Il profilo Twitter della ragazza e i fake sulla raccolta fondi

Sulla raccolta fondidella Sea Watch si avventano gli sciacalli del web. La ong ieri ha avviato una colletta tramite la propria pagina Facebook, per raggiungere la somma necessaria a pagare le sanzioni che le verranno comminate per aver violato il decreto Sicurezza bis, ed essere entrata con la propria nave carica di migranti nelle acque italiane.

Nell’appello si legge: “Se il nostro capitano Carola segue la legge del mare, che le chiede di portare le persone salvate sul #seawatch3 in un porto sicuro, potrebbe affrontare pesanti condanne in Italia. Aiuta a difendere i diritti umani, condividi questo post e fai una donazione per la sua difesa legale”. Però alla richiesta ha fatto seguito un fiorire di account fake, creati per intercettare le donazioni dei loro sostenitori, che ha reso necessaria la precisazione della ong: “La nostra comandante Carola non ha un account Twitter personale. In questo momento stanno comparendo alcuni account fake con raccolte fondi non di Sea Watch. In tantissimi ci state chiedendo. Per darci una mano potete farlo qui con Produzioni dal basso”, si legge nel loro tweet.

Staffetta solidale dei parlamentari Pd Orfini: “Resteremo sull’isola a vigilare”

Il Pd è a Lampedusa. “Abbiamo lanciato una staffetta di parlamentari con il compito di vigilare – ha detto Matteo Orfini, uno dei dem che hanno raggiunto l’isola –. A turno garantiremo la nostra presenza, fino a che la situazione non sarà completamente risolta”. Con Orfini ci sono Graziano Delrio, Davide Faraone, Fausto Raciti, Luca Rizzo Nervo e Giuditta Pini. Insieme a loro anche il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. Oggi li raggiungerà anche Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa simbolo dell’impegno umanitario per i migranti, eletto al Parlamento europeo nelle elezioni di fine maggio. “Il mio cuore è già lì – ha scritto –. Purtroppo Lampedusa e Bruxelles sono lontane, non soltanto metaforicamente. Arriverò soltanto domani (oggi, ndr) ma sono già lì col cuore, al fianco di quella splendida capitana di nome Carola”. Lapidario e sprezzante il commento di Matteo Salvini: “Vanno in vacanza con le bandierine. Spero che mangino e dormano bene”

Attorno al Ministro della Cattiveria gli ipocriti tacciono

Per i 42 della Sea Watch 3, le uniche parole sincere le ha dette al manifesto, Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa eletto a Strasburgo con il Pd: “Forse sarei dovuto andare a prenderli con la mia barca e fare in modo che arrestassero me”. Mentre per il resto della politica italiana, ed europea, quegli esseri umani dopo quattordici giorni trascorsi a friggere sotto il piombo canicolare, stipati sul ponte di una bagnarola, meritano soltanto il disprezzo del vicepremier, nonché eroico ministro degli Interni: “Per me possono stare lì fino a Natale”.

Mentre scriviamo la giovane comandante Carola ha deciso di entrare nelle acque italiane e dunque quando leggerete questo diario la “forza pubblica” schierata dal Viminale a Lampedusa, con ammirevole sprezzo del pericolo avrà probabilmente già indagato, sanzionato, sequestrato e forse anche arrestato i colpevoli, secondo i rigorosi dettami del decreto Sicurezza bis (ecchediamine, siamo o no il Paese della legalità?). A noi, però, più della mascalzonata salviniana su quell’ammasso di corpi destinati a marcire (fosse per lui) fino a Natale, colpisce appunto il silenzio tombale di tutti gli altri. Dal che si ricava che, dài e dài, il ministro della Cattiveria ha vinto, anzi stravinto, su tutta la linea la guerra contro il “restiamo umani” (ricordate il testamento di Vittorio Arrigoni, rapito e ucciso dai jihadisti?). E con ciò si è meritato a pieni voti anche la poltrona di ministro dell’Indifferenza, altrui.

Facciamo grazia al lettore di tutto ciò che conosce a menadito. Come l’ipocrisia istituzionalizzata dell’Europa che se ne strafotte dell’Italia, interessata piuttosto a comminarci procedure d’infrazione. E che ci ricorda quel marito oberato dalle cure costose per la moglie inferma che apprende con sollievo che finalmente è morta. Come la Corte europea dei diritti dell’uomo che, in ambienti sicuramente ben climatizzati, decide che non sussistono le condizioni d’urgenza per soccorrere quei disgraziati (e menomale che non hanno raccomandato loro l’uso di creme protettive). Come il mutismo imbelle e complice (di Salvini) da parte dei Cinque Stelle, castigato in buona parte con la recente sparizione di sei milioni di voti. Come l’esibirsi di certa sinistra italiana, disposta a manifestare solidarietà ai naufraghi purché in presenza di un’ampia copertura social e televisiva. Come il boh del Pd di Nicola Zingaretti, dove tutti al mare non significa correre in soccorso della Sea Watch 3. Quanto piuttosto prepararsi alle vacanze nel Salento, ora che Capalbio è passata al nemico. Salvini ha stravinto non tanto per avere strombazzato un’invasione che non c’è. Ma per avere compreso in tempo l’ego pusillanime dei suoi presunti oppositori. Lo straripante successo del cosiddetto capitano non può spiegarsi solo ricorrendo stancamente alle categorie della proverbiale destra da osteria (ma quante ce ne sono?): quella scatenata contro i negher che ciondolano nelle strade “pagati coi soldi nostri”. O della insicurezza percepita e bla bla. No, Salvini ha saputo introdurre gradualmente nelle vene scoperte della nazione massicce dosi di pentothal ad azione ipnotica. Cosicché, la tragedia permanente di quei corpi scuri annaspanti nell’acqua, visibili in diretta facebook per la prima volta nella storia della disumanità, finisce alla lunga per procurare l’assuefazione delle menti e il torpore degli spiriti. Dunque, se grazie a Carola alla fine qualcosa si muove, siamo sempre al livello degli appelli a Conte o delle “delegazioni in viaggio”.

Ci vuol altro che le testimonianze simboliche. Agli atti politici dirompenti si risponde in modo altrettanto dirompente. A questo proposito, siamo convinti che, lassù, il medico Bartolo, uomo di vasta solidarietà, sia stato già perdonato per non essere andato a “prenderli” con la barca. Mentre non sapremmo immaginare quale accoglienza sarà riservata, il più tardi possibile s’intende, a quel tizio col rosario in mano e il cuore chissà dove.

Dal rifiuto della Libia al ricorso respinto: tutte le tappe dello scontro sulla nave

La nave Sea Watch 3, di una Ong tedesca, ha deciso di violare il “blocco” imposto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ecco le cose fondamentali da sapere per capire i termini della questione.

Cosa rischia il capitano della Sea Watch 3 Carola Rackete?

Sulla base del decreto Sicurezza bis, in vigore dal 15 giugno, rischia una sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro. Se la violazione del divieto di attracco verrà considerata una “reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave” (anche se i precedenti sbarchi erano pre-decreto Sicurezza bis), c’è anche la confisca della barca. Il capitano Rackete rischia anche conseguenze penali se il suo comportamento sarà considerato un reato da qualche pm.

Perché la Sea Watch porta i migranti proprio in Italia?

L’Ong ha salvato 43 persone nella zona di ricerca e soccorso di competenza della Libia. Una competenza più teorica che concreta, visto che il fragile governo di Tripoli ha sempre faticato a presidiarla, ancor di più ora che il Paese è di nuovo sull’orlo della guerra civile. Come hanno ammesso i legali di Sea Watch, la nave ha chiesto a Olanda (il Paese di cui batte bandiera), Italia e Malta (gli altri due Paesi vicini) dove sbarcare i migranti salvati. La risposta è stata la Libia, “così di fatto auspicando il respingimento di tutti i naufraghi in un Paese attraversato da una guerra civile e dal quale questi fuggivano per mettersi in salvo dalla detenzione e dalle torture”. Quindi la scelta di andare verso l’Italia è stata in violazione delle indicazioni ricevute, perché la Ong non riconosce la Libia come un porto sicuro, la stessa valutazione dell’Onu che non la classifica come “Pos”, cioè place of safety.

Cosa poteva fare l’Europa?

Poco. Nonostante le tante promesse di Matteo Salvini, le regole non sono mai cambiate: i richiedenti asilo sono di competenza del Paese di identificazione, sulla base del regolamento di Dublino, e l’unico meccanismo di condivisione scatta dopo lo sbarco e l’identificazione ma è comunque, di fatto, su base volontaria. Molti Paesi rifiutano di accogliere i richiedenti asilo della loro “quota” e la Commissione europea non ha gli strumenti giuridici per imporsi. Salvini ha scritto al governo olandese, lo “Stato bandiera” della Sea Watch 3, e si è appellato alla Germania, dove è basata la Ong. Ma non ha basi giuridiche per costringere questi due Paesi a intervenire sulla nave o ad accogliere i migranti.

Il governo poteva tenere i migranti davanti alle coste “fino a Natale” come minacciato da Salvini?

Sì e no. Dopo un’ispezione sanitaria, il 15 giugno dieci persone su 43 sono sbarcate comunque, un altro il 21 giugno: tre famiglie con bambini e donne incinte. Nonostante i “porti chiusi”, non ci sono basi legali per evitare che chi è in pericolo di vita o in gravi condizioni sanitarie venga costretto a rimanere in mare. Proprio perché le persone rimaste a bordo non erano in immediato pericolo, sia il Tar che la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) hanno respinto i ricorsi di Sea Watch che chiedevano di poter sbarcare i migranti contro il parere del Viminale. Però, nella sua sentenza del 25 giugno, la Cedu ha comunque stabilito che le persone sulla Sea Watch 3 sono sotto la responsabilità del governo italiano che deve “continuare a fornire l’assistenza necessaria alle persone a bordo e che sono in una condizione di vulnerabilità come conseguenza della loro età o stato di salute”.

La linea dura di Salvini sulle Ong sta funzionando?

Secondo i dati del Viminale, tra primo gennaio e 25 giugno sono sbarcati in Italia 72.994 nel 2017, 16.438 nel 2018, 2.456 nel 2019. Matteo Villa dell’Ispi, però, nota che la presenza delle Ong davanti alle coste, ormai azzerata, non sembra fare differenza: tra 1 maggio e 21 giugno dalla Libia sono partite almeno 3.962 persone, 431 quando le Ong erano al largo delle coste libiche, 3.495 senza nessuna nave europea ufficialmente in mare. Di sicuro, come si vede nei video dell’agenzia europea Frontex, i trafficanti sono tornati alla tattica che usavano prima che le Ong sostituissero le navi militari europee al largo della Libia: usano “navi madri” per il grosso del tragitto poi caricano le persone su barchini precari da far arrivare sulle coste italiane. Con questo sistema, a Lampedusa sono sbarcate 300 persone nell’ultimo mese. Ma su queste Salvini ha avuto poco o niente da dire.

La Sea Watch viola il blocco Salvini: “La capitana pagherà”

La “sbruffoncella” – l’appellativo è del capo del Viminale – ha tenuto la barra dritta e sparigliato tutto. Il capitano Carola Rackete, 31 anni, passaporto tedesco e già comandante di una nave rompighiaccio al Polo Nord, ha mantenuto ieri alle 14 l’impegno che aveva annunciato: “Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So a cosa vado incontro, ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo. Non riporterò i migranti in Libia, né tantomeno in Olanda, vorrebbe dire circumnavigare l’Europa, sarebbe ridicolo”. Detto, fatto. Il governo, con il ministro dell’Interno Matteo Salvini in testa, le ha parato dinanzi le motovedette della Guardia di Finanza e della Marina Militare. E il capitano Rackete ha all’istante smentito di essere una “sbruffoncella” – definizione dal dizionario Treccani: “Chi esagera nel vantarsi di imprese che non ha compiuto e non sarebbe in grado di compiere” – disobbedendo all’alt e portando la Sea Watch, con i suoi 42 naufraghi, esattamente dove ha voluto: di fronte a Lampedusa.

“Buona sera, la informo che devo entrare nelle acque territoriali italiane – ha detto al comandante della capitaneria di porto di Lampedusa – non posso più garantire lo stato delle persone. Devo far sbarcare le 42 persone che ho a bordo. Virerò la barca, entrerò nelle acque territoriali”. “Non siete autorizzati”, risponde la Capitaneria di porto. Lei ha tirato dritto verso l’isola. E la Guardia di Finanza ha predisposto la comunicazione del reato, che le costerà l’apertura di un fascicolo di indagine.

Non è bastato il “divieto di transito e sosta” imposto dai ministri dell’Interno, Trasporti e Difesa. E neppure il verdetto negativo della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul ricorso presentato dalla Sea Watch 3. Carola Rackete viola il decreto Sicurezza bis, che prevede una sanzione dai 10 mila ai 50 mila euro e affronta il rischio d’essere indagata – e non si esclude arrestata – per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Per 14 giorni, la nave della ong tedesca battente bandiera olandese, è rimasta in acque internazionali. Ha salvato 42 migranti da un naufragio davanti la costa libica. E nel pomeriggio di ieri è giunta a poche miglia dal porto di Lampedusa. Ad attenderla sul molo, lo schieramento di carabinieri, mentre una motovedetta della Guardia costiera ne seguiva i movimenti. Il prefetto di Agrigento Dario Caputo aspetta di avere direttive dal Viminale, ma sarebbe già pronto a far scattare la multa per il comandante, l’armatore e il proprietario dell’imbarcazione fino a 50 mila euro e l’eventuale confisca della nave. Nel frattempo Sea Watch Italia ha già ricevuto donazioni per almeno 23mila euro.

Alle 18:30 la Guardia di finanza sale a bordo, per controllare i documenti della nave e i passaporti dell’equipaggio. Non si tratta dell’unica mossa. Palazzo Chigi e la Farnesina attivano l’ambasciatore italiano all’Aia, Andrea Perugini – è stato ricevuto nel pomeriggio dalla sottosegretaria alla Giustizia competente per l’immigrazione – per “proseguire nelle iniziative formali volte a verificare l’eventuale condotta omissiva” del governo olandese che oggi risponderà alla lettera, inviata da Salvini domenica scorsa, nella quale si diceva “incredulo per il disinteresse” dei Paesi Bassi nei confronti della nave che batte la loro bandiera. Ed è sempre Salvini che ieri ha ribadito: “Non autorizzo lo sbarco, nessuno pensi di poter fare i porci comodi suoi. I governi di Olanda e Germania ne risponderanno, sono stufo. Schiero la forza pubblica, il diritto alla difesa dei nostri confini è sacro”. E sulla comandante Rackete – “pagata non si sa da chi, la pagherà fino in fondo” – ha aggiunto: “Ha detto ‘Sono bianca, ricca e tedesca e devo fare volontariato’. Ma fallo a casa tua il volontariato! Perchè non li fermano e arrestano l’equipaggio?”.

Il vicepremier Luigi Di Maio da un lato accusa la Sea Watch di “farsi pubblicità”, dall’altro tenta una distanza con Salvini, precisando che “in mezzo a questo palcoscenico che è diventato il Mediterraneo ci sono gli esseri umani. E se dovremo passare tutta l’estate a litigare con le Ong abbiamo già perso”. Di Maio chiede corridoi umanitari, più rimpatri e rivolge l’ennesimo appello a Bruxelles sulla revisione del trattato di Dublino (l’accordo che prevede l’accoglienza nel paese di arrivo, ndr). Ma subito Salvini lo frena: “Non è lui il ministro dell’Interno”.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, auspica il sequestro e l’affondamento dell’imbarcazione, l’arresto dell’equipaggio, il rimpatrio immediato dei naufraghi. Di altro avviso il commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic: “Si dovrebbe dare il permesso alla Sea Watch di far sbarcare le persone senza conseguenze per capitano, equipaggio e armatore”.

Paraponziponzipò

Ci sono momenti in cui, sopraffatti dalla commozione, si fatica a trattenere le lacrime. A me è accaduto ieri, leggendo il nuovo inno olimpico, purtroppo ancora senza accompagnamento musicale, scritto da un paroliere d’eccezione: Francesco Merlo. Meglio delle “notti magiche inseguendo un gol” di Bennato e Nannini. Il Mogol di Repubblica ci ricorda che “le Olimpiadi, come i mondiali di calcio e gli Expo, sono opportunità di sviluppo offerte alle città che da sole non ce la fanno”. Infatti, per dire, Atene e Rio non ce la facevano proprio, da sole, a fallire: poi arrivarono le Olimpiadi e fallirono all’istante. Ma ecco i versi più lirici del Cantore Pentacerchiato: ah, quei “salti di gioia” di Carraro, Pescante, Montezemolo e Malagò che “esprimono il ritorno alla vita dell’Italia che crede nella grazia e nella sapienza edificatoria combinata con l’intelligenza urbana”, “l’Italia degli architetti e degli ingegneri”, ma anche dei fuochisti e macchinisti, frenatori e uomini di fatica! Ah la bella “edilizia verde, antisismica, sostenibile, energetica e a volume zero” (qualunque cosa voglia dire)! E il tenero “abbraccio tra il sindaco Pd Beppe Sala, i governatori leghisti del veneto Luca Zaia e della Lombardia Attilio Fontana, e il tedoforo (sic, ndr) di un Coni tramortito e resuscitato, Giovanni Malagò”! “Ecco perché Sala, che di solito ride a labbra chiuse, si abbandona al riso liberatorio che sempre, diceva Umberto Eco, ‘è il punto della ri-partenza’. È una risata ‘sblocca-Italia’, un abbraccio che taglia il nastro non solo alle Olimpiadi, ma all’alta velocità, ai tunnel, ai sottopassi, ai ponti, a strade e autostrade, aeroporti, gasdotti, inceneritori…”. Una leccornia via l’altra, da delibare a pieni polmoni e farci l’aerosol. Poi tutti in marcia con Greta per salvare l’ambiente.

L’Aedo del Laterizio ricorda un altro caldo abbraccio cementifero “tra Romano Prodi e Letizia Moratti quando a Milano fu assegnato l’Expo”: già, perché “nell’euforia si abbraccia anche il nemico”. E – tenetevi forte – “battono insieme i cuori che vanno in direzioni diverse”. Anche quelli che si avviano verso San Vittore. Ma non sarà questo il caso perché – zufola garrulo il Merlo – “il Comune di Sala non ha subìto processi, non ha la cattiva fama della Regione, non ci sono scandali giudiziari”. C’è solo un processo al sindaco Sala per falso in atto pubblico sull’appalto più grande di Expo, ma che sarà mai. Infatti “Sala ha già ricordato che l’Expo ancora prima di cominciare fu sconvolto dagli scandali e dalle tangenti e che lui si trovò circondato da inquisiti, arrestati, condannati, gente con il quid di troppo del mascalzone, una imponderabile nuvola di corruzione”.

Ecco: Sala era circondato di mascalzoni, e fra l’altro li aveva scelti tutti lui, ma come fargliene una colpa? Per il Vate del Bitume, quelle sono “nuvole imponderabili”, come quella di Fantozzi, che ti si posa sul capo quando meno te l’aspetti, per pura sfiga. Un po’ come quando ti capita di retrodatare le gare d’appalto a tua insaputa. Infatti ora Sala non sente ragioni e, pur ridendo sempre a labbra chiuse, apre un pertugio per annunciare: “Per le Olimpiadi niente procedure d’urgenza”. E chi adottò le procedure d’urgenza da commissario di Expo 2015, riuscendo ad assegnare centinaia di appalti senza un bando di gara? Lui. E non basta: “Per le Olimpiadi niente amici degli amici”. Giusto, anche perché i suoi glieli hanno arrestati tutti. “Devono essere chiamati i più bravi, bisogna essere trasparenti nella selezione”. Non è meraviglioso? Sala diffida chiunque a fare come fece Sala da capo dell’Expo e poi da sindaco di Milano.
Il suo braccio destro Angelo Paris glielo arrestarono subito con tutta la cupola degli appalti Expo. Il suo subcommissario Antonio Acerbo, responsabile del Padiglione Italia e delle vie d’acqua, glielo ingabbiarono. Il facility manager di Palazzo Italia, Andrea Castellotti, glielo carcerarono. Antonio Rognoni, capo di Infrastrutture Lombarde, glielo ammanettarono. Ma solo perché erano i più bravi, selezionati nella più assoluta trasparenza. Come pure Pietro Galli, promosso da Sala a direttore generale Vendite e marketing malgrado una condanna per bancarotta. “Il talento va premiato”, diceva Totò. Infatti Sala passò da destra (era il braccio destro della Moratti) a sinistra (si fa per dire: il Pd di Renzi) e divenne sindaco di Milano per le sue doti da talent scout e il suo fiuto da rabdomante: sempre per evitare gli “amici degli amici” (orrore), nominò assessore al Bilancio e Demanio il suo socio in affari, Roberto Tasca; promosse segretario generale Antonella Petrocelli, imputata per turbativa d’asta, poi in cinque giorni fu costretto a furor di stampa a revocarla. Ora, nell’ultima Tangentopoli lombarda che per Merlo riguarda la Regione ma non il Comune, per carità, sono indagati il dirigente comunale dell’Urbanistica Franco Zinna e la geometra Maria Rosaria Coccia, con l’accusa di far parte del sistema tangentizio di Daniele D’Alfonso, socio e prestanome del boss calabrese Giuseppe Molluso. Ed è finito dentro Mauro De Cillis, capo operativo di Amsa, l’azienda comunale dei rifiuti, per aver truccato le gare d’appalto per lo sgombero della neve, la raccolta dei rifiuti pericolosi, perfino per la pulizia delle aree per cani e bambini, in combutta con un imprenditore vicino alle cosche. Ora, per le “Olimpiadi a costo zero”, arriva una cascata di dobloni: 1 miliardo dal Cio, 211 milioni dalla Regione Lombardia, 130 milioni dalla Regione Veneto, 400 milioni dallo Stato, e siamo soltanto ai preventivi (Giorgetti l’aveva detto: “Chi vuol fare le Olimpiadi se le paga da solo”). Basta solo aspettare. Le forze dell’ordine preparano i Trojan, le Procure lustrano le manette. Intanto il maestro Merlo Scannagatti compone le musiche.

Azzurre da urlo: due reti alla Cina e sono ai quarti

È il Mondiale, bellezze. E le nostre donne sono nei quarti, a pieno titolo, fra le prime otto del pianeta. Brave e chirurgiche, hanno liquidato la Cina, che nella classifica Fifa ci tallona a un passo (noi quindicesime, loro sedicesime) e nel gruppo B, quello di Germania, Spagna e Sudafrica, aveva capitalizzato, all’italiana, la miseria prodotta (1 gol all’attivo) e le briciole concesse (1 gol pure qui).

La Cina, squadra militaresca nello stile e nella tattica, molta legna al fuoco e rare scintille. L’Italia di Milena Bertolini, tutta cuore, testa e macarena. Due a zero a Montpellier: un gol per tempo, Valentina Giacinti in mischia e Aurora Galli da fuori area.

Non è stato facile, e per questo è stato ancora più bello. Superare la fase a gironi sembrava, alla vigilia, il massimo dei traguardi, e invece se ne parla già come di una cartolina sbiadita.

Con l’eliminazione diretta si trasloca dal Mondiale in un altro mondo, nel senso che scompare lo spazio per gli errori e si riduce, drasticamente, la nicchia dei calcoli.

Le scaramucce introduttive consegnano l’ordalia al copione che ci si aspettava: più fisiche, le cinesi; più geometriche, le nostre. Il gol di Giacinti, frutto di un lancio al bacio di Girelli e annullato per fuorigioco, è un indizio, e forse persino un invito. Il sole smorza l’aggressività di gruppo, ma quando Bonansea “borseggia” Han Peng, Giacinti, ancora lei, semina il panico. E sempre lei, indiavolata, avvia di puro pressing l’azione che, attraverso Bonansea e Bartoli, la porterà a spaccare l’equilibrio. Siamo appena al 15’, dentro al quarto d’ora di popolarità caro ad Andy Warhol.

Guagni e Bartoli non lesinano toccate e fughe. Cerca, la Nazionale di Jia Xiuquan, di rifornire Li Ying e Wang Shanshan. Il Var libera Sara Gama da un sospetto di rigore, piano piano la Cina esce dal guscio, l’Italia si raccoglie attorno a Cernoia, Giugliano e Bergamaschi. Ci prova, Wang Yang, dal limite ma Giuliani è lì, a fil di traversa. E lì sarà sempre: molto sicura, molto inglese.

Il rischio, ora che le avversarie hanno alzato il ritmo, coinvolge un attendismo che ci induce, spesso, a speculare sul contropiede, arma preziosa (ammesso che non diventi l’unica). Le rosse fraseggiano, le azzurre badano al sodo. Palla lunga e pedalare, appena possono: tocca a Bergamaschi, rimedia la “portiera”, in tuffo.

Galli, al 39’, avvicenda Girelli (acciaccata?) per un 4-4-2 più tosto sulle fasce, là dove Li Ying e le sue sorelle imperversano.

Alla ripresa, Li Yiang rileva Yasha Gu. Ma è proprio Aurora Galli, l’ultima arrivata, complici i riflessi di Peng Shimeng, a far breccia da lontano dopo sì e no quattro minuti. C’era già riuscita con la Giamaica. Nel basket li chiamano “tiri da tre” o dall’arco. Come il contropiede, sono risorse preziose, letali. La Cina, che aveva chiuso il tempo accerchiando Fort Bertolini, resta sul colpo, pugile suonato. L’Italia si scrolla di dosso la tensione; Linari, nel cuore del bunker, non tollera intruse. L’unione fa la forza, come ha predicato da Losanna “(Mi)Candido” Malagò nel celebrare i Giochi di Milano e Cortina.

La partita non è più la tortura che sembrava, anche perché in difesa, sulla moda dei “maschietti” d’antan, non passa uno spillo.

Dalla Cina escono due Wang ed entrano Duan Song e Yao Wei. La nostra ct risponde con Mauro, una punta, al posto di Bergamaschi: tanto per chiarire che, insomma, gestire va bene a patto di non esagerare.

Le cinesi si ributtano sotto, o la va o la spacca, attese al varco da una Giugliano più di lotta che di governo. Rosucci sostituisce Bonansea, non proprio la Santa Barbara del battesimo australiano, ma la muraglia, quando è il caso, e negli spiccioli finali lo sarà, siamo noi, non loro. E così i 53 anni di coach Bertolini, compiuti lunedì, trovano nell’epilogo il regalo più ambito e gradito.

Avanti tutta, fra cronaca e storia. Senza paura.

Woody Allen riprende il “Fatto”. “Anteprima italiana per il film”

“Siamo davvero felici di annunciare l’anteprima italiana di A Rainy Day in New York in uscita presto in Italia”. Woody Allen ha ripreso sui profili social l’intervista realizzata dal nostro Federico Pontiggia ad Andrea Occhipinti, presidente di Lucky Red, e pubblicata sul Fatto il 15 giugno. Lucky Red, a differenza di Amazon, si è impegnata a distribuire il prossimo film del regista boicottato dopo le accuse di molestie. Allen sarà venerdì sera al Teatro degli Arcimboldi a Milano con la sua Jazz Band.

Altro che Movie-ment: il botteghino estivo non sarà un gioco da ragazzi

Eppur si muove? Macché. Sul calendario il cinema italiano ha cerchiato in rosso una data: 26 giugno, oggi. Su oltre 800 schermi esce Toy Story 4, l’animazione Disney-Pixar che deve ciucciarsi l’ansia da prestazione di un intero comparto: non può, non deve fallire, ne va delle sorti fin qui poco magnifiche e progressive dell’estate cinematografica da Trieste in giù. La saga di Woody e Buzz Lightyear, tenuta a battesimo da John Lasseter nel 1995, ha baloccato più di una generazione, caso ancor più strano trattandosi di “cartoon”, e anche calando il poker le carte in regola per soddisfare grandi – adozione, libero arbitrio e metacinema – e piccini – new entry pucciose e trovate assortite – non dovrebbero mancare. Eppure, non basta, tocca superarsi, persino – fatte le debite proporzioni – rispetto al debutto americano: 118 milioni di dollari, terzo weekend dell’anno e il migliore risultato della saga, però lontano dai 140 e più stimati alla vigilia. Va detto, tra New York e Los Angeles l’estate in sala è partita malissimo, ma qui tocca occuparsi dei crucci nostrani: l’antidoto alla siccità in sala, Movie-ment, non sta andando bene, eufemismo. “Progresso/processo” nato dall’unione di distributori, esercenti, produttori e istituzioni, dal Mibac ai David di Donatello, Movie-ment dovrebbe creare un mercato estivo con un piano triennale e quattro direttrici: contenuti, abitudine, investimenti e percezione, per scongiurare la proverbiale, e invero avvistabile, ultima spiaggia. A far la parte del leone, nelle intenzioni, i film italiani, che se distribuiti su più di 200 schermi e con un investimento di P&A (“promotion” e “advertising”) superiore a 500 mila euro potranno beneficiare del recupero del 70 per cento dei costi sostenuti (il 30 per cento del tax credit già stabilito dalla Legge Cinema più il 40 per cento del contributo del bando selettivo del 14 marzo scorso) – per i film nazionali con meno di 200 schermi e un P&A inferiore ai 500mila euro il contributo totale scende al 40 per cento (30 per cento più 10).

All’uopo il Mibac ha messo a disposizione quattro milioni e mezzo di euro: forse troppa grazia, comunque tanta roba. Direte, ci sarà la fila per uscire nel periodo estivo, e invece no: quattro gatti, Il flauto di magico di Piazza Vittorio (uscito il 20 giugno per 6.858 euro totalizzati nel weekend), Restiamo amici di Antonello Grimaldi posizionato il 4 luglio, Vita segreta di Maria Capasso di Salvatore Piscicelli il 18 luglio, Dolcissime di Francesco Ghiaccio il 1° agosto, e un gattone, Pupi Avati, che torna all’horror sia con Il signor diavolo con l’uscita piazzata al 22 agosto. Dell’aristocrazia del cinemino nostro, a mettere sotto il solleone nome, faccia e film volente o – scommettiamo – nolente è solo lui: il “progresso/processo” può attendere. In compenso, tra i non italiani Movie-ment tradisce i primi sinistri scricchiolii: Pets 2, X-Men: Dark Phoenix, Rocketman e Godzilla 2 sono andati al di sotto delle infime aspettative, e da Charlie Says – slittato dal 4 luglio al 22 agosto – al beatlesiano Yesterday di Danny Boyle – posposto dal 4 luglio al 26 settembre! – c’è chi ha già preso le misure.

Il ritornello, per ora, è modulato su Bruno Martino: non la hit Estate, ma la più laconica, financo amara E la chiamano estate, questa estate senza incassi. Se fare peggio dell’anno scorso, dove il deserto imperò, è impossibile, nondimeno ci stiamo provando: 11.280.728 euro rastrellati nelle prime due settimane (6-13, 13-20) di giugno, contro i 12.544.187 euro del 2018 (fonte: CineGuru). È Toy Story 4 il titolo della riscossa? Nonostante le apparenze, non sarà un gioco da ragazzi.

 

Che teatro alla Scala: soprintendenti d’opera buffa

“Cecilia Bartoli non canterà più alla Scala per solidarietà con il soprintendente uscente Alexander Pereira”. Te la presentano come quando Maria Callas interruppe la recita della Norma all’Opera di Roma. Costei è una cantantuccia che sostiene di esser specializzata nel repertorio barocco, ha per voce la punta di uno spillo e i suoi fan sono le più disperate recchie liriche. Una delle colpe di Pereira è proprio lo spazio che le ha attribuito. Questo è il livello della discussione: si parla della Bartoli.

La successione a Pereira è una farsa con tratti turpi. Il 28 giugno verrà nominato (non si sa se dal 2020 o dal 2022) Dominique Meyer, un colto e onesto alsaziano, fin qui soprintendente a Vienna. Poteva essere la soluzione naturale. Ci si è giunti, invece, solo perché i genî della strategia, che volevano mettere le zampe sulla Scala, hanno fatto una tale serie di errori da portare alla designazione di Meyer per eterogenesi dei fini.

Pereira non è il mostro che è stato descritto. È un esperto amministratore che da Zurigo a Salisburgo si è fatto un curriculum importante. Soprattutto, è un essere umano: non proviene dall’impazzito sistema italiano nel quale l’odio per bande ideologiche è l’unica legge. Ha allestito molte cose furbe, molte cose per la massa: oggi credo sia impossibile regolarsi diversamente: se mi dessero un milione al giorno per fare il soprintendente direi di no. Ma ha prodotto molte cose belle, di ampio respiro internazionale. Il confronto col suo predecessore Lissner non si pone. Gli hanno dato la croce addosso per la sua capacità di trovare finanziamenti. Pecunia non olet: perché quella araba dovrebbe far schifo?

Per sostituirlo, come se si dovesse nominare il capo del personale di una ditta di calcestruzzo, hanno affidato la scelta a una società di “cacciatori di teste”. Non sto scherzando. Il soprintendente del più importante teatro italiano, di uno dei produttori di cultura principali del nostro paese, da valutarsi da burocrati aziendali. È cominciata la girandola dei nomi. Tutti intercambiabili. Perché tutti i soprintendenti italiani (tranne Pereira) sono stati nominati da Nastasi, l’ex ras giannilettiano-renziano del ministero dei Beni culturali, l’ex commissario a Bagnoli (dove non ha spostato nemmeno una pietra), l’ex vicesegretario della presidenza del Consiglio. E siccome posseggono solo il riflesso condizionato obbediscono a Nastasi anche se non comanda più. Dal San Carlo (Rosanna Purchia), al Petruzzelli (Massimo Biscardi), all’Opera di Roma (Carlo Fuortes), al Maggio Musicale Fiorentino (Cristiano Chiarot). Quest’ultimo avrebbe – nastasianamente – avuto più titoli di tutti. Da direttore marketing della Fenice era diventato soprintendente: e aveva abbassato la programmazione oltre ogni dire, convinto di averne fatto la nuova Atene. A Nastasi, Nardella e Renzi serviva un pollastro al quale imputare l’inevitabile (e prossimo) fallimento del teatro più indebitato del mondo: se poi San Giovanni Evangelista avesse fatto l’impossibile miracolo, il merito era loro.

Eccoti il cattocomunistello della provincia veneta. Gli hanno dato, fra il 2017 e il 2019, somme che ci permetterebbero di scavare da capo Pompei, Ercolano e Oplonti. I debiti restano stratosferici. Ma siccome in Italia basta avere un posto di guardacessi per sentirsi qualcuno, il povero Chiarot ha cominciato a credersi la reicarnazione del maestro Siciliani e del maestro Vlad. Spiega ai direttori d’orchestra come si tiene la bacchetta in mano, come si concertano le opere, quali sono i tempi giusti nell’Otello di Rossini e nel Cortez di Spontini. Spiega ai compositori defunti (Wagner, Bizet….) come si scrivono le opere, e gliele rifà se non sono politically correct. Non scherzo. Negli spazi liberi dagli ordini di scuderia.

I “cacciatori di teste” hanno designato un furbastro levantino dai capelli tinti, questo Fuortes, che già s’era illustrato come commissario nastasiano a Bari e all’Arena: quale unico possibile e meraviglioso salvatore della Scala. Stava particolarmente a cuore, oltre che a Nastasi, a Francesco Micheli, che alla sua età vuol fare il soprintendente per interposto levantino. Solo che, a quanto si è appreso, tale società di “cacciatori” appartiene a un tale del quale lo stesso Fuortes è dipendente. Così la somma di tante turpitudini ha prodotto Meyer, uno che potrà essere, se non un grande soprintendente, un soprintendente normale.

Gli altri, quelli che ho nominati e anche i non nominati, sono dei mostri. Monstrum significa prodigio della natura. Capaci, infatti, di arrivare a un locupletatissimo posto pubblico per il quale mai avrebbero trovato concorrenti peggiori di loro.