Fabrizio Salinie Marcello Foa ieri mattina si sono visti per dirimere la questione del doppio incarico del presidente. Dopo il voto della Vigilanza, che ha chiesto a Foa di lasciare RaiCom, i consiglieri Borioni e Laganà hanno invocato un Cda straordinario, che però il presidente non ha convocato. Se ne parlerà nel consiglio previsto il 5 luglio. Se si andasse al voto (ma non è così semplice) e con l’esclusione di Foa (che per garbo dovrebbe astenersi), al momento i voti in consiglio sarebbero in perfetto pareggio: 3 a 3, dando per scontato che il voto dell’ad sia a favore. Nell’incontro di ieri i due hanno valutato la situazione, lasciando aperte tutte le opzioni, comprese le dimissioni di Foa prima del Cda, ma eventualmente, si spiega, solo per una questione di opportunità politica e per disinnescare il conflitto con la Vigilanza. Intanto è scoppiato un altro caso: il dem Anzaldi ha presentato un esposto all’Anac per conflitto di interessi per la nomina del consigliere leghista Igor De Biasio nel Cda di Arexpo, la società che dovrà gestire la riconversione dell’area dell’Expo a Milano, spazi a cui potrebbe essere interessata pure Rai.
Il finto “ritiro” di Torino e i soldi dello Stato
Ci sono tante affermazioni alla rinfusa nella tracotante gioia che ieri tutta la stampa, tranne il Fatto e il manifesto, ha riservato alle Olimpiadi invernali del 2026. Abbiamo selezionato alcune dichiarazioni.
1) La tragicommedia della candidatura di Torino, prima avanzata, poi ritirata è un’umiliazione che poteva essere evitata.
Che il Movimento 5 Stelle sia stato contrario e poi ondivago sulla scelta delle Olimpiadi è noto. Ma a Torino, riprendiamo dall’Ansa, “la sindaca Chiara Appendino era forse l’unica dell’amministrazione sabauda a credere in una candidatura torinese. Ma, dopo aver tanto lottato in seno alla sua maggioranza grillina, composta soprattutto da consiglieri appartenenti all’ala dura e pura del Movimento 5 Stelle, la prima cittadina si è vista costretta ad abbandonare la corsa, schiacciata dalla forza prorompente del collega milanese, Beppe Sala”. Più che un ritiro, una estromissione cucinata dall’asse milanese, pidino-leghista vecchia Repubblica che vede Beppe Sala, Giancarlo Giorgetti e Malagò ben collegati l’uno all’altro.
2) Milano ha saputo ottenere le Olimpiadi invernali mentre invece Roma ha rinunciato alle Olimpiadi del 2024.
Come se fosse la stessa cosa. Guardiamo ai numeri: le Olimpiadi di Milano-Cortina hanno un costo stimato di 1,3 miliardi di euro e secondo uno studio della Sapienza di Roma, citato da il Messaggero, “produrranno una ricchezza cumulata di 2,3 miliardi nell’arco di tempo 2020-2028”. Facciamo finta di crederci, visto che Torino 2006 è costata 4,3 miliardi contro l’1,5 previsto all’inizio. Il costo di un’Olimpiade “vera”, cioè estiva e quindi riguardante tutti gli sport è in media (si veda lo studio di Oxford) più del doppio di quella invernale (4,8 miliardi contro 2). Ma Londra nel 2012 è costata fino a 15 miliardi, Barcellona nel 1992 ben 9 miliardi, Pechino 2008 “solo” 7 miliardi. La media degli eventi dell’Olimpiade estiva è 239 contro i 55 dell’Olimpiade invernale. Il paragone non regge.
3) Lo Stato non ci metterà neanche un soldo.
La dichiarazione è del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giorgetti: “Il governo è pronto a dare il suo beneplacito all’alleanza tra Milano e Cortina – diceva il 5 aprile 2018 –, ma solo se le due città potranno dimostrare, da qui all’8 ottobre, di essere in grado di organizzare effettivamente l’evento con risorse proprie”. Una dichiarazione analoga (1 ottobre 2018): “Chi vuol fare le Olimpiadi se le paga da solo”.
Le Regioni si sono impegnate per: 211 milioni, la Lombardia; 130 milioni, il Veneto. Poi c’è il Cio. Fin qui tutto bene, ma il 5 aprile scorso, proprio mentre era in corso la prima parte del seminario di confronto fra la Commissione di valutazione del Cio e i rappresentanti della candidatura di Milano e Cortina, di nuovo Giorgetti portò a Milano la lettera con le garanzie finanziarie firmata dal governo italiano. Lettera consegnata personalmente al presidente della Commissione Cio, Octavio Morariu. Quelle garanzie, richieste per investimenti e sicurezza, hanno un costo, stimato in 400 milioni. E hanno avuto un indubbio impatto sulla decisione finale, dato che non è pensabile assegnare le Olimpiadi a una città senza che lo Stato di riferimento non sia in grado di assumersi gli oneri che gli competono.
Telt fa un altro passo verso il Tav
Parte la gara anche per il versante italiano del Tav. Lo ha deciso ieri il consiglio d’amministrazione di Telt, la società dei governi italiano e francese che ha il compito di realizzare la linea ferroviaria Torino-Lione. La gara riguarda l’intero tratto in Italia del tunnel, vale 1 miliardo di euro ed è suddivisa in due lotti, uno per i lavori di costruzione e uno per la valorizzazione dei materiali di scavo. “Ora partirà il bando”, spiega al Fatto Quotidiano il direttore generale di Telt Mario Virano, “poi ci saranno tre mesi in cui le aziende interessate potranno presentare le loro manifestazioni d’interesse, infine – se i due governi confermeranno la loro intenzione di procedere – Telt lancerà i capitolati d’appalto per la gara vera e propria”.
È quanto sta già avvenendo per la parte francese del tunnel, in cui la procedura è in una fase più avanzata: le manifestazioni d’interesse (avis de marchés) sono partite nel marzo 2019, dal 28 maggio 2019 Telt è impegnata a verificarle e a settembre potranno essere avviate le gare d’appalto, per un valore di 2,3 miliardi di euro. “Ora partiamo anche per il versante italiano, ma con tutte le cautele del caso”, ci tiene a sottolineare Virano, “perché Telt s’impegna, al termine della selezione delle candidature e prima d’inviare alle imprese i capitolati di gara, a verificare le volontà dei due governi”. È quanto aveva chiesto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nelle sua lettera inviata a marzo al presidente di Telt, Hubert du Mesnil, e al direttore generale Virano. L’avis de marchés sarà pubblicato nei prossimi giorni sulla Gazzetta europea con l’esplicitazione della facoltà di interrompere senza obblighi e oneri la procedura di gara in ogni sua fase, come previsto dal codice degli appalti pubblici francese. L’avvio della procedura per la parte italiana della galleria segna il completamento del percorso degli affidamenti dei lavori per la realizzazione dei 57,5 chilometri del tunnel di base, costo totale 9,63 miliardi, di cui 3,3 miliardi per gli scavi. E capita in un momento in cui in Italia si è aperta la discussione su una proposta alternativa di Tav, avanzata dal nuovo sindaco di Venaus, Avernino Di Croce, che rilancia il progetto del suo predecessore, Nilo Durbiano. Un tunnel più corto, di soli 14 chilometri, scavato più in alto, tra Oulx e Modane, a una sola canna, per far transitare i treni in una sola direzione, dall’Italia alla Francia. Per il percorso inverso, dalla Francia all’Italia, si dovrebbe usare l’attuale galleria del Fréjus, rimodernata e ridotta a un solo binario. “È l’uovo di Colombo che ci permette di salvare la faccia”, dice Di Croce al Fatto, “perché abbiamo capito che la ricreazione è finita e a settembre partiranno i bandi Tav”. La proposta era piaciuta alla viceministra dell’Economia Laura Castelli, Cinquestelle. Ma non al movimento No-Tav. “È un’ipotesi bizzarra, priva di fondamenti tecnici e senza alcun consenso da parte dei Comuni della Valsusa”, aveva dichiarato l’ingegner Alberto Poggio della Commissione tecnica delle amministrazioni pubbliche contrarie alla Torino-Lione. Ed è stata bocciata seccamente anche dal vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini: “Macché Tav leggero, a me piacciono i treni che corrono”. Ieri è arrivato, via Facebook, il no definitivo pure dell’altro vicepremier, Luigi Di Maio: “Non abbiamo mai pensato a un progetto di Tav leggero. Parliamo piuttosto di cose serie. Ho fiducia nel fatto che il presidente Conte trovi una soluzione”. Post subito approvato da Alessandro Di Battista, riunendo così le due anime dei Cinquestelle.
Ora il progetto è respinto anche da Virano: “È una proposta tecnicamente non praticabile”, dice al Fatto. “Non rispetta gli standard tecnici obbligatori, non è finanziabile dall’Europa, avrebbe bisogno di un accordo binazionale tra Italia e Francia che non c’è, mentre ce n’è già uno, quello che stiamo realizzando, che dovrebbe essere prima rigettato dai due Paesi”.
Quanto ai finanziamenti europei, crescono le pressioni Ue affinché Italia e Francia confermino entro luglio il loro proposito di realizzare il Tav, pena la perdita dei (promessi) finanziamenti europei.
Lombardi contro Raggi: “Costernata per come sta Roma”
Ancora scontro a Roma fra la capogruppo M5S alla Regione Lazio, Roberta Lombardi, e la sindaca della Capitale, Virginia Raggi, anche lei esponente dei 5 Stelle. “Dopo 3 anni di giunta Raggi io vivo in uno stato personale di costernazione per la mia città. Bisogna fare un’operazione verità”. Lombardi non usa mezzi termini intervenendo a Radio Cusano Campus e parla della situazione dei rifiuti urbani. “Quando tempo fa uscirono sull’Espresso alcuni audio rubati alla sindaca Raggi in colloqui con Ama, con molta sincerità ha detto: ‘Questa città è fuori controllo’. Però bisogna ammetterlo anche al di fuori e spiegarne i motivi”, sostiene la capogruppo in Regione. Secondo Lombardi, in ballo c’è la credibilità del Movimento: “Non basta dire: stiamo lavorando, abbiamo sgomberato le villette dei Casamonica. Abbiamo bisogno anche di non vedere i cassonetti stracolmi, il verde curato”. Ma alla fine ammette che lo sforzo deve essere condiviso: “Per quanto riguarda i rifiuti i problemi non si risolvono dall’oggi al domani. Non abbiamo più una discarica a Roma, bisognava trovare una soluzione alternativa. Questo non è stato fatto da Comune e Regione”.
Atp di tennis, il modello virtuoso che piace ai 5S
Il risarcimento olimpico per Torino si chiama Atp Finals. La sindaca Chiara Appendino è stata esclusa dalla candidatura a Cinque cerchi per la manovra a tenaglia di Milano e Cortina, ma non rimarrà proprio a mani vuote: avrà dal 2021 al 2025 il prestigioso torneo di tennis, che il Movimento (dal sottosegretario Valente fino a Luigi Di Maio e al premier Conte) ha preteso, anche come compensazione per il torto subito sui Giochi. Sarà un altro evento sportivo, forse meno grande ma sicuramente meno rischioso (e costoso), forse persino più duraturo (visto che avrà un arco temporale di cinque edizioni). A misura di 5Stelle, insomma.
Gli otto migliori giocatori del pianeta che si sfidano nel tradizionale master di fine stagione: Federer contro Nadal e Djokovic (se ci arriveranno), più probabilmente i loro forti eredi, da Tsitsipas a Zverev, passando per Thiem e magari il nostro Berrettini. Trenta partite sullo stesso campo, 250 mila tifosi sugli spalti, il PalAlpitour, (il palazzetto da 18 mila posti costruito proprio per le Olimpiadi 2006) gremito, intorno una piccola “città del tennis”, alberghi pieni, turisti per le vie del centro. Tutto questo sono le Atp Finals, risposta (o consolazione?) torinese a Milano-Cortina.
La contrapposizione con i Giochi non è casuale: il progetto ha avuto un’accelerata proprio dopo che Torino era rimasta tagliata fuori dalla candidatura olimpica. E i due eventi sono agli antipodi: multidisciplinare, spalmato sul territorio e di breve durata (solo tre settimane) le Olimpiadi, solo tennistico, concentrato in uno stesso luogo e pluriennale le Atp Finals. Averle non è stato facile, anche perché l’evento ha un costo: circa 250 milioni in totale, di cui 78 dello Stato (il resto viene da sponsor e ricavi). Pure qui ci sono di mezzo fondi pubblici, insomma. Come per le Olimpiadi, ma con una differenza: si tratta di un costo contingentato (specie se spalmato su 5 edizioni), soprattutto certo. Non ci sono impianti da costruire, grosse infrastrutture da ristrutturare: i soldi servono quasi tutti per il montepremi e la tassa da pagare a Atp (l’associazione internazionale), la cifra non potrà aumentare. Così è molto più semplice che alla fine anche il saldo costi-benefici sia positivo: le stime parlano di un giro d’affari da 80 milioni per la città, che non dovrà indebitarsi per l’organizzazione (come successo invece per Torino 2006). Nessun gigantismo, piccola spesa per piccoli benefici: una visione diversa.
È su questo che il M5S ha sempre fatto leva per spiegare il suo favore (oltreché ovviamente per il suo interesse politico): in molti avevano rinfacciato al Movimento la posizione contraria avuta in casi analoghi, come la Ryder Cup di golf e ovviamente le Olimpiadi. Ne è nato un baratto, con la Lega che ha dato il via libera (e poi i primi fondi) a Milano-Cortina e il M5S che ha ottenuto la fideiussione per Torino. Certo, adesso che Milano-Cortina hanno vinto in Piemonte si rialzano le voci di rimpianto. Le Olimpiadi erano davvero un’altra cosa. In tutti i sensi, però.
Politici, manager e privati: chi ha già vinto le Olimpiadi
Soldi pubblici sulle montagne, per tirare a lucido gli impianti di Veneto e Lombardia (e di una nobile decaduta come Cortina), fondi e interessi privati in città, dove i Giochi si innestano su altri giochi di potere e grosse operazioni immobiliari. Eccolo, l’affare olimpico alla milanese. Roma 2024 è lontana: se il suo dossier prestava il fianco a sospetti, con un maxi-progetto da oltre 5 miliardi, un nuovo quartiere in un’area periferica e gli appetiti dei soliti costruttori romani, i Giochi del nord seguono logiche diverse. Taglie minori, interessi meno smaccati. A guadagnarci saranno soprattutto gli amministratori e gli enti locali che si ritroveranno tra le mani un tesoretto (e tutto il consenso che ne deriva).
I Giochi di Milano-Cortina 2026 costeranno 1,3 miliardi di euro (più gli oneri per la sicurezza di cui si farà carico il governo, circa 400 milioni). La Lega si dice pronta a finanziare altri progetti, il M5S ricorda che in caso di entrate inferiori alle uscite lo Stato potrà rivalersi sulle Regioni. Sempre di soldi pubblici ci sarà bisogno: al netto del ricco contributo Cio e delle sponsorizzazioni (900 milioni), restano 400 milioni di investimenti (sempre che i costi non aumentino). Gestirà tutto l’Agenzia olimpica che sorgerà al fianco del Comitato organizzatore presieduto da Malagò: a guidarla un manager scelto da Giorgetti.
Le risorse pubbliche, circa 230 milioni, finirannno quasi tutte in motagna: 7 milioni sulle piste di Livigno, 1,3 su quelli di Bormio e di Cortina. Impianti comunali ma gestiti da privati: adesso saranno tirati a lucido. “Per i gestori è una manna dal cielo”, spiega un addetto ai lavori. “Cortina ha il nome, ma era rimasta indietro rispetto alle località alpine top, così tornerà in auge”. Per lei ci sono anche i finanziamenti già previsti per i Mondiali di sci 2021, 5 milioni per lo stadio olimpico e soprattutto l’enorme investimento per la pista da bob, vera incognita del dossier: a Torino 2006 quella di Cesana fu un salasso, anche la Eugenio Monti utilizzata nei Giochi del ’56 è abbandonata da anni. Per riattivarla si spenderanno 47 milioni, ma il bacino d’utenza non esiste. Poi ci sono i due mini villaggi olimpici a Cortina e Livigno (da 37 e 43 milioni: saranno in parte riconvertiti in alloggi) e decine di milioni pure in Trentino, la maggior parte a Pinè per l’arena di pattinaggio.
I due investimenti maggiori, però, saranno ovviamente a Milano, capitale dei Giochi. A carattere privato, si innesteranno su operazioni molto più grandi da cui i privati avranno il loro tornaconto. Come il villaggio olimpico a Porta Romana su terreni di proprietà di Ferrovie dello Stato: intervento da quasi 100 milioni, 15 pubblici per la riconversione, diventerà una residenza universitaria. Ormai FS sta diventando il più grande operatore immobiliare di Milano, grazie alla riconversione di sette aree di ex scali ferroviari, un tempo periferici e oggi ormai semi-centrali. Il villaggio è uno di questi. I suoli sono pubblici, come l’impresa, la logica privatistica.
Discorso simile per l’altro grande intervento, ancora maggiore, a Santa Giulia. Il palazzetto dello sport vale 69 milioni ma è solo un piccolo tassello di un piano di riqualificazione molto più ampio nella zona sud. Ci avevano provato gli immobiliaristi Coppola e Zunino, il progetto è rimasto in mano alla società Risanamento spa, che è diventata delle banche creditrici (Intesa SanPaolo al 48%, Unicredit al 22). Per realizzarlo, la società ha firmato un accordo con gli australiani di Lendlease, gli stessi che si sono aggiudicati il bando per l’area Expo: Sala non è l’unico filo che lega i due eventi. L’operazione era già prevista da tempo, adesso le Olimpiadi le daranno l’impulso decisivo. Infatti ieri Risanamento ha fatto il botto in Borsa: +8%. Ma hanno festeggiato in tanti, perché – spiegano gli analisti di Equita Sim – i Giochi impatteranno sui titoli che si occupano di infrastrutture e real estate. Come Salini Impregilo. Oppure Coima di Manfredi Catella, che con Ferrovie ha già lavorato nello scalo Farini e a Porta Romana ha acquistato diversi immobili. Politici, manager e privati: brindano tutti ai Giochi.
Rosicate in silenzio e scuse: doccia svedese a Stoccolma
La prima reazione che, secondo il sentire svedese, dovrebbe far scompisciare dalle risate per prontezza e forza espressiva, è stata del ministro per la Cooperazione e lo Sviluppo Peter Eriksson, che nel congratularsi con l’Italia ha, secondo Svt1 (la Rai1 svedese, ndr) “colto l’occasione per inviare un saluto spudorato agli italiani”. Il riferimento è alla battuta: “Sapete che vi abbiamo graffiato ai Mondiali, ora ci avete battuti. Dico che ora siamo 1-1”.
A Stoccolma la gente si limita a bisbigliare e, pur amando l’Italia e gli italiani, cui sono sempre pronti a tendere una mano, faticano a parlare della bellezza delle Alpi, la cui supremazia non è confrontabile con l’unica cima svedese spendibile, quella di Åre, circa 700 chilometri dalla capitale, dove gli atleti avrebbero alloggiato. Il premier Stefan Löfven, socialdemocratico, è stato un funambolo perfetto: “Prima di tutto, vorrei congratularmi con l’Italia. Il movimento sportivo è forte nel nostro Paese, l’impegno per le Olimpiadi invernali è stato grande”. “È ovviamente noioso che la Svezia non abbia vinto – dice il leader dei Nuovi Moderati (oggi all’opposizione) Ulf Kristersson –, auguro all’Italia buona fortuna. Noi ci concentreremo sulle medaglie d’oro svedesi”. Rosica decisamente di più il cristianodemocratico Roland Utbult, che dopo aver manifestato il dispiacere a denti stretti, ha spiegato: “Va detto che non era chiaro cosa avrebbe significato un evento olimpico per i contribuenti. Ora sappiamo che questo non influenzerà i nostri anziani e i malati che hanno bisogno di più risorse”. Gli SD, estremisti di destra, terzo partito, ma escluso dal governo con un colpo di teatro Rosso-verde-liberale e centrista, si rifà come può, puntando il dito sui 13 miliardi di spesa e concludendo, per bocca della portavoce Angelika Bengtsson: “Il vantaggio dell’Italia è stato un più ampio sostegno politico e della popolazione”. Anche perché sull’organizzazione era buio pesto. Un esempio: le cerimonie di premiazione si sarebbero tenute a Slottsbacken nel centro di Stoccolma, area insufficiente per contenere una vasta folla. I 35.000 posti letto degli hotel non sarebbero bastati e si sarebbe dovuto far ricorso ad alloggi in traghetti e aule scolastiche. Se fossimo stati noi a pianificare una roba così?
“Facciamo festa anche noi, ma ora niente spartizioni”
Il 5Stelle che spunta nella foto della festa è un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e si chiama Simone Valente, ma non lo sanno proprio tutti: “Appena entrati nel Convention Center di Losanna per la cerimonia di assegnazione, mi si è avvicinato Luca Cordero di Montezemolo e mi ha chiesto se fossi un atleta e quante medaglie avessi vinto. La mia risposta forse lo ha un po’ sorpreso…”. Valente sorride, poche ore dopo la vittoria di Milano e Cortina come città ospitanti dei Giochi invernali del 2026.
Voi 5Stelle siete più contenti o più in imbarazzo per la vittoria? Avete ceduto un altro pezzo di coerenza?
Noi abbiamo sostenuto la candidatura e abbiamo gioito. Ma non c’è stata nessuna giravolta. Avevamo fissato alcuni principi e sono stati rispettati.
Parlavate di costi a Giochi “senza oneri” per lo Stato, e invece lo Stato tirerà fuori almeno 400 milioni.
Sono costi indiretti per la sicurezza. Quel che conta è che abbiamo preteso e ottenuto un accordo sottoscritto dal presidente del Consiglio Conte con tutti gli enti locali, in base a cui in caso di saldo negativo dei Giochi, cioè se le entrate fossero inferiori ai costi, le due città e le regioni Lombardia e Veneto verseranno allo Stato la differenza.
Sarebbero comunque soldi pubblici, no?
Sì, ma le candidature a ogni grande evento sportivo partono dalle città. Se gli enti locali sostengono questo evento a determinate condizioni, l’accordo si può fare.
Sul Fatto Gustavo Rinaldi, docente di Economia all’Università di Torino, ricordava che nel 95 per cento dei casi gli eventi olimpici comportano perdite per i Paesi ospitanti. E voi dovrete spendere anche per la parte restante di impianti.
Sulle strutture da costruire bisognerà ragionare, ma di certo dovranno tornare utili ai territori anche dopo i Giochi. Per questo è necessario creare il prima presto possibile un comitato organizzatore con tutte le parti interessate che vigili sui lavori, mettendo in chiaro principi come la trasparenza e il contenimento dei costi. Non ci dovranno esserci spartizioni di risorse pubbliche come in passato.
Chi dovrebbe guidarlo?
Un manager competente, il cui nome sia condiviso da tutti. E credo che a indicarlo debba essere la presidenza del Consiglio.
Torino è rimasta fuori dalla partita, perché il M5S era spaccato sul tema.
No. Il Comune di Torino voleva ospitare la manifestazione, ma da solo. Una volta che si è manifestata l’ipotesi di un tridente con Milano e Cortina ha deciso di rinunciare.
Perché?
Riteneva di avere un dossier importante e che per Torino la soluzione a tre non fosse ottimale. Così ha scelto la sindaca Chiara Appendino.
E lei condivide?
Rispetto la sua scelta. E poi la città ha portato a casa un grande evento come l’Atp di tennis.
Voi siete sempre quelli del no alle Olimpiadi a Roma. La contraddizione resta, no?
I Giochi olimpici estivi costano molto di più, e parliamo di un contesto totalmente differente da quello di Milano e Cortina. Roma non avrebbe potuto sostenere economicamente un evento tale.
Avete avuto solo paura di gestirlo?
La sindaca Raggi ha dimostrato ampiamente di non avere paura di affrontare le difficoltà. Detto questo, lei aveva fatto del no ai Giochi uno dei punti della campagna elettorale. E i cittadini l’hanno eletta con numeri larghissimi, manifestando che anche loro erano contrari.
Sarà, ma ieri il M5S lombardo ha rimosso un post di esultanza per i Giochi: come se si vergognasse.
Non ci avevo fatto neppure caso. Mi pare davvero strumentale parlarne, serve solo per attaccare il Movimento.
Malagò & C.: l’eterna banda del buco nei conti pubblici
Il progresso non s’arresta, la memoria neppure. Oltre l’esaltazione per le Olimpiadi invernali del 2026 assegnate a Milano e Cortina e il resuscitato orgoglio nazionale, che sopisce e svilisce il passato, ci sono epoche, non anni, di errori e orrori, di denaro bruciato, di cemento, di fregature. E la delegazione italiana che ha conquistato i cinque cerchi per amor di patria, col tricolore stretto al collo o al polso in quel di Losanna, in una solenne assise del Comitato olimpico internazionale (Cio), è in gran parte testimone se non protagonista degli scandali dei grandi eventi sportivi in Italia.
È il 1984, Bettino Craxi a Palazzo Chigi, il socialismo gaudente ovunque, Franco Carraro, dirigente sportivo dal ’62 e oggi ancora a Losanna con la grisaglia di membro del Cio, è al vertice del Coni. Roma ha l’onore di ospitare i Mondiali di calcio del 1990, il comitato organizzatore è affidato a Luca Cordero di Montezemolo, che a Losanna era in veste di “ambasciatore” presso i votanti olimpici. “Italia 90”, notti magiche, mutui immensi. Con la Finanziaria del 2015, un quarto di secolo dopo se il calcolo non è automatico, lo Stato stanzia i soldi per l’ultima rata che copre la voragine scavata dalla legge speciale numero 65 del 1987: 61,2 milioni di euro. L’osceno stadio Delle Alpi di Torino (pubblico), costato 226 miliardi di lire con un rialzo del 224 per cento sui preventivi, viene demolito nel 2009 per far sorgere lo Juventus Stadium (privato). Il gigantesco albergo di Ponte Lambro a Milano resiste, vuoto e sfatto, fino al 2012. Poi lo buttano giù.
Il prezzo di “Italia 90” è di 7 mila miliardi di lire – di cui 6 mila pubblici – cioè 3,5 miliardi di euro, il doppio con l’inflazione, il danno è quasi inestimabile. E la Coppa va pure ai tedeschi riuniti in una orribile finale con l’Argentina di Diego Maradona.
Massimo D’Alema nel ’99 consegna all’Italia la prima medaglia del Secondo millennio: i Giochi invernali di Torino 2006. Il governo di Silvio Berlusconi nomina Mario Pescante commissario straordinario, Evelina Christillin è vicepresidente vicario di Toroc, l’organismo costituito per far germogliare le Olimpiadi. Pescante per rappresentare il Cio e Christillin per le attività di lobby contro gli avversari svedesi erano a Losanna.
Ogni giorno c’è una notiziola che segnala uno sgombero al villaggio olimpico di Torino, occupato dagli immigrati: 145 milioni di euro, un insediamento commerciale su carta, lotta tra legalità e bisogni. La pista di bob di Cesana, 110 milioni di euro, è un lugubre tracciato nel nulla. Ormai non ci rubano neanche più il rame. A Pragelato riflettono – davvero, proprio negli istanti in cui va in stampa l’articolo – sul futuro del trampolino olimpico (37 milioni): va riqualificato o smantellato? Torino 2006, per le maldestre intenzioni, era un inno alla sobrietà. Mezzo miliardo di euro, non di più, garantivano sicuri in Piemonte. È finita con 3,5 miliardi di euro di spese, di cui 1,4 per lo Stato, 600 mila per comune e regione e un miliardo di introiti.
Oggi Giovanni Malagò, destinato a restare in eterno al Coni, celebra le Olimpiadi del Nord produttivo, dieci anni fa era nel disastro dei Mondiali di nuoto di Roma, improduttiva forse, eppure ben reattiva nel tuffarsi sugli appalti. Per l’occasione di “Roma 09”, tra piscine corte e lunghe, opere incompiute e una miriade di figuracce, l’Italia schiera la “cricca” con il dirigente statale Angelo Balducci, il costruttore Diego Anemone e compari. Per i curiosi, i feticisti del genere, nel quartiere periferico di Tor Vergata è semplice visitare o ammirare a distanza di sicurezza uno scheletro di ferro – una replica della Torre Eiffel richiede meno roba – che porta la firma dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava, che tanto era di moda a quel tempo: 250 milioni di euro per una ampia vela o una pinna di squalo, una bozza di palazzetto che per nascere dovrebbe drenare altri 600 o 700 milioni di euro, chissà. Una chicca: il polo natatorio di Valco San Paolo, edificato da Francesco Piscicelli, l’imprenditore noto per la risata nella notte del terremoto de L’Aquila, 13 milioni di euro, mai inaugurato, già crollato. Un paio di giorni fa, magari per persuadere i reticenti principi del Cio impegnati a valutare la candidatura di Milano e Cortina, il deputato forzista Paolo Barelli, presidente di Federnuoto da vent’anni, ha rassicurato i romani: “Serve un ulteriore finanziamento per Valco San Paolo”. Evviva. È troppo presto.
“Roma 09” è uno splendido ricordo per i circoli sportivi di Roma, come il ben frequentato Aniene di Malagò. Per oggettiva mancanza di neve, il Coni non ha considerato mai l’ipotesi di lanciare la Capitale verso le Olimpiadi invernali e dunque Milano e Cortina sono una degna rivincita, ma ci ha provato con l’edizione estiva del 2024, finché i Cinque Stelle e la sindaca Virginia Raggi non l’hanno fermato.
Il gruppo “Roma 24” ha liquidato le attività nel 2017, dopo un triennio di relazioni pubbliche per convincere il Cio e i romani. Un esoso preliminare con esito infausto: 12,8 milioni di euro, più di 2 a carico dello Stato, più di 9 del Coni che, a sua volta, è a carico dello Stato.
Questa rassegna non ha l’intenzione di arrestare il progresso, semmai di liberare la memoria. Auguri.
Le Linguiadi
Ma le avete viste le facce dei cosiddetti vincitori delle Olimpiadi nella foto di gruppo? E le fauci già spalancate dei Malagò, Montezemolo, Carraro, Pescante e Sala? Fauci già sperimentate sugli stadi di Italia 90 (spese lievitate dell’85%, ultima rata dicembre 2015), le Olimpiadi invernali di Torino 2006 (3,1 miliardi di debito, il 225% delle entrate, cattedrali nel deserto e trampolini nella neve), i Mondiali di nuoto 2009 (700 milioni di euro per il palazzo di Calatrava con le vele a pinna a Tor Vergata, mai finito; piscine sequestrate e/o di dimensioni sballate; scheletri in cemento armato abbandonati ai tossici e alle sterpaglie), l’Expo di Milano 2015 (retate di tangentisti e ’ndranghetisti, 1,5 miliardi di buco, mega-aree abbandonate). Magari ci sbagliamo e gli stessi personaggi, che hanno sempre fallito, al seguito di Giorgetti e Zaia si trasformeranno in tanti Quintino Sella e faranno tutto per bene, per tempo e al risparmio. Ma, nell’attesa, solo un pazzo smemorato può unirsi all’esultanza di lorsignori per avere “vinto” un evento che negli ultimi 50 anni – dati dell’Università di Oxford – ha regolarmente sforato i preventivi per una media del 257% (796% Montréal, 417 per Barcellona, 321 Lake Placid, 287 Londra, 277 Lillehammer, 201 Grenoble, 173 Sarajevo, 147 Atlanta, 135 Albertville, 90 Sydney, 82 Torino, 51 Rio). Lasciando ai Paesi e alle città ospitanti un conto salatissimo da pagare, che ha portato al default Atene e Rio, al debito-record Torino e le altre all’aumento vertiginoso delle imposte locali. Anche al netto delle eventuali tangenti. Infatti le città più avvedute – Sion, Calgary, Innsbruck e Graz – si sono ritirate, terrorizzate da quella che Oxford chiama la “maledizione del vincitore” (le Olimpiadi le vince chi le perde e le perde chi le vince: l’unico che ci guadagna è il Cio).
Il Giornale Unico degli Affari suona le grancasse e le trombette a reti ed edicole unificate, come se l’Italia avesse vinto la guerra mondiale e non un “evento” che dura 15 giorni. Ma è tutta propaganda per pompare Lega&Pd che si sono spartiti queste strane Olimpiadi invernali in una città senza montagne, Milano, e in un’altra che rischia di tracollare sotto il peso dei visitatori, Cortina, distante 409 km. L’alternativa era Torino che, oltre al dettaglio delle Alpi, aveva il pregio di costare poco grazie alle strutture del 2006. Ma tutti raccontano la fake news della sindaca M5S Chiara Appendino che avrebbe detto “no”. Balle: si era candidata, ma era stata respinta dal duo Giorgetti-Malagò che voleva relegare Torino al rango di ruota di scorta di Milano-Cortina, con un paio di gare secondarie tutte da ridere.
Non contenti, i trombettieri tirano in ballo pure Virginia Raggi per il no alle Olimpiadi 2024, che non c’entrano nulla con quelle invernali (costano il quintuplo). Senza contare che Milano, Cortina, Lombardia e Veneto sono ricchi, mentre Roma ha un buco di 13 miliardi dal 2008. Infatti nessuno lo ricorda, ma Roma ha rinunciato pure ai Giochi del 2020. E per mano di Mario Monti, non proprio un grillino nemico del Pil. Il 13 febbraio 2012 Monti revocò la candidatura lanciata dal duo B.-Alemanno perché “non sarebbe responsabile prendere un impegno finanziario che potrebbe gravare in misura imprevedibile sull’Italia per i prossimi anni”. Anziché vomitargli addosso anatemi e improperi, come accadde quattro anni dopo alla Raggi, e inneggiare alle Olimpiadi che portano sviluppo, lavoro e letizia, come fanno oggi, tutti beatificarono Monti come il nuovo Cavour. Applausi scroscianti dal Pd (Rosato, Bonaccini, Melandri, Bersani, Gentiloni, Sassoli e Letta) e dai giornaloni al seguito.
Oggi Repubblica titola “Miracolo a Milano (e a Cortina)”. Ma il 14.2.2012 plaudiva al ritiro della candidatura olimpica addirittura in tre articoli. Francesco Bei flautava: “Le ‘cricche’ d’affari romane, lo spettro del default greco, la vaghezza del piano, il rischio di una guerra diplomatica al termine dalla quale, alla fine, l’Italia sarebbe finita distrutta come un vaso di coccio. Sono molte le ragioni che hanno spinto Monti a pronunciare il suo no”. Gli faceva eco Tito Boeri: “La tragedia greca era iniziata proprio lì, con la candidatura ad ospitare le Olimpiadi. I sovracosti incorsi nella preparazione di Atene 2004 hanno contribuito a quella spirale di deficit pubblici crescenti, mascherati in vario modo per non pregiudicare l’ingresso nell’unione monetaria, che hanno portato alla crisi del debito”. Seguiva un’impietosa analisi finanziaria di Walter Galbiati: “Non esiste una formula matematica certa che possa valutare il ritorno economico che giustifichi lo spendere 5, 10 o 15 miliardi per realizzare i Giochi. Il ritorno di immagine e gli introiti aggiuntivi, che si trasformano in Pil, sono frutto di stime difficilmente ponderabili. I costi invece sono certi”.
Oggi il Corriere esalta “La vittoria di Milano e Cortina”, “immagine di un Paese giovane che sa sorridere” (le fauci della Banda dei Quattro). Sette anni fa tripudiava per lo scampato pericolo: “Tra il 2014 e il 2018 lo Stato avrebbe dovuto trovare una copertura di 800 milioni l’anno. Con buona pace di chi aveva parlato di Olimpiadi a costo zero”. E Sergio Rizzo irrideva ai “musi lunghi delle nostre alte gerarchie sportive” (i soliti Malagò, Montezemolo, Carraro e Pescante): “Si è arrivati a sostenere che sarebbe stata un’operazione ‘a costo zero’ con le spese coperte da introiti fiscali e incassi dei biglietti. Spese astronomiche già in partenza. Otto miliardi? Dieci? Quanti davvero? Il partito dei Giochi avrebbe dovuto ricordare che da troppi anni sbagliamo, e per difetto, ogni preventivo. Di soldi e di tempi”. E giù botte alle solite cricche: “Un impasto mostruoso di burocrazia, interessi politici e lobbistici che spesso alimenta la corruzione e ci fa pagare un chilometro di strada il triplo che nel resto d’Europa. E in due decenni non è cambiato proprio nulla. Anzi. Per rifare gli stadi di Italia 90 abbiamo speso l’equivalente di un miliardo e 160 milioni di euro, l’84% più di quanto era previsto? Nel 2009 ci siamo superati, arrivando ai Mondiali di nuoto senza le piscine, ma con una bella dose di inchieste”. Quattro anni dopo, Rizzo passò a Repubblica e massacrò la Raggi per aver ribadito il no montiano per il 2024. E ora magnifica “l’occasione per Milano per fare un altro salto nella graduatoria delle metropoli europee. E scavare ancora più in profondità l’abisso che già la separa dalla capitale”. Tutto fa brodo.
La Stampa è tutto un peana all’ “Italia che vince”, a “Mr Wolf Giorgetti missione compiuta”, mentre lacrima per “Torino beffata” e l’Appendino che “non si pente”. Quando invece era Monti a ritirarsi dai Giochi, elogiava “la coerenza di un no responsabile”, in sintonia con “le attese dei cittadini”. E persino il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, oggi entusiasta perché “vince lo sprint dell’Italia”, nel 2012 definiva “l’avventura delle Olimpiadi un rischio il cui costo avrebbe creato un effetto sui conti pubblici difficilmente calcolabile”. Un po’ come Salvini, che quando Renzi candidò Roma per il 2026 twittava furibondo: “Gente che in tutta Italia aspetta una casa e un lavoro da anni. E Renzi pensa di fare le Olimpiadi. Ricoverateloooo”. E nel 2016 ribadiva: “Renzi propone le Olimpiadi a Roma nel 2024. Per me è una follia, sarebbe l’Olimpiade dello Spreco. Il fenomeno di Firenze pensi alle migliaia di società sportive dilettantistiche italiane, che fanno fare sport a tantissimi bambini e che rischiano di chiudere per colpa dello Stato, invece di fantasticare su improbabili Olimpiadi. Senza contare tutti i debiti e gli sprechi del passato e del presente. Tirino fuori i soldi per sistemare strade, scuole e ospedali”. Oggi lapida la Raggi per aver salvato Roma dal default, seguendo saggiamente i suoi consigli. E racconta la balla dell’Appendino contraria alle Olimpiadi, all’unisono con politici e giornaloni. I quali dimenticano un dettaglio: esclusa dai Giochi, la Appendino s’è rimboccata le maniche e ha battuto 40 città concorrenti (pure Londra e Tokyo) aggiudicando a Torino un evento sportivo molto meno costoso per lo Stato (78 milioni contro il mezzo miliardo, se basta, dei Giochi invernali) e più vantaggioso: le finali Atp di tennis, che portano alla città ospitante centinaia di migliaia di turisti e centinaia di milioni di introiti. E non durano 15 giorni, ma 5 anni. Però nessuno lo dice. C’è poco da rubare.