Mercato, nuova Aia: i “motivi” per chiudere

Non di soli reati vivono le preoccupazioni dei nuovi gestori dell’ex Ilva di Taranto. ArcelorMittal, va detto, continua a dire che il vero problema è la cosiddetta “esimente penale”: preferisce farsela cancellare dalla Consulta a ottobre più che dal governo a settembre; se non verrà accontentata – dice – chiuderà Taranto.

In realtà, come ben sanno in Francia, dove Mittal chiuse l’impianto di Arcelor solo un anno e mezzo dopo averlo comprato, questo non è certo il motivo principale per cui si parla di chiusura della fu Ilva nonostante il recente acquisto da parte della multinazionale. Intanto va ricordata una cosa: la più grande acciaieria d’Europa attualmente perde all’ingrosso un milione al giorno e sarà redditizia solo se potrà tornare a produrre 8-10 milioni di tonnellate l’anno contro le meno di cinque attuali (a questo proposito, risparmiare 8 milioni di stipendio con la Cig per 1.400 persone è almeno non rilevante).

Problema: il contratto di acquisto prevede un tetto alla produzione a 6 milioni di tonnellate, che potranno essere elevate a 8 – “a parità di emissioni” – portato a termine il Piano Ambientale. Solo che ora, su esposto del sindaco di Taranto sul danno sanitario, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha riaperto l’iter per una nuova Autorizzazione integrata ambientale: detto sbrigativamente, questo potrebbe/dovrebbe comportare tetti più stringenti alla produzione visto che l’Ilva continua a inquinare Taranto e a far ammalare le persone (il trend è in diminuzione, ma superiore al normale).

E qui si torna al perché si continua a parlare di chiusura. La domanda mondiale d’acciaio è in contrazione da mesi e il mercato Ue non è impermeabile, diciamo così, a quello prodotto in Asia e in Turchia a minor costo. In sostanza in Europa resta una sovra-capacità produttiva di circa 30 milioni di tonnellate l’anno e per ArcelorMittal, maggior player del continente, acquisiti i clienti ex Ilva potrebbe essere un affare anche chiudere l’impianto e basta: l’importante è che a Taranto non produca nessun concorrente.

Ilva, la minaccia di Mittal: “Senza scudo chiudiamo”

Stavolta la minaccia è precisa e fissa anche la scadenza: il 6 settembre prossimo. Se per quella data il governo non reintrodurrà lo scudo penale per i vertici dell’ex Ilva, lo stabilimento “verrà chiuso”. La bomba l’ha sganciata ieri Geert van Poelvoorde, capo per l’Europa di ArcelorMittal, il colosso franco-indiano che ha rilevato il gruppo siderurgico tarantino: “Il governo continua a dirci di non preoccuparci, che troverà una soluzione, ma finora non c’è niente – ha avvisato Van Poelvoorde – Apparentemente non vedono questo problema grave come noi e quindi hanno detto che lo risolveranno, lavorando a una soluzione legale”. Che al momento tutti escludono.

È l’ultimo atto di uno scontro feroce che tiene in ansia una città e 11 mila dipendenti. Nei giorni scorsi Mittal aveva già minacciato di andare via se non verrà eliminata la norma del decreto Crescita che toglie ai nuovi proprietari dell’acciaieria – a partire da settembre – l’immunità penale inventata dal governo Renzi, che rimarrà in vigore solo per i commissari governativi e solo per applicare l’Autorizzazione integrata ambientale (gli interventi che dovrebbero far inquinare meno l’Ilva). “Non posso mandare i miei manager lì ad essere responsabili penalmente”, ha spiegato Van Poelvoorde. In realtà Mittal teme denunce per condotte omissive, ma sostiene che quelle tutele erano già contenute nel contratto di subentro firmato con l’allora ministro Carlo Calenda. Il testo di quell’accordo, in verità, non le menziona esplicitamente, ma l’avvocatura di Stato la pensa come Mittal: in un parere legale del settembre 2017 ha spiegato che con la firma l’“esimente” veniva estesa fino al termine del piano ambientale, nel 2023.

La norma del decreto Crescita è stata l’arma di punta dei 5Stelle per recuperare un rapporto con una città, Taranto, che aveva puntato molto sul Movimento. Ieri Luigi Di Maio non l’ha presa bene: “Non accetto ricatti. Qui la legge è uguale per tutti. Ilva resti aperta, non hanno nulla da temere, le soluzioni si trovano”. Dal Mise filtra “sconcerto per l’uscita di Mittal”, anche perché della mossa sullo scudo “era stata informata già a febbraio scorso”. Va detto, però, che non era stata concordata. Ieri il Mise ha fissato un incontro urgente per il 4 luglio con i vertici dell’azienda, anche se – risulta al Fatto – per ora esclude la possibilità di lasciare al colosso almeno lo scudo garantito ai commissari. La norma originale del governo Renzi, infatti, aveva un campo di applicazione vasto, garantendo l’azienda per le condotte in materia “ambientale, di tutela della salute, dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”. Praticamente su tutto. Su quel testo, peraltro, pende un giudizio di incostituzionalità sollevato a febbraio dal gip di Taranto. La Consulta si pronuncerà in autunno. “Il governo poteva aspettare ottobre”, si è lamentato Van Poelvoorde. La Lega si è già schierata con Mittal. “Non ci possiamo permettere la chiusura”, ha spiegato Salvini. Stessa linea del Pd. “Quello del governo è un crimine contro l’Italia”, ha attaccato Nicola Zingaretti.

La minaccia di chiusura è arrivata nelle stesse ore in cui Mittal mandava le lettere ai 1.400 lavoratori che ha improvvisamente deciso di mettere in cassa integrazione da luglio. Una decisione che fa infuriare i sindacati, motivata con le “difficoltà del mercato”, ma che è stata letta come l’ennesimo atto di sfida al governo, visto che parliamo di un risparmio minimo.

Sul piatto, infatti, non c’è solo lo scudo penale. Il ministero dell’Ambiente ha avviato l’iter per rivedere l’Autorizzazione integrata ambienta, che quasi certamente avrà criteri più stringenti e porterà ad accelerare diversi interventi. Difficile che Mittal potrà arrivare a produrre le 8 milioni di tonnellate di acciaio annue sotto il quale non ritiene conveniente tenere aperto il siderurgico (oggi fermo a meno di 5 milioni e col divieto di superare i 6 senza aver eseguito tutte le prescrizioni ambientali). Per il colosso la chiusura non sarebbe neanche un problema, visto che l’Europa è in sovracapacità produttiva e ha già impedito ai suoi concorrenti di prendersi l’Ilva.

Manovra, il governo rinvia l’assestamento di bilancio a lunedì

L’assestamento di bilancio è stato rinviato al Consiglio dei ministri di lunedì. Così ha deciso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dando retta ai suoi tecnici, che gli consigliavano di far slittare tutto a dopo il G20 di Tokyo. In particolare, spiegano da Palazzo Chigi, sarà importante la sessione di lavoro domani con gli altri Paesi europei, in cui Conte cercherà di tessere la sua tela diplomatica. Ma lo scenario, raccontano fonti di governo, resta intricato. La certezza è che Conte e i gialloverdi pensano di dare un segnale alla Ue con l’assestamento di bilancio, in cui puntano a scrivere nero su bianco che a fine 2019 l’Italia potrà arrivare a un rapporto tra deficit e Pil attorno al 2,1 per cento. Un obiettivo che contano di raggiungere con risparmi per circa tre miliardi su quota 100 e reddito di cittadinanza, a cui vogliono sommare due miliardi di spese che resteranno congelate in base ai precedenti accordi con la Ue. Ma il governo spera di ricavare altre risorse anche da un gettito fiscale superiore alle previsioni. Però l’Europa chiede impegni precisi sul 2020, e in generale pone il tema della flat tax, un’eresia agli occhi della commissione europea.

Autonomia, lo stop di Conte irrita Zaia & C.

Checché se ne pensi, è una delle più grandi riforme di struttura istituzionale della storia repubblicana e Matteo Salvini la vuole, o meglio, la deve alla vecchia Lega nordista, quella che gli porta i suoi molti voti in Veneto, Lombardia e nel resto della fu Padania. Dopo il trionfo alle Europee, il segretario leghista ha quindi ricominciato a spingere sull’autonomia differenziata per le Regioni, possibile grazie allo sciagurato Titolo V della Costituzione voluto dal centrosinistra e alle altrettanto sciagurate pre-intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna firmate a inizio 2018 dal governo Gentiloni.

Il 16 maggio, dopo il primo giro in Consiglio dei ministri a febbraio, la ministra degli Affari regionali, la leghista veneta Erika Stefani, aveva inviato a Palazzo Chigi un testo più avanzato di accordo con le Regioni che, però, nemmeno i ministri hanno finora visto (consolidata prassi della casa). Salvini e la Lega, però, lo ritengono definitivo e volevano portarlo in discussione già ieri.

Non ce l’hanno fatta per l’opposizione dei 5Stelle e soprattutto quella “tecnica” del premier. Giuseppe Conte, come Il Fatto ha anticipato ieri, si è presentato al vertice di maggioranza sull’autonomia di martedì sera con un documento di undici pagine prodotto sulla base dei documenti inviati dalla Stefani, dal Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi: un testo molto duro che spazia dai problemi di costituzionalità a quelli di tenuta del bilancio pubblico per l’aumento della spesa pro-capite.

Risultato: niente autonomia in Consiglio dei ministri e Lega nordista che finisce sulle barricate, a partire dai governatori di Veneto e Lombardia Luca Zaia e Attilio Fontana (ma qualche colpo di tosse è arrivato anche dal collega dell’Emilia Romagna, il dem Stefano Bonaccini). La guerriglia nordista è iniziata dopo un post su Facebook di Luigi Di Maio: “Vedo e leggo un po’ di caos ingiustificato sull’Autonomia: sarà equilibrata, fatta bene, non penso che qualcuno voglia tornare alla secessione della Padania”. Poi l’attacco vero: “Certo, alcune posizioni più estreme mi preoccupano. Non si può pensare di impoverire ancora di più le regioni del Centro-Sud. Di meno ospedali, meno scuole e strade sempre più in dissesto non se ne parla”. Parte il veneto Zaia: “Se non vuoi applicare la Costituzione delle due l’una: o mi presenti la tua proposta di autonomia o presenti una modifica della Costituzione. Finiamola con queste manfrine del paese di serie A e Serie B. Il paese è già così e non per colpa delle autonomie: quello che ha 10 e lode deve studiare di meno per non far fare brutta figura all’asino. Se uno dice così, secondo me non ha neanche letto il progetto”.

Stessa linea per il lombardo Fontana: “Se il tentativo è quello di portarci a una riforma che sia una non-riforma, io lo dico subito: non la firmerò mai. Credo che nessuno degli altri governatori sia disposto a prendere uno schiaffone del genere senza muovere ciglio”. E, come detto, persino Bonaccini fa il barricadero: “L’Emilia Romagna non si lascia, né si lascerà prendere in giro”.

La reazione dei governatori e dei leghisti in generale però, tutta politica, si disinteressa delle critiche di merito del dossier di Conte e punta solo a portare a casa il risultato il prima possibile. “Ci dicano sì o no”, significa anche evitare di portare la questione in Parlamento. Serve un iter “ordinario”, dice il documento di Palazzo Chigi, con piena emendabilità del testo. È la cosa che spaventa di più Zaia e soci: la procedura, adesso, è pattizia, ma se entrano in gioco le Camere il loro potere di ricatto è assai minore. Questa è la vera frontiera.

I navigator assisteranno solo gli impiegati ma non i poveri

Le Regioni costringono il governo a una marcia indietro sul ruolo dei navigator: i 3.000 appena selezionati dal concorso si limiteranno a un compito di assistenza tecnica da dietro le quinte, non dovranno seguire direttamente né orientare i beneficiari del reddito di cittadinanza che firmano il “patto per il lavoro”. Non avranno neppure contatti diretti con loro. L’ennesimo tentativo del ministro Luigi Di Maio di trasformare i nuovi collaboratori (precari) dell’Anpal Servizi in operatori dei centri per l’impiego a tutti gli effetti si è scontrato con il muro dei governatori. I quali ieri, tramite gli assessori al Lavoro, hanno ottenuto modifiche alla bozza di convenzione proposta dal governo per far partire la fase due del reddito, in cui chi sta ricevendo la carta acquisti dovrà attivarsi per cercare un’occupazione. Le Regioni hanno vinto il secondo braccio di ferro.

Il progetto originario del presidente dell’Anpal Mimmo Parisi, docente del Mississipi, sembra definitivamente tramontato. Oggi si metterà nero su bianco l’accordo, ma non farà altro che confermare quanto scritto in quello firmato il 17 aprile, quando sono stati dimezzati i navigator – da 6.000 a 3.000 – e declassati al back-office. Mentre il professore arrivato dal Mississippi voleva che facessero da tutor personalizzati dei disoccupati beneficiari del sussidio.

Le Regioni si sono opposte da subito a quello schema perché, secondo la Costituzione, le politiche attive del lavoro sono di loro competenza. I governatori hanno preteso che il compito di affiancare i percettori nell’inserimento lavorativo spettasse in esclusiva ai dipendenti dei centri per l’impiego regionali. Questi ultimi sono carenti di organico, perché in Italia nessun governo ha mai investito in modo strutturale in questo settore; potenziarli richiede il tempo di organizzare i concorsi pubblici. Il Movimento Cinque Stelle, invece, aveva fretta di dar seguito alla promessa elettorale e, allo stesso tempo, di evitare che il reddito si rivelasse mero assistenzialismo. Ecco perché voleva assumere sei mila navigator a livello centrale, tramite l’Anpal Servizi.

La prima quadra tra governo e Regioni si è trovata a Pasqua, quando hanno definito il compito dei navigator: supportare gli operatori dei centri per l’impiego nel preparare i progetti personalizzati per i beneficiari del reddito e nel creare la rete con le imprese e gli enti di formazione. L’orientamento e il contatto diretto con i disoccupati restava in capo al personale regionale. Accanto all’arrivo dei tre mila navigator, infatti, è prevista l’assunzione di 5.600 dipendenti diretti dei centri per l’impiego. Questi diventeranno 11.600 dopo il 2021, e lì si giocherà il tentativo di far assorbire dalle Regioni i navigator stessi. In ogni caso, l’accordo del 17 aprile rimandava gli aspetti più pratici a una convenzione da stipulare in seguito.

Il governo, in queste ultime settimane, ha approfittato proprio di questo nuovo passaggio obbligato per tentare di convincere le Regioni a far rientrare dalla finestra il progetto Parisi. Ha proposto una bozza che divideva i navigator in sei diverse figure: dal “career counselor” al “case manager”, che presuppongono un ruolo attivo e a stretto contatto con i beneficiari del reddito. Gli assessori hanno detto ancora una volta no e il governo ha dovuto di nuovo desistere.

L’accordo c’è: sulla carta è un passo in avanti per far partire la macchina del reddito di cittadinanza, in pratica è il naufragio finale del piano che aveva in mente il governo. Mentre il presidente della Campania Vincenzo De Luca (Pd) continua a dire di non volere i navigator e i 654 precari dell’Anpal Servizi minacciano nuovi scioperi in assenza di garanzie sulle stabilizzazioni.

“La bomba a Kawasaki, la Dc di Struzzo, il Pci di Tognazzi”

Rieccoci. Ogni anno, in questi giorni, centinaia di migliaia di ragazzi si avvicinano ai banchi della commissione d’esame con passo patibolare: è il momento della maturità. Talvolta da quelle bocche innocenti e terrorizzate escono alcune delle peggiori castronerie mai rimbalzate tra le mura di una scuola italiana. Come tradizione, abbiamo chiesto agli insegnanti di raccontarci gli errori più tragici e divertenti dei maturandi, per raccontare con un po’ di ironia lo stato dell’istruzione italiana. Senza dimenticare che sbagliamo tutti: studenti, professori, (soprattutto) giornalisti. Ridiamoci su, buona maturità a tutti.

Grandi classici. “D’Annunzio era un estetista”, ma pure “Oscar Wilde fu l’estetista per eccellenza”; “I Malavoglia vendevano lupetti”; “Pirandello scrisse Il fu Mattia Bazar”, “Mazzini e Garibaldi fecero la carbonara”; le famose “guerre intestinali tra guelfi e ghibellini”. Non c’è scampo: queste meravigliose boiate si ripetono anno dopo anno.

Gender fluid. “Interrogata su Dante, una studentessa cita il famoso canto V dell’Inferno che narra la storia di Paola e Francesco”. Non c’è dubbio che sia colpa della martellante propaganda LGBT nelle scuole italiane.

Apolidi. “Alla domanda: ‘Definisca l’area geografica in cui si trova la popolazione curda’ l’alunno, dopo lunga riflessione, risponde ‘Taiwan’”. Si sa che questi curdi stanno dappertutto e da nessuna parte.

Educazione civica. “Chi scrisse la Costituzione? I Padri Ricostituenti”. Integratori della democrazia.

Piccoli problemi di cuore. “L’entrata in guerra degli Usa nel primo conflitto mondiale è dovuta a un ‘attaccamento’ da parte della Germania”. Una questione affettiva.

Storia creativa. “La Seconda guerra mondiale inizia con l’invasione della Germania sulla Croazia”. Hitler mica si accontentava di fare la guerra con nazioni che già esistevano.

Grandi tradimenti. “Innocenzo III si proclama sicario di Cristo”. Adesso rimane solo da trovare il mandante.

Ampie vedute. “Domanda del professore: ‘Contro chi se la prese Hitler?’ e il ragazzo, prontissimo: ‘Coi froci’”. Praticamente era un piccolo Adinolfi.

Impeccabile. Domanda del professore: ‘Quando iniziò l’ascesa del nazismo?’ Lo studente: ‘Non ricordo l’anno ma so che il maggiore esponente fu Hitler’”. L’uomo copertina, insomma.

Impeccabile/2. “Chi viene eletto senatore a vita? I senatori”. A vita, magari.

Relazioni complicate. “Mary Shelley era la moglie di Frankenstein”. E poi? Divorzio breve?

Questa la so. “Alla domanda: ‘Elenchi i principali esponenti della corrente impressionista’ l’alunno esordisce con ‘Immanuel Kant’”. Illuminante.

I promessi che? “Lucia era una modella e Renzo un tramaglino”. Altro?

Complicazioni. “La donna in gravidanza rischia l’isteria”. Sarebbe la listeria (un batterio), ma si sa che in quei mesi le donnesono speso intrattabili.

Comunismi. “Il segretario del Pci era Palmiro Tognazzi”. La doppiezza del doppiatore.

Clericalismi. “Il sacerdote Don Luigi Struzzo”. La Chiesa che nasconde la testa sotto la sabbia.

Profeti. “Matteo Salvini è molto meglio di Matteo Renzi perché difende l’Italia dai barbari che arrivano soprattutto dall’Africa e dal Medio Oriente ed è dunque come Martin Luther King”. L’importanza delle idee chiare.

Ritorno al futurismo. “Filippo Tommaso Marinetti partecipa alla Rivoluzione francese nel 1922”. Stava talmente avanti che viaggiava nel tempo. E nello spazio.

Moto-tragedie. “Un’alunna racconta, commossa, il dramma della bomba atomica a Hiroshima e Kawasaki”. E poi quelle di Honda, Suzuki, Yamaha…

Eroe dei due mondi. “Chi ha scoperto l’America? Garibaldi”. Non stava mai fermo quello lì.

Manifesto della razza. “Domanda: ‘Se i nazisti erano ariani, gli ebrei erano?’ Risposta: ‘terrestri’”. Poi ci sono le creature del fuoco, quelle dell’acqua…

Autogol. “Napoleone è andato in Russia con la nave e quando è tornato ha fatto guerra alla Francia”. Si sa che era un tipo ambizioso e irritabile.

Su e giù per la via Emilia. “I Malavoglia è un romanzo di Verga ambientato ad Aci Trezza, in provincia di Bologna”. Quasi.

Stadio dell’As Roma, archiviato esposto contro Virginia Raggi

Una richiesta di archiviazione è stata avanzata dalla Procura di Roma per Virginia Raggi nell’ambito di un filone dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma che vede la sindaca indagata per abuso d’ufficio.

A far scattare l’iscrizione nel registro indagati era stato un esposto dell’architetto Francesco Sanvitto, per conto dell’associazione ”Tavolo della libera urbanistica”. Su questa vicenda la Procura aveva già chiesto nei mesi scorsi l’archiviazione ma il gip Costantino De Robbio aveva invece disposto nuove indagini, affidate al pm Elena Neri, sollecitando una serie di audizioni tra cui quelle di due consiglieri del IX municipio, Paolo Barros e Paolo Mancuso, entrambi ex esponenti del Movimento 5 Stelle. Al termine dell’attività istruttoria, la Procura è tornata a chiedere l’archiviazione.

Nell’esposto si faceva riferimento alle procedure per il progetto del nuovo stadio della Roma, e in particolare la scelta di pubblicare il progetto approvato dalla Regione Lazio nella Conferenza dei Servizi prima di farlo approvare dal Consiglio Comunale.

Salone del Libro, Fassino rischia il processo per turbativa d’asta

Ha provato a difendersi nel corso dell’inchiesta e poi ancora dopo la chiusura indagini. Non è bastato. Dovrà riprovarci davanti al gup del Tribunale di Torino. L’ex sindaco Piero Fassino, attuale deputato del Pd, rischia il processo insieme ad altre venticinque persone coinvolte nell’inchiesta sul Salone del Libro di Torino. Oltre all’esponente dem finiranno davanti a un gup anche Rolando Picchioni, per quasi venti anni presidente della Fondazione per il libro (l’ente composto da Città di Torino e Regione Piemonte che ha organizzato la kermesse fino alla sua liquidazione), Giovanna Milella, che ne divenne presidente per un breve periodo, e l’ex assessore regionale alla Cultura Antonella Parigi.

La Procura accusa Fassino di aver concorso in tre episodi di turbativa d’asta. I primi due riguardano l’organizzazione del Salone. L’edizione del 2015 venne affidata senza bando di gara al Lingotto Fiere, società di Gl Events Italia, e vede indagati anche Picchioni e Parigi insieme al consigliere di amministrazione della Fondazione del libro Roberto Moisio, all’ex direttore generale di Gl Events Italia Regis Faure e al direttore commerciale del Lingotto Fiere, Roberto Fantino. Per i tre anni successivi, invece, la procura ipotizza che il bando sia stato fatto su misura del Lingotto.

L’ex sindaco ha sempre detto che il Salone non avrebbe mai potuto trovare altri spazi più adeguati e che un cambio avrebbe danneggiato il polo fieristico. Fassino, insieme a Milella e all’avvocato Andrea Lanciani, dovrà anche difendersi dall’accusa di aver truccato l’iter per individuare in Intesa San Paolo il main sponsor. Quest’ipotesi riguardava anche il direttore del settore “Arte, cultura e beni storici” della banca, Michele Coppola, e l’avvocato Claudio Piacentini, ma la loro posizione è stata stralciata e la procura potrebbe chiedere l’archiviazione.

Gli inquirenti ritengono inoltre che i bilanci della fondazione dal 2010 al 2015 siano stati falsati dalla sopravalutazione del marchio del Salone del libro con lo scopo di aggiustare le finanze della fondazione, finanze su cui avrebbe gravato l’ex presidente Picchioni accusato di un peculato da 850 mila euro spesi “per finalità personali”.

“Fassino si è sempre occupato di salvare il Salone ed evitare la sua chiusura – lo difende il suo avvocato, il professore Carlo Federico Grosso –. In questa prospettiva la sua condotta è stata limpida e trasparente”.

Sequestrato 1 milione a Lucci, l’amico “pericoloso”di Salvini

Milano

È il 18 dicembre 2018, all’Arena civica la curva Sud del Milan festeggia i suoi primi 50 anni. Sul prato, il vicepremier Matteo Salvini, storico tifoso rossonero, abbraccia il capo ultrà Luca Lucci. In quella data la figura “criminale” di Lucci detto “il Toro” è già definita. Digos e Squadra mobile di Milano hanno in mano decine di pagine di informative. È notizia di poche settimane prima il patteggiamento di Lucci per un’accusa di spaccio. Eppure Salvini, che è anche ministro dell’Interno, pare non sapere. Lo scandalo è servito. E oggi, a distanza di oltre sei mesi, quelle istantanee tornano d’attualità dopo che il Tribunale di Milano ha disposto un sequestro per un milione di euro a carico di Lucci. Tra i vari beni nel mirino anche il Clan 1899, storico ritrovo degli ultras milanisti e considerato “base logistica per la droga”. Secondo il tribunale, Lucci è “un pericolo per la società”. Eppure Salvini non ha dato sfogo a tweet o post su Facebook. Nel documento di 72 pagine firmato dal presidente Fabio Roia, c’è l’intera storia del capo ultrà. Ascesa e caduta, dal 2006 in poi. Oltre dodici anni di carriera balorda dove i reati da stadio lasciano il posto a ben altro: droga in particolare con Lucci che, seppur di professione elettricista, viene definito “un intermediario, ovvero acquirente di grossi quantitativi riservati alla vendita al dettaglio”. E poi ci sono gli affari e i flussi di denaro.

In appena nove giorni, dal 3 al 12 febbraio 2016, su un conto corrente riferibile alla moglie di Lucci la società di scommesse online Centurion Bet Ltd con sede a Malta bonifica 67 mila euro. Solo fortuna? Le annotazioni della Questura di Milano sollevano dei dubbi e aggiungono: “La Centurion Bet Ltd è risultata (…) controllata dalla cosca di ’ndrangheta degli Arena di Isola di Capo Rizzuto”. In tema di rapporti con ambienti del crimine organizzato, secondo il Tribunale, emerge la figura di Rosario Calabria, uno dei soci del ristorante i Malacarne di Cinisello Balsamo, altro storico ritrovo di Lucci. “Calabria – scrive il giudice – è soggetto avente legami di parentela con famiglie della criminalità organizzata di origine calabrese attive in Lombardia”. Dall’assetto societario del locale emergono i nomi di Antonio Rosario Trimboli e di Antonio Gullì “personaggi legati a famiglie della ’ndrangheta ionica”. Nel 2007 Calabria e Trimboli vengono fermati dai carabinieri di Bianco per un pestaggio. Con loro c’è anche Domenico Papalia, figlio di Antonio detto u Carciuto, ultimo vero padrino della ’ndrangheta in Lombardia. Il milieu mafioso è quello delle cosche platiote radicate a Buccinasco e Corsico, comuni a sud-ovest di Milano.

Il nome di Lucci compare già nel 2006, citato da un collaboratore di giustizia. Due anni dopo, la polizia fotografa il legame con Giancarlo Lombardi, uomo di relazioni e vero capo della curva Sud. I due risulteranno soci nella Kobayashi srl e vicini a Michele Cilla, broker della movida che, seppur mai condannato per mafia, ha gestito negli anni locali riconducibili al clan siciliano dei Fidanzati. Emergono poi i contatti con Loris Grancini, capo degli ultras della Juve oggi in carcere. Nel 2009, poi, durante il derby con l’Inter, Lucci picchia Virgilio Motta, leader del club nerazzurro Banda Bagaj. Motta per quei pugni perderà un occhio. L’aggressione, secondo la polizia, accrescerà la “fama” di Lucci, condannato per quel fatto. Negli atti di un’indagine (poi archiviata) del 2011 si legge: “Lucci era indicato (…) come personaggio in grado di approvvigionarsi settimanalmente di almeno mezzo chilo di cocaina e dai 5 ai 7 chili di hashish. Il confidente inquadrava questo suo salto di qualità nell’episodio del derby del 2009 che aveva fatto sì che Lucci acquisisse stima da parte della tifoseria organizzata milanista”. Tra i suoi presunti canali della droga viene citato anche un imprenditore vicino alla cosca Papalia e attivo nella gestione dei locali notturni.

C’è poi il Clan 1899, l’associazione senza scopo di lucro di Sesto San Giovanni storico ritrovo della curva Sud. Qui Lucci ufficialmente era solo un dipendente. Anche questo ieri è stato messo sotto sequestro, oltre alla villa dove Lucci vive in provincia di Bergamo. In diverse indagini, ultima quella che ha portato al suo arresto nel 2018, il Clan viene definito “base logistica per il traffico di droga”. Qui gli investigatori filmano l’arrivo di diversi pregiudicati. Come Danilo Cataldo, curvaiolo e trafficante di droga. Insomma Lucci più che un capo ultrà, per il tribunale, è uno spacciatore con una condanna patteggiata a poco più di un anno. Oggi il Toro è indagato per droga dalla Procura di La Spezia.

Il leghista fa Orbán: “Costruiamo barriere al confine friulano”

I migranti non arrivano solo dal mare: crescono i flussi terrestri lungo la rotta balcanica. E il ministro dell’Interno Matteo Salvini avverte: “Se il flusso di migranti non dovesse arrestarsi, a mali estremi, estremi rimedi: non escludiamo la costruzione di barriere fisiche alla frontiera come fatto da altri Paesi europei”, perchè è necessario “blindare il confine a Est”. Un intervento in stile Orbán, come aveva chiesto il governatore del Friuli Venezia Giulia, il leghista Massimiliano Fedriga. Il quale, dal canto suo, ha dichiarato di “valutare la possibilità di chiedere al Governo di sospendere Schengen”, ossia gli accordi che prevedono la libera circolazione dei cittadini europei all’interno dei territori dell’unione. Fedriga ha poi auspicato “piena collaborazione, a iniziare dalla Croazia” nel controllo dei confini. Per tentare di arginare il fenomeno, da lunedì, ci saranno pattugliamenti misti di Forze dell’ordine italiane e slovene. Secondo i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza, nei primi mesi del 2019, i migranti irregolari entrati dal confine est erano già 652: quasi il doppio rispetto al 2018, in cui ne erano stati rintracciati 446.