa SeaWatch

Caro direttore, il presidente di Confindustria è pienamente armonizzato con le tre sigle sindacali, era necessario che il MoVimento andasse al governo perché accadesse una cosa del genere! In sostanza Cgil, Cisl e Uil, insieme a Boccia, hanno formato una specie di eclissi a forza di girarci attorno. Nell’oscurità del cono d’ombra che formano questi resti della storia si minacciano tranquillamente i governi! Se qualcosa va storto con una concessionaria di un servizio pubblico fondamentale del paese, fatevi i cazzi vostri, sono quotati in Borsa. Come se la stessa parola “Nazione” fosse troppo grossa: lo Stato e i cittadini si devono infantozzare di fronte ai magliari multicolore, i Benetton e le grandi società quotate nel gran mercato.

Parlando di grosse società, ancora di più “se quotate in Borsa”, un governo dovrebbe accettare passivamente che la sua concessione crolli, divida in due Genova, uccida 43 persone e distrugga pure un quartiere.

“Ok, grazie, siete fantastici, però quelli erano i nostri cittadini, quella è la nostra città e il ponte lo hanno pagato gli italiani! Adesso siete fuori!”: Unica Possibile Reazione Plausibile (UPRP).

Però Boccia dice che “…servirebbe una valutazione più a freddo del linguaggio da usare…” di fronte a una grande società sana come Atlantia…

Sana? Cosa significa sano oggi? Gli amici che “rappresentano” i cittadini ti danno in concessione un pezzo vitale del paese e tu non te ne prendi cura, ti rifiuti di risponderne senza vergogna. Potrebbe anche essere… L’incapacità di provare vergogna è la nuova definizione di salute (mentale), chi lo sa.

Sono morti in 43, uno in più dei poveracci che sono bloccati sulla nave di fronte a Lampedusa. Per il primo gruppo il mondo civile è contento se facciamo finta di niente, se non sbarcano quelli del secondo gruppo invece siamo dei criminali.

Non importa a nessuno come la pensi, la vera questione è che la Sea Watch non è quotata in Borsa! È un mondo cacotopico, uno dei sinonimi di “distopico”. Cosa significa CACOTOPICO? Che viviamo in un futuro che tradisce tutte le aspettative più rosee di un lungo e noiosamente entropico dopoguerra.

Sì perché noi siamo ancora nel dopoguerra, viviamo le conseguenze della crisi del ’29 e della guerra mondiale che l’ha seguita. Un’utopia alla rovescia, questa è una cosa cacotopica!

Così, il nostro CacoCapitano è un eroe contro i deboli, mentre l’eternamente imberbe non riesce a trovare la concentrazione necessaria a mandare a quel paese la cachessia delle idee che sta travolgendoci.

Se è un brutto sogno, svegliamoci; se siamo svegli, agiamo!

C’è una terza possibilità: lasciamo fare al mondo della finanza, forse si accorgono che la Sea Watch è quotata in Borsa tramite qualche altra “controllata” come sembra esserlo tutto il mondo, tranne l’Africa (forse).

Pensateci: questo è uno dei paesi più evoluti della terra, mica noccioline.

Salvini contro Sofri e Saviano: querele a suon di insulti

Dalla cartastampata ai social volano insulti e querele tra Adriano Sofri, Matteo Salvini e Roberto Saviano. Tutto nasce dalla rubrica “Piccola posta” in cui Sofri commenta duramente sul Foglio le parole del vicepremier, in difesa della capitana della Sea Watch. In pratica, imita lo stile salviniano dell’altro giorno. Un esempio: “Senti brutto stronzo. Ti piace insultare una giovane donna in gamba a nome del governo italiano, eh? Maramaldo. A nome degli italiani, 60 milioni? Pallone gonfiato, ceffo vigliacco. Ti sei rotto le palle, eh? Coglione. Te li sudi tu i tuoi selfie, eh?, disgustoso gradasso”.

Saviano commenta Sofri su Instagram definendo la sua “l’analisi politica più lucida degli ultimi mesi”. Salvini li mette insieme su Twitter: “Essere insultato dal pregevole duo Sofri-Saviano mi rende ancora più orgoglioso del mio lavoro in difesa del Popolo italiano! Bacioni e querele”.

Ma Saviano replica ancora sui social: “Querele querele querele. Ministro mi aspetto almeno un Editto Reale. Potrebbe incaricare Ginotto Di Maio per notificarmelo. Mi pare ‘nu guaglione affidabile”.

Moavero: “La Libia non è un porto sicuro, è un dato di fatto”

Sembra una considerazione quasi ovvia, ma se proviene dal ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, assume un peso significativo: la Libia non è un porto sicuro. Lo dice in modo chiaro, Moavero: “La definizione di porto sicuro viene dalle convenzioni internazionali, queste condizioni per la Libia non ci sono”. Il ministro degli Esteri lo dichiara alla Farnesina con accanto Ghassan Salamè, l’inviato Onu nel Paese africano dilaniato dalla guerra civile. “Non siamo noi a dirlo”, aggiunge Moavero, “è un dato di fatto del diritto internazionale”. Sarà pure un dato di fatto, ma è pure una sconfessione della linea del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che da un anno fa la guerra alle Ong sostenendo che i migranti vadano riportati proprio in Libia.

Le affermazioni di Moavero, come prevedibile, sono statesottolineate dai parlamentari d’opposizione. Tra gli interventi c’è quello di Lia Quartapelle, capogruppo Pd in commissione Esteri della Camera: “Da tempo sappiamo che la Libia non è un porto sicuro. Bisogna stabilizzare il Paese, ma intanto l’Italia però non può fare respingimenti di migranti. Saremo intransigenti con Salvini”.

Rifiuti pericolosi dalle navi, confermato il sequestro

Secondo la Cassazione non va annullato il sequestro di 200 mila euro a Francesco Gianino, titolare della Mediterranean shipping agency di Augusta: la decisione è del 24 maggio scorso e riguarda l’inchiesta della Procura di Catania sulla gestione di rifiuti da parte di alcune navi di Ong.

Gianino avrebbe operato in qualità di agente marittimo “attraverso la costituzione di una rete di sub-agenzie marittime, tutte collegate all’agenzia Msa di Augusta” in svariati porti italiani. Gli stessi in cui le motonavi Vos Prudence e Aquarius effettuavano gli sbarchi dei migranti.

Secondo l’accusa, Gianino “concordava con i rappresentanti delle citate Ong di procedere allo smaltimento indifferenziato dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo, sanitari e non, prodotti a bordo delle predette navi, conferendoli unitamente ai rifiuti solidi urbani a una tariffa molto più vantaggiosa – “8 euro a sacco” – previa falsa classificazione degli stessi quali generici rifiuti speciali”.

Per il Gip che aveva disposto il sequestro “la rilevante presenza di numerose navi private coinvolte nell’attività di soccorso in mare, indirizzate per lo sbarco dei migranti in porti italiani, in particolare della Sicilia”, si era tradotta “in un proporzionale aumento del giro d’affari dell’agenzia marittima di Francesco Gianino”. Da qui il sequestro da due conti correnti, confermato ora dalla Suprema Corte.

Orfini & C., statisti alla marinara

Il caldo gioca brutti scherzi: da due giorni ci sembra di vedere alcuni parlamentari del Pd a bordo della Sea Watch 3. Il miraggio è allucinante: Delrio in mocassino Capalbio-moda mare senza calzini sistema un materasso di fortuna sul ponte di prua mentre Orfini aggiorna il diario di bordo su Twitter e Davide Faraone si spara una ridda di selfie– con Delrio, con Giuditta Pini, con Riccardo Magi, con la capitana Rackete – rendendoli virali con gli hashtag di tendenza.

Orfini, nella sua fantozzianamente tragica mancanza di physique du rôle (pelle bianco-latte, asciugamano sulla spalla e cuffia in testa), ha un principio di ustione sul naso ma obbedisce a un dovere più grande della legge: “26 giugno, ore 22:31: Sono arrivato a Lampedusa. Quella luce gialla che vedete in foto è la #SeaWatch”. “27 giugno, ore 16:04: Siamo su un gommone. Proviamo ad avvicinarci alla #SeaWatch”. “Ore 16:22: Siamo sulla #SeaWatch”, eccetera. Chiamatelo Ismaele. Alle 19:28 la foto di uno splendido tramonto che potrebbe essere pure di Camogli o Ibiza accompagna le lancinanti parole di condanna: “I migranti sono in condizioni di sofferenza psicologica indescrivibile. Crudeltà, non c’è altro modo per definire il comportamento del governo”.

Dev’essere sempre il caldo, perché la indubbia crudeltà del governo attuale consiste nel tenere sulle barche delle Ong persone che avrebbero potuto benissimo restarsene al fresco nei campi di prigionia libici dove il governo Gentiloni, grazie al ministro Minniti, aveva profumatamente pagato le milizie indigene per trattenerle con tutti i comfort.

I meravigliosi selfiesul mare obnubilano la memoria: nel giugno di due anni fa, era Minniti che minacciava di chiudere i porti (minaccia che Delrio si fece in quattro per smentire, attenuare, ritirare), cosa che Salvini ha potuto fare perché non ha l’organo della moralità che invece i piddini ogni tanto si scoprono sviluppatissimo. E fu Renzi – che oggi, mentre i suoi si imbarcano per l’operazione Lampedusa, posta foto delle Dolomiti dall’aereo che lo scarrozza per il mondo a impollinare gli altri Paesi del suo formidabile know how – a dire: “Si è fatto bene a bloccare gli sbarchi. C’è un limite massimo di persone che puoi accogliere. Aiutiamoli davvero a casa loro” (Festa dell’Unità, Bologna, 1/9/17) e a vergare sull’indimenticabile Avanti: “Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico”.

Ecco allora la delegazione marinara del Pd che solca le acque territoriali per raggiungere la nave con sopra i migranti, ai quali mancava solo questa, di disgrazia. Ma lasciando stare Orfini e Faraone, che di Renzi sono stati la proiezione ortogonale e prona, come può Delrio, persona seria, non notare lo stridore tra l’aver sostenuto acriticamente quelle politiche ieri e il portare oggi soccorso a persone che hanno subito fame e violenze nei centri di detenzione libici, prevedibile eterogenesi dei fini del memorandum d’intesa del 2017 tra Minniti e al-Sarraj? Speriamo almeno si mangi bene, a bordo: non vorremmo che i delicati stomacucci dei digiunatori a staffetta ne avessero a soffrire. Vabbè che Orfini ormai è praticamente un lupo di mare, dopo esser salito a gennaio sulla Sea Watch al largo di Siracusa, dato l’inspiegabile insuccesso della protesta del Pd intitolata “Non siamo pesci”. Stavolta non c’è con loro la Prestigiacomo, ministra di B. e mementovivente della Bossi-Fini e del decreto Maroni che creò il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina tuttora vigente, chissà per colpa di chi. Quale cultura di umanità e accoglienza possono vantare, oggi, i nostri statisti alla marinara? È come se Schettino facesse il testimonial della Costa Crociere.

“Emergenza creata ad arte, io l’avrei risolta in 5 minuti”

Marco Minniti di migranti e Ong se ne intende. È stato il primo a regolamentare l’intervento delle organizzazioni non governative nel Mediterraneo, cosa che ha creato una polemica anche vivace. Oggi sulla questione Sea Watch propone una linea molto diversa da quella del governo che accusa di non voler risolvere i problemi ma solo di lucrare consensi.

Come finirà o come dovrebbe finire?

Siamo di fronte a quella che tecnicamente si chiama una emergenza umanitaria. Di fronte a una emergenza è compito di un governo farla cessare e quindi far scendere i migranti. L’imperativo non può essere in alcun modo collegato ad altri fattori.

Quali fattori?

Non si può aspettare che l’Europa se ne faccia carico o che ci sia un’indagine giudiziaria che, mi pare, è comunque già avviata. Si è fatta diventare emergenza qualcosa che non lo era perché nel Mediterraneo e in Italia non c’è nessuna emergenza. Non siamo sottoposti a una drammatica invasione. L’arrivo di 42 migranti si risolve in cinque minuti. Tra l’altro il drammatico braccio di ferro ha portato a un evidente paradosso: ci sono migranti che arrivano a bordo di una Ong che non possono sbarcare, mentre a Lampedusa arrivano barche direttamente con gli scafisti, tramite le navi madre.

La narrazione intorno alla Sea Watch parla invece di un pericolo per i nostri confini.

In realtà le migrazioni non possono essere cancellate. Se qualcuno lo promette fa una promessa infondata. Quello che si può fare è governare i flussi migratori, cioè sconfiggere i trafficanti di esseri umani e sforzarsi di costruire canali legali: corridoi umanitari e quote di accesso. Se prendiamo in mano questa partita sarà possibile prosciugare il brodo di coltura del nazional-populismo.

Come avrebbe risolto il caso della Sea Watch?

Lo avrei risolto 15 giorni fa quando si è posto. Anzi, non si sarebbe nemmeno posto perché noi avevamo redatto un codice di condotta delle Ong che è stato firmato anche dalla Sea Watch, dimostrando che era possibile governare i flussi migratori senza restringere gli spazi delle Ong e senza far venire meno né il ruolo della Ue né il protagonismo prestigioso della Guardia costiera italiana.

Anche lei ebbe critiche.

Ma fino a maggio dello scorso anno operava nel Mediterraneo un sistema di ricerca e salvataggio coordinato dalla Guardia Costiera e di cui faceva parte il sistema delle Ong. La missione Themis di Frontex e la missione Sofia dell’Unione europea. Quel dispositivo aveva ridotto gli arrivi del 78% in generale e dell’84% dalla Libia. Un sistema di Stati, Ue e Ong, permetteva di gestire la situazione tenendo insieme due principi: sicurezza e umanità.

E oggi?

Tutto questo non c’è più e per far capire quanto sia grande il paradosso in cui siamo, basti pensare che una missione navale, Sofia, è stata prorogata dalla Ue senza… navi in mare.

Che differenza c’è tra lei e Salvini?

Mi sembra che ora non ci sia un disegno. Noi l’avevamo. Si può discutere, ma si trattava di un disegno con un progetto politico. Non si può affrontare tutto facendo la faccia feroce: verso le Ong o verso la Ue. La faccia feroce può servire per conquistare consensi, non risolve i problemi concreti. E rischia di farti perdere l’anima. Una democrazia non può essere tenuta permanentemente sull’orlo di una crisi di nervi.

Salvini invece chiede di fare arresti.

Un ministro dell’Interno non richiede arresti. Non può farlo. Ha un altro compito: coordina l’attività delle forze di polizia che fanno le informative per l’autorità giudiziaria, deputata a decidere su questo. Si tratta del cuore della democrazia, la separazione del potere esecutivo dal potere giudiziario è un elemento essenziale.

Perché questa enfasi sulle Ong?

Perché occorre trovare sempre un nemico. Per un’aggregazione nazional-populista non c’è nulla di meglio che contrastare un’organizzazione non governativa e di dimensione internazionale, in più con una dimensione umanitaria. È quanto di più diverso da un’organizzazione nazionalista.

Cosa propone alla sinistra di cui fa parte? Il Pd non sembra muoversi a suo agio.

Un grande partito dovrebbe avere nel suo Dna il principio di difendere e realizzare i diritti delle minoranze. Ma per farlo, deve parlare alla maggioranza del Paese. Non esiste un partito minoritario che può difendere i diritti delle minoranze. Se devo ridurla a poche “parole chiave” parlerei di: libertà, umanità, sicurezza. I nazional-populisti raccontano che le tre cose non possono essere tenute insieme, anzi le contrappongono e chiedono di scegliere tra esse. La sinistra riformista ha il compito storico di tenere insieme queste tre parole. Su questo si vince o si perde la battaglia del consenso.

La capitana sarà interrogata. 5 Paesi Ue per l’accoglienza

La “sbruffoncella” Carola Rackete è indagata dalla Procura di Agrigento per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, rifiuto di obbedienza a nave da guerra. La capitana tedesca della Sea Watch ha violato il Codice della navigazione, non avendo rispettato l’alt imposto dalla Guardia di finanza e le indicazioni via radio della Guardia costiera, conducendo la nave in acque italiane, nonostante il divieto del Viminale.

Sono già passati 16 giorni da quando la Ong tedesca, con bandiera olandese, ha salvato 52 migranti al largo dalle coste libiche. Da tre giorni staziona con i suoi 40 “ospiti”, 12 sono già stati fatti scendere in precarie condizioni di salute, a poche miglia dal porto di Lampedusa.

Chi sperava che la vicenda si potesse chiudere in fretta, rimarrà deluso. Nella notte di giovedì, sul tavolo del procuratore capo agrigentino, Luigi Patronaggio, e del procuratore aggiunto Salvatore Vella è stata depositata l’informativa delle Fiamme gialle, unica autorità a occuparsi della pubblica sicurezza in mare.

Ieri, la Finanza è salita a bordo della nave, notificando al comandante Rackete l’iscrizione nel registro degli indagati, e acquisendo tutto il materiale possibile ai fini dell’inchiesta, con la massima disponibilità dell’equipaggio della Ong. E stamattina sarà Carola Rackete a dover scendere dalla nave per essere interrogata dalle Fiamme gialle.

“Stiamo valutando il sequestro probatorio, stiamo studiando le carte. Noi facciamo il nostro lavoro, non ci sostituiamo a nessuno. Sabato è previsto l’interrogatorio della capitana”, ha spiegato il pm Vella. Il caso Sea Watch potrebbe presto fare giurisprudenza. Mentre il vicepremier Salvini invoca sequestri e arresti, facendo leva sul decreto Sicurezza bis, ribattezzato “blocca Ong”, gli inquirenti procedono con cautela.

Ad attendere gli sviluppi delle indagini, c’è anche il prefetto agrigentino Dario Caputo, che si dovrà pronunciare sulla sanzione amministrativa, fino a 50 mila euro, da assegnare alla Sea Watch e sul possibile sequestro o confisca della nave. In parallelo, i pm agrigentini hanno ricevuto l’esposto, presentato dai legali della Ong, perché vengano valutate “eventuali condotte di rilevanza penale” delle “autorità marittime e portuali”, che non hanno consentito lo sbarco.

Il clima attorno alla vicenda diventa sempre più esasperato, tanto che all’ufficio del pm Patronaggio, ieri mattina, è arrivata una lettera anonima con insulti e minacce. È il secondo caso in poche settimane, lo scorso 10 giugno, al magistrato era stata recapitata una missiva con un proiettile e un avvertimento: “La prossima volta, se continuerai a fare sbarcare gli immigrati, passiamo ai fatti. Contro di te e i tuoi tre figli”.

A bordo della Sea Watch “le condizioni psicologiche dei migranti sono peggiorate”. “Ho 40 persone, più 20 di equipaggio, quindi 60 persone di cui occuparmi – ha detto Carola Rackete – Mi tengono occupata giorno e notte. Salvini si metta in fila”.Cibo e acqua scarseggiano, dopo giorni di navigazione sotto il sole cocente e sopravvissuti a un naufragio, i migranti vedono in lontananza la terra come un miraggio.

La garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, è intervenuta chiedendo al comandante generale della Guardia costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino, di verificare se a bordo sono presenti minorenni non accompagnati, auspicando che vengano fatti scendere.

Al momento, le autorità locali, l’Unhcr e la Croce Rossa aspettano di avere comunicazione sull’eventuale sbarco. La vicenda, per il ministro Salvini, si potrà risolvere solo quando l’Italia avrà la certezza che gli “ospiti” della Sea Watch saranno ridistribuiti tra i paesi dell’Unione. Il lavoro diplomatico del Commissario europeo alla migrazione, il greco Dimitris Avramopoulos, ha trovato la disponibilità di Francia, Germania, Lussemburgo, Finlandia, Portogallo, pronti ad accogliere i migranti. Soddisfazione dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che ha ribadito: “La Libia non è un porto sicuro”.

Nessuno dei migranti, neanche questa volta, andrà in Olanda. Nonostante la bandiera della nave sia dei Paesi Bassi, L’Aia ribadisce di non avere nessun obbligo verso la Ong. Vicenda che ha fatto infuriare Salvini, che ha definito “disgustoso” l’atteggiamento del governo olandese.

La Sacra Famiglia

E niente, in questa valle di lacrime non si fa che piangere a dirotto. Avevamo appena finito di commuoverci per i caldi abbracci e i teneri petting dei vincitori olimpici a Losanna, sublimati in liriche corali da Francesco Merlo, il Pindaro di Repubblica. E, quando i cigli erano ormai asciutti, ci siamo ricascati. È stato per gli strazianti gridi di dolore sul proditorio attacco di Luigi Di Maio, “a mercati aperti”, contro la concessionaria autostradale Atlantia della Sacra Famiglia Benetton (sempre sia lodata). Proprio alla vigilia della demolizione di quel che restava del Ponte Morandi, orgoglio e vanto della nazione tutta, purtroppo crollato il 14 agosto per una tragica fatalità causata dal destino cinico e baro, fors’anche dalle avverse condizioni meteorologiche (pioveva). L’idea che il crollo di un viadotto autostradale, col contorno di 43 morti e decine di feriti, fosse imputabile alla mancata manutenzione e all’inosservanza dei più elementari obblighi e norme di sicurezza da parte della società che lucrosissimamente lo gestiva dal 1999, fu subito scartata e bollata dai principali organi di stampa (foraggiati dai Benetton con pubblicità e altri aiutini) come sintomo di gravissime patologie. Nell’ordine: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina e di Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice No a tutto, deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, esplosione emotiva, punizione cieca, barbarie, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, decrescita, oscurantismo (citazioni testuali da Repubblica, Corriere, Stampa e Giornale).

Provvide poi Merlo, il Vate del Laterizio, a risarcire i poveri Benetton con un’imperitura intervista a Luciano, di cui per brevità citiamo soltanto l’incipit: “È vero che il crollo del ponte Morandi con i suoi 43 morti ha ferito lei e ucciso suo fratello?”. Mancava solo una richiesta di danni ai defunti. Ora Di Maio smentisce a Porta a Porta (programma che va in onda a mercati chiusi, ma anticipa le risposte registrate a mercati aperti) le voci su Atlantia nella nuova Alitalia. E ricorda l’impegno del governo tutto (Salvini incluso) ai funerali di Genova sulla revoca della concessione ad Atlantia che, se perdesse le autostrade, sarebbe una scatola vuota “decotta”. La società lo accusa di “perturbare l’andamento del titolo Atlantia in Borsa” con “gravi danni reputazionali per la società, che si riserva ogni iniziativa legale a tutela dei propri interessi”. Come se la revoca della concessione, annunciata 10 mesi fa, fosse un fulmine a ciel sereno.

Come se qualcuno potesse peggiorare la reputazione di un gruppo che ha lasciato crollare il Morandi e ha visto i suoi dirigenti condannati in primo grado per un’altra strage, quella di Avellino (altri 40 morti), dovuta ai guardrail marci. Come se uno dei massimi rappresentanti del governo e del partito di maggioranza relativa dovesse tapparsi la bocca sulle gravissime responsabilità di un concessionario pubblico solo perché è quotato in Borsa, oppure parlarne soltanto bene (possibilmente a mercati aperti). Il caso ricorda gli alti lai del gruppo Caltagirone quando la Raggi, in campagna elettorale del 2016, osò ventilare un cambio della guardia in Acea, partecipata dal Comune di Roma e da Caltagirone. Il quale, tramite gli appositi Messaggero e Pd, la accusò di aver causato un calo in Borsa (tre giorni dopo le sue dichiarazioni). Stavolta i primi a insorgere, in stereofonia con Atlantia, sono il Pd (per bocca di Raffaella Paita, candidata trombata alla Regione Liguria e dunque deputata), quel che resta di FI (Mara Carfagna) e Salvini in versione garantista: “Chi ha morti sulla coscienza pagherà, ma non faccio il giudice”: in effetti, i processi a Genova potrebbero appurare che il Morandi è crollato per la pioggia, o che è tutta colpa della Sea Watch.

E poi, naturalmente, i giornaloni. Corriere: “Ilva e Atlantia, l’attacco di Di Maio. Nel mirino le grandi imprese” (per la verità solo due: quella che ha lasciato crollare il ponte e quella che minaccia serrata e licenziamenti perché pretende l’immunità per i suoi reati, dandoli per scontati); “nella cultura politica del ministro Di Maio è facile riscontrare un pregiudizio di fondo nei confronti dell’impresa e della libera iniziativa” (di lasciar crollare i ponti). Repubblica, con la fotocopiatrice: “Il metodo gialloverde contro l’industria”, “la missione dei 5Stelle pare quella di affondare ciò che c’è – o che resta – dell’imprenditoria, in nome di una vendetta epocale contro un capitalismo considerato di rapina”, al punto di negare financo “l’immunità dalla responsabilità penale per il risanamento ambientale” (già ci par di vederli, i buoni samaritani di Mittal, che si dannano l’anima per bonificare l’Ilva e le toghe gialle istigate da Di Maio che li arrestano per il reato di risanamento ambientale). La Stampa, cioè la nuova Padania: “Salvini attacca: ‘Di Maio sbaglia. Atlantia assicura migliaia di posti. Attenti a dare giudizi sommari’” (meglio i suoi giudizi somari). Messaggero: “Quelle parole incaute che spaventano gli investitori”, “Salvini contro lo sfascia-tutto (Di Maio, non Atlantia, ndr)’”. Sole 24 Ore: “Troppo livore e parole in libertà”. Libero: “Di Maio vuole che Atlantia fallisca”. Giornale: “Il folle piano di Di Maio: un’Italia senza acciaio e i Benetton sul lastrico” (e neanche una pubblicità delle pecore col maglione). Non so a voi, ma a me, all’idea dei Benetton sul lastrico per una frase di Di Maio che rinunciano alla grigliata cortinese di ferragosto, è venuto da piangere. Vanno assolutamente risarciti. Magari facendogli costruire un bel ponte a Cortina. Tanto poi nel giro di cinque anni crolla e diventa un ottimo trampolino per le Olimpiadi del 2026.

I Pinguini bergamaschi scaldano l’estate

Un cancello chiuso. Dall’altra parte c’era tutto quel desiderava. “Avevo sette anni, le ragazze erano un universo ancora lontanissimo”, ammette Riccardo Zanotti. “Ma i vicini avevano un pastore tedesco, Black, che adoravo. Così, con un fine utilitaristico, composi la mia prima canzone, ‘Voglio l’affetto di Black’. I miei comprarono un cane”.

Una sliding door come quella ti cambia tutto. Molte canzoni dopo, con la loro genialità post-demenziale, i Pinguini Tattici Nucleari (di cui Riccardo è cantante e autore) hanno totalizzato decine di milioni di streaming. Quattro album che segnano la differenza nell’indie italiano. L’ultimo, Fuori dall’hype, è un manifesto già nel titolo. “Non sputtaneremo la nostra musica per il mega successo. Ci godiamo l’orizzonte senza l’ossessione di scalare l’Everest”. Nell’estate che prelude al rito (fuori scala) dei The Giornalisti al Circo Massimo, i Pinguini bergamaschi viaggiano leggeri: oggi saranno al Pinewood Fest dell’Aquila, domani a Parma, il 2 luglio segneranno una delle giornate chiave al Flowers Festival di Collegno (altri appuntamenti clou della kermesse con Joan Baez, Jack Savoretti, Phil Manzanera) prima di approdare il 9 a Rock in Roma.

Zanotti decifra così la stagione d’oro dell’indie pop: “La nostra è la Generazione Nostalgia. Noi nati negli anni Novanta abbiamo vissuto sulla pelle il traumatico passaggio dal mondo reale alle tane virtuali. Da un giorno all’altro non andavi più dal giornalaio a cercare le figurine, la Rete ti risucchiava. Era un’età sensibile: ecco dove nasce la malinconia spiazzante di Calcutta o di Giorgio Poi. Avevamo vissuto sulla strada, ma per poco”. Riccardo si è salvato continuando a incantarsi. “Dei giostrai dimenticarono in giro una cassa piena di cd. Uno era ‘Innuendo’ dei Queen. Restai sconvolto. Cercai notizie su Freddie Mercury, scoprii che era già morto, stetti male per giorni. Ma imparai a memoria tutti i loro album”.

Tracce delle influenze nobili si trovano nelle cose dei Pinguini, sparse a caso come le loro storie di formazione. “Siamo nati come una band di scorta: eravamo pischelli, ciascuno faceva già altro, dal death metal al folk, dall’elettronica ai Beatles. Io ero dentro i Deep Purple e gli Squallor”. Poi una voce tra le pareti domestiche lo incuriosì: “Mio nonno canticchiava melodie: credevo fossero arie d’opera, scoprii che erano Dalla o Battisti. Mi si aprì un mondo. La bellezza della musica italiana. Ho comprato su Amazon un ritratto di Lucio Dalla, è un nume tutelare. Noi Pinguini abbiamo partecipato al disco tributo per De André, ‘Faber Nostrum’, con una cover di ‘Fiume Sand Creek’. Era uno di quei geni che non passano spesso sulla terra. Io sono del partito di chi vuole reinventare la lezione del passato, non distruggerla. Il punk inglese servì per urlare ‘No Future’, ma era un volo d’Icaro”.

In un percorso creativo dove le ombre degli Elii o dello Stato Sociale alimentano i folli calembour nei testi dei Pinguini, d’improvviso ti imbatti in un altro omaggio privato. Quello che Zanotti rivolge al padre in Scatole. “Un uomo del Nord, pragmatico e freddo. Mi avrebbe voluto ingegnere, ma ero uno scapestrato che viveva a Londra e gli telefonava cinque minuti al mese. Non ero il rampollo immaginato, ma quando ascoltò questo pezzo faticò per non commuoversi. Dev’essere difficile fare il padre. Come dice un amico mio: è rischioso mettere al mondo dei genitori!”.