Di santi e di eroi, nelle curve degli stadi, non ce ne sono. Il mondo degli ultrà ha però sempre una telecamera puntata la domenica, e chi sgarra paga. Uno di loro da tempo chiede, con la voce che gli resta, di rendere riconoscibili anche gli agenti di Polizia che operano dentro e fuori gli impianti. Ma anche questa volta, inutilmente. E le speranze di Paolo Scaroni di avere nomi e cognomi di chi lo ridusse in coma e trasformò la sua vita in quella di una persona invalida al 100% ora si riducono. I giudici della Corte d’appello di Venezia, presidente Citterio, hanno confermato l’assoluzione per insufficienza di prove degli agenti del Reparto mobile di Bologna accusati di aver “massacrato” il tifoso del Brescia, sui binari della stazione di Porta Nuova, a Verona, al termine di Hellas Verona-Brescia il 25 settembre del 2005.
“Imploravo di smettere… il rumore dei colpi sono gli ultimi ricordi che ho di quel giorno”, racconta Scaroni al Fatto. La rivalità storica tra le due tifoserie del Verona e del Brescia qui non c’entra. I “colpi” che ricorda Scaroni sono quelli di una carica degli agenti della Celere di Bologna alla stazione di Verona: tutto ripreso dalla Polizia di Stato. Quando però, sette anni dopo i fatti (e due richieste di archiviazione respinte), il caso approda in un’aula di tribunale, il video è tranciato. “Le riprese sono state artatamente manomesse per impedire una corretta ricostruzione degli eventi” è scritto nella sentenza di primo grado del processo contro otto agenti di Polizia: per il tribunale di Verona si era trattato di “un pestaggio gratuito e del tutto immotivato“. Mancano però prove certe a carico degli imputati: è assoluzione. Un film che si è ripetuto due giorni fa davanti alla Corte d’Appello di Venezia, nonostante le nuove testimonianze di agenti che hanno rotto il silenzio. “E ancora una volta la condanna verso chi mi ha ridotto così è sfuggita sul più bello. Mi fa schifo tutto questo” commenta Paolo.
Scaroni ha 42 anni, e due vite in una. Quella vissuta fino a quel settembre 2005 – titolare di un’azienda agricola e allevatore di tori durante la settimana, e ultrà del Brescia nel weekend – e quella successiva alla serie di manganellate che gli hanno spaccato la testa, bruciato anni di memoria e devastato il futuro. “Lesioni compatibili con l’uso di uno manganello impugnato al contrario” scrivono i giudici nella sentenza di primo grado, smentendo la Questura di Verona che aveva parlato di un ferimento dovuto al lancio di un sasso da parte degli stessi tifosi. “La richiesta di condannare in appello tutti a sette anni mi aveva fatto sperare”, confida Scaroni. “Se il processo fosse stato a parte invertite con otto ultrà sui banchi degli imputati avremmo già la sentenza definitiva”.
Il tifoso bresciano, oggi invalido, combatte “per evitare che un’altra persona subisca quello ho vissuto io”. L’Italia gli ha riconosciuto un indennizzo da un milione e 400 mila euro, che ha però il sapore di una beffa. “Viene ammesso – aggiunge Scaroni – che sono stati uomini dello Stato a massacrarmi di botte, ma i responsabili diretti resteranno per sempre impuniti. Eppure basterebbe un numero sul casco a identificare gli agenti… Tutti devono poter sapere chi sono”.