È il Mondiale, bellezze. E le nostre donne sono nei quarti, a pieno titolo, fra le prime otto del pianeta. Brave e chirurgiche, hanno liquidato la Cina, che nella classifica Fifa ci tallona a un passo (noi quindicesime, loro sedicesime) e nel gruppo B, quello di Germania, Spagna e Sudafrica, aveva capitalizzato, all’italiana, la miseria prodotta (1 gol all’attivo) e le briciole concesse (1 gol pure qui).
La Cina, squadra militaresca nello stile e nella tattica, molta legna al fuoco e rare scintille. L’Italia di Milena Bertolini, tutta cuore, testa e macarena. Due a zero a Montpellier: un gol per tempo, Valentina Giacinti in mischia e Aurora Galli da fuori area.
Non è stato facile, e per questo è stato ancora più bello. Superare la fase a gironi sembrava, alla vigilia, il massimo dei traguardi, e invece se ne parla già come di una cartolina sbiadita.
Con l’eliminazione diretta si trasloca dal Mondiale in un altro mondo, nel senso che scompare lo spazio per gli errori e si riduce, drasticamente, la nicchia dei calcoli.
Le scaramucce introduttive consegnano l’ordalia al copione che ci si aspettava: più fisiche, le cinesi; più geometriche, le nostre. Il gol di Giacinti, frutto di un lancio al bacio di Girelli e annullato per fuorigioco, è un indizio, e forse persino un invito. Il sole smorza l’aggressività di gruppo, ma quando Bonansea “borseggia” Han Peng, Giacinti, ancora lei, semina il panico. E sempre lei, indiavolata, avvia di puro pressing l’azione che, attraverso Bonansea e Bartoli, la porterà a spaccare l’equilibrio. Siamo appena al 15’, dentro al quarto d’ora di popolarità caro ad Andy Warhol.
Guagni e Bartoli non lesinano toccate e fughe. Cerca, la Nazionale di Jia Xiuquan, di rifornire Li Ying e Wang Shanshan. Il Var libera Sara Gama da un sospetto di rigore, piano piano la Cina esce dal guscio, l’Italia si raccoglie attorno a Cernoia, Giugliano e Bergamaschi. Ci prova, Wang Yang, dal limite ma Giuliani è lì, a fil di traversa. E lì sarà sempre: molto sicura, molto inglese.
Il rischio, ora che le avversarie hanno alzato il ritmo, coinvolge un attendismo che ci induce, spesso, a speculare sul contropiede, arma preziosa (ammesso che non diventi l’unica). Le rosse fraseggiano, le azzurre badano al sodo. Palla lunga e pedalare, appena possono: tocca a Bergamaschi, rimedia la “portiera”, in tuffo.
Galli, al 39’, avvicenda Girelli (acciaccata?) per un 4-4-2 più tosto sulle fasce, là dove Li Ying e le sue sorelle imperversano.
Alla ripresa, Li Yiang rileva Yasha Gu. Ma è proprio Aurora Galli, l’ultima arrivata, complici i riflessi di Peng Shimeng, a far breccia da lontano dopo sì e no quattro minuti. C’era già riuscita con la Giamaica. Nel basket li chiamano “tiri da tre” o dall’arco. Come il contropiede, sono risorse preziose, letali. La Cina, che aveva chiuso il tempo accerchiando Fort Bertolini, resta sul colpo, pugile suonato. L’Italia si scrolla di dosso la tensione; Linari, nel cuore del bunker, non tollera intruse. L’unione fa la forza, come ha predicato da Losanna “(Mi)Candido” Malagò nel celebrare i Giochi di Milano e Cortina.
La partita non è più la tortura che sembrava, anche perché in difesa, sulla moda dei “maschietti” d’antan, non passa uno spillo.
Dalla Cina escono due Wang ed entrano Duan Song e Yao Wei. La nostra ct risponde con Mauro, una punta, al posto di Bergamaschi: tanto per chiarire che, insomma, gestire va bene a patto di non esagerare.
Le cinesi si ributtano sotto, o la va o la spacca, attese al varco da una Giugliano più di lotta che di governo. Rosucci sostituisce Bonansea, non proprio la Santa Barbara del battesimo australiano, ma la muraglia, quando è il caso, e negli spiccioli finali lo sarà, siamo noi, non loro. E così i 53 anni di coach Bertolini, compiuti lunedì, trovano nell’epilogo il regalo più ambito e gradito.
Avanti tutta, fra cronaca e storia. Senza paura.