Thom Yorke arriva a mezzanotte, come Babbo Natale. O le streghe, dipende dai gusti. Non passa dal camino ma da Netflix, la piattaforma sulla quale da mezzanotte (e un minuto) di oggi si può ascoltare il nuovo disco solista del cantante dei Radiohead – che uscirà in formato fisico il 19 luglio per l’etichetta XL – e dove si può anche vedere il cortometraggio di Paul Thomas Anderson che lo accompagna. Un lungo video-clip su tre canzoni dell’album, dalle atmosfere appropriatamente oniriche. Perché mezzanotte è anche l’ora dei sogni, e i sogni sono il filo rosso che unisce i brani di Anima. Suggestionato dalla lettura di Carl Gustav Jung, l’artista inglese riflette in questa sua nuova fatica – a meno di un anno dalla colonna sonora di Suspiria di Luca Guadagnino – sulla nostra (in)capacità di ri-processare le immagini che ci arrivano nel sonno, spesso fonti di ispirazione per chi vive di creatività.
“Hai difficoltà a ricordare i tuoi sogni? Noi di Anima abbiamo costruito una ‘dream camera’, chiama questo numero”. Così recitavano i misteriosi manifesti comparsi a Londra e Milano che hanno fatto da teaser per il disco. Chi digitava il numero non riaveva indietro il prodotto del proprio subconscio, ma in compenso poteva sentire una traccia di Anima. Una campagna di advertising virale un po’ contorta, e tutto sommato neanche troppo innovativa per un avanguardista come Yorke.
Al di là delle strategie di marketing, del medium scelto per il lancio – questo sì sorprendente, considerando le critiche feroci che Yorke ha riservato in passato a Netflix – e degli argomenti più o meno dichiarati delle canzoni (dalla Brexit, appena evocata, al rapporto malato e “mutante” con una tecnologia onnipervasiva), la musica di Anima avvolge l’ascoltatore senza tuttavia spiazzare con svolte radicali.
Chi conosce il mondo del musicista vi ritroverà panorami famigliari, e non soltanto perché diversi pezzi erano già stati presentati dal vivo. In Last I Heard si agitano ancora gli spettri dei Radiohead di Kid A e Amnesiac (più il secondo del primo), in Twist e Not The News le atmosfere destrutturate e frammentate richiamano termini di riferimento spesso citati come James Blake, Four Tet o Flying Lotus, mentre piacevolmente “fisici” e meno cerebrali risultano l’etno-funk cibernetico di Traffic e la ritmata confessione di I Am A Very Rude Person. L’apice della scaletta è peraltro di gran lunga la splendida, e per certi versi “classica”, Dawn Chorus. In una intervista Thom Yorke ha sottolineato, molto intelligentemente, come siamo sempre più portati a conformarci all’immagine che di noi trasmettono i device che utilizziamo quotidianamente. Se questo disco, intenso e ricco di spunti, ha un limite forse sta proprio in questo: ci rimanda l’immagine di un Thom Yorke che ci aspettiamo.