Non di soli reati vivono le preoccupazioni dei nuovi gestori dell’ex Ilva di Taranto. ArcelorMittal, va detto, continua a dire che il vero problema è la cosiddetta “esimente penale”: preferisce farsela cancellare dalla Consulta a ottobre più che dal governo a settembre; se non verrà accontentata – dice – chiuderà Taranto.
In realtà, come ben sanno in Francia, dove Mittal chiuse l’impianto di Arcelor solo un anno e mezzo dopo averlo comprato, questo non è certo il motivo principale per cui si parla di chiusura della fu Ilva nonostante il recente acquisto da parte della multinazionale. Intanto va ricordata una cosa: la più grande acciaieria d’Europa attualmente perde all’ingrosso un milione al giorno e sarà redditizia solo se potrà tornare a produrre 8-10 milioni di tonnellate l’anno contro le meno di cinque attuali (a questo proposito, risparmiare 8 milioni di stipendio con la Cig per 1.400 persone è almeno non rilevante).
Problema: il contratto di acquisto prevede un tetto alla produzione a 6 milioni di tonnellate, che potranno essere elevate a 8 – “a parità di emissioni” – portato a termine il Piano Ambientale. Solo che ora, su esposto del sindaco di Taranto sul danno sanitario, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha riaperto l’iter per una nuova Autorizzazione integrata ambientale: detto sbrigativamente, questo potrebbe/dovrebbe comportare tetti più stringenti alla produzione visto che l’Ilva continua a inquinare Taranto e a far ammalare le persone (il trend è in diminuzione, ma superiore al normale).
E qui si torna al perché si continua a parlare di chiusura. La domanda mondiale d’acciaio è in contrazione da mesi e il mercato Ue non è impermeabile, diciamo così, a quello prodotto in Asia e in Turchia a minor costo. In sostanza in Europa resta una sovra-capacità produttiva di circa 30 milioni di tonnellate l’anno e per ArcelorMittal, maggior player del continente, acquisiti i clienti ex Ilva potrebbe essere un affare anche chiudere l’impianto e basta: l’importante è che a Taranto non produca nessun concorrente.